(I Parte - Guerra alla civiltà cristiana)
LE SOCIETÁ SEGRETE ALL'OPERA
II. - I Framassoni.
Non furono solamente gli Enciclopedisti a preparare la Rivoluzione; Barruel non l'ignorava. Egli divise in tre classi i demolitori che vide applicati a scalzare le fondamenta della società cristiana: Voltaire ed i suoi, ch'egli chiama "i sofisti dell'empietà", perchè il loro principale obbiettivo era quello di rovesciare gli altari di N. S. Gesù Cristo; i framassoni, che chiama i sofisti della ribellione, perchè si erano proposti - almeno quelli che erano nei segreti della setta - di rovesciare i troni dei re; gl'illuminati, che chiama i sofisti nell'anarchia, perchè, al giuramento di rovesciare gli altari di Cristo, aggiungevano quello di annientare ogni religione, e al giuramento di rovesciare i troni, quello di fare sparire ogni governo, ogni proprietà, ogni società governata da leggi.
Or noi dobbiamo vedere con qual genere d'azione la framassoneria propriamente detta abbia minato la società civile e preparato lo sconvolgimento dell'89. Qui non parleremo che dei framassoni propriamente detti, che non appartenevano alle retro-logge; diremo la parte speciale ch'era stata loro attribuita nella grande opera dal motore supremo delle società segrete. Voltaire era framassone, ma framassone che avea l'incarico di organizzare e dirigere un'altra sezione dell'esercito dei cospiratori, gli Enciclopedisti; Weishaupt era framassone, ma framassone incaricato d'organizzare e dirigere la sezione degl'Illuminati.
I framassoni delle loggie comuni aveano il loro lavoro bene e chiaramente determinato; e consisteva intieramente nel segreto che doveano trasmettersì gli uni agli altri.
Qual era, a quel tempo, questo segreto?
Barruel ce lo dice. Egli narra (t. II, p. 278 e seg. Ediz. princeps ) in qual modo potè un giorno introdursi in una loggia per assistere alla iniziazione d'un apprendista. "Lo scopo importante per me - egli dice - era di conoscere finalmente il famoso segreto della massoneria. Si fece passare l'iniziando sotto la volta d'acciaio per giungere davanti ad una specie d'altare, dove gli si tenne un discorso sulla inviolabilità del segreto che gli veniva confidato e sul pericolo che correrebbe violando il giuramento che dovea pronunciare. L'iniziando giura che vuol avere troncato il capo, se mai avesse a tradire il segreto. li Venerabile, seduto sopra un trono dietro l'altare, gli disse allora: " Mio caro F.-., il segreto della framassoneria consiste in questo: tutti gli uomini sono eguali e liberi, tutti gli uomini sono fratelli ". Il Venerabile non aggiunse parola. Si son dati l'abbraccio e passarono al banchetto". "Io ero allora - continua Barruel - sì lontano dal sospettare un'intenzione ulteriore a questo famoso segreto, che andai a rischio di prorompere in risa quando l'intesi e dissi a quelli che mi aveano introdotto: Se sta qui tutto il vostro segreto, è molto tempo ch'io lo conosco"". Ed infatti, se per "libertà" s'intende che gli uomini non sono fatti per essere schiavi, ma per godere della libertà che Dio concede ai figli suoi; se per "eguaglianza" si vuol dire che essendo gli uomini figli del celeste Padre, tutti devono amarsi ed aiutarsi a vicenda come fratelli, non si capisce come sia necessario essere massone per imparare queste verità. "Io le trovava assai meglio nel Vangelo, che nei loro giuochi puerili" dice Barruel. Ed aggiunge: "Io devo dire che in tutta la loggia, benchè assai numerosa, non vedeva un solo massone che desse al gran segreto un senso diverso".
