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Nel cuore di S. Pio V più che la giustizia poteva la carità. Le testimonianze a questo riguardo abbondano, e sono decisive, commoventi. Tutta Roma era veramente edificata nel vedere nel Giovedì Santo il Papa lavare e baciare rispettosamente i piedi a dodici poveri, senza che le loro ulceri destassero in lui alcuna ripugnanza.
Visitava volentieri gli ospedali; all'ospedale di Santo Spirito donò duemila scudi, e non giudicava cosa indegna d'un Papa pigliarsi cura degli ammalati, esortare alla rassegnazione i moribondi, e alleggerire la sorte dei ricoverati con generose elemosine. Nella bolla d'istituzione dei Fratelli di S. Giovanni di Dio chiama i poveri “poveri di Cristo”, e per poterli soccorrere prega i novelli religiosi di fondare un ospizio a Roma.
Questa sua carità diventava più ardente e generosa nell'occasione di pubblici flagelli. La carestia del 1566, elevando il prezzo delle derrate, aveva ridotta la popolazione alla fame. Il Papa fece copiose provvigioni di frumento in Francia e in Sicilia, e lo distribuì a bassissimo prezzo, quantunque il suo tesoriere gridasse allo sperpero. E avendo saputo che certi speculatori coi loro trust antelitteram provocavano la penuria di viveri, li obbligò a vendere le riserve a prezzo ragionevole.
La denutrizione produsse nel 1566 e 1568 varie epidemie, che decimarono soprattutto la classe povera. Migliaia di famiglie, prive di cure e di cibo, giacevano abbandonate. Pio V affidò ai cardinali Gambara ed Amulio e a dodici gentiluomini la missione di distribuire somme considerevoli per i casi più urgenti, ed egli stesso con S. Francesco Borgia 11 volle organizzare il servizio sanitario. Con uguale spirito di carità dotò il monastero di S. Caterina, destinato a raccogliere ed educare le fanciulle povere, e aperse in diversi quartieri della città delle scuole gratuite per l'istruzione dei figli del popolo.
Per far fronte a tante spese Pio V non ricorse, come qualcuno gli suggeriva, a mezzi che, se possono essere scusati dall'intenzione, non possono però essere giustificati. Ben lontano dall'accettare aiuto dai capitalisti, ch'egli conosceva inclinati a spremere il popolo, e meno ancora ad acconsentire ad alienazioni, dietro rimborso, di benefici e prebende, si mostrava addolorato che gli venissero suggerite simili misure, o che si potesse credere ch'egli in qualche modo vi potesse acconsentire. Ma prelevava il denaro necessario a tante liberalità, da un'attenta amministrazione, ed evitando le spese superflue.
Ai Papi-gran signori, che davano alla corte pontificia una nomina di sontuosità che risuonava in tutta Europa, era succeduto un Papa-monaco, desideroso di conciliare la maestà regale con le abitudini conventuali. Sotto i vestiti richiesti dall'etichetta portava la tonaca domenicana di grossa lana. In questo punto seppe dimenticare talmente se stesso, che fece adattare alla propria persona le vesti del suo predecessore, e volle che dai suoi appartamenti privati fosse esclusa qualsiasi comodità. Dormiva spesso vestito su un letto da campo, per poter più facilmente durante la notte attendere alla preghiera.
La frugalità della sua tavola faceva stupire i contemporanei, e non si spendeva quotidianamente per suo uso più d'un “testone italiano”, circa diciassette soldi francesi. E siccome sapeva che i maligni avevano falsamente accusato Paolo IV di assaporare gelosamente il magnaguerra e di bere volentieri “il forte vino nero del Vesuvio” 12 , non volle bere che acqua, a cui mescolò verso la fine della sua vita qualche goccia di vino, tanto per obbedire agli ordini reiterati dei medici. Ma considerò questa piccola condiscendenza come un atto di debolezza verso se stesso e minacciò di licenziare un domestico, il quale, per sostenere le forze visibilmente indebolite del Papa, ne aveva un giorno aumentato alquanto la dose.
Questo genere di vita senza alcun esteriore apparato e tanto mortificata divenne la regola nel suo palazzo. Tutto ciò che aveva apparenza di lusso disparve. “Il Papa, scriveva il 2 novembre 1566 San Francesco Borgia al cardo d'Hozius, essendo entrato nell'appartamento del card. Alessandrino e avendo veduto sul suo letto una tendina di seta, non poté trattenersi dall'esclamare: Quid tibi, pauperi monacho, cum huiusmodi ornatu? Il cardinale gli fece notare che era stata collocata dal maggiordomo senza il suo permesso. Ma il Papa volle che fosse subito rimossa. Egli, senza dare ordini, mostra molto bene come la pensi”.
Metà della servitù della corte pontificia fu congedata e il numero delle guardie fu assai ridotto. Il tesoro si trovava oppresso dalle spese di molte cariche avventizie; un controllo esatto fece abbassare le paghe stabilite per certi impieghi.
Allorché Annibale Altemps rivendicò i centomila scudi che Pio IV, suo zio, nonostante le rimostranze dell' Alessandrino, gli aveva assegnato sulla Camera Apostolica, Pio V gli fece cortesemente osservare che tale munificenza era di aggravio alla Santa Sede, e che non poteva approvarla senza sentire un intimo rimorso di coscienza. Ma, per rispetto alla memoria del suo predecessore, venne a una transazione e consenti che gliene fossero consegnati cinquantamila.
Card. GIORGIO GRENTE
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