martedì 31 dicembre 2019

RIMANETE NEL MIO AMORE



«EGLI HA DATO LA SUA VITA PER NOI, QUINDI ANCHE NOI DOBBIAMO DARE LA VITA PER I FRATELLI». 1 Giov. 3, 16
   
Per far del bene alle anime bisogna vederle in me, nella luce del mio Sacro Cuore. Le anime sono la mia immagine. Un giorno, in paradiso, ti mostrerò le anime e ti dirò: «Ecco i tabernacoli che mi hai preparati».
   Abbi una grande carità, perchè Dio è carità, e abbi un grande amore verso il prossimo per imitare me che sono sempre in atto di beneficare le mie creature.
   Devi essere unita a me per mezzo della grazia e al prossimo per mezzo della carità.       
   Tutto ciò che fai in favore del tuo prossimo, lo fai a me; come tu pensi del tuo prossimo, così pensi di me; come parli del tuo prossimo, così parli di me; come tu scusi il tuo prossimo, così scusi me.
   Ci sono due modi per guardare il prossimo: uno per scoprire i difetti, e questo viene dal demonio, dalla natura, dalle passioni, e uno per scoprire le virtù, e questo viene dalla carità, dalla grazia, da Dio.
   Tu desideri comunicarmi agli altri e non sai come fare, lo ti insegno. Parla sempre dell'amore, con tutti dell'amore.
   La carità è una virtù speciale e intima del Cuore di Dio, deve essere quindi il principale ornamento della sua sposa. Per praticare la carità con perfezione e con puro amore di Dio, è necessario che tu d'ora innanzi veda nel prossimo, chiunque esso sia, il tuo celeste Sposo. Servirai Lui servendo il prossimo, amerai Luì amando il prossimo, consolerai Lui tergendo le lacrime dei tuoi fratelli in Gesù Cristo.
Tratterai tutti con somma dolcezza, senza affettazione di sorta, e non esigerai nè testimonianze di riconoscenza, nè ringraziamenti, considerando che è già fin troppo, per te, l'essere fatta degna di servire il tuo Sposo.
Quando riceverai espressioni di gratitudine, servitene alla maggior gloria di Dio che ti ha dato le facoltà con le quali ti sei potuta rendere utile al prossimo.
Il bene che devi procurare di fare al prossimo, deve essere specialmente nell'ordine morale. Talora però è necessario incominciare dal materiale.
   Tutte le volte che tu dici una buona parola a qualcuno, che tu lo consoli, è come se tu lo facessi a me, come se tu mi avessi consolato là nel giardino degli Ulivi quando soffrivo tanto. Io adesso non posso più patire, sono impassibile, immortale, glorioso, ma lo voglio patire nel mio corpo mistico, la Chiesa; le anime sono i miei membri.
La Veronica, quando mi ha asciugato il volto, lo ha fatto per puro amore. Tutte le volte che tu fai un atto di carità, la mia immagine diventa sempre più bella in te, più splendente, più rassomigliante.
   Dimentica te stessa per pregare, invece, e intercedere per i peccatori: domanda la perseveranza per quei che mi sono fedeli, un maggior rinnovamento di fervore per le anime tiepide, la sottomissione e la dolcezza per gli spiriti forti e bramosi d'indipendenza.
   Le giornate in cui dài più anime a Gesù sono quelle più tribolate.
Le tue sofferenze, unite alle mie, acquistano un valore inestimabile.
   In paradiso avrai una gloria speciale per la tua generosità nel soffrire per gli altri. 
   Tu sai ciò che vuol dire soffrire. Bisogna aver sofferto per imparare. Continua a soffrire, avrai larga mercede per te e per gli altri. Quante anime tu salvi, senza saperlo: te le farò conoscere in paradiso; esse aumenteranno la tua felicità.
   Tante anime vorrebbero percorrere il mondo per convertire le anime, eppure sono inchiodate in un letto, e anche a carico di altre; ebbene, esse con un atto solo di rassegnazione alla mia volontà, fanno di più che se percorressero tutto il mondo per salvare le anime. Però esse non devono perdere le loro energie in inutili desideri di fare.
   La carità è il più gran dono che si possa fare: lo te lo faccio, dandoti tanta carità, che ne avrai per te e per gli altri. 
   Ti darai al prossimo, come lo mi do nella S. Comunione a ogni anima e a tutte le anime che mi ricevono.
Non rifiuterai, per quanto dipende da te, dall'ubbidienza e dai tuoi doveri, di rendere alcun servizio al tuo prossimo, e quando qualcuna verrà a cercarti un piacere o a chiederti qualche cosa, la riceverai come un povero che lo ti mando per ricevere da te l'elemosina del tuo tempo, delle tue cognizioni, delle tue abilità e per praticare ciò che è detto nel Vangelo: «Se alcuno ti cerca il mantello, dagli anche la tunica».
   Tu devi darti al prossimo, non solo prestarti; quando uno dà una cosa, non la riprende più; se uno invece la presta, torna a riaverla.
   La dolcezza trionfa di tutto. Chi è mite, chi è affabile, chi è calmo, si guadagna la benevolenza di tutti.
   Chi spera in me, ottiene tutto.
   Tu non puoi comprendere il bene che fa la dolcezza. E' come quando vien giù la pioggia fina fina, quieta quieta; non si vede dove va a finire, ma essa penetra nella terra e inumidisce le radici dell'albero, che poi produce frutti buoni e deliziosi. Chi passa e coglie quei frutti, non pensa alla parte che la goccia di pioggia ha avuto alla loro maturanza. Così, una parola dolce che mi dà alle anime, per vie sconosciute produce grandi frutti.
   Grande attenzione alla carità verso il prossimo: parlare del prossimo bene o per il bene; non gettare la colpa su qualcuno per scusare un altro, ma procurare di rimettere in buona opinione il caro prossimo con qualche buona parola.
   Ti tolgo le imperfezioni, quando tu pratichì la carità.
   Chi non vuol essere giudicato, non giudichi. Chi non vuol essere punito, non punisca se non per amore dì Dio; chìunque mi imiterà nella dolcezza trattando con le anime, sarà certo della loro conversione, perchè lo do alla dolcezza una forza superiore a qualunque altra forza. E' inutile cercare di condurre le anime per altre vie: tutti amano il dolce e con questo mezzo si lasciano facilmente adescare.
   Devi essere talmente premurosa del bene del tuo prossimo, da cercare sempre di farlo risaltare più che puoi.
La carità deve costare: un'anima caritatevole deve imporsi continui sacrifici per far fiorire la carità intorno a sè.
   La carità è già dolce, ma la soavità della carità lo è di più.
   Abbi la pace del cuore, la calma e la rassegnazione dello spirito, la cordialità e l'umiltà con tutti. Piuttosto che umiliare gli altri, umilia te stessa; piuttosto che contraddire gli altri, quando puoi farlo contraddici te stessa; piuttosto che danneggiare gli altri, danneggia te stessa.
   Anche quando sai che non potrai fare un servizio a una persona, dalle sempre a sperare che l'aiuterai, perchè lo farò anche un miracolo, per renderti benigna con il tuo prossimo.
Rendi servizio al prossimo in tutto quello che puoi; non temere di perdere il tempo, fatti serva di tutti. lo tengo fatto a me tutto quello che fai per gli altri.
   I servizi che si rendono a una persona inferma, si fanno con più pura carità, perchè non si può aspettare il ricambio.
   Amare Dio non vuol dire gustare Dio, sapere di accontentare Dio; vuol dire sacrificarsi per Lui, soffrire per Lui, guadagnargli delle anime.
   Il Signore paga nell'orazione quello che si fa per il prossimo; non lasciar vedere che ti costa sacrificio, ma fallo come se fosse cosa molto grata. Che peso ha un'ora di pura sofferenza per l'eternità! L'anima merita tanto, in questo stato, e dà tanta gloria a Dio.
   Piangi e prega: è questo l'unico mezzo di amare praticamente il prossimo, perchè in tal modo ottieni per lui misericordia e perdono. Le tue lacrime mi sono accette, perchè sono lacrime di puro amore.
   Quando in paradiso ti condurrò innanzi tutte le anime che hai ricondotto sul cammino della virtù e della santità, allora sì, godrai; ma ora, contentati di soffrire alla cieca, senza viste e senza misura.
   Tu pensa sempre a me e sempre alle anime: Io penso a te, a provvederti per il tempo e per l'eternità.
   Insegna ad altri ad amarmi e a riconoscere in tutto la disposizione della mia divina volontà.
   Le anime hanno bisogno di te perchè lo mi voglio servire di te per salvarle; Io ho patito per esse, ma tu devi prendere i miei meriti e portarli a loro».