Barruel osserva che non vi erano là che dei non iniziati; ,e la prova che ne dà si è che nessuno di quelli che assistevano a questa seduta prese parte alla Rivoluzione, ad eccezione del Venerabile. Ed infatti, se la framassoneria è una associazione assai numerosa d'uomini, legati da giuramenti e che prestano una cooperazione più o meno cosciente e più o meno diretta all'opera che si vuole compiere, non è che un piccolo numero d'iniziati che conosca il fine ultimo della stessa associazione. Questo fine, è dunque mestieri, in quest'epoca, trovarlo nelle parole: "Eguaglianza, Libertà", perchè erano date all'apprendista come il segreto della società, segreto che doveasi osservare sotto gravissime pene confermate da giuramento, segreto da meditare, il cui senso profondo sarebbe spiegato, a poco a poco, nelle iniziazioni successive.
Cosa curiosa: era rigorosamente proibito ai framassoni di presentar mai ai profani queste due parole l'una accanto all'altra: Egalité, Liberté (è l'ordine in cui si trovavano allora). "Questa legge - dice Barruel - era così bene osservata dagli scrittori massonici, ch'io non so di averla mai vista violata nei loro libri sebbene ne abbia letti moltissimi e dei più segreti. Mirabeau stesso, allorchè facea finta di tradire il segreto della massoneria, non osava rivelarne che una parte, qui, libertà, là, eguaglianza di condizioni. Egli sapeva non essere ancora giunto il tempo in cui i suoi F. potessero perdonargli d'avere, colla sovrapposizione di queste due parole, destata l'attenzione sul significato che potevano prendere, rischiarandosi l'una per mezzo dell'altra.
Ai 12 agosto 1792 la massoneria credette essere omai passato il tempo del mistero ed essere d'allora in poi inutile il segreto. "Fin allora i Giacobini non avevano contato i fasti della loro Rivoluzione che dagli anni della loro pretesa libertà. In quel giorno, Luigi XVI, dopo quarantotto ore dichiarato dai ribelli decaduto dai suoi diritti al trono, fu condotto prigioniero alla torre del Tempio. In quel medesimo giorno, l'assemblea dei ribelli decretò che alla data della libertà si aggiungesse quind'innanzi negli atti pubblici la data dell'eguaglianza. Questo stesso decreto ebbe la data del quarto anno della libertà; del primo anno e primo giorno della eguaglianza.
"Nel medesimo giorno, per la prima volta, divenne pubblico questo segreto tanto caro ai framassoni e prescritto nelle loro logge con tutta la religione del giuramento più inviolabile. Alla lettura di questo famoso decreto essi esclamarono: 'Eccoci finalmente; la Francia tutta non è più che una gran loggia; i Francesi son tutti framassoni e l'universo intero lo sarà ben presto al pari di noi'. Io sono stato testimonio di quei trasporti, ho udito le questioni e le risposte a cui diedero luogo. Ho veduto i massoni fino allora più riservati rispondere ormai senza la minima simulazione: 'Sì, alfine, ecco raggiunto il grande scopo della framassoneria. Egalité Liberté; tutti gli uomini sono eguali e fratelli, tutti gli uomini sono liberi; lì era l'essenza del nostro codice, tutto l'oggetto dei nostri voti, tutto il nostro segreto". Ho udito in modo speciale uscir queste parole dalle labbra dei framassoni più zelanti, di coloro che avea visti decorati di tutti gli ordini della framassoneria e rivestiti di tutti i diritti per presiedere le logge. Li ho intesi dinanzi a quelli che i framassoni fin là chiamavano
Profani, non solo senza esigere nè dagli uomini nè dalle donne alcuna sorta di segreto, ma eziandio col massimo desiderio che tutta la Francia ormai ne fosse istruita, per la gloria dei massoni; affinchè essa riconoscesse in loro i suoi benefattori e gli autori di tutta quella rivoluzione d'eguaglianza e di libertà, di cui dava il grand'esempio all'universo" (1).
Luigi XVI deposto dal trono, la guerra aperta dichiarata al cattolicismo dalla costituzione civile del clero, ben dimostravano che ciò che la setta aveva fino allora inteso di vedere e mettere in questo doppio principio di eguaglianza e di libertà, non era niente meno che la guerra a Cristo e al suo culto, la guerra ai re e ad ogni gerarchia (2).
"Io ho incontrato - dice Barruel - in Francia ed altrove, dei framassoni per i quali questa libertà e quest'eguaglianza non erano state fin a quel tempo se non un giuoco. Ora confessano che tutta la Rivoluzione francese era contenuta in queste due parole, e che il giuoco massonico sì funesto alla loro patria minaccia di divenire il flagello di tutto l'universo".
