1849-1861: TRA RIVOLUZIONE E RESTAURAZIONE
La "Repubblica Romana" del 1849
La prima delle numerose scomuniche 7 che nello spazio di un trentennio colpiranno gli artefici del "Risorgimento" apre il 1849. Pio IX la commina il 1 gennaio contro tutti coloro che avrebbero partecipato alle elezioni annunciate dal Governo
provvisorio per eleggere a Roma un'Assemblea costituente 8.
Quando la notizia della scomunica giunge nell'urbe, una folla arringata da Ciceruacchio si riunisce in piazza del Popolo e forma lungo via del Corso una processione tumultuante.
In testa una croce coperta di un drappo nero, con le insegne dei cardinali e del Papa, seguita dai capi dei circoli romani disposti su due file, che alternano il canto del De Profundis e del Miserere con improperi e bestemmie. Giunti all'altezza di via Frattina i dimostranti si inginocchiano
davanti a una cloaca pubblica e, intonando il Libera me Domine, gettano nel canale un esemplare del motu proprio del 1° gennaio, apponendovi la scritta Deposito della Scomunica 9.
Circa duecentomila votanti su una popolazione di tre milioni di cittadini, partecipano, in un clima di euforia, alle elezioni del 21 e 22 gennaio 10 eleggendo duecento deputati. L'articolo 1 del decreto della nuova Assemblea costituente votato nella notte tra l'8 e il 9 febbraio 1849, dichiara il Papato «decaduto
di fatto e di diritto dal governo temporale dello Stato romano» e, nell'articolo 3, stabilisce che «la forma del governo dello Stato romano sarà la democrazia pura e prenderà il glorioso nome
di Repubblica Romana» 11. Portato a spalle dal suo aiutante di campo Ignacio Bueno, per un attacco reumatico che lo immobilizza, fa il suo ingresso nella sala
dell'Assemblea il deputato Giuseppe Garibaldi. «Lì, liberamente, nell'aula stessa ove si adunavano i vecchi tribuni della Roma dei grandi - egli ricorderà eravamo adunati noi (...). E la
fatidica voce di Repubblica risuonava nell'augusto recinto, come nel dì che ne furono cacciati i re per sempre!» 12.
Il 14 dello stesso mese Pio IX, di fronte ai membri del Sacro Collegio e ai rappresentanti diplomatici, eleva la più ferma protesta contro l'atto che «si
presenta al cospetto del mondo col molteplice carattere della ingiustizia, della ingratitudine, della stoltezza e della empietà» 13 e ne dichiara la nullità, come per ogni provvedimento della «sedicente Assemblea Costituente Romana».
Il 12 febbraio l'Assemblea ha conferito la cittadinanza romana a Giuseppe Mazzini, assumendo negli atti pubblici il suo motto «Dio e popolo». Il 5 marzo il profeta
della Rivoluzione giunge a Roma, accolto da una turba osannante, annunciando che «dopo la Roma degl'imperatori, dopo la Roma dei Papi, verrà la Roma del popolo» 14 e «una nuova epoca sorge, la quale non ammette il cristianesimo, né riconosce l'antica autorità» 15. Il 29 marzo Mazzini viene eletto Triumviro della Repubblica Romana, associando alla sua dittatura sull'urbe Carlo Armellini e Aurelio Samo
I primi atti del governo repubblicano consistono nel dichiarare "beni nazionali" tutte le proprietà ecclesiastiche e i beni della Chiesa 16. Mentre la Costituente decreta la libertà religiosa e invita il popolo alla preghiera per la vittoria repubblicana, iniziano le occupazioni di conventi, le profanazioni
delle chiese, i massacri di sacerdoti 17, secondo il modello tipico di ogni Rivoluzione. Contro il clero e i fedeli al Papato sorgono in questo periodo nello Stato
Pontificio sètte dai lugubri titoli: la Compagnia della morte in Ancona, la Società degli Ammazzatori a Livorno, la Compagnia de' sicarii di Faenza, la Compagnia infernale di Senigallia 18.
A questo piano Pio IX contrappone un programma che, prima di tradursi nei grandi atti del suo pontificato, ha un documento fondamentale nella allocuzione Quibus quantisque 19, pubblicata a Gaeta il 20 aprile 1849.
«Quest'atto - osserva lo Spada - è il compendio di tutti gli avvenimenti più importanti del pontificato (nei primi due anni), l'enunciazione delle intenzioni
primitive che lo dominarono e degli inganni subiti per opera di un partito ch'egli credette col perdono di correggere e di ammansire» 20.
Nella prima parte del documento il Papa difende il suo operato, elencando tutte le riforme, fallite per colpa dei faziosi, e ripercorre gli eventi dall'inizio del pontificato
fino alla Repubblica Romana che presenta con queste parole accorate: «Chi non sa che la città di Roma, sede principale della Chiesa cattolica, è ora divenuta ahi! una selva di bestie frementi, ridondante
di uomini d'ogni nazione, i quali o apostati, o eretici, o maestri, come si dicono, del Comunismo, o del Socialismo, ed animati dal più terribile odio contro la verità cattolica, sia con la voce, sia con
gli scritti, sia in qualsivoglia altro modo, si studiano con ogni sforzo d'insegnare e disseminare pestiferi errori di ogni genere e di corrompere il cuore e l'animo di tutti, affinché in Roma stessa, se fosse
possibile, si guasti la santità della Religione cattolica, e la irreformabile regola della fede?» 21.