«Gesù vuole che gli prestiamo il corpo onde Egli possa rendere per mezzo della nostra persona atti di cordialità, di carità. Vorrei farmi tutta a tutti, servire tutti, aiutare tutti. Gli Angeli ci sono presenti nelle nostre pene e li dobbiamo imitare nel consolare il prossimo».

Suor Benigna Consolato Ferrero

“Signore, insegnaci a pregare!”



Raccolta di preghiere della Serva di Dio LUISA  PICCARRETA 


Effetti della preghiera nel Divin Volere 

...Onde ho passato una mattinata pregando insieme con Gesù, nel suo Volere; ma, oh  sorpresa! Come pregavamo, una era la parola, ma il Volere Divino la diffondeva su tutte le cose  create e ne restava l’impronta; la portava nell'Empireo, e tutti i Beati non solo ne ricevevano l’impronta, ma era a loro causa di nuova beatitudine; scendeva nel basso della terra e fin nel  Purgatorio, e tutti ne ricevevano gli effetti. Ma chi può dire come si pregava con Gesù e tutti gli  effetti che produceva? 
Onde dopo aver pregato insieme, mi ha detto: “Figlia mia, hai visto che significa pregare nel  mio Volere? Come non c’è punto in cui il mio Volere non esista, Lui circola in tutto e in tutti, è  vita, attore e spettatore di tutto, così gli atti fatti nel mio Volere si rendono vita, attori e spettatori  di tutto, fin della stessa gioia, beatitudine e felicità dei Santi; portano ovunque la luce, l’aria  balsamica e celeste che scaturisce gioie e felicità. Perciò non ti partire mai dal mio Volere; Cielo e  terra ti aspettano per ricevere nuova gioia e nuovo splendore”.  (Vol. 14° 21.04.1922). 

a cura di D. Pablo Martín

PARTECIPAZIONE ALLA MORTE DI CRISTO



La partecipazione attiva alla Messa è, sì, rispondere al Sacerdote, alzarsi quando si legge il Vangelo, ma questa è una partecipazione attiva al rito, non ancora al mistero. Invece noi possiamo partecipare al mistero anche quando non siamo presenti alla Messa. La partecipazione al mistero si realizza in una morte che ci associa alla Morte del Cristo, in una morte che fa presente in noi la sua Morte come atto di amore, di offerta, di redenzione.

Nel rito orientale della Messa, viene posto sopra l'altare un pane benedetto – non consacrato – di cui si fanno nove parti; e queste parti rappresentano tutto il popolo fedele: i defunti, i santi del Cielo, tutti i cristiani, anche i peccatori. Il pane è un simbolo reale: ogni cristiano è una vittima posta sull'altare, e vi dimora come Gesù, per essere offerto, immolato a Dio per il bene di tutti. È questa la nostra Messa. Tutta la nostra vita è partecipazione al Sacrificio di Cristo.

Si può vivere in casa nostra la vita nascosta di Gesù, o quella pubblica nell'apostolato cristiano, o la sua missione di taumaturgo nell'esercizio delle professioni, ma tutti dobbiamo vivere la nostra vita come ostie. Lo dice S. Paolo nella Lettera ai Romani: « Vi esorto, in nome della misericordia di Dio, affinché vogliate offrire a guisa di culto spirituale, e quindi gradito a Dio, i vostri corpi, come vittima vivente e santa ». Lo ripete nella Lettera agli Efesini: « Siate imitatori di Dio come figli carissimi; come Gesù morì vittima di soave odore, così offrite voi stessi a Dio ». È questa la vita cristiana. Non si può eliminare questa concezione della vita cristiana che è essenziale al nostro essere in Cristo: siamo vittime.