Qui si pone una questione. In qual modo le parole Egalité e Libertè hanno potuto contenere tutto il segreto della Rivoluzione? Più ancora, come hanno potuto produrla?
Queste parole da parecchio tempo si mostrano sulle monete e sugli edifici pubblici. Chi al giorno d'oggi potrebbe pensare ch'esse abbiano contenuto il segreto d'una società misteriosa sparsa in tutte le parti dell'universo; ch'essa le confidava agli adepti fin dalla prima istruzione in cui li accoglieva nel suo seno, e che le dava come fossero la base della sua dottrina, d'una dottrina ch'era mestieri tener nascosta al volgo, che non poteva essere rivelata se non a poco a poco ai membri della società, segreto infine così grande, così importante che aveva creduto di dover proteggere coi più terribili giuramenti?
Infatti questo segreto non nascondeva niente meno di ciò che diede alla luce, cioè la Rivoluzione, i suoi orrori e le sue rovine.
Come si spiega ciò? La parola libertà, considerata sola e in sè medesima, presenta alla mente una cosa conosciuta ed eminentemente buona. E' il dono più prezioso che Dio ha fatto alla natura umana, che la pone in un regno così superiore a quello degli animali: il dono di fare degli atti che non siano necessari, che, per conseguenza, portano seco la responsabilità e il merito, e permettono perciò a ciascuno di noi d'innalzarsi indefinitamente.
La parola eguaglianza applicata al genere umano indica, che nella diversità delle condizioni, la comunanza d'origine e di fine ultimo dà a tutte le personalità che lo compongono una stessa dignità. Perciò la framassoneria non vedeva alcun inconveniente, tutt'altro, di essere rappresentata a questi come quella che esaltava la libertà, a quelli come quella che esaltava l'eguaglianza. Ciò che essa punto non voleva fuori delle logge, ma che esigeva nell'interno di esse, si è che queste parole fossero presentate insieme ed unite. Voleva insomma che il senso da essa posto nella unione di queste due parole fosse inteso dai suoi adepti e tenuto nascosto al volgo. Era lì il suo mistero. E questo mistero, preme anche oggidì sia scoperto; poichè la framassoneria non ha punto cessato di mistificare il pubblico con queste parole, ch'essa ed i suoi prendono in un senso, e gli uomini onesti in un altro.
Il mistero deve dunque cercarsi non nelle parole prese in se stesse e separatamente, ma nell'accoppiamento in cui la framassoneria le presenta a' suoi.
Vediamo dunque la significazione particolare che potevano prendere queste due parole: libertà, eguaglianza, unendosi, penetrandosi, l'una portando nell'altra un concetto che modifica il senso primo e naturale di ognuna di esse.
Osserviamo innanzi tutto qual era il genere d'eguaglianza che la framassoneria esaltava nelle sue logge. Tutti i massoni, fossero anche principi, erano "Fratelli". L'eguaglianza ch'essa stabiliva fra loro indicava che quella che essa erasi tolta la missione di stabilire nel mondo, non era già l'eguaglianza che abbiamo per la nostra comune origine e pei nostri comuni destini, ma l'eguaglianza sociale, quella che deve abolire ogni gerarchia e per conseguenza ogni autorità. La parola libertà accoppiata a quella d'eguaglianza accentuava perfettamente questo significato. Essa diceva che l'eguaglianza voluta non si troverebbe che nella libertà, vale a dire nella indipendenza di tutti rispetto a tutti, dopo avere spezzato tutti i vincoli che uniscono reciprocamente gli uomini. Dunque, non più padroni nè magistrati, non più preti nè sovrani, e perciò non subordinati per qualsiasi titolo: tutti eguali nel livello massonico, tutti liberi della libertà degli animali, che possono seguire i loro istinti.
La framassoneria voleva arrivare, fin d'allora, a questo: qui voleva condurre il genere umano; ma era segreto che si dovea custodire. Diffondiamo nel pubblico le idee di libertà e d'eguaglianza, esso ci aiuterà a conseguii e il nostro intento; ma teniamo dentro di noi l'ultima significazione.
