IL SOVRANO DI ROMA
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Pio V sapeva purtroppo che le sue leggi sull'igiene morale avrebbero provocato le celie dei critici di mestiere, ma vigilava attentamente, perché nessuno potesse criticare la sua persona. E d'altra parte conosceva, meglio di qualunque altro, quello che la Riforma rinfacciava al papato.
Le sue relazioni inquisitoriali coi novatori, gli avevano dato agio di udire dei lamenti, e tra questi lamenti affioravano delle accuse contro la Roma paganeggiante. L'affettata onestà dei novatori ricusava di riconoscere la nota cristiana nell'arte contemporanea, che con un culto esagerato della mitologia escludeva quasi la Bibbia.
Che in queste accuse vi fossero delle esagerazioni, lo confessa lo stesso Carlo Villers piuttosto tenero per i protestanti: “È fuori dubbio che la Riforma non fu affatto favorevole alle arti, e ne restrinse notevolmente l'esercizio” 3 . Vi erano però cattolici che in questo la pensavano come i protestanti. Anzi, non solo Andrea Gilli da Fabbiano aveva nel 1564 discusso il valore morale e religioso degli affreschi del Vaticano 4 , ma uomini senza credito come l'Aretino disapprovarono le strane nudità del Giudizio Universale, con grande sorpresa di Michelangelo 5 .
Nessuna meraviglia perciò, se Pio V abbia apertamente manifestato la sua avversione per l'indirizzo dato dal Rinascimento, nel quale più che un perfezionamento del gusto artistico vedeva un'occasione di licenza. Inoltre, le agitazioni di quei tempi richiedevano ben altre cure. Alle molli dolcezze delle gioie artistiche succedeva la febbre delle lotte.
Era necessario istruire, moralizzare; e non si poteva meglio raggiungere lo scopo, che col proscrivere il sensualismo gaudente e far ritorno a quella gravità, quasi velata di malinconia, che non s'era più vista dai tempi di Dante 6 . Si aggiunga che l'organizzazione della Lega antimusulmana assorbiva le entrate del tesoro, e la formazione degli eserciti e delle flotte che avrebbero trionfato a Lepanto costringevano il Papa a non far più da mecenate, e a romperla colle tradizioni sontuose di Sisto IV e di Leone X.
Già Paolo IV s'era sforzato di reagire; ma i suoi nipoti, arricchitisi straordinariamente in poco tempo, si guardarono bene dall'imitarlo, e i cardinali che appartenevano a famiglia nobile fecero altrettanto. Pio IV poi, degno in ciò delle tradizioni medicee, cominciò a manifestare indulgenza verso gli artisti fiorentini e fece costruire nei giardini vaticani un villino da richiamare la grazia di Raffaello.
Pio V non ebbe riguardo alcuno, né volle dare ansa ai critici maligni di poter trovarlo in contraddizione con se stesso, col paragonare ironicamente la sua severità verso le persone e la sua tolleranza interessata verso le statue del Vaticano.
Fece disperdere le opere del Belvedere, donandone la maggior parte al popolo romano, che andò cosi formando il museo capitolino. Il gesto fu audace; e Pio V da prima lodato, fu in seguito molte volte criticato. I senatori, in segno di gratitudine, decretarono che ogni anno il 17 gennaio, anniversario della nascita del S. Padre, i conservatori del Campidoglio si recassero alla chiesa della Minerva per l'offerta d'un calice prezioso.
Come doveva naturalmente attendersi, gli edifici fatti costruire da Pio V dovevano essere destinati a utilità pratiche. Non palazzi né monumenti di lusso; ma chiese, conventi e specialmente collegi. Furono conservati i sussidi annuali per la basilica di S. Pietro, e fu fatto venire da Firenze il Vasari per decorare San Giovanni in Laterano; ma vennero scartati i disegni grandiosi del Bramante per il palazzo vaticano 7 , e furono erette delle abitazioni modeste per i prelati che per ragioni d'ufficio dovevano risiedere presso il Papa. Fu edificata una cappella per la guardia svizzera e il palazzo del S. Ufficio,
La moderazione voluta da Pio V negli architetti e nel pittori non significava indigenza o piccineria. Quand'egli voleva, sapeva fare il grande; l'apparato, per il ricevimento degli ambasciatori, la ricchezza degli uffici papali e l'entrata trionfale di Marc'Antonio Colonna, vincitore di Lepanto, testimoniarono assai bene, che non rifuggiva dagli splendori del passato per mancanza d'esercizio o per difetto di gusto.