Il Battesimo ci ha consacrati a Dio. Essere consacrati vuoi dire essere riservati, messi da parte. I contadini mettono da parte le bestie riservate al macello: così la consacrazione ci risèrva: siamo separati dall'umanità, ma lo siamo per l'umanità; siamo messi da parte per essere immolati per il bene degli uomini. Chi compirà il nostro sacrificio? Colui che operò il sacrificio di Gesù. Per lo Spirito Santo egli si offrì al Padre: lo immolò soltanto il suo amore. Anche in noi la sofferenza e la morte saranno partecipazione alla Morte di Cristo, se saranno la prova che in noi vive l'amore.

La vita presente è per tutti un morire: che sia per noi un morire per amore! Offriamoci per il bene dei fratelli; offriamo la nostra sofferenza, le nostre lacrime, la nostra povertà, ciò che ci umilia, tutta la nostra vita ...

O Signore, come siamo contenti di poter soffrire per dimostrare il nostro amore per Te! Ti offriamo il nostro corpo, la nostra anima, il nostro sangue, tutto, e vogliamo che il nostro dono sia salvezza per tutti.

Certo, sappiamo che il nostro dono non vale; ma è grande se lo uniamo all'offerta del Cristo. Noi siamo sull'altare proprio per questo: perché la nostra offerta non sia separata da quella del tuo Figlio! Quale immagine del Cristo più bella, più vera, del cristiano? Si può pensare che una statua, un dipinto sia un'immagine più vera di quello che è l'uomo che ha ricevuto la mattina la S. Comunione? La Comunione non ci trasforma nel Cristo? Non fa presente Gesù nella nostra vita, non fa vivere Cristo in noi? Pensiamo che la fede cristiana, l'unione intima con Gesù Salvatore, ci debba dispensare dalla sofferenza. A che serve esser cristiani, a cosa serve il pregare (dicono tanti) se dobbiamo soffrire come gli altri, se siamo sottoposti come gli altri alla morte? Non é come gli altri, ma come Gesù.

La nostra fede ci serve a soffrire di più, non certo a preservarci dal dolore, perché deve far presente in noi la Passione stessa del Cristo: non la sofferenza che è dovuta per i nostri peccati, ma la sofferenza che è dovuta a tutta quanta l'umanità, perché è questa sofferenza che Gesù ha preso sopra di sé. Nella misura in cui tu vivi nel Cristo, non vivi più soltanto il tuo dolore, ma vivi il dolore del mondo; tu non assumi soltanto il peso dei tuoi peccati, tu assumi il peso del peccato del mondo, per esserne a tua volta schiacciato.

L'uomo dovrebbe superare il dolore dopo aver vinto in sé il peccato: proprio allora, invece, incomincia per lui il vero martirio.

Nella mistica di S. Giovanni della Croce sembrerebbe che l'uomo, giunto all'unione trasformante, non dovesse più soffrire, ma S. Giovanni della Croce nelle sue opere non ci dà nemmeno la prova di quello che fu la sua esperienza interiore. Neppure S. Giovanni della Croce, una volta giunto all'unione trasformante, conobbe la gioia. Egli giunse all'unione trasformante nel carcere di Toledo; ma dopo il carcere di Toledo, Dio preparò per lui un abisso ancor più grande di sofferenza: l'abbandono da patte dei suoi fratelli, il tentativo di cacciarlo dall'Ordine, la morte. La sofferenza di S. Giovanni della Croce non terminò con l'unione trasformante: è con l'unione trasformante piuttosto che egli divenne capace di partecipare in un modo più intimo e vero alla Passione stessa di Gesù, che è Passione redentrice. La passione di S. Giovanni della Croce, gli meritò di essere il padre dell'Ordine: tutto l'Ordine vivrà nella sua passione. Come dalla Passione del Cristo è nata la Chiesa, così dalla passione dei santi si rinnova la Chiesa e nasce e vive ogni famiglia religiosa.

Così S. Teresa di Gesù Bambino. Sembra che ella sia giunta all'unione trasformante nel tempo in cui si offrì all'Amore misericordioso; se leggiamo la sua vita vedremo che è proprio da allora che la investe il massimo della sofferenza e delle tribolazioni interiori. Invece di liberarsi dalla sofferenza, proprio allora ella ottiene di divenire la più grande santa dei tempi moderni, assumendo tutto il peso del peccato umano per esserne come schiacciata, spezzata. L'Umanità di Gesù non sopportò il peso del dolore umano ed egli è morto sulla Croce: come potrebbe l'uomo, nella misura in cui fa suo il dolore del Cristo, reggere a tale peso?

La perfezione cristiana termina nella morte, non tuttavia in un'estasi di amore, come aveva scritto S. Giovanni della Croce; ma nell'agonia pura e semplice. nella desolazione dello spirito, nel sentimento dell'abbandono del Padre, perché così è morto Gesù e così deve morire chi a lui più si avvicina.

Questa la vera vita eucaristica. La Comunione non ti promette la dolcezza dell'estasi: Gesù si comunica all'uomo per imprimere in lui il suo Volto divino, affinché egli divenga la vera « icona » del Cristo, la vera immagine di Gesù. Presente realmente, ma misteriosamente nascosto nell'Eucarestia, Egli vuole rivelarsi in noi, vuoi farsi presente e visibile agli uomini nella nostra medesima vita, nel nostro medesimo corpo.

Noi non riceveremo le stigmate. Ma partecipando al suo mistero, dovremo esprimere chiaramente la nostra assimilazione a Cristo così che anche il corpo divenga veramente una immagine di Gesù. La vera immagine di Gesù è il santo: non scolpita o dipinta dalla mano dell'uomo, ma dallo Spirito Santo.

La mistica cristiana non è una mistica dell'Uno, un puro affondare dell'anima nella luce di Dio, un puro perdersi dell'uomo nella luce infinita: è un'assimilazione a Cristo. La nostra unione, la nostra unità con Dio, esige prima di tutto la nostra unità con tutta quanta l'umanità sofferente e peccatrice, nella nostra trasformazione in Cristo.

Gesù fa presente in te la sua Passione in un modo visibile e tu partecipi al mistero della sua riparazione. Quello che è nascosto nell'Eucarestia, nel santo diviene palese; quello che nell'Eucarestia è nascosto deve vivere in te.