Voltaire aveva già dichiarato di voler rendere la libertà alla ragione oppressa dal dogma, e di ristabilire, tra gli uomini l'eguaglianza che il sacerdozio armato della rivoluzione aveva tolta.
"Nessuno è più povero e più miserabile - diceva Voltaire - d'un uomo che ricorre ad un altro uomo per sapere ciò che deve credere" (Lettera al duca d'Uzès, 18 nov. 1760). Egli desiderava ardentemente "il giorno in cui il sole non rischiarerà più se non uomini liberi i quali non riconoscono altri padroni che la propria ragione" (Condorcet, Abbozzo d'un quadro storico del progresso dello spirito umano; Epoque IX).
A questa prima eguaglianza nell'incredulità, l'alta massonería giudicò necessario aggiungerne un'altra, l'eguaglianza sociale. Per conseguenza, bisognava disfarsi dei re come dei preti, abbattere i troni come gli altari, e innanzi tutto quello che dominava tutti gli altri, il trono dei Borboni. Lilia pedibus destrue, fu questa la parola d'ordine che si diffuse di loggia in loggia, e di là in mezzo al popolo.
Nelle logge si faceva capire non esservi nè libertà nè eguaglìanza per un popolo che non è sovrano, che non può fare le sue leggi, che non può revocarle nè cangiarle.
Il popolo non ebbe bisogno di molte spiegazioni. Bastò fargli udire queste parole, libertà, eguaglianza. Egli comprese e si mostrò subito pronto alla lotta che doveva procurargli quello che ardentemente desiderava. Perciò, in un istante, armato di picche, di baionette e di falci, si slanciò alla conquista della libertà e dell'eguaglianza. Egli seppe dove trovare i castelli da bruciare e le teste da troncare per non aver più nulla sopra di lui, ed avere in tutto e per tutto il terreno libero.
Non si dice male della framassoneria quando si afferma che il segreto ch'essa teneva nascosto sotto queste parole: libertà, eguaglianza, era la Rivoluzione con tutti i suoi orrori.
Citiamo tuttavia, a motivo della sua importanza e della sua chiarezza, ciò che dice John Robison, professore dì filosofia naturale e segretario dell'Accademia d'Edimburgo. Egli si fece iniziare framassone nella seconda metà del XVIII secolo ed ottenne ben presto il grado di Maestro scozzese. Con questo titolo, egli visitò le logge di Francia, del Belgio, della Germania e della Russia. Acquistò sì gran credito presso i framassoni, che gli offrirono i gradi più elevati. Fu allora, nel 1797, ch'egli pubblicò il risultato dei suoi studi nel libro intitolato: Prove delle cospirazioni contro tutte le religioni e tutti i Governi d'Europa, ordite nelle assemblee segrete degli illuminati e dei framassoni. "Io ebbi - egli dice - i mezzi di seguire tutti i tentativi fatti nel corso di cinquant'anni
sotto il pretesto specioso d'illuminare il mondo colla fiaccola della filosofia, e di dissipare le nubi di cui si serve la superstizione religiosa e civile per tenere il popolo dell'Europa nelle tenebre della schiavitù". Sempre le stesse parole per esprimere gli stessi intendimenti: distruggere la civiltà cristiana per sostituirvi una civiltà fondata unicamente sulla ragione e che deve soddisfare quaggiù tutte le cupidigie della natura.
"Ho visto - continua John Robison - formarsi un'associazione che avea l'unico scopo di distruggere, sino dalle fondamenta, tutte le istituzioni religiose e di rovesciare tutti i Governi esistenti in Europa. Ho visto quest'associazione propagare i suoi sistemi con uno zelo così costante, che è divenuta pressochè irresistibile; ed ho osservato che i personaggi che hanno avuto la Parte maggiore nella Rivoluzione francese erano membri di' quest'associazione, che i loro piani sono stati concepiti secondo i suoi principii ed eseguiti colla sua assistenza".
