martedì 3 marzo 2020

LODI ALLA SANTA FAMIGLIA GESÙ, MARIA E GIUSEPPE



Santa Famiglia di Nazareth, incanto e delizia dell'Eterno Padre.
Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Casa di devozione, di pace e di concordia. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Tesoriera di tutti i beni e grazie celesti. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Modello perfettissimo di ogni virtù e santità. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Esemplare ammirevole di ogni casa e famiglia. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Specchio limpido di carità e pazienza. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Ricco tesoro di prudenza e discrezione. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Centro d'amore e di benevolenza per tutti i mortali. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Rifugio degli afflitti e dei tribolati. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Aiuto sicuro dei poveri, dei perseguitati e degli abbandonati. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Dispensatrice di tutti i rimedi dell'anima e del corpo. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Casa santa e asilo sicuro per tutti gli smarriti. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Consolatrice affettuosa dei tristi e degli afflitti. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Luce perenne splendente per tutti coloro che ricercano la vera fede. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Stella e guida di santità e di perfezione. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Via sicura per coloro che sono nell'errore. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Sentiero giusto e infallibile che conduce alla vita eterna. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Conforto e sollievo per gli infermi. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Speranza e forza per i moribondi. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Difesa sicura per tutti i peccatori pentiti. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Difesa potente contro le insidie e le tentazioni dei nostri nemici: mondo, demonio e carne. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Genitori amorevoli e solleciti per tutti coloro che con fede e fiducia li invocano e supplicano. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino
- Ancora unica di sicura salvezza,in questa valle di lacrime. Tutte le famiglie della terra ti amino, ti benedicano e ti imitino

VITA DI CRISTO



Betlemme  

Cesare Augusto, il capo contabile del mondo, sedeva nel suo palazzo sul Tevere, tenendo innanzi a sé spiegata una carta geografica intorno a cui correva la leggenda: Orbis Terrarum, Imperium Romanum. Stava per emanar l'ordine del censimento del mondo, ché tutte le nazioni del mondo civile erano soggette a Roma. Codesto mondo aveva una sola capitale: Roma; una sola lingua ufficiale: il latino; un solo reggitore: Cesare. Ad ogni avamposto, ad ogni satrapo e governatore pervenne l'ordine che ogni suddito romano provvedesse a farsi iscrivere nella propria città; e ai margini dell'Impero, nel villaggetto di Nazaret, i soldati affissero ai muri l'ordine che tutti i cittadini si facessero censire nelle città da cui le rispettive famiglie traevano origine.  

Il falegname Giuseppe, oscuro discendente del gran re Davide, fu pertanto costretto a farsi censire in Betlemme, la città di Davide, appunto. In obbedienza a quell'editto, Maria e Giuseppe partirono dal villaggio di Nazaret alla volta del villaggio di Betlemme, che si trovava a circa otto chilometri di distanza, sull'altro versante di Gerusalemme. A proposito di quel villaggetto, così il profeta Michea, cinquecento anni prima, aveva profetato:  

«E tu, Betlemme, non sei la più piccola tra le principali città di Giuda, perché da te uscirà il duce che deve reggere il mio popolo, Israele» (Matt. 2: 6).  

Nell'entrare nella città della sua famiglia, Giuseppe era pieno di speranza, nonché affatto sicuro che non avrebbe avuto alcuna difficoltà a trovare un alloggio per Maria, delle cui condizioni per certo si sarebbe tenuto particolarmente conto. E andò di casa in casa, Giuseppe, e tutte le trovò ingombre di gente, invano cercando un sito dove Colui al quale il cielo e la terra appartenevano potesse nascere. Poteva mai darsi che il Creatore non trovasse una casa nel creato? Su per un erto colle si arrampicò Giuseppe attratto da una lanterna fioca che, sospesa a una fune, si dondolava dinanzi a una porta: era la locanda del villaggio. Dove, a preferenza di ogni altro sito, egli avrebbe certamente trovato asilo. Ebbene, nella locanda c'era posto per i soldati romani che brutalmente avevano soggiogato il popolo di Giuda; c'era posto per le figlie dei ricchi mercanti orientali; c'era posto per quanti, sontuosamente vestiti, vivevano nelle dimore del re; insomma c'era posto per chiunque si trovasse in grado di dare una moneta al locandiere; ma non c'era posto per Colui che sarebbe venuto al mondo per essere la Locanda d'ogni e qualunque cuore derelitto di questa terra.  

Quando finalmente le pergamene della storia saranno tutte ricoperte nel tempo sino alle ultime parole, la frase più triste sarà questa: «Non c'era posto nella locanda».  

Dipartitisi dalla collina, Giuseppe e Maria finirono col riparare in una stalla sotterranea, dove talvolta i pastori guidavano le greggi durante la tempesta. Là, in un cantuccio tranquillo nello squallore di una gelida caverna esposta al vento, là, sotto il livello del mondo, Colui che in cielo nasce senza madre, in terra nasce senza padre.  

D'ogni altro fanciullo che venga al mondo, gli amici possono ben dire che rassomiglia alla madre. Era invece quello il primo caso, nel tempo, in cui chiunque avrebbe potuto dire che la madre rassomigliava al Figlio. Ecco lo stupendo paradosso del Figlio che aveva creato la Propria madre. Onde la madre finiva ad essere soltanto figlia. Era inoltre quella la prima volta, nella storia di questo mondo, che tutti avrebbero potuto giustamente ritenere che il cielo non si trovasse «in alto»; giacché, quando teneva il Figlio fra le braccia, Maria abbassava gli occhi verso il Cielo.  

Nel sito più sudicio del mondo, in una stalla, nacque la Purezza. Colui che poi sarebbe stato massacrato da uomini operanti al pari di bestie nacque fra le bestie. Colui che si sarebbe definito il «Pane di Vita disceso dal Cielo» giaceva in una greppia, in una vera e propria mangiatoia. Alcuni secoli prima, gli Ebrei avevano adorato il vitello d'oro; e i Greci, l'asino d'oro: dinanzi ad essi, gli uomini si erano inchinati come dinanzi a Dio. Sia il bue che l'asino erano adesso presenti per fare atto d'innocente riparazione, chini dinanzi al loro Dio.  

Nella locanda non c'era posto, ma c'era posto nella stalla. La locanda è il luogo in cui si riunisce la pubblica opinione, il punto focale delle mode del mondo, il luogo di convegno degli spiriti mondani, il sito in cui si radunano quanti abbiano raggiunto la notorietà e il successo. La stalla invece è il sito dei proscritti, degli ignoti, dei dimenticati. Era lecito che il mondo si aspettasse che il Figlio di Dio nascesse - se proprio doveva nascere - in una locanda; una stalla era l'ultimo luogo al mondo in cui si sarebbe andati a cercarLo. La Divinità sta sempre dove meno ci aspettiamo di trovarla.  