Gesù si comunica a te, per vivere pienamente in te, per passare di nuovo dal mistero (non dalla realtà, perché la realtà è già tutta nel mistero) alla visibilità; per introdursi dal mistero nella vita del tempo. Attraverso la partecipazione al Mistero eucaristico, l'atto della Morte del Cristo entra nel tempo e nello spazio, diviene la vita di ogni uomo, la vita anche del mondo.

don Divo Barsotti

dice il Signore



Anch'io, dice il Signore, mi vergognerà di confessare davanti al Padre mio colui il quale si vergognerà di confessarmi davanti agli uomini (Mt. 10, 32).

Proteggi la pratica del Cristianesimo



O Mio Signore Gesù Cristo, 
Ti prego di effondere il Tuo Spirito Santo 
su tutti i Tuoi figli. 
Ti prego di perdonare coloro che hanno odio nelle loro anime per Te. 
Prego che gli atei aprano i loro cuori induriti durante la Tua grande 
Misericordia e che i Tuoi figli che ti vogliono bene possano onorarti con 
dignità per superare tutte le persecuzioni. 
Ti preghiamo di riempire tutti i Tuoi figli con il dono del Tuo Spirito  
in modo che possano alzarsi con coraggio e condurre il Tuo esercito nella 
battaglia finale contro Satana, i suoi demoni e tutte quelle anime che sono 
schiave delle sue false promesse. 
Amen. 

Geremia



La rovina è inevitabile

9Io dissi:
'Vedo i monti: piango e sospiro;
vedo i pascoli e canto un lamento funebre.
Sono bruciati, più nessuno vi passa.
Non si ode più il muggito delle mandrie,
gli uccelli, gli animali selvatici
sono fuggiti, scomparsi'.
10Rispose il Signore:
'Ridurrò anche Gerusalemme
a un mucchio di rovine,
dove vivono gli sciacalli;
raderò al suolo le città di Giuda,
e più nessuno vi abiterà'.
11Allora domandai:
'Perché la nostra terra è devastata
e bruciata
come un deserto dove non passa nessuno?
Se c'è qualcuno tanto sapiente
da comprendere
quel che il Signore ha detto,
lo annunzi agli altri!'.
12Il Signore rispose: 'Questo avviene perché hanno rifiutato la legge che io avevo dato loro, non hanno ascoltato la mia voce e non hanno ubbidito. 13Hanno agito da testardi, hanno seguito gli idoli di Baal come avevano imparato dai loro padri. 14-15Perciò farò mangiare a questo mio popolo erbe amare e gli farò bere acqua avvelenata. Li disperderò in mezzo a nazioni a loro sconosciute. Li farò inseguire da eserciti nemici finché non li avrò completamente distrutti. È il Signore dell'universo, Dio di Israele che parla'.

“Il Vicario” di Hochhuth e il vero Pio XII




LA “ACCUSE” DI HOCHHUTH E LE “RISPOSTE” DELLA STORIA


Secondo Rolf Hochhuth, i “silenzi” le “omissioni” di Pio XII sarebbero stati dovuti a queste cause:

A) IL CARATTERE PERSONALE

Hochhuth attribuisce a Pio XII un carattere freddo, scettico ed egoistico che egli ha ricostruito, soprattutto, su tre “documenti”, dai quali ha tratto le sue testimonianze: 
1) dal testo di una Conferenza, tenuta dal Card. Tardini, nel 1959;
2) d a due articoli di P. Leiber; (uno, per la morte di Pio XII; il secondo, sugli Ebrei);
3) dal libro del dott. Galeazzi Lisi, pubblicato a Parigi. 

B) GLI INTERESSI ECONOMICI 

Secondo Hochhuth, i “silenzi” e le “omissioni” di Pio XII servirono a non danneggiare gli investimenti mobiliari e immobiliari della Santa Sede e dei grandi Ordini Religiosi.

C) LE QUESTIONI POLITICHE

Secondo Hochhuth i “silenzi” e le “omissioni” di Pio XII sarebbero stati suggeriti dal suo segreto desiderio di dominare l’Europa e il mondo, dalla sua predilezione per i regimi totalitari e dalla sua paura per il comunismo.
Per queste “questioni politiche”, Hochhuth fa accenno a documenti francesi, americani e tedeschi; e, di questi ultimi, solo quelli pubblicati dopo la cattura dell’archivio del Ministero degli Esteri e di altri archivi germanici.
I principali “documenti” che cita, sono: 

1) il “Rapporto” del sig. Bérard, Ambasciatore di Vichy, del settembre 1941, sulla “legislazione anti-ebraica”, emanata da quel Governo; 

2) i  “due telegrammi” dell’Ambasciatore germanico Weizsâcker, del 17 e del 28 ottobre 1943, dopo la razzia degli ebrei, di Roma, nel primo mattino del 16 ottobre;

3) il “carteggio Tittman-Dipartimento di Stato”, a Washington, su pressioni di diversi Governi delle Nazioni Alleate sulla Santa Sede, (nell’agosto-sett. 1942), perché si associasse ad una condanna delle atrocità tedesche. 

4) Le “Confidenze” di ambienti romani. Hochhuth fa riferimento ad altri suoi “documenti” minori, tratti da “confidenze”, avute durante un suo soggiorno a Roma, da persone “anche della Curia romana”, di cui, però, non rivela i nomi, perché - dice - è vincolato dal segreto! 

Hochhuth, infine, lancia

5) la “denuncia della firma del Concordato con la Germania” di Pio XII, e

6) l’accusa a Pio XII di filo-nazismo.

Rispondiamo chiaramente a tutti gli ar gomenti e accuse maggiori e minori - portati da Rolf Hochhuth come “comprovanti” della sua tesi.