Luigi Blanc fa conoscere, al disopra della framassoneria, altre società più segrete che la governano. John Robison dice ancora: "Dal seno della massoneria sorge un'associazione fortemente armata, coll'intento prestabilito di sradicare tutte le religioni e di rovesciare tutti i Governi". Tutte le religioni si accostano, più o meno, al cattolicesimo, secondo i dogmi, secondo le porzioni di verità che hanno conservato; perciò la figlia di Satana vuole sradicarle tutte".
Un personaggio ancor più autorevole, il conte Haugwitz, ministro di Prussia, accompagnò il suo sovrano al congresso di Verona, e, in quest'augusta assemblea, lesse un memoriale che avrebbe potuto intitolare: "La mia confessione". Egli disse che non solo fu framassone, ma che venne incaricato della direzione superiore delle riunioni massoniche d'una parte della Prussia, della Polonia e della Russia. "La massoneria - egli disse - era allora divisa in due parti ne' suoi lavori segreti"; il che un altro massone chiama "la parte pacifica", incaricata della propaganda delle idee, e "la parte bellicosa" coll'incarico di fare le rivoluzioni. "I due partiti si davano la mano per arrivare al dominio del mondo... Esercitare un'influenza dominatrice sui sovrani: ecco il nostro scopo"(Lo scritto di quest'uomo di Stato fu pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1840, nell'opera intitolata: Dorrow's Denkschriften und Briefen zur charakteristísch der Welt und Lítteratur; t. IV, pp. 211 et 221). Questa volontà di giungere al dominio dei mondo è propria degli Ebrei; i framassoni non sono in ciò che i loro strumenti; essa spiega quasi tutti gli avvenimenti dei due ultimi secoli e soprattutto quelli dell'ora presente.
La Rivoluzione è dunque l'opera della massoneria; o piuttosto, come disse Enrico Martin, "la framassoneria è stata il laboratorio della Rivoluzione"(Histoire de France, t. XVI, p. 535). Essa medesima d'altronde non cessa di rivendicare l'onore di averla prodotta.
Alla Camera dei deputati, seduta del 1 luglio 1904, il marchese di Rosambo avendo detto: "La framassoneria ha lavorato alla sordina, ma costantemente, a preparare la Rivoluzione.. ."
Jumel: "E' appunto questo il nostro vanto".
Alexandro Zévaès: "E il maggior elogio che possiate farne".
Enrico Michel (Bocche del Rodano): "E' la ragione per cui voi ed i vostri amici la
detestate"(Journal Officiel, 2 juillet, p. 1799).
Di Rosambo replicò: "Noi siamo dunque perfettamente d'accordo su questo punto che la massoneria è stata la sola autrice della Rivoluzione, e gli applausi ch'io ricevo dalla sinistra, ed ai quali sono poco abituato, provano, signori, che voi riconoscete con me ch'essa ha fatto la Rivoluzione francese".
Jumel: "Noi facciamo più che riconoscerlo; lo proclamiamo".
Nella circolare che il Gran Consiglio dell'ordine massonico, inviò a tutte le loggie per preparare il centenario dell'89, troviamo la stessa confessione seguita da una minaccia: La massoneria che preparò la Rivoluzione del 1789 ha il dovere di continuare l'opera sua; ve l'impegna lo stato presente degli spiriti.
Molto tempo prima, nel 1776, Voltaire avea scritto al conte d'Argental: "Una Rivoluzione si annuncia da tutte le parti". Ben sapeva ciò che egli e i suoi amici preparavano alla Chiesa e alla società.
Già, in questo medesimo anno 1776, il comitato centrale del Grand'Oriente avea scelto, fra i massoni, degli uomini incaricati di percorrere le provincie e dì visitare le logge in tutta l'estensione della Francia, per avvertirle di tenersi pronte ad arrecare il loro concorso a ciò che stava per compiersi (3).
Copin Albancelli ha fatto un'osservazione giustissima: "Per giungere a divenire padrona dei destini della Francia, fu necessaria alla framassoneria una preparazione di sessant'anni. Perché tanto tempo? Appunto pel metodo che fu obbligata di adoperare.