Ma pensando che nei giorni della prova bisogna conservare semplicità in ogni cosa, volle bandire l'eleganza e il manierismo, e cercare nella potenza e nella religione le grandi ispirazioni veramente degne del papato.
Si scostava cosi dallo spirito del Rinascimento, e faceva rivivere lo spirito del Medioevo. Mentre gli architetti italiani consacravano i loro sforzi a decorare e arricchire le chiese per destare l'ammirazione dei fedeli, e dar loro, presso il tabernacolo, una sensazione di ricchezze e felicità celesti, gli antichi maestri in pietra viva concepivano le cattedrali come dei santuari di raccoglimento, ove l'uomo sente il bisogno di umiliarsi nell'adorazione e piangere le sue colpe.
Questo fu il pensiero di Pio V e degli artisti presi al suo servizio, Se ne può avere una prova nel frontespizio dell'opera del Milizia: Vite dei più celebri architetti, precedute da un saggio dell' architettura. L'autore fece imprimere da una parte ciò ch'è degno di lode, dall'altra ciò ch'è degno di biasimo: hoc amet, hoc spernat. E tra i monumenti votati alla critica, egli condanna allo stesso disprezzo una chiesa gotica e una chiesa della Controriforma 8 .
Non si può negare che gli architetti, per corrispondere alle idee del Papa, siano caduti talvolta in una semplicità alquanto esagerata. Come il Vignola, o il Della Porta al Gesù 9 (1568) e a S. Anna dei Palafrenieri (1572), essi, contentandosi della maestà dei muri ornati d'un debole sporto di pilastri, eliminarono in omaggio al pensiero cristiano gli abbellimenti, e diedero volentieri alle loro opere un'impronta d'austerità monacale; ma non poterono evitare la durezza e la freddezza. E' però vero, che sui nudi muri non si tardò a dipingere, come nei primi tempi, scene edificanti del Vangelo e della Bibbia, e lo stesso Pio V indicò ai pittori i soggetti, a cui dovevano ispirarsi.
Dopo Giotto, non vi fu forse un tempo, in cui affreschi e tele abbiano rispecchiata meglio di allora l'idea cristiana. La morte di Pio IV aveva fatto interrompere le pitture della Sala Regia, che vennero riprese dallo Zuccari, dal Vasari e da Lorenzo Sabatini, i quali vi dipinsero la battaglia di Lepanto e la vittoria dei cristiani sui turchi. Cosi pure nelle incisioni delle medaglie furono abbandonati i soggetti preferiti. Mentre sotto Paolo III, Giulio III e Pio IV si abbondava in reminiscenze mitologiche, con una Minerva o un Atlante nell'atto di sostenere il globo, Bonzagna, Rossi e Leone Leoni ebbero ordine da Pio V di imprimervi iscrizioni di questo genere: Hodie in terra canunt Angeli, Impera, Domine, et fac tranquillitatem; Dextera Domini fecil virtutem, che dovevano orientare alla loro immaginazione la giusta via, e ispirare il loro gusto artistico 10 .
Per poter giudicare quanta efficacia abbia esercitato sulle arti quest'impulso dato dal Papa, basta ricordare come nel 1570 il Molanus nella sua opera De picturis et imaginibus sacris parlasse dei soggetti profani, e come circa dieci anni dopo l'Ammanati, “lo scultore voluttuoso” delle fontane della Signoria di Firenze, si scusasse presso 1'Accademia di Belle Arti dello scandalo che le nudità dei suoi lavori potevano produrre.
Si paragonino del resto l'Orlando furioso (1516) o l'epopea di Giron le courtois con la Gerusalemme liberata, e si vedrà subito nella diversità dell'ispirazione e del carattere il cammino percorso.
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Card. GIORGIO GRENTE
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