A) IL CARATTERE PERSONALE 

1) Il “testo” della Conferenza del Card. Tardini
2) I due “articoli” di P. Leiber1

Se Rolf Hochhuth avesse letto, con animo sereno, la “Conferenza” del Card. Tardini e i due articoli di P. Leiber,
–avrebbe sottolineato e compreso quel sereno distacco e quella superiore imparzialità di giudizio che caratterizzano quelle pagine, ver gate subito dopo la morte di Pio XII, nella cui intimità, entrambi erano vissuti per oltre 30 anni;
–avrebbe trovato una figura di Pontefice del tutto aliena da avidità di denaro, da preoccupazioni finanziarie e di ricchezze terrene; 
–avrebbe sottolineato, invece, come la luminosa perspicacia di quella intelligenza sugli avvenimenti, vicini e lontani, era tutta aureolata di atmosfera religiosa, spirituale, e profondamente sensibile ai doveri della Sua altissima carica e responsabilità; 
–avrebbe scoperto un coraggio interiore, così eroico, da renderlo, costantemente pronto al sacrificio e al martirio; avrebbe scoperto un Pio XII troppo in alto, e la Sua opera troppo complessa, perché la sua intelligenza, impreparata e di scarsa cultura, potesse accedere; 
–avrebbe compreso di aver bisogno di un abito mentale, intellettuale, critico, e non di parte; di un abito scientifico, e non fazioso; di un abito veritiero, e non propagandistico; di un amore al vero universale, e non unilaterale! 

3) Il libro del dott. Galeazzi Lisi

Come “documento”, tutti sanno, ormai, chi era questo medico, espulso dal Vaticano e dall’Ordine dei Medici di Roma; tutti sanno quanto sia stato basso il suo speculare, anche sulla morte di Pio XII, con foto e scritti che nessuna persona onesta e seria avrebbe mai pensato di pubblicare. 
Anche per lui, dunque, vale il testo dantesco: “non ti curar di lor (lui), ma guarda e passa”! 

B) GLI INTERESSI ECONOMICI

Per gli “interessi economici”: il libellista non porta alcun documento. È un’affermazione gratuita, spregiudicata. Parla di “finanziamenti” alle fabbriche dei bombardieri USA; di “azioni” disseminate un po’ dovunque; di “commercio” di argento vivo, tra Occidente e Russia, tramite la “Compagnia di Gesù”; di “miniere” del Texas e della Russia; e di altre simili grossolanità, buone, forse, per chiunque sia privo di cultura.
La figura del Pontefice, perciò, è tenuta in uno scialbo clima maroziano, fino ad affermare, con spudorata serietà: «... io non devo perdere la Chiesa solo perché un Papa ha rinunciato alla sua vocazione». Qui, vale solo l’adagio latino: 
«quod gratis asseritur, gratis negatur!».
***
sac. Luigi Villa

OPERA DEI "TABERNACOLI VIVENTI"



Il grande dono di Gesù agli uomini d'oggi tramite Vera Grita

8-I-1968 Gesù Eucarestia per p. G. I suoi Confratelli l'ameranno in Me. Io li voglio Sacerdoti buoni, santi; egli sia fra loro Me, e cioè si comporti come Me fra i miei apostoli e discepoli, e insegni con bontà e dolcezza: ami e comprenda e compatisca. Io sono in lui per vivere fra loro, per condividere ogni ora con loro. Io voglio assumere il suo sembiante per parlare con gli altri miei Sacerdoti, poiché di loro desidero tutto il cuore, tutto l'amore. Egli, p. G., è la mia vittima in Me dei miei Sacerdoti. Io sono in lui anche per essi, poiché Io li amo dello stesso amore. Sull'Altare, nel mio Sacrificio offerto da lui stesso a Dio Padre, c'è lui in Me. Nulla ci divide perché in lui mi sono nascosto Io con la mia Divinità e Umanità. Ora egli deve riversarla sugli altri, poiché per questo tralcio voglio rinnovare i frutti del mio Sacerdozio. Sono Sacerdoti a Me cari, da Me molto amati. P. G. deve spogliarsi di sé; e cioè di sentimenti personali, umani, che Io, Gesù, non possiedo. Egli perciò deve liberarsi da queste ultime catene umane, perché Io viva e operi in lui con la mia Grazia. E’ questa la mia vittima nella Vittima immacolata, nell'Agnello di Dio. Grandi saranno le mie consolazioni per colui che per amore vuoi essere tutto Me e scomparire per se. Dì a p. G. che lo l'aspetto nella notte, per le vie... in cerca di anime, poiché Io sono il buon Pastore che va in cerca delle pecorelle smarrite. Fosse pure una sola anima, non so gioire se non l'avrò nel mio Ovile. Ciascuno di voi, Tabernacoli Viventi, ha già iniziato il mio lavoro, poichè, per quanto poco sappiate mettere in pratica i miei nuovi insegnamenti, Io ora vivo vicino a tante altre anime, e, attraverso voi poso i miei Occhi misericordiosi su tanta umanità. Chiameremo altre anime per farne altri Tabernacoli Viventi, Vera incontrerà l'altro Sacerdote da Me preparato per quest'Opera. Ella ne riceverà gran gioia e frutto, poiché crederà che Chi le detta, è stato, è, e sarà sempre il suo Gesù. Pregate per questo incontro voluto dal Padre Mio, perché Egli si compiaccia affrettare i tempi. Lavorate in amore e santità, pregate, soffrite con umiltà Io sono venuto in voi per "ripetere" la mia Vita. Tutto vi chiedo per amore poiché solo l'amore mi fece Uomo, mi fece Crocifisso, mi fece Eucaristico. Solo per amore accolgo un sacrificio, una rinuncia, una lacrima, un'offerta... L'amore del Creatore e della sua creatura vivono della mia luce, partecipando della gloria del Padre mio. È lo Spirito Santo che fonde il Divino e l'Umano, e a Dio, per mezzo mio, sale da ogni anima di quaggiù l'onore e la gloria. Dove sei, figlia mia, quando ti smarrisci? Sei nelle braccia del Padre, dello Sposo, dell'Amico, del Fratello. Perché mi temi ancora? Dammi fiducia, dammi fiducia. Io desideravo scrivere a p. G., e la tua obbedinza, sostenuta dalla mia Grazia, è diventata un'opera meritoria molto gradita a Me, alla Madre mia dolcissima. Vi unisco sotto il mio Tetto, vi farò incontrare, portatori di Me, di Gesù; e Io mi rivelerò a voi e ciascuno parlerà per bocca mia all'altro perché ri-conosciate che in voi, con voi, e per voi, c'è tutto Gesù. Coraggio! la Mamma mia dolcissima vi aiuta, vi benedice, è con voi; è Lei che conduce la mia Opera d'Amore, è Lei che forma la Lega delle mie Anime: i Tabernacoli Viventi. Sappiate attendere in preghiera e in umiltà quanto la divina Provvidenza, nei suoi piani misericordiosi va predisponendo e svelando. Si, il Papa sa..., il Papa soffre, il Papa aspetta, e voi con lui aspettate, come vi ho detto, il mio ritorno fra voi, nel mondo. Si, è una follia per la tua povera umanità, una prova che ti schiaccia... No, non impazzirai di ciò, ma del mio Amore si, del mio Amore, dell'Amore del tuo Dio, del tuo Gesù. E’ amore la veglia della notte e Io la permetto e spesso la permetterò poiché Io non voglio essere dimenticato. Se le occupazioni giornaliere vi hanno distolto da Me, sappiate che Io cercherò consolazioni e veglie nella notte. Ciascuno dia quel che può, ma con amore, perché Io raccoglierò ogni vostro respiro. Siate umili, siate sottomessi a Me. Io sono Gesù, Gesù con voi. 