"Allorchè la massoneria comparve in Francia, venuta dall'Inghilterra, sotto la Reggenza, era affatto impotente. Tuttavia essa tendeva sin d'allora a distruggere le tradizioni francesi, vo' dire gli elementi onde componevasi l'ente chiamato Francia. Fare della Francia un'altra Francia! Come giungere all'attuazione di questo scopo così pazzo come quello che tendesse a fare d'uomo un anti-uomo, dell'Umanità una anti Umanità?
"L'occulta potenza massonica, non potendo agire colla forza, poichè nel suo principio non avea la forza, era ridotta ad agire colla persuasione, colla suggestione. Ma non è facile suggerire ad una nazione ch'essa deve distruggere le sue tradizioni, che è quanto dire distruggere se stessa. Non si può arrivare ad un simile risultato se non procedendo con suggestioni successive condotte con somma destrezza e prodigiosa ipocrisia; una ipocrisia la cui misura è data da questo fatto che la divisa di libertà, d'eguaglianza, e di fraternità che non si cessò di proclamare finchè trattavasi di sedurre la nazione, dacchè si giunse a dominare questa nazione, si manifestò col terrore e colla ghigliottina.
"Per far accettare tutta la serie delle suggestioni per le quali era d'uopo di passare, per creare le disposizioni d'animo intermedie indispensabili ad ottenere il risultato preso di mira, si comprende che ci volle molto tempo".
Volgendo il suo sguardo su ciò che accade al giorno d'oggi, Copin Albancelli aggiunge: "La framassoneria preparò dunque il suo primo regno in quasi settant'anni. Ora, questo regno non durò che alcuni anni. Soffocata nel sangue del Terrore e nel fango del Direttorio, la framassoneria si ritrovò tanto debole quanto lo fu ne' suoi esordi.
"Essa fu obbligata a ricominciare il suo lavorio segreto, a preparare di nuovo lo stato degli animi sui quali potesse appoggiarsi un giorno per dare, una seconda volta, la scalata al potere ch'era stata obbligata di abbandonare. Non ci occorsero meno di ottant'anni.
"Settant'anni di sforzi pazienti e pessimamente ipocriti, la prima volta: ottant'anni la seconda! Si comprende come istruita dalle sue prime esperienze, essa non possa ora risolversi a perdere il boccone!
"Essa non vuol dunque abbandonare il potere, e noi possiamo esser sicuri che farà ogni sforzo per rimanervi e compiere finalmente l'opera rovinosa per la quale, da ben due secoli, usò tanta astuzia e tante violenze".
NOTE
(1) E' da osservare che le due voci onde è composto il nome che si diedero i framassoni indicano, la prima, ciò che sono, o almeno ciò che vogliono essere, e con loro tutto il genere umano, cioè liberi
o franchi, nel senso segnato d'indipendenza; e la seconda, ciò che vogliono fare: maconner,
costruire il tempio. Diremo più sotto ciò che vuol essere questo tempio. La parola fraternitá ha più tardi completato la trilogia. Non era necessario, perchè essa dice la stessa cosa che eguaglianza.
Nelle loro logge, essi si vantano d'essere tutti fratelli ed eguali senza distinzione di principi e di sudditi, di nobili e di plebei. La parola fraternità servì di maschera alla società per farla comparire come una istituzione di beneficenza. Osserviamo che la formula sacra dei misteri massonici era così preziosa a Voltaire che avendo avuto Franklin la viltà di presentargli i suoi figli da benedire, egli non proferì sopra di loro che queste parole: Egalité, Liberté. (Condorcet, Vie de Voltaire).
(2) "Esiste - dice Barruel - un libro stampato cinquant'anni fa (dunque verso il 1750) sotto questo titolo: Dell'origine dei framassoni e della loro dottrina. Quest'opera mi sarebbe tornata assai utile, se prima l'avessi conosciuta. Che non mi si accusi d'essere stato il primo a rivelare che un'uguaglianza e una libertà empie e disorganizzatrici erano il gran segreto delle retro-logge.
L'autore lo diceva positivamente al pari di me e lo dimostrava chiaramente seguendo passo passo i gradi della massoneria scozzese, quali esistevano allora".