Nessuna mente terrena avrebbe mai sospettato che Colui che poteva ordinare al sole di riscaldare la terra avesse un giorno bisogno di essere riscaldato dall'alito di un bue e di un asino; che Colui che, per dirla con le Scritture, poteva fermare il moto circolare di Arturo nascesse in un luogo stabilito a séguito di un censimento imperiale; che Colui che rivestiva d'erba i campi potesse esser nudo; che Colui dalle cui mani provenivano pianeti e mondi avesse un giorno braccia così piccine da non poter raggiungere i musi degli animali; che i piedi che avevano percorso i colli eterni fossero un giorno tanto deboli da non riuscire a camminare; che il Verbo Eterno potesse essere muto; che l'Onnipotenza potesse essere avvolta in fasce; che la Salvezza potesse giacere in una greppia; che l'uccello che aveva fabbricato il nido venisse covato nel nido stesso: nessuno insomma avrebbe mai sospettato che Dio, al Suo avvento su questa terra, potesse esser così impotente.  

Ed è appunto per questo che tanti non Lo trovano. La Divinità sta sempre dove meno ci aspettiamo di trovarla.  

Se il pittore si trova a suo agio nel suo studio perché i quadri sono la creazione della sua mente; se lo scultore si trova a suo agio fra le sue statue perché esse sono opera delle sue mani; se l'agricoltore si trova a suo agio fra le sue viti in quanto è stato lui a piantarle; se il padre si trova a suo agio fra i suoi figli appunto perché san figli suoi, allora per certo, presume il mondo, Colui che ha creato il mondo avrebbe dovuto trovarvisi a Suo agio: in esso Egli sarebbe dovuto venire al modo stesso che il pittore nel proprio studio ed il padre fra i propri figli; ma poiché era stabilito che il Creatore venisse fra le Proprie creature e ne fosse ignorato; che Dio venisse fra i Propri figli e non ne fosse accolto; che Dio si trovasse a Proprio agio in quanto derelitto, allora le menti attaccate alle cose del mondo poterono trame una sola deduzione: che il Bambino non poteva assolutamente esser Dio. E appunto per questo non lo trovarono. La Divinità sta sempre dove meno ci aspettiamo di trovarla. 
***
Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 

UNA TRIPLICE VIA VERSO DIO



È importante per il nostro scopo soffermarsi un istante su questo nuovo aspetto delle cose. Se è vero che Tommaso attende dal suo discepolo una attitudine di rinuncia intellettuale spinta al massimo, tuttavia non si tratta affatto di una abdicazione più o meno mascherata. Il teologo deve dar prova di una non meno grande magnanimità intellettuale per impiegare con lo stesso rigore tutte le risorse della sua mente. Ci si rende conto molto bene di questo osservando la progressione metodica con cui avvia lo sviluppo delle «tre vie». Per riprenderla molto liberamente, si può seguire qui una delle esposizioni più esplicite di san Tommaso, nel suo commento su un versetto della lettera ai Romani (1, 20):  «Fin dalla creazione del mondo, ciò che Dio ha di invisibile si lascia vedere dall‘intelligenza nelle opere di lui». Questo luogo comune della Scrittura si ritrova sulla bocca di san Paolo nel discorso agli ateniesi (At 17, 24-28), oppure nel libro della Sapienza (13, 5): «La grandezza e la  bellezza delle creature permettono, per analogia, di contemplare il loro autore». Questi testi richiedono subito una prima messa a punto:  «Occorre sapere che vi è qualcosa di Dio che resta totalmente sconosciuto all‘uomo durante questa vita: ciò che Dio è (quid est Deus)... La ragione sta nel fatto che la conoscenza umana trova il suo punto di partenza nelle realtà che ci sono connaturali, le creature corporali, che non sono adatte a rappresentare l‘essenza divina. Tuttavia, così come afferma Dionigi nel libro Sui nomi divini (7, 4), all‘uomo è possibile conoscere Dio a partire da queste creature in maniera triplice.  La prima è costituita [dalla via della] causalità. Dato che queste creature sono defettibili e mutevoli, è necessario ricondurle [reducere: riportare alla loro spiegazione] a un principio immutabile e perfetto. Secondo questa via, si arriva all‘esistenza di Dio (cognoscitur de Deo an est)» 85 . Considerata in se stessa, questa prima via sarebbe insufficiente e anche assolutamente ingannatrice, poiché il concetto di causa non ha lo stesso senso se losi utilizza per Dio o se lo si utilizza per l‘uomo. In termini tecnici — che bisogna spiegare, ma che sono indispensabili —, si tratta di un concetto analogo e non univoco 86 . Diciamo concetto univoco quello applicato in modo uguale a due o più realtà differenti: applicato al cane o al gatto, «animale» ha sempre lo stesso senso. Il concetto analogo, al contrario, indica una certa somiglianza all‘interno di una completa dissomiglianza. Questo sarà vero per tutti i nomi o tutte le qualità che potremo applicare a Dio. Nessuna delle nostre perfezioni, fosse anche la più elevata che possiamo immaginare, potrebbe convenire a Dio nello stesso modo in cui conviene a noi. Se prendiamo per esempio il concetto di causa applicato a Dio oppure all‘uomo, non si dirà semplicemente: Dio gioca nei riguardi della creazione un ruolo simile a quello che un artigiano gioca nei confronti della sua. Col rischio di indurre in errore, questo primo accostamento deve essere immediatamente rettificato: applicato alla creazione dell‘universo, non rimanda al suo autore come l‘esistenza di un quadro permette di inferire l‘esistenza del pittore, poiché l‘azione di Dio non si esercita su una materia preesistente (prima della creazione non vi è niente), e bisogna abbandonare quindi l‘ordine del creato per trovare la sua ragion d‘essere. E per questo che Tommaso aggiunge subito:  «La seconda è la via d‘eminenza (qui: excellentiae). Infatti, le creature non sono riferite al primo principio come possono esserlo alla loro causa propria ed univoca (ciò che accade quando un uomo genera un uomo), ma giustamente come a una causa universale e trascendente. Si comprende così che Dio si trova ai di sopra di tutto (super omnia)».  Si potrebbe pensare che il procedimento è compiuto a partire dal momento in cui Dio è stato caratterizzato come causa trascendente, la causa al di sopra di tutte le cause. Ciò significherebbe conoscere male l‘esigenza intellettuale e spirituale del Maestro d‘Aquino.  «Dicendo di Dio che è vivente, non intendiamo dire che egli sia la causa della nostra vita o che differisca dai corpi inanimati... Così pure, quando si dice: Dio è buono, non si vuol dire che Dio è causa della bontà, oppure: Dio non è malvagio; invero il senso è questo: ciò che noi chiamiamo bontà nelle creature preesiste in Dio — e, in verità, secondo un modo ben superiore 87 — Non ne segue dunque che a Dio spetta essere buono perché è la causa della bontà; ma piuttosto, al contrario, perché egli è buono, effonde la bontà nelle cose, secondo il detto di sant‘Agostino: E perché egli è buono, che noi esistiamo» 88 . Se in Dio non si vedesse che la causa di ogni bontà o di ogni saggezza che si trova in questo mondo, egli sarebbe concepito a partire da questo mondo: Dio potrebbe essere, buono o saggio, alla maniera dell‘uomo. Anche così restiamo sotto la minaccia dell‘univocità. E necessario dunque compiere un ultimo passo:  «La terza via è quella della negazione. Se in effetti Dio è una causa trascendente, niente di ciò che si trova nelle creature gli può essere attribuito... Così noi diciamo di Dio che è in-finito, im- mutabile, e così via». Quest‘ultimo momento del processo consiste dunque nel negare che ciò che noi chiamiamo essere, bontà o saggezza si realizza in Dio nel modo in cui lo sperimentiamo quaggiù: Dio ne è la fonte poiché tutto ciò preesiste in lui, ma egli non è essere, saggio o buono nel modo in cui lo sono gli uomini. Pur affermando l‘esistenza di questa perfezione, Tommaso nega la possibilità di conoscerne il modo di realizzazione 89 . Sappiamo dunque che Dio possiede in modo eminente tutto ciò che rappresenta qualche bene nel nostro mondo, ma il modo in cui lo possiede ci sfugge completamente. L‘essenziale (la ratio o la res significata, secondo l‘espressione consacrata) di queste perfezioni si ritrova in lui, ma il modo della nostra conoscenza e del nostro linguaggio (modus significandi) non è proporzionato al modo in cui esse vi si trovano, modo che resta inaccessibile.  