lunedì 30 dicembre 2019

CONSACRAZIONE ALLA SACRA FAMIGLIA



O Santissima Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, speranza e consolazione delle famiglie cristiane, accogliete la nostra: noi ve la consacriamo interamente e per sempre. Benedite tutti i membri, dirigeteli tutti secondo i desideri dei vostri cuori, salvateli tutti.
Noi ve ne scongiuriamo per tutti i vostri meriti, per tutte le vostre virtù, e soprattutto per l'amore che vi unisce e per quello che portate ai vostri figli adottivi. Non permettete mai che qualcuno di noi abbia a precipitare nell'inferno. Richiamate a voi quelli che avessero la disgrazia di abbandonare i vostri insegnamenti e il vostro amore. Sorreggete i nostri passi vacillanti in mezzo alle prove e ai pericoli della vita. Soccorreteci sempre, e specialmente nel momento della morte, affinché un giorno possiamo trovarci tutti riuniti nel cielo intorno a voi, per amarvi e insieme benedirvi per tutta l'eternità. Amen.

Regina della Famiglia



Apparizioni a Ghiaie 


Prima apparizione, sabato 13 maggio 

Le apparizioni iniziarono il 13 maggio, di sabato, giorno  sacro alla Madonna, anniversario della prima apparizione della  Vergine a Fatima. 
La bambina Adelaide Roncalli, di sette anni, con la sorella  Palmina di sei e alcune amichette, tra cui Elisabetta Masper, detta  Bettina, di dieci, e Severa Marcolini, pure di dieci, andava a raccogliere fiori per portarli davanti ad una immagine della  Madonna. L'allegro gruppetto arrivò ai campi del sig. Colleoni. 
Adelaide, bimba vivace, con una grande voglia di giocare, come tutte le bambine della sua età, non pensava certo alle coincidenze di quel giorno, né che si stava recando, in quel luminoso  pomeriggio del mese dei fiori, ad incontrare la Madre di Dio. 
Qualche anno più tardi, Adelaide così descriverà nel suo quaderno quell'incontro: 
"13 maggio - Io andavo a cogliere i fiori per la Madonna  che c'è a metà scala per salire in camera in casa mia. Avevo colto margherite e le avevo messe in una cariola che aveva fatto  mio papà. Vidi un bel fiore di sambuco ma era troppo alto perché  lo potessi cogliere. Stetti ad ammirarlo, quando vidi un puntino  d'oro, che scendeva dall'alto e si avvicinava a poco a poco alla  terra e man mano si avvicinava si ingrandiva e in esso si delineò  la presenza di una bella Signora con Gesù Bambino in braccio e  alla sua sinistra S. Giuseppe. Le tre persone erano avvolte in tre cerchi ovali di luce e rimasero sospese nello spazio poco distante dai fili della luce. La Signora bella e maestosa indossava un vestito bianco e un mantello azzurro: sul braccio  destro aveva la corona del rosario composta da grani bianchi:  sui piedi nudi aveva due rose bianche. Il vestito al collo aveva  una finzione di perle tutte uguali legate in oro a forma di collana. I cerchi che avvolgevano le tre persone erano luminosi con  sfumature di luce dorata. 
Al primo momento ebbi paura e feci per scappare, ma la Signora mi chiamò con voce delicata dicendomi: "Non scappare  che sono la Madonna". Allora mi fermai fissa a guardarla, ma  con senso di paura. La Madonna mi guardò, poi aggiunse:  "Devi essere buona, ubbidiente, rispettosa col prossimo e sincera: prega bene e ritorna in questo luogo per nove sere sempre  a quest'ora". 
La Madonna mi guardò per qualche istante poi lentamente si allontanò senza voltarmi le spalle. Io guardai finché una nuvola biancastra li tolse al mio sguardo. Gesù Bambino e S.  Giuseppe non parlarono mi guardarono solo con espressione  amabile". 
I testimoni più vicini ai fatti di questa giornata furono Elisabetta Masper e Severa Marcolini. Per la loro qualità di testimoni privilegiati, le due bambine verranno interrogate più tardi  dal curato di Ghiaie don Italo Duci. 
Bettina s'accorse per prima dell'estasi di Adelaide.  Chiamò Severa, la quale vide Adelaide livida in viso, "morela",  cogli occhi fissi in alto, immobile. La chiamò, la scosse per un braccio. Adelaide non si mosse, né rispose. 
Arrivò la sorella Palmina: vide Adelaide in quello stato, prese paura e corse a casa a dire alla mamma: - Adelaide è morta  in piedi. 
La mamma rispose in modo sbrigativo: - Se è in piedi,  non è morta. Dì ad Adelaide che venga a mangiare la minestra.  Adelaide uscì dall'estasi dopo dieci minuti. 
Bettina e Severa ritornarono a casa con Adelaide seduta sulla carriola. 
Le bambine incuriosite chiesero ad Adelaide, lungo il breve tragitto, che cosa le fosse accaduto, ma lei in un primo momento non rispose. 
Mentre Bettina si era allontanata, rimasta sola con Severa, Adelaide con fatica, lentamente, le disse di avere visto la Madonna. Severa, incredula, pretese che Adelaide giurasse e  questa l'accontentò. Dopo Severa, fu Bettina che venne a sapere la  grande notizia. 
Rientrata in casa Adelaide non parlò con la mamma di ciò che le era accaduto. La cena si svolse tranquilla e, dette le preghiere, andò presto a letto. 
Se Adelaide non parlò in famiglia, non altrettanto fecero le sue amiche, e così la voce cominciò a diffondersi nel paese. 
Intanto Adelaide, passato lo spavento della prima apparizione, attendeva con gioia l'appuntamento che la bella Signora le  aveva dato per il giorno dopo.