(3) Ecco come esempio ciò che, per testimonianza di Barruel, si tentò in Fiandra: "Fin dal 1776, il comitato centrale dell'Oriente raccomandava a' suoi deputati di disporre i fratelli all'insurrezione, di percorrere e visitare le logge in tutta la Francia, di premerli, di sollecitarli in virtù del giuramento massonico, e di annunciar loro che alfine era tempo di adempierlo colla morte dei tiranni.
"Quello dei grandi adepti ch'ebbe per sua missione le provincie del Nord, era un ufficiale di fanteria chiamato Sinetty. Le sue corse rivoluzionarie lo condussero a Lilla. Il reggimento della Sarre era allora di guarnigione in questa città. Premeva ai congiurati di assicurarsi soprattutto dei fratelli che contavano fra i militari; la missione di Sinetty non ottenne niente meno del successo che avea sperato, ma la maniera onde l'ottenne basta al nostro scopo. Per farla conoscere, voglio ripeter qui l'esposizione che me ne ha fatto un testimonio oculare, allora ufficiale in questo reggimento della Sarre, scelto da Sinetty per conoscere l'oggetto del suo apostolato, come molti altri del medesimo reggimento.
"Noi avevamo - dicevami questo degno militare - la nostra loggia massonica; essa non era per noi, come per la maggior parte degli altri reggimenti, che un vero giuoco; le prove dei nuovi arrivati ci servivano di divertimento; le nostre cene massoniche dilettavano le nostre ore di libertà e ci ristoravano delle nostre fatiche. Come vedete, la nostra libertà e la nostra eguaglianza non erano inferiori alla libertà e all'eguaglianza dei Giacobini. La grande generalità e pressochè l'universalità degli ufficiali hanno saputo dimostrarlo quando giunse la Rivoluzione.
"A nulla noi pensavamo meno che a questa Rivoluzione, quando un ufficiale dì fanteria nomato Sinetty, famoso framassone, si presentò nella nostra loggia. Egli fu accolto come fratello e non manifestò dapprima alcun sentimento contrario ai nostri; ma pochi giorni dopo, invitò egli stesso venti dei nostri ufficiali ad un'assemblea particolare. Noi credemmo ch'egli volesse semplicemente restituirci la festa che gli avevano fatto.
"Dietro il suo invito ci recammo in un'osteria chiamata la Nouvelle Aventure. Noi ci aspettavamo una semplice cena massonica, quand'ecco egli prende la parola da oratore che ha importanti segreti da rivelare a nome del Grand'Oriente. Ascoltiamo. Immaginate la nostra sorpresa quando le vediamo pigliare tutto ad un tratto un'aria d'enfasi, d'entusiasmo per dirci che alfine il tempo è venuto; che i progetti sì egregiamente concepiti, sì lungamente meditati da veri framassoni, devono compiersi; che alla fine l'universo avrà spezzate le sue catene; che i tiranni chiamati re saranno vinti; che tutte le superstizioni religiose cederanno il posto alla luce; che la libertà, l'eguaglianza succederanno alla servitù in cui gemeva l'universo; che l'uomo infine ricupererà i suoi diritti.
"Mentre il nostro oratore s'abbandonava a queste declamazioni, noi ci guardavamo gli uni e gli altri come per dirci: che cosa fa dunque quel pazzo? Prendemmo il partito di ascoltarlo per oltre un'ora, riservandoci di riderne più liberamente fra di noi. Quello che ci sembrava piú stravagante era l'aria di fiducia ond'egli annunziava che oggimai i re o i tiranni si opporrebbero invano ai grandi progetti; che la Rivoluzione era infallibile e prossima; che i troni e gli altari stavano per crollare.
"Egli si accorse senza dubbio che noi non eravamo massoni della sua specie, e si licenzió per andare a visitare altre logge. Dopo esserci per qualche tempo divertiti di ciò che prendevamo per l'effetto d'un cervello dissestato, avevamo dimenticata tutta questa scena, quando venne la Rivoluzione a farci conoscere quanto ci eravamo ingannati". (Barruel, Mémoires, t. II, p. 446). Nelle Note su alcuni articoli dei due primi volumi, Barruel aggiunge altre testimonianze di questo fatto a ció che qui ha riferito.
Delasuss, Henri