P. Angelo Zelio Belloni o.p

SE STARAI CON ME TI PARLERO’ DI ME




(Gesù racconta dalla Croce)


A Gerusalemme

Ed ecco riprendo a ricordare il mio ingresso trionfale nella Città Santa.
Montai su un asinello a circa un chilometro dal tempio, operando guarigioni tra le grida gioiose dei fanciulli. La folla non riuscì più a contenere l'entusiasmo; pochi giorni prima avevo risuscitato Lazzaro e questo era stato per loro il miracolo più strepitoso, quindi gettarono i loro mantelli sotto i piedi della cavalcatura e tagliati rami d'ulivo, li agitavano gridando: "Evviva, evviva, osanna al Figlio di Davide"!
Passato il torrente Cedron, alzai lo sguardo verso il tempio candido di marmi e sfavillante di ori ai primi raggi del sole. I miei occhi si riempirono di lacrime; pensai che di quel tempio così maestoso non sarebbe rimasta pietra su pietra che non fosse distrutta. Gerusalemme sarebbe stata rasa al suolo e dei suoi abitanti chi ucciso e chi condotto in schiavitù. Entrai, accompagnato dal sempre crescente entusiasmo della folla, nell'atrio del tempio e mi vennero incontro alcuni Greci e con l'aiuto di Filippo che conosceva il greco seppi che volevano conversare con me. Parlai in perifrasi anche con loro. Raccontai che se il granello di frumento caduto in terra non muore, non porta frutto; come a dire: "Proprio quando mi uccideranno comincerò a vivere nei vostri cuori". E proprio il Padre mio mi rese testimonianza, come durante il battesimo e sul Monte Tabor: si udì un rumore come di tuono e e una voce che scandiva queste parole: "Ho glorificato il tuo nome".
Ma nè i miei interlocutori, nè il popolo compresero. Così mentre loro continuavano ad inneggiare io ridiscesi verso il torrente Cedron e, tra i sentieri dell'Orto degli Ulivi, mi diressi a Betania ove andai a trovare il mio amico Lazzaro e passai la notte.

CONVERSAZIONI_EUCARISTICHE



Intret in conspectu tuo oratio mea! (Ps. 87). 

1. Signore, sono anche oggi qui da Voi per una grande carità!… Dopo tanto tempo che ho il bene d’essere da Voi graziato ed ammesso alla vostra  intima conversazione, alla scuola della preghiera; con rossore m’accorgo, e ve  lo confesso, di non avere ancora imparato a pregare. Voi mi prometteste che  qualunque grazia avrei chiesto a nome vostro al Divin Padre mi sarebbe  concessa: quidquid petieritis Patrem in nomine meo, dabis vobis. Ma io gli ho  dimandato tante cose, ed ancora non mi trovo esaudito. Forse che le  suppliche mancano delle debite disposizioni? Non può essere altro: ne sono  convinto. Per ciò, Gesù mio, e mio Divin Maestro, oggi mi rivolgo a Voi con  preghiera della più profonda pietà, onde vogliate intercedere per me. Almeno  insegnatemi una formola di preghiera, che riesca sicuramente accetta al  Padre Vostro, e lo muova, almeno propter importunitatem, a rendermi  consolato. 

2. Eterno Divin Padre rimirate il Figliuol vostro: respice in faciem Christi tui, ed ascoltatelo! Un giorno agli Apostoli, ed a noi, Voi ingiungeste di  doverlo ascoltare: Ipsum audite! Ma oggi io supplico Voi di ascoltare Lui, che  da quest’Altare vi parla e vi prega per me. Uditelo! 

3. Pater noster qui es in cœlis, sanctificetur nomen tuum! O celeste Divin Padre, è tanto l’amore che ti porto, che non desidero altro che di saperti e di  vederti da tutti conosciuto, riverito, benedetto ed amato. Voglio che  l’adorabile Nome Tuo sia da tutte le creature del cielo e della terra quotidianamente invocato, lodato e santificato, essendo Tu il loro Creatore e  provvidentissimo Conservatore. 

4. Adveniat regnum tuum! Ti prego di discendere dal cielo a stabilire il regno della tua grazia e del tuo amore nelle anime da Te create ad immagine  e similitudine tua, sì che si possa dire che Tu regni sul cuore degli uomini, e  che gli uomini portando la divina tua legge scolpita in cuore, ti si appalesino  coi fatti sudditi divoti e fedeli osservatori de’ tuoi santi consigli. 

5. Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra! Deh! gli aiuta; affinchè tutti i fratelli che ti raccomando, conosciuta che abbiano la tua santissima volontà,  la possano e la sappiano eseguire e compire perfettamente, come feci io vivente tra loro e come si fa dagli Angeli tuoi nel cielo e da’ tuoi giusti sulla  terra. 