Severino Bortolan 

STORIA UNIVERSALE DELLA CHIESA CATTOLICA



DAL PRINCIPIO DEL MONDO FINO AL Dì NOSTRI

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DELL'ABATE ROHRBACHER

La nube della non-conoscenza



Il vero contemplativo non ama interessarsi della vita attiva, né di quanto si dice o si fa nei suoi confronti, e non sta a confutare i suoi detrattori

Nel vangelo secondo s. Luca sta scritto che mentre nostro Signore si trovava nella casa di Marta, sorella di Maria, per tutto il tempo in cui Marta si affaccendava a preparargli da mangiare, Maria se ne stava seduta ai suoi piedi. E mentre ascoltava la sua parola, non si curava né dell’affanno della sorella (anche se era un affanno del tutto buono e santo: non è, infatti, la prima parte della vita attiva?), né della preziosità del sacro corpo di Cristo, né della dolcezza umana della sua voce e delle sue parole (anche se tutto ciò sta a indicare un progresso, poiché si tratta della seconda parte della vita attiva, ovvero della prima parte di quella contemplativa).

Ma quel che le interessava era la suprema saggezza della divinità del Signore velata dalle parole della sua umanità: a questo mirava con tutto l’amore del suo cuore. Con tutto quello che vedeva intorno a sé o si diceva o si faceva nei suoi confronti, non voleva assolutamente staccarsi di lì: se ne stava seduta senza batter ciglio e indirizzava un segreto anelito e molti, dolcissimi slanci d’amore verso quell’alta nube della non-conoscenza che si frapponeva tra lei e Dio. Voglio dirti questo: non c’è mai stata e non ci sarà mai in questa vita una creatura, per quanta pura ed estasiata nel contemplare e amare Dio, che non abbia sempre tra sé e Dio questa nube della non-conoscenza così alta e misteriosa. Proprio in questa nube Maria era tutta presa dai molti slanci segreti del suo amore. Perché? Perché è la parte migliore della contemplazione, e la più santa che ci possa essere su questa terra. Per niente al mondo ella avrebbe lasciato questa sua occupazione. Tant’è vero che quando sua sorella Marta si lamentò di lei con nostro Signore e lo pregò di dirle di alzarsi ad aiutarla e di non lasciarla sola a servire, ella se ne restò seduta senza dire una parola e non mostrò alcun segno di risentimento, né protestò nei confronti della sorella, come invece avrebbe potuto fare. Niente di strano: ella era intenta a fare un altro lavoro, di cui Marta non si rendeva conto. Per questo non si curò di ascoltarla, né di rispondere alle sue lamentele.
Vedi, amico mio: tutto quel che avvenne tra nostro Signore e queste due sorelle, in opere, parole e gesti, vale come esempio per tutti gli attivi e i contemplativi che da allora sono sorti nella santa chiesa e che ancora vi saranno fino al giorno del giudizio.
Maria impersona tutti i contemplativi, perché questi devono modellare la loro vita sulla sua; allo stesso modo e per le stesse ragioni Marta raffigura tutti gli attivi.

Solo Dio conta: il resto è nulla.



Ogni presbitero e ogni vescovo deve cercare di fare "carriera" agli occhi di Dio e non del mondo! Solo Dio conta: il resto è nulla.



La presenza reale



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Si crede di poter superare la spiritualità cristiana. La natura umana si è realizzata pienamente nel Cristo, così il Cristo, non solo come Dio ma anche come Uomo, si propone agli uomini come norma e ideale. L’atto ultimo della storia non potrà mai superare la Morte di Croce. L’atto supremo dell’umanità, la massima realizzazione dell’umanità è in questo dono che Cristo ha fatto di Sé con la morte. È in quell’atto di amore che Egli eternamente rimane, e in questo atto Egli realizza l’unità con tutti i mondi, con tutte le anime.
Il Cristo rimane, nel suo Sacrificio, il termine di ogni umano cammino. Egli ci trascende. Noi ci doniamo a Lui, Egli si dona a noi, ma il suo dono non elimina la sua presenza oggettivamente distinta. Tu mangi il pane e lo elimini come pane perché diviene tuo corpo; tu mangi il Cristo, Egli si comunica a te, ma Egli rimane. Puoi comunicarti ogni giorno e ogni giorno tu devi comunicarti di nuovo; qualunque sia il dono che ricevi da Lui, tu in Lui non ti trasformi così da non essere sempre Egli, per te, Colui che ti trascende come legge di vita, come ideale ultimo che l’anima non potrà mai pienamente raggiungere, cui non potrà mai identificarsi pienamente. 
     