L'allocuzione prosegue ricordando gli aiuti richiesti dal Papa a tutte le nazioni di fronte alle macchinazioni della Massoneria e delle società segrete, smentendo esplicitamente
le calunnie di una sua affiliazione alle «sette di perdizione», le quali «con la nostra suprema apostolica autorità torniamo a condannare, a proibire, a proscrivere» 22.
La Quibus quantisque, che sarà richiamata per tre volte nel Sillabo, contiene un'esplicita condanna dei principi del liberalismo e prelude all'abolizione dello Statuto. Dopo poco più di un mese, la sera del 9 giugno, Rosmini
incontra il Pontefice a Gaeta. Pio IX, che un anno prima a Roma gli aveva ventilato le prospettive del cardinalato e della segreteria di Stato, gli concede ora un'udienza breve e fredda. «Ella mi trova anticostituzionale»
dichiara apertamente e, di fronte alle insistenze di Rosmini, replica categoricamente che la costituzione è inconciliabile col governo della Chiesa e che, «quando una cosa è intrinsecamente cattiva, non
si può fare con essa nessun patto, seguisse quel che ne segua» 23. Il 30 marzo 1849 la congregazione dell'Indice, riunita dietro richiesta di Pio IX, condannava Il Gesuita moderno di Gioberti e contemporaneamente due opuscoli nei quali il Rosmini aveva esposto i suoi progetti
di riforma e un opuscolo del padre Ventura. «Ecco - gemeva quest'ultimo - in Italia c'erano tre preti riformatori, ed eccoci tutti e tre condannati!» 24.
L'opinione pubblica cattolica nel mondo apprese con sgomento quanto accadeva nella Città Santa e iniziò a premere sui diversi governi per un intervento militare
che restaurasse l'autorità pontificia. Per discutere questa possibilità, si aprì il 30 marzo a Gaeta una conferenza internazionale con la partecipazione dei plenipotenziari di Austria, Regno di Napoli,
Spagna e Francia 25. Il 23 marzo, intanto, sconfitto dagli austriaci a Novara, Carlo Alberto aveva visto svanire le sue speranze di unificare l'Italia e, deposta
la corona, si era ritirato ad Oporto in Portogallo, dove morì il 28 luglio di quello stesso anno. La sua disfatta accelerò le conclusioni della conferenza di Gaeta che si chiuse il 22 settembre.
Le parole di Donoso Cortés al Parlamento spagnolo sembravano interpretare la voce dell'opinione pubblica europea: «Io mi proposi di parlar francamente, e così
parlerò. Io affermo necessario, o che il Sovrano di Roma ritorni a Roma, o che più non vi rimanga pietra sopra pietra. Il mondo cattolico non può consentire, e non consentirà giammai, alla distruzione
virtuale del cristianesimo, per una sola città in balìa di pazzi frenetici. L'Europa civile non può consentire e non consentirà mai che crolli il culmine della Civiltà europea. Il mondo
non può consentire, e non consentirà mai, che nella insensata città di Roma si compia l'avvenimento al trono di una nuova e strana dinastia, la dinastia del delitto. (...) Le Assemblee costituenti,
che possono esistere ovunque, non lo possono in Roma; a Roma non può esservi potere costituente, al di fuori del potere costituito. Roma e gli Stati Pontifici non appartengono a Roma, non appartengono al Papa; appartengono
al mondo cattolico» 26.
Spinto dall'opinione pubblica cattolica francese e dal desiderio di precedere l'intervento austriaco, Luigi Napoleone Bonaparte, l'antico congiurato che il 10 dicembre
1848 era assurto alla presidenza della Repubblica francese, decise di inviare un contingente di truppe al comando del generale Oudinot. Questi, sbarcato a Civitavecchia il 24 aprile, avanzò su Roma, mentre gli austriaci
invadevano Bologna, le Legazioni, Ancona e le Marche e mentre le truppe spagnole sbarcavano a Fiumicino. Il primo attacco dell'Oudinot, il 30 aprile, venne respinto, suscitando l'euforia dei repubblicani romani. Ma
dopo il fallimento delle trattative di pace avviate dai "Triumviri" con l'inviato francese de Lesseps, la città fu investita all'inizio di giugno da una nuova offensiva. Malgrado la resistenza accanita
dei repubblicani, Roma venne riconquistata dal generale francese. Mazzini si spogliò della sua carica di triumviro e con un passaporto offerto gli dagli Stati Uniti, abbandonò frettolosamente la città.
Anche Garibaldi, senza aspettare l'ingresso dei francesi, il 2 luglio fuggì da Roma con i suoi seguaci. La Costituente si sciolse la mattina del 3 luglio, ma prima proclamò solennemente sul Campidoglio l'avvenuta
Costituzione della Repubblica Romana, affermando che «la sovranità è per diritto eterna nel popolo» e che «il regime democratico ha per regola l'eguaglianza, la libertà, la fraternità»
27.
Il 15 luglio il generale Oudinot entrò con l'esercito francese e romano nella basilica di San Pietro dove il cardinal Castracane intonò con il popolo il Te Deum di ringraziamento. Nel medesimo giorno venne issata a Castel Sant'Angelo e sulla Torre del Campidoglio la bandiera pontificia e centouno colpi di cannone annunziarono
il ristabilimento della legittima autorità del Papa. Mazzini e Garibaldi, i due principali protagonisti dell'esperimento repubblicano, non erano stati però catturati e uscivano dall'impresa con un'aureola
di gloria che li avrebbe accompagnati negli anni successivi.
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