6. Panem nostrum quotidianum da nobis hodie! Oggi, ed ogni giorno dona ai tuoi poverelli, che lo dimandano, quel cibo spirituale che loro abbisogna  alla salute e santificazione dell’anima, ed anche il pane materiale per la  nutrizione e conservazione della sanità e forza corporale; onde possano  impiegarsi totalmente, anima e corpo, nel tuo santo servizio. E poichè in  questo Eucaristico Sacramento io mi sono costituito e trasformato  sostanzialmente in quel Pane Vivo che alle anime dà e conserva la vita di  grazia, per ciò ti prego di concedere a questi tuoi figli, e miei fratelli, di  profittarne quotidianamente, con tale disposizione e fervore, che torni loro ad  accrescimento di salute, di grazia, di fortezza e di carità: Panem de coelo  præstitisti eis, omne delectamentum in se habentem. Sì, Padre! Fa che lo  gustino tanto questo mio Pane celeste, che ne diventino avidi, e li trasformi  in me, com’io sono transustanziato in esso. Questo Pane di vita li mantenga  uniti con me, ut in me maneant, et ego in eis; di maniera che io ed essi  restiamo sempre insieme congiunti con indissolubile e sostanziale amore.  Allora Tu pure gli amerai tanto, che discenderai meco nei loro cuori, ed in  essi fermeremo insieme la nostra stanza con perpetua permanenza: ad eos  veníemus, et mansionem apud eos faciemus. 

7. Et dimite nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris! 
 Io ti supplico ancora, o Padre, da parte loro, di condonarli di tutti i debiti che  hanno contratto con la tua divina giustizia; giacchè anch’essi sono disposti e  pronti a condonare ai loro fratelli debitori tutto quanto dovrebbero rifar loro  nell’onore, nella roba, e nell’amore. In nome loro io ti prometto che faranno  com’io feci dalla croce: perdonando a chi gli abbia offesi o con parole e  maldicenze, o con atti ingiusti e vituperosi, onde assicurarsi che Tu perdoni  loro tutte le offese da essi fatte alla Tua Divina Maestà. Anzi io voglio, come  lo vuoi Tu, ch’eglino sieno i primi a perdonare cordialmente e totalmente ai  loro offensori, per assicurarli meglio del perdono tuo generale di ogni colpa e  di ogni pena. 

8. Et ne nos inducas in tentationem! E siccome i miei raccomandati riconoscono e confessano la propria debolezza ed impotenza a conservarsi  fedeli e costanti versi di Te e verso di me nell’adempimento dei proprî doveri  e nella osservanza della nostra divina legge, così sentendo e sperimentando in se, che senza la efficacia del nostro aiuto sono insufficienti a resistere alle  tentazioni de’ loro nemici spirituali, Ti chiedo per l’onor nostro di non  permettere che cedano giammai a qualsivoglia diabolica insidia, onde non  cadano nella tentazione; ma li libera da ogni male presente e futuro,  spirituale e corporale: sed libera nos a malo; amen. 

9. Ah così sia, Gesù mio; e così sia! Alla vostra voce e preghiera unisco la mia con il più intimo affetto della mente e del cuore. 

10. Eterno Divin Padre, con l’eco della voce ch’esce dal Cuore del Santissimo Figlio vostro, vi rinnovo qui la stessa supplica sua. Esauditemi pro reverentia sua!… Con la grazia vostra togliete qualsivoglia colpa e difetto  che faccia ostacolo al corso della vostra liberalità, e che possa intralciare i  benefici del Vostro Figlio coeterno nell’anima mia. 

11. E Voi, graziosissimo mio avvocato Gesù, che siete tanto appassionato del bene mio, tenetevi sempre unito a Voi; immedesimate il mio con il Cuor  Vostro amantissimo, affinchè per Voi le mie preci salgano fino al Padre, e gli  tornino accette, ed io ne sia esaudito. Oh quando sarà che potrò venire a  unirmi con Voi su in cielo?… Gli è pur lungo e periglioso quest’esiglio  terrestre: Ehi mihi, quia incolatus meus prolungatus est! È vero che per  degnazione vostra godo ancor quì la graziosa vostra compagnia, e posso  conversare con Voi quanto voglio; ma quì si sta sempre con timore e tremore  di potervi perdere. Fatemi morire, Signore, pria che m’abbia a toccare  cotanta sventura. 

12. E Voi Maria Madre del mio Gesù, che piena di grazia ora siete con Lui nella pienezza della gloria, fatemi parte della grazia vostra, affinchè possa poi  partecipare alla vostra gloria. Voi che siete stata sempre unita a Lui qui in  terra, perpetuate l’unione del cor mio col suo. O benedetta da Dio fra tutte le  donne, che ci deste Gesù, Frutto del Ventre vostro beato, datemi la vostra  benedizione, fatemi benedire anco da Lui. O Maria, Madre di Dio, quando il  Figliuol Vostro chiamerà l’anima mia all’Eternità accompagnategliela Voi, e  pregatelo per me, povero peccatore, adesso ed allora onde mi unisca con Lui  per non separarmene mai più! 

13. O Giuseppe, Vicario del Divin Padre sopra Gesù, tenetemi tanto stretto a questo caro Divin Figlio, che d’ora in poi non possa più pensare che a Lui,  che parlare di Lui, come faceste Voi in vita, per goderlo con voi in cielo, e così  sia! 

O BONE JESU 
Ne permittas me separari a te! 
Ab hoste maligno defende me; 
In hora mortis meæ voca me, 
Ut cum Sanctis et Angelis tuis laudem te 
Per infinita saecula saeculorum, amen. 


Francesco Spinelli

Ogni simbolo(segno) malvagio ha segretamente e lentamente potere su di voi!



Io vi amo molto e Mi rallegro per ogni vostra singola preghiera che Mi regalate e che rivolgete a Me. Siate certi della Mia preghiera d’intercessione davanti al trono del Signore e unitevi a Me in preghiera per la pace, perché grande è il potere della vostra preghiera, grande è l’effetto che la preghiera di voi tutti realizza!

Figli Miei. Mie care, fedeli anime. Fate le vostre preghiere specificatamente seconde le intenzioni che Noi, sempre di nuovo, vi raccomandiamo vivamente -in questi, e in altri messaggi-! Pregate le preghiere che Noi vi doniamo qui e in altri messaggi! Esse sono straordinariamente efficaci e importanti, perché Dio il Signore le esaudirà e limiterà gli orrori sulla vostra terra, però voi DOVETE pregare, figli Miei, altrimenti il male travolge con tutti i suoi intrighi e le sue velate e mimetizzate bugie la vostra terra e voi vi ritroverete suoi schiavi, anche se non lo avete voluto!  