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Dio è presente per comunicarsi. La Presenza reale implica e realizza la vera comunione di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio. Pur vivendo nel medesimo mondo, gli uomini sono come dimore chiuse. Il fatto che vivono in un corpo rende possibile, attraverso il rapporto del corpo, una qualche comunicazione fra loro, ma la comunicazione rimane essenzialmente esteriore. Attraverso il corpo le anime comunicano fra loro; l’unione d'amore ha inizio nel corpo per consumarsi nello spirito. Il corpo, tuttavia, nello stesso tempo che è mezzo, è anche ostacolo alla comunione perfetta.
Viviamo nel medesimo mondo, ma non siamo presenti gli uni agli altri. L’uomo può essere veramente presente soltanto a Dio, e Dio soltanto può esser presente veramente all’uomo, perché la presenza vera, reale, perfetta, implica una totale comunicabilità, un rapporto totale. Si è realmen- te presenti uno all’altro quando uno all’altro possiamo donarci e uno e l’altro possederci fino in fondo. Ogni altra presenza è presenza di contiguità, è presenza di cose, non di esseri vivi, non di persone viventi. Dio si fa presente nel Cristo risorto.
Il Mistero eucaristico è il Mistero di quella Presenza reale. Egli non era presente fra gli uomini prima della sua resurrezione come ora è presente nel sacramento eucaristico. Nella Presenza reale del Cristo, Dio si dona all’uomo e l’uomo sfugge alla sua solitudine umana donandosi a Dio. Nel Cristo l’uomo, come può ricevere Dio, così può totalmente aprirsi e totalmente donarsi. Anzi, la Presenza reale è già la comunione perfetta perché, in Cristo, Dio e l’uomo già divengono uno. Per questo il Cristianesimo può presentarsi come la religione più alta anche a quelli che non credono, perché è l’unica religione che assicura di realizzare la suprema comunione di vita di un amore personale, che è totale dono di sé. Gli asiatici non accettano che il Cristianesimo sia la religione più alta. I buddisti ci dicono: “Solo la religione buddista libera gli uomini da ogni mitologia e realizza la pura vita spirituale nell’assoluto rifiuto di tutto quello che è relativo; il Budda non si è pronunciato su Dio, ma è stato proprio il suo rifiuto a parlarne, che salva la trascendenza di ciò che non è impermanente; la trascendenza non ha nome, rimane inoggettivabile, rimane senza espressione né sensibile né concettuale: pura vacuità”.
Ma il Cristianesimo può essere riconosciuto più alto del Buddismo proprio dal fatto che la vita religiosa nel Cristo si compie, non in un puro rifiuto, ma in un atto totale di amore. L’uomo non può dare un nome a Dio, non può definirLo né pretendere di conoscerLo, ma Dio può farsi conoscere, può dire il suo nome, donarsi all’uomo, se vuole, e l’uomo può raggiungerlo non soltanto facendoGli posto nel vuoto dentro di sé, ma in atto puro e totale che acconsente ad esser invaso e posseduto da Dio. Il rifiuto proprio del Buddista a incatenare Dio nelle maglie del pensiero e dell’esperienza, diviene nel Cristianesimo certezza di una libera ma piena comunione di amore di Dio con l’uomo nel Mistero della Presenza reale. Dio non si fa presente nel Cristo che in quanto si dà, così la Presenza reale è il dono di Dio all’uomo che l’uomo può ricevere nell'atto in cui egli stesso si dona all'Amore.
L’uomo « è » nella misura in cui si dona a Dio, nella misura che, come è creato da Dio, così diviene puro riferimento di amore a Lui. Così tutta la mia vita è il dono di me stesso a Dio nel Cristo. Nella sua presenza Egli si dona all’uomo e l’uomo si dona a Dio in una totale comunicabilità.
Così la vita del Cristianesimo è purezza di amore, è perfezione di amore, ma di un amore che non è più angoscia nella volontà di donarci senza che alcuno possa riceverci, non è più desiderio di accogliere senza poter accogliere l'altro: è veramente un essere l'uno nell’altro in modo perfetto, a somiglianza di quello che avviene nelle Persone divine, onde il Padre è nel Figlio e il Figlio è nel Padre. Così dice Gesù nel sermone dopo la Cena: noi siamo in Lui ed Egli è in noi, « Rimanete in me ed io in voi » (Gv 15,4). Egli è presente nell’Eucaristia in quanto si dona; Egli è presente in quanto Egli è per me ed in me, ed io sono per Lui e in Lui. Il Padre totalmente si ordina al Figlio e il Figlio totalmente al Padre; la Presenza reale del Cristo è la realtà di un amore, che è perfetta e piena comunione del Cristo ad ogni uomo ed esige la comunione di ogni uomo con Lui.
L’uomo è un mondo, ed è più vasto del mondo. Quale profondità di vita egli possiede! Gli uomini vivono gli uni accanto agli altri, vivono forse nella medesima casa e sono estranei fra loro. Qualsiasi amore che ci portiamo può far sì che noi possiamo più o meno intuire l’altro, più o meno capirlo, ma rimaniamo nonostante tutto degli estranei. Che presenza è la nostra? La vera presenza è il Signore. Io sono veramente presente soltanto per Lui che mi ama ed Egli è presente realmente soltanto per me. Se non viviamo la sua Presenza reale siamo come dei morti, degli alienati, al di fuori di noi stessi, e nessuno ci conosce e ci riceve. Non viviamo in nessun luogo, perché l’unico luogo che veramente ci accoglie è il Corpo di Cristo, Questo Corpo è il mondo nuovo che tutti ci accoglie. L’uomo non può essere veramente presente che in Lui. Io posso amare chiunque, ma chiunque io ami, mi rimane estraneo. Quale angoscia deve essere quella di chi realmente ama, di vivere insieme e non potersi mai posseder totalmente! Ma l’uomo può esser nel Cristo, e il Cristo stesso tutto vuol essere in te e realmente si dona. Nessuna presenza è comparabile alla sua: Egli è la Presenza reale.
Vivere la Presenza reale è vivere finalmente la liberazione dalla solitudine propria dell’uomo. Così la Presenza reale del Cristo realizza la Chiesa moltitudine e unità dei redenti; così nel Sacramento eucaristico è vinta la solitudine dell’uomo e la solitudine di Dio. Dio non vive più nella sua solitudine: Egli è l’Amore che si dona; e gli uomini non vivono più nella loro solitudine: essi sono coloro che hanno  accolto l’Amore. Finalmente Uno si dona agli uomini e gli uomini in Lui  divengono uno. Finalmente anche tu puoi donarti perché trovi uno che può ricevere fino in fondo. Egli vive in te, tu vivi in Lui: questa è la Presenza reale.
Gli uomini, se non hanno fede, vivono alienati a se stessi. Vivere nell’alienazione è angoscia senza fine. Essi cercano di impegnare in qualche modo la vita al di fuori di sé, ma senza realizzare se stessi, senza vivere la vita di Dio. Se l’uomo invece realizza la presenza del Cristo, anche gli altri si fanno presenti. In Lui e per Lui tutto diviene fraterno e intimo all’uomo. La vita cristiana è precisamente a imitazione di quella che è la vita di Dio: puro rapporto di amore.
Quando le cose cadranno, che cosa vivrai se non hai incontrato l’amore? Quando tutto l’universo visibile precipiterà per te come nel nulla, non ti rimarrà che il tuo vuoto e la tua solitudine, se non sei entrato in questa presenza. Ma se tu sei entrato in questa presenza, questa presenza rimane e tu vivrai in Lui ed Egli in te e la vita sarà un’immensa comunione di amore.

don Divo Barsotti