domenica 13 settembre 2020

I Dieci Comandamenti



Alla luce delle Rivelazioni a Maria Valtorta


Il sesto Comandamento: “Non commettere atti impuri”. 


6.2 Le catechesi all’Acqua Speciosa: “Non fornicare”. 

***
Molti vanno via verso il paese. Altri entrano nello stanzone.  
Gesù va verso i malati e li risana.  
Un gruppo di uomini parlotta in un angolo; divisi fra diverse tendenze, gesticolano e si accalorano. Alcuni sono accusatori di Gesù, altri difensori, altri ancora esortano questi e quelli a più maturo giudizio. Infine i più accaniti, forse perché pochi rispetto agli altri due gruppi, prendono una via di mezzo. Vanno da Pietro, che insieme a Simone trasporta le barelle ormai inutili di tre miracolati, e lo assalgono prepotenti dentro allo stanzone mutato in foresteria dei pellegrini.  
Dicono: «Uomo di Galilea, ascolta».  
Pietro si volta e li guarda come bestie rare. Non parla, ma il suo viso è un poema. Simone getta solo un'occhiata ai cinque energumeni e poi esce, lasciando tutti in asso. Uno dei cinque riprende: «Io sono Samuele, lo scriba; costui è l'altro scriba Sadoch; e questo è il giudeo Eleazaro, molto noto e potente; e questo l'illustre anziano Callascebona; e questo, infine, Nahum. Capisci? Nahum!», e il tono è addirittura enfatico.  
Pietro fa un lieve inchino ad ogni nome, ma all'ultimo resta a mezza via, e dice, con la massima indifferenza: «Non so. Mai sentito. E... non capisco niente».  
«Rozzo pescatore! Sappi che è il fiduciario di Anna!».  
«Non conosco Anna; ossia conosco molte donne di nome Anna. Ce ne è una fungaia anche a Cafarnao. Ma non so di che Anna costui è fiduciario».  
«Costui? A me si dice: "costui"?».  
«Ma cosa vuoi che ti dica? Asino o uccello? Quando andavo a scuola mi ha insegnato il maestro a dire "costui" parlando di un uomo e, se non ho le traveggole, tu sei un uomo». 
L'uomo si dimena come fosse torturato da quelle parole. L'altro, il primo che ha parlato, spiega: «Ma Anna è il suocero di Caifa…»  
«Aaaah!... Capito!!! Ebbene?».  
«Ebbene, sappi che noi siamo sdegnati!».  
«Di che? Del tempo? Anche io. È la terza volta che mi cambio veste e ora non ho più nulla di asciutto».  
«Ma non fare lo stolto!».  
«Stolto? È verità. Se non siete sdegnati del tempo, di che allora? Dei romani?».  
«Del tuo Maestro! Del falso profeta».  
«Ehi! caro Samuele! Bada che mi sveglio, e sono come il lago. Dalla bonaccia alla tempesta non ci tengo che un attimo. Guarda come parli...».  
Sono entrati anche i figli di Zebedeo e di Alfeo, e con loro l'Iscariota e Simone, e si stringono a Pietro che alza sempre più la voce.  
«Tu non toccherai con le tue mani plebee i grandi di Sionne!».  
«Oh! che bei signorini! E voi non toccatemi il Maestro, perché altrimenti volate nel pozzo, subito, a purificarvi per davvero, di dentro e di fuori».  
«Faccio osservare ai dotti del Tempio che la casa è dominio privato», dice pacato Simone. 
E l'Iscariota rincara: «e che il Maestro, io ne sono mallevadore, ha sempre avuto per la casa altrui, prima fra tutte la Casa del Signore, il massimo rispetto. Sia usato uguale verso la sua».  
«Tu taci, verme subdolo».  
«Subdolo in quanto! Mi avete fatto schifo e sono venuto dove schifo non è. E voglia Dio che essere stato con voi non mi abbia corrotto fino nel fondo!».  
«Breve: che volete?», chiede asciutto Giacomo di Alfeo.  
«E tu chi sei?». 
« Sono Giacomo di Alfeo, e Alfeo di Giacobbe, e Giacobbe di Matan, e Matan di Eleazai 97 ; e se vuoi ti dico tutta l'ascendenza sino a re Davide da cui vengo. E cugino sono del Messia. Per cui ti prego di parlare con me, di stirpe reale e di razza giudea, se alla tua alterigia è schifo parlare con un onesto israelita che conosce Dio meglio di Gamaliele e Caifa. Andiamo. Parla».  