Alzatevi ora! Utilizzate la vostra POTENTE PREGHIERA! Dichiaratevi sempre di nuovo per Gesù e invitatoLo nella vostra vita, nel vostro cuore e nella vostra anima! Attenetevi RIGOROSAMENTE ai Comandamenti del Signore e agli insegnamenti del vostro Redentore, perché ogni allontanamento, anche se piccolissimo, vi porta più vicinio al diavolo e alla fine vi perderete perché “gli allontanamenti” ora s’intensificheranno!

In alcuni paesi ci sono già tutti i “nuovi” libri che sono stati ALTERATI! State attenti e restate vigili perché la confusione del diavolo, che egli diffonde sempre più su di voi, aumenta a un ritmo furioso! Inoltre farete sempre più la conoscenza dei simboli del maligno, perché essi sono mostrati ora sempre più pubblicamente, raffigurati e applicati nei diversi ambiti della vostra vita!

State attenti e tenetevi stretti i vostri “oggetti sacri”! Questi possono essere i vostri libri, le vostre statue, i vostri rosari e altri oggetti sacri, che si trovano o a casa vostra, o sono di proprietà delle vostre chiese!  

Ogni segno maligno esercita segretamente e lentamente potere su di voi, senza che voi ve ne rendiate conto, Miei amati figli! Per questo guardatevi da questi simboli e guardatevi da tutti i cambiamenti (rettificazioni) nei vostri libri sacri, perché vi confonderanno e infine vi allontaneranno da Gesù invece di portarvi a LUI!

Figli Miei. Gesù è il vostro Salvatore ed EGLI sarà sempre il vostro Salvatore! Dichiaratevi per LUI, consacratevi a LUI amateLO e vivete con LUI! Questa è la vostra unica possibilità per non soffocare nella palude delle bugie e della confusione del diavolo e per non andare direttamente nelle sue trappole e infine nel suo inferno, perché chi resta incagliato nella palude, riconoscerà a fatica la vera via della Luce. La sua confusione diverrà ora sempre più grande, così come la distanza che egli pone fra sé e Dio.

Figli Miei. La vostra unica salvezza è Gesù, Mio Figlio che Mi fu affidato in terra da Dio, il Nostro Padre Onnipotente! Ritornate a LUI! AmateLO! E non permettete che il diavolo si avventi su di voi. Amen.

In profondo amore,

Il vostro santo Giuseppe. Amen.

INVOCAZIONI AI NOVE CORI DEGLI ANGELI



I - O Angeli Santissimi, Creature purissime, Spiriti nobilissimi, Nunzi e Ministri del Sommo Re della gloria e fedelissimi esecutori dei suoi comandi, vi prego di purificare le mie preghiere e offrendole alla Maestà dell'Altissimo fate che spirino un soave odore di Fede, di Speranza e di Carità. 
Gloria al Padre...
II - O fedelissimi Arcangeli, Capitani della milizia celeste, ottenetemi la luce dello Spirito Santo, istruitemi nei divini misteri e fortificatemi conto il comune nemico. 
Gloria al Padre...
III - O Principati sublimi, Governatori del mondo, governate così anche l'anima mia, affinché l'anima mia non sia mai dominata dai sensi. 
Gloria al Padre...
IV - O invittissime Potestà, frenate il maligno quando mi assale e tenetelo lontano da me, perché non mi allontani da Dio. 
Gloria al Padre ...
V - O potentissime Virtù, fortificate il mio spirito, affinché pieno del vostro valore avanzi nella conquista di ogni virtù e resista ad ogni assalto infernale.
Gloria al Padre ...
VI - O beatissime Dominazioni, ottenetemi un perfetto dominio di me stesso e una santa forza, affinché io riesca ad allontanare subito tutto ciò che dispiace a Dio.
Gloria al Padre...
VII - O Troni stabili, insegnate all'anima mia la vera umiltà, affinché divenga domicilio di quel Signore che risiede benignamente negli ultimi. 
Gloria al Padre...
VIII - O sapientissimi Cherubini, assorti nella contemplazione divina, fate ch'io conosca la mia miseria e la grandezza del Signore. 
Gloria al Padre...
IX - O ardentissimi Serafini, accendete con il vostro fuoco il mio cuore, perché ami solo Colui che voi amate incessantemente. 
Gloria al Padre...


Ai nove cori degli Angeli

Angeli Santissimi, vegliate su di noi, dovunque e sempre. Arcangeli nobilissimi, presentate a Dio le nostre preghiere e i nostri sacrifici. Virtù celesti, donateci forza e coraggio nelle prove della vita. Potenze dell'Alto, difendeteci contro i nemici visibili e invisibili. Principati sovrani, governate le nostre anime e i nostri corpi. Dominazioni altissime, regnate di più sulla nostra umanità. Troni supremi, otteneteci la pace. Cherubini pieni di zelo, dissipate tutte le nostre tenebre. Serafini pieni di amore, infiammateci di ardente amore per il Signore. Amen


L’unificazione di organizzazioni chiesastiche? Dottrine deformate



Finché gli uomini non possono decidersi di purificare la Dottrina cristiana da tutta l’opera  umana aggiunta, finché ogni confessione non ha la seria volontà di stare nella pienissima erità e di estirpare ogni errore, fino ad allora non si produrrà nessuna unificazione delle  chiese, perché le differenti confessioni possono ritrovarsi soltanto nella pura Verità ed allora  saranno d’accordo. Ma nessun orientamento è disposto di rinunciare a qualcosa del suo patrimonio  spirituale e perseverano quasi sempre proprio sulle false dottrine, perché da loro stessi non sono  capaci di discernere, finché lasciano regnare soltanto il loro intelletto, E la cosa eclatante è che  nessun orientamento spirituale stesso rappresenta “l’Agire dello Spirito”, l’Agire di Dio nell’uomo,  e soltanto su questa via riconosce un sapere conquistato, ma a loro sembra di valore soltanto ciò che  l’intelletto dell’uomo ha fatto sorgere e loro non se ne possono staccare. Quindi il simbolo della  Chiesa che Io Stesso ho fondato sulla Terra, si trova solo raramente come dimostrazione della  credibilità e della Verità di ciò che viene annunciato. Proprio ciò che garantisce la Verità, manca alle  organizzazioni chiesastiche, altrimenti tutte si troverebbero nella stessa Verità ed ogni impurità  sarebbe esclusa.

