(Gesù racconta dalla Croce)
Al Pretorio
e, per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità"
La parola "verità" fece presa nella mente di Pilato. Pensò fossi uno dei soliti filosofi che si illudevano di trasformare il mondo con il pensiero anzicchè
con la violenza. Così replicò: "Ma cos'è la Verità?", ma non aveva nessuna voglia di saperlo, perchè subito uscì fuori verso i Giudei offrendo loro la possibilità
di rendermi libero secondo l'usanza di rilasciare per la Pasqua un prigioniero. E così mi barattarono con Barabba, un ladro, finito in carcere per omicidio.
Pilato, lavatosi le mani dopo avermi fatto flagellare, mi ripresentò alla folla urlante. I suoi occhi mi seguirono mentre camminavo giù nel cortile del Pretorio.
Così fui ridotto ad un'intera piaga. Secondo la legge di Mosè avrebbero dovuto darmi quaranta colpi, anzi solitamente per riVerso le sei del mattino fui condotto
dal procuratore Ponzio Pilato che però, saputo che ero Galileo, mi mandò a sua volta da Erode Antipa, figlio di Erode il Grande.
Lì non risposi ad alcuna domanda. Non ne valeva la pena. Erode era un uomo molto frivolo ed era interessato a me solo per curiosità. Il mio silenzio lo fece montare
su tutte le furie e dopo avermi violentemente insultato mi rivestì, schernendomi, di un manto di porpora e mi rimandò da Pilato. Questi era un uomo di potere, datogli in prestito da Tiberio il quale lo avrebbe
destituito da lì a poco, ed aveva un carattere pusillamine. Pur riconoscendomi innocente, non ebbe il coraggio di proclamarlo per paura della folla, ma non ebbe neanche il coraggio di proclamarmi colpevole.
"Sei tu re dei Giudei?", mi chiese.
"Il mio regno non è di questo mondo", risposi, "ma è vero, sono re, ma nel senso ultraterreno, così come è scritto nei libri sacri".
La mia voce era molto pacata e da questo Pilato si rese conto che non aveva a che fare con un agitatore politico.
Continuai: "Si, sono rmanere dentro la legge ne davano uno in meno, con una frusta formata con corde di cuoio che avevano alle estremità sfere di metallo e punte ad
uncino, chiamata "flagrum". Ma a me ne diedero molti di più e non contenti di ciò mi posero sul capo un serto di spine ricavato da sterpi di pimpinella che i soldati avevano messi da parte per accendere
il fuoco durante le veglie. Colpendo con un bastone procurarono di farmela aderire attorno alla testa, soprattutto nella parte frontale. Così, quale cencio umano, Pilato ordinò che fossi condotto innanzi al popolo.
Per un attimo a tale vista la folla rimase smarrita e come uno scemare di tempesta ci fù un grande silenzio. Cercai con lo sguardo un volto amico, qualcuno che pur non potendomi
salvare dalla morte mi dicesse: "Gesù, figlio di Maria e del Dio di Abramo, ti amo e credo in te", e invece udii solo la voce di Pilato: "Ecco, questo è l'uomo, in lui non ho trovato nessuna
colpa".
Ero sfinito, per farmi coraggio ripensai a tutti gli uomini amati dal Padre, ritornare a Lui, a tutti questi fratelli legati a me dal patto della nuova ed eterna alleanza. Per questo
in fondo sono venuto: perchè il mio corpo si facesse via attraverso la quale poter tornare a casa.
Ad un tratto mi sentii osservato. Una donna avvolta in uno scialle scuro lasciava intravvedere due grandi occhi che il pianto aveva reso simili a due laghi dalle acque profonde
e cristalline.
Nessuno la riconobbe, ma io sì. Era Maria, quella soprannominata "La peccatrice". "Signore, so che muori per i miei peccati", mi diceva il suo cuore,
"ma prima di te nessuno mi aveva amata per amore. D'ora in poi non potrò più vivere se non per amore, l'Amore che sei tu" .
La guardai e risposi col mio cuore al suo messaggio: "Guardami donna, muoio per dare a tutti gli uomini ciò che ho dato a te: il perdono e la vita eterna; consolati,
il tuo fiume d'amore d'ora in poi troverà il suo letto per sfociare infine nel grande mare della mia Misericordia".
Le urla dei sommi Sacerdoti mi scossero: "Crocifiggilo, crocifiggilo", e da lì a poco tutta la folla gridò così.
I soldati si avvicinarono e Pilato mi consegnò a loro. Mi legarono il patibolo sulle spalle, mi appesero al collo il cartello che indicava il motivo della condanna e mi spinsero
insieme ad altri due condannati per le vie della città in direzione del Calvario.
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