«Il tuo Maestro e parente si fa seguire dalle prostitute. Quella velata è una di esse. L'ho vista mentre vendeva dell'oro. E l'ho riconosciuta. È l'amante fuggita a Sciammai. Questo lo disonora».  
«Chi? A Sciammai il rabbino? Allora deve essere una vecchia carcassa. Fuori pericolo perciò...», motteggia l'Iscariota.  
«Taci, folle! A Sciammai di Elchi, il prediletto di Erode».  
«Toh! Toh! Segno che non lo predilige più, lei, il prediletto. È lei che deve andare in letto con lui. Non te. Perché te la prendi, allora?». Giuda di Keriot è ironico al sommo.  
«Uomo, non pensi di disonorarti facendo la spia?», chiede Giuda di Alfeo.  
«E non pensi che si disonora colui che si abbassa a peccare, non colui che cerca alzare il peccatore? Che disonore ne viene al mio Maestro e fratello se Egli, parlando, spinge la voce sino alle orecchie profanate dalla bava dei lussuriosi di Sionne?».  
«La voce? Ah! Ah! Ha  trent'anni il tuo Maestro e cugino, e non è che più ipocrita degli altri! E tu, e voi tutti, dormite sodo la notte...».  
«Impudente rettile! Fuori di qui o ti strozzo», urla Pietro e a lui fanno eco Giacomo e Giovanni, mentre Simone si limita a dire: «Vergogna! La tua ipocrisia è tanto grande che rigurgita e trabocca, e sbavi come un lumacone sul fiore puro. Esci e divieni uomo, perché per ora non sei che una bava. Ti riconosco, Samuele. Sei sempre lo stesso cuore. Dio ti perdoni. Ma va' via dal mio cospetto».  
Ma mentre il Keriot con Giacomo di Alfeo tengono il bollente Pietro, Giuda Taddeo, che nell'atto assomiglia più che mai al Cugino, di cui ora ha lo stesso balenare azzurro nello sguardo e l'imponenza nell'espressione, tuona: «Disonora se stesso chi l'innocente disonora. L'occhio e la lingua li ha fatti Dio per compiere opere sante. Il malèdico li profana e avvilisce, facendo loro compiere opere malvagie. Io non sporcherò me stesso con atto villano contro la tua canizie. Ma ti ricordo che i malvagi odiano l'uomo integro e che lo stolto sfoga il suo malanimo senza neppur più riflettere che si tradisce. Chi vive nelle tenebre scambia per rettile il ramo fiorito. Ma chi vive nella luce vede le cose come esse sono e le difende, se denigrate, per amore alla giustizia. Noi viviamo nella luce. Siamo la generazione casta e bella dei figli della luce, e il Duce nostro è il Santo che non conosce donna né peccato. Noi Lui seguiamo e lo difendiamo dai suoi nemici, per i quali, come Lui ci ha insegnato, abbiamo non odio ma preghiera. Impara, o vecchio, da un giovane, divenuto maturo perché la Sapienza gli è maestra, a non essere lesto nel parlare e buono a nulla nell'operare il bene. Vai. E riporta a chi ti ha mandato che non nella profanata casa che è sul monte Moria, ma in questa povera dimora riposa Dio sulla sua gloria. Addio».  
I cinque non osano ribattere e se ne vanno.  
I discepoli si consultano. Dirlo o non dirlo a Gesù, che è ancora coi malati guariti? Dirlo. È meglio così.  
Lo raggiungono, lo chiamano e lo dicono. Gesù sorride calmo e risponde: «Vi ringrazio della difesa... ma che ci volete fare? Ognuno dà ciò che ha». 
«Però un poco ragione l'hanno. Gli occhi sono nella testa per vedere e molti vedono. Lei è sempre lì fuori, come un cane. Ti nuoce», dicono in diversi.  
«Lasciatela stare. Non sarà lei la pietra che mi colpirà sul capo. E se lei si salva... oh! Vale bene la pena di una critica per questa gioia!».  
Tutto ha fine su questa dolce risposta.  
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a cura del Team Neval 

Riflessioni di Giovanna Busolini 

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