Così quindi dev’essere constatato per il più grande rincrescimento degli uomini che la pura Verità  non si trova più da nessuna parte dove si pera di cogliere del sapere spirituale. Dev’essere detto che  ovunque dove vengono insegnati i Comandamenti dell’amore per Dio ed il prossimo passa soltanto  un sottile filo, che questo patrimonio d’insegnamento debolmente splendente potrebbe bastare  completamente a rendere malgrado ciò la Verità accessibile per gli uomini, perché l’osservanza di  questi Comandamenti d’amore garantisce anche “l’Agire di Dio nell’uomo” e poi l’uomo viene  istruito dall’interiore, egli quindi è molto ben in grado di discernere ciò che è la Verità e ciò che è  l’errore. Ma anche soltanto la Dottrina dell’amore si è conservata come Patrimonio d’insegnamento  divino e perciò ogni uomo ha la possibilità di muoversi nella Verità se soltanto la segue. Allora  saprà anche che tutto il resto è l’opera d’uomo e conduce soltanto ad immagini errate, che sono  soltanto delle forme terrene di ciò che viene preteso spiritualmente da un uomo da Parte di Dio.

Ma gli uomini non hanno però la volontà ad eseguire una totale purificazione dell’edificio, che  loro stessi si sono eretti nello stato di cecità spirituale. Nessun orientamento spirituale si stacca dai suoi insegnamenti e disposizioni, ed ognuno rimane una faccenda puramente mondana, finché  rappresenta nell’esteriore gli usi ed azioni che possono appunto valere soltanto come simboli per  coloro a cui manca la giusta interpretazione. E ciononostante questo tutti sono pienamente convinti  della Verità del loro proprio orientamento spirituale e proprio questa è la sciagura, perché con ciò  confessano la loro mentalità disamorevole, che li ostacola nella conoscenza della Verità, come  anche la loro indifferenza, la loro assenza di responsabilità nei confronti delle loro anime. Perché  ogni uomo che vive nell’amore, stimerà la Verità troppo alta da non volersi seriamente convincere  se si trova nella Verità. E già una seria domanda e richiesta per questa gli procurerebbe la Luce della  conoscenza.

Dove si trovano però dei dubbi se sono o non sono nella Verità, in quei cerchi che si sono aggiunti  agli uomini come guide, che hanno persino accettato ed amministrato una funzione  d’insegnamento? Dove in genere esiste ancora il serio desiderio per la Verità? Perché nessun uomo  getta la domanda più importante: “Che cosa è la Verità? Sono io stesso nel suo possesso?”

Ognuno sostiene con una certa ottusità ciò che lui stesso ha accolto, e da sé stesso non ne prende  posizione. Crede di essere “religioso” quando accetta senza resistenza tutto ciò che gli viene  nuovamente trasmesso da uomini. Scuote da sé ogni propria responsabilità, non fa diventare attivo  né il suo proprio intelletto né il suo cuore, per esaminare la veracità di ciò che lui a sua volta deve  sostenere. Egli stesso pecca contro lo Spirito, perché questo è in lui e vuole soltanto essere  risvegliato attraverso l’amore, per poter poi anche manifestarsi ed in verità in modo che in lui  diventa chiaro e limpido, che diventa davvero saggio, perché può accogliere la Luce da Me Stesso,  che gli dona la più chiara conoscenza.

Perché così pochi uomini soltanto si trovano in questa Luce della conoscenza, perché la  maggioranza difende un patrimonio spirituale, che è così consunto quando viene sottoposto ad un  serio esame? Perché gli uomini si accontentano di dottrine che non sono davvero procedute da Me e  perché non accettano dalla Mia Mano il delizioso Patrimonio spirituale, che ognuno può richiedere  e ricevere, chi seriamente desidera il possesso della pura Verità ed il quale attraverso una vita  d’amore secondo la Mia Volontà può anche mettersi in contatto con Me, per essere istruito  direttamente da Me, perché a tutti voi uomini manca il sapere dell’Agire del Mio Spirito nell’uomo.  E ciò soltanto questo è la dimostrazione, che non siete stati bene istruiti e non venite bene istruiti,  che anche agli insegnanti manca quel sapere e di conseguenza non sono stati posti da Me nella loro  funzione d’insegnante. Perché chi Io incarico ad essere un insegnante per i prossimi, lo provvedo  davvero anche con un giusto Patrimonio d’insegnamento. Ma questo manca a voi che vi credete  chiamati di presiedere il vostro orientamento spirituale o confessione e volete essere considerati  come guide.

Non siete chiamati da Me, e non potrete mai introdurre i prossimi nella Verità, perché voi stessi  non la possedete e non fate nulla per giungere nel suo possesso. Perciò badate a ciò che vi dico:  Soltanto dove è visibile l’Agire del Mio Spirito nell’uomo, là è la vera Chiesa che Io Stesso ho  fondato sulla Terra e questa non è riconoscibile dall’esterno, ma comprende i membri da tutte le  differenti comunità chiesastiche, da differenti orientamenti spirituali, perché si trovano nella fede  viva che hanno conquistato attraverso una vita d’amore, e costoro sapranno anche che la Mia Chiesa  non si presenta nell’esteriore, ma per questo garantisce il più intimo legame con Me Stesso, alla  quale diffondo anche la Verità, una chiara conoscenza sul campo spirituale che manca a tutti coloro  che non appartengono alla Mia Chiesa, che non sono in grado di staccarsi dal patrimonio spirituale  errato, che non ha mai avuto la sua origine in Me, ma che è un’opera d’aggiunta umana, procedente  dal Mio avversario stesso, che va sempre contro la Verità, ma non viene mai riconosciuto da coloro  che si danno a Me nell’amore e nella fede.

Così comprenderete anche che una unificazione delle confessioni cristiane non si farà mai, perché  ognuna si barrica sul patrimonio d’insegnamento che finora ha sostenuto, e che la lite di tutte le  confessioni si gira sempre soltanto intorno al falso patrimonio spirituale ed ognuna si sforza  timorosamente a difendere questo falso patrimonio spirituale, perché non vi vogliono rinunciare, ma  soltanto unicamente la Verità può condurre alla beatitudine e solamente chi desidera seriamente questa Verità la troverà anche, appena prende la via direttamente verso di Me e Me la chiede  seriamente.

Amen.

Bertha Dudde 28 novembre 1963

La Corredentrice



Gesù parla della Corredentrice negli scritti di Maria Valtorta

“Conosceva la sua sorte, perché non ignorava il destino del Redentore e le profezie  che parlavano del suo grande soffrire. Lo Spirito di Dio congiunto a Lei la illuminava  anche di più di quanto le profezie non dicessero. Quanto dolore sentire e già vedere  che gli uomini avrebbero preso il Bene, fattosi carne, per farne a sé un male” (“Quaderni del ‘44”, p. 359) . 

Quale strazio dell’anima sua dinanzi al patire di Giuseppe a causa della sua misteriosa  maternità! “Quella fu la prima grande passione, durata tanti giorni” (“Poema”, vol. I, p.  165). “Se Dio non le avesse suggerito di tacere, avrebbe forse osato –con il volto  contro il suolo– dire a Giuseppe: «Lo Spirito mi ha penetrata ed in Me vi è il Germe di  Dio», ed egli la avrebbe creduta perché la stimava e perché, come tutti coloro che non  mentono mai, non poteva credere che altri mentisse. Per mesi, da quel momento,  Maria ha sentito la prima ferita insanguinarle il cuore. Il primo dolore della sua sorte  di Corredentrice  è stato sofferto e offerto per riparare…”  (“Poema”, vol. I, p. 125).  

“Chi può dire la intima e silenziosa intensità? Il dolore nel constatare che il Cielo  non l’aveva ancora esaudita, rivelando a Giuseppe il mistero. Che egli l’ignorasse era  chiaro. Se egli avesse saputo che Maria portava in sé il Verbo di Dio, egli avrebbe  adorato quel Verbo con atti di adorazione che sono dovuti a Dio. Chi può dire la  battaglia di Maria contro lo scoramento che voleva soverchiarla per persuaderla che  aveva sperato invano nel Signore? Fu certamente rabbia di Satana! Sentire il dubbio  sorgere, allungare le sue branche gelide per imprigionare l’anima e tentare di arrestare  la preghiera. Il dubbio che è così pericoloso, letale allo spirito. Letale, perché è il  primo agente della malattia mortale che ha nome “disperazione” e al quale si deve  reagire con ogni forza, per non perire nell’anima e perdere Dio. Chi può dire con esatta  verità il dolore di Giuseppe, che Maria sentiva per intero? Fosse stato meno santo,  avrebbe agito umanamente, denunciandola come adultera… Ma Giuseppe era santo e  il suo spirito puro viveva in Dio”   (“Poema”, vol. I, p. 165-166). 

E l’Ancella di Dio e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguono, anche  se fanno piangere sangue. “Il suo dolore fu l’amico fedele che ebbe tutti i più vari  aspetti e nomi” (“Poema”, vol. I, p. 245). “Come una collana alla quale giorno per  giorno si aumenta una perla, ebbero inizio i giorni dolorosi. Alla fine fu il Golgota” (“Quaderni del ‘43”, p. 618). 

A causa della privazione delle cose più necessarie, Maria diede al suo Bambino “latte  e lacrime, latte e amore…” (“Poema”, vol. I, p. 208). “E i primi passi coi suoi piedini  teneri e rosei, quei piedi che lei carezzava a baciava con amore di mamma e  adorazione di fedele e che li avrebbero poi inchiodati alla croce e che li avrebbe visto  contrarsi nello spasimo, illividirsi e divenire di gelo. E le sue cadute quando cominciò  ad andare da solo. Lei correva a rialzarlo e a baciargli le ammaccature. Oh, allora  poteva farlo. Lo avrebbe visto un giorno cadere sotto la Croce, già agonizzante, lacero,  sporco di sangue e delle sozzure, lanciate su di Lui dalla folla crudele, e non avrebbe  potuto correre a rialzarlo, a baciargli le contusioni sanguinanti, povera Mamma di un  povero Figlio innocente e giustiziato!”  (“Quaderni del ‘43”, p. 635-636). 

Indescrivibile l’angoscia di Maria per lo smarrimento di Gesù dodicenne, durante il  pellegrinaggio pasquale al Tempio di Gerusalemme. Furono tre giorni di agonia. (cfr.  “Poema”, vol. I, p. 293-294). 

Indescrivibile anche lo strazio del Cuore di Maria per la morte di Giuseppe, che le era  stato “padre, sposo, fratello, amico, protettore”. Con la morte di Giuseppe, Ella veniva a sentirsi “sola, come tralcio di vite al quale viene segato l’albero a cui si reggeva”  (“Poema”, vol. I, p. 302). 

Straziante il momento in cui il Figlio si distacca dalla Madre per dare inizio alla sua  missione Redentrice. “Quell’ora doveva venire. Era iniziata lì, quando era apparso  l’angelo, ora scocca e deve viverla. Dopo verrà la pace della prova superata e la  gioia… Ma intanto è cominciato il cammino dell’Evangelizzatore, che lo porterà al  Golgota” (“Poema”, vol. II, p. 12-13). 

Pablo  Martín  Sanguiao

lunedì 2 marzo 2020

Geremia



Messaggio per il re Ioacaz

10Non piangete per il re morto, non fate lamenti per lui. Piangete piuttosto per il re che parte piangete perché non tornerà più, non rivedrà il paese natio. 11Infatti, a proposito di Sallum, che è succeduto a suo padre Giosia re di Giuda, il Signore dice: 'Egli è partito di qui e non tornerà più. 12Morirà nel paese dove lo hanno condotto prigioniero e non rivedrà più la sua terra'.


Messaggio contro il re Ioiakim

13Guai a te che ti costruisci un palazzo
senza rispettare la giustizia,
e alzi nuovi piani
in modo disonesto
perché costringi gli altri
a lavorare per te
e ti rifiuti di pagarli.
14Tu dici: 'Voglio costruirmi
un palazzo grandioso
con vasti saloni al piano superiore'.
Vi fai aprire grandi finestre,
rivesti i muri con legno di cedro
e lo fai dipingere di rosso.
15Ti illudi forse di essere un grande re
per i rivestimenti di cedro del tuo palazzo?
Tuo padre, Giosia, mangiava e beveva
come te,
ma agiva in modo giusto e onesto
e perciò tutto gli andava bene.
16Egli difendeva i diritti dei poveri
e tutti erano contenti.
In questo modo dimostrava
di conoscermi veramente.
17Tu, invece, guardi solo al tuo interesse
e studi il modo di uccidere gli innocenti
e di opprimere la gente con ferocia.
Questo ti dice il Signore.
18Ecco quel che dice il Signore riguardo a
Ioiakim re di Giuda figlio di Giosia:
'Nessuno piangerà la sua morte e dirà:
'È un grave lutto, fratello!
È un grave lutto, sorella!'.
Nessuno piangerà la sua morte e dirà:
'È un grave lutto, signore!
È un grave lutto, maestà!'.
19Trascineranno e getteranno il suo cadavere
fuori delle porte di Gerusalemme:
sarà sepolto come una bestia'.

PIO IX



L'elezione al Pontificato di Giovanni Maria Mastai Ferretti

 Gregorio XVI morì, a ottantun anni di età, il 1° giugno 1846, in seguito a un'improvvisa febbre reumatica. Sarebbe stato il suo successore il «Papa secondo i nostri bisogni» auspicato dalle sètte? Era quanto ci si chiedeva con preoccupazione nelle cancellerie europee, e si sperava con febbrile trepidazione nelle centrali rivoluzionarie, quando il mattino del 17 giugno 1846, dalla loggia del Quirinale, il cardinale protodiacono Tommaso Riario Sforza, al termine di un conclave straordinariamente breve 18, annunciò l'avvenuta elezione al soglio pontificio, con il nome di Pio IX, del cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti, vescovo di Imola 19.

Il nuovo eletto era nato a Senigallia il 12 maggio 1792 dal conte Girolamo Mastai Ferretti e da Caterina Solazzi. Dopo aver studiato presso gli scolopi di Volterra, era stato ordinato sacerdote il 19 aprile 1819. Aveva accompagnato come uditore mons. Giovanni Muzi, delegato apostolico presso le Repubbliche del Cile e del Perù, in un lungo e disagiato itinerario apostolico.

Era stato consacrato, quindi, il 3 giugno 1827, vescovo di Spoleto e aveva governato la città durante i moti insurrezionali del '31, seguendo una linea di moderazione e di pace. Gregorio XVI lo aveva poi trasferito, il 17 dicembre 1832, alla diocesi di Imola creandolo nello stesso tempo cardinale del titolo dei santi Pietro e Marcellino (1840). In questa qualità la sera del 14 giugno 1846 era entrato nel conclave da cui sarebbe uscito Papa.

«Era il Mastai - scrive mons. Balan, scolpendone il felice ritratto - uomo di singolare virtù, di vita piissima, d'innocenti costumi, d'indole mite e pietosa, ma ferma, esperto nelle cose politiche, conoscitore delle tristi condizioni della società, memore di vari rivolgimenti e delle arti settarie, dotto nelle discipline ecclesiastiche, eloquente, sobrio, temperato, bello della persona, gentile nei modi, lontano da ogni indebito favore a parenti, largo di soccorsi e di protezioni, affettuoso, singolarmente delicato di coscienza ed ambitissimo della Vergine Immacolata. Ma in tempi grossi di tempesta era divenuto papa» 20.

La solenne incoronazione fu fissata per la domenica 21 giugno, nella basilica di San Pietro gremita di folla. Quando il Papa si assise sul trono, fu eseguita l'antifona Corona aurea super caput eius e il cardinale Riario Sforza impose sulla testa di Pio IX il Triregno, simbolo del triplice ministero papale di supremo maestro, re e sacerdote. Le acclamazioni e le feste proseguirono fino a sera nella città illuminata e, a spese del principe Torlonia, furono accesi in Piazza del Popolo fuochi d'artificio. Stupirono le dimostrazioni di vibrante entusiasmo rivolte tuttavia, come qualcuno osservò, più alla persona di Pio IX che al Papa in quanto tale 21. Sulla cupola di San Pietro brillava fra l'oscurità della notte, un'immensa croce in cui, si disse, fin da quel giorno il Papa vide il contrassegno del suo pontificato 22.

Tra i più attenti osservatori degli avvenimenti era il conte Clemente Solaro della Margarita 23, da undici anni inascoltato ministro di Carlo Alberto, re di Sardegna, di cui cercava di frenare le simpatie rivoluzionarie. «Nell'istesso dì che ricevei la notizia del transito a miglior vita dell'immortale Gregorio - egli ricorda - dissi: dal suo successore dipendono le sorti di questo paese: guai se per poco Carlo Alberto trova incoraggiamento in un nuovo Papa alle sue idee, non sarà più in mio potere trattenerlo» 24. In un momento «in cui in tutta la penisola progrediva lo spirito di vertigine in modo che l'esplosione sembrava non lontana in uno o nell'altro degli Stati italiani», convinto che «il centro di tutte le mene e congiure» fosse «in Roma che esercitava tanta influenza in tutta la penisola», il conte della Margarita, con l'approvazione del sovrano, decise di recarvisi personalmente «per iscandagliar io stesso il precipizio, e quanto rischio fosse di cadervi» 25.

Arrivato nella città santa alla fine di agosto del 1846, il ministro piemontese incontrò il cardinale Gizzi 26, nominato qualche giorno prima all'alta carica di Segretario di Stato, e venne poi ricevuto dallo stesso pontefice. «Fui altamente commosso dalla bontà con cui mi accolse e compreso d'ammirazione pel Suo alto sentire, in quanto riguardava il compimento delle eccelse funzioni cui Dio l'aveva destinato e vidi essere suo intimo desiderio portare all'amministrazione dello Stato tutti quei rimedii che i tempi esigevano, ma essere risoluto a non lasciarsi strascinare più oltre. Pio IX mi parlò colla serena tranquillità di una retta coscienza della gravità delle circostanze in cui trovavasi l'Italia, e non nascondendo a sé stesso gli eventi cui s'andava incontro, si abbandonava in Dio, perché l'assistesse nel tempo della tempesta» 27.

La personalità del nuovo pontefice, i cui tratti fondamentali erano costituiti da una bontà e da un candore che potevano apparire debolezza e ingenuità; le tendenze riformatrici della sua famiglia; il fatto che in conclave fosse stato contrapposto all'intransigente cardinale Lambruschini 28 segretario di Stato di Gregorio XVI; soprattutto i primi gesti pubblici del pontificato potevano lasciar pensare che realmente potesse essere giunta l'ora del pontefice che avrebbe conciliato la Chiesa e la Rivoluzione. Una frenetica attività si dispiegò dopo il conclave per condizionare i primi gesti del Pontefice nella speranza di determinare, per la prima volta nella storia del Papato, una "svolta" politica e religiosa che avrebbe assunto il significato di una storica "apostasia".

Roberto De Mattei

CONSACRAZIONE AI CUORI DI GESU', MARIA E GIUSEPPE



Cuori dolcissimi di Gesù, Maria e Giuseppe, vi consacro interamente e per sempre il mio cuore con tutti i suoi desideri, affetti, progetti e decisioni. Vi dono tutto il mio cuore. Vi rendo signori e padroni di tutto ciò che io sono e possiedo: il mio corpo, la mia anima, le mie facoltà e i miei sensi, la mia vita e tutto il mio essere, le mie pene e le mie miserie, le mie fatiche e le mie sofferenze. Vostri sono il mio intelletto e la mia volontà, i miei occhi, le mie orecchie, la mia lingua, il mio cuore. Accettate la mia offerta e non permettete che mi separi da voi. Sia il mio cuore tutt'uno con il vostro. Aiutatemi, proteggetemi e difendetemi come cosa e proprietà vostra. Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l'anima mia.