venerdì 15 gennaio 2021

Abbattere la liturgia

 


La Battaglia  Finale del Diavolo

Prima del Vaticano II i Papi avevano difeso unanimemente, contro  l’innovazione, l’antica liturgia Latina della Chiesa, riconoscendo  all’immutabile lingua Latina la funzione di baluardo contro le eresie,  come insegnò Papa Pio XII nella sua monumentale enciclica sulla  liturgia Mediator Dei. In effetti, i “riformatori” Protestanti del 16° secolo  odiavano con tutte le loro forze proprio la Messa Cattolica tradizionale  in Latino, cioè la liturgia Gregoriana che era stata il cuore della vita  della Chiesa sin dal 4° secolo (e probabilmente da prima ancora), fino  alla “riforma” liturgica di Papa Paolo VI, avvenuta nel 1969.

Per comprendere questo desiderio di distruggere, questa voglia di  abbattere gli antichi bastioni, non vi sono parole più adatte di quelle  usate da Papa Paolo VI per spiegare la sua decisione di cancellare  la Messa tradizionale in Latino, a distanza di più di 1500 anni dalla  sua introduzione, rimpiazzandola con un nuovo strano rito in lingua  parlata – un’azione assolutamente senza precedenti e che i predecessori  di Paolo VI avrebbero considerato del tutto impensabile:

 Qui, è chiaro, sarà avvertita la maggiore novità: quella  della lingua. Non più il latino sarà il linguaggio principale della  Messa, ma la lingua parlata. Per chi sa la bellezza, la potenza, la sacralità espressiva del latino, certamente la sostituzione  della lingua volgare è un grande sacrificio: perdiamo la loquela dei secoli cristiani, diventiamo quasi intrusi e profani nel recinto  letterario dell’espressione sacra, e così perderemo grande parte di  quello stupendo e incomparabile fatto artistico e spirituale, ch’è il canto gregoriano. Abbiamo, sì, ragione di rammaricarci, e quasi di smarrirci: che cosa sostituiremo a questa lingua angelica? È un  sacrificio d’inestimabile prezzo. E per quale ragione? Che cosa vale di più di questi altissimi valori della nostra Chiesa?

Esattamente, cosa può esservi mai di più prezioso di questi “altissimi  valori della nostra Chiesa”? Secondo Paolo VI è più prezioso essere  apprezzati “dall’uomo moderno”, il quale è visto probabilmente dal  Papa come ottuso ed incapace di comprendere le preghiere in latino  contenute nel Messale Romano, malgrado lo stesso Messale contenesse  la traduzione in lingua parlata di tali preghiere, accanto alla versione in  latino. Paolo VI, rispondendo da solo alla propria domanda, prosegue  in questo modo: 

La risposta pare banale e prosaica; ma è valida; perché umana,  perché apostolica. Vale di più l’intelligenza della preghiera, che non le vesti seriche e vetuste di cui essa s’è regalmente vestita; vale di più la partecipazione del popolo, di questo popolo moderno saturo di parola chiara, intelligibile, traducibile nella sua conversazione  profana.211

Il discorso di Paolo VI è una cartina tornasole di ciò che è avvenuto  nella Chiesa sin dal Concilio. I cambiamenti conciliari e post conciliari,  tutti senza precedenti nella storia della Chiesa, sono il lavoro di intrusi profani, che operano per distruggere qualcosa dal valore  incommensurabile, per abbattere i bastioni rimasti in piedi da secoli,  non solo nella liturgia, ma anche negli immutabili insegnamenti della  Chiesa. Non è un caso che il Vaticano II abbia causato una devastazione  senza precedenti, perché proprio questo era l’obiettivo che si erano  prefissi i primi attori del Concilio. 

Tuttavia, in questa seconda edizione de La battaglia finale del diavolo possiamo riportare almeno l’inizio di un tentativo di restaurazione. Il motu proprio Summorum Pontificum di Papa Benedetto XVI, promulgato  il 7 luglio 2007, ha infatti dichiarato che ogni sacerdote e ordine  religioso della Chiesa ha il diritto di celebrare la Messa tradizionale  in Latino, che “non è mai stata abrogata” da Paolo VI. Nel suo motu  proprio e nella sua lettera ai vescovi mondiali che l’accompagnava, il  Papa fece le seguenti, scioccanti ammissioni: 

Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per  noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del  tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella  preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto.212

Quanto all’uso del Messale del 1962, come forma extraordinaria  della Liturgia della Messa, vorrei attirare l’attenzione sul fatto che questo Messale non fu mai giuridicamente abrogato e, di  conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso.213

Non fu mai giuridicamente abrogato. Restò sempre permesso. Con  queste frasi, il Papa in persona ha dato ragione ai “tradizionalisti” e  a ciò che avevano detto sin da subito, e cioè che Paolo VI non aveva  “abrogato” - anche perché non poteva - il tradizionale rito della  Messa. Grazie al Motu proprio di Papa Benedetto, è stata finalmente  smascherata questa truffa del “rinnovamento liturgico” che aveva fatto  seguito al Vaticano II. Senza alcuna vera autorità, la Messa tradizionale  in Latino era stata effettivamente messa all’indice e la liturgia della  Chiesa era stata rivoltata da cima a fondo da quella stessa banda di  incompetenti iconoclasti, la cui “opera” distruttiva era stata predetta da  Pio XII alla luce di Fatima.

C’è un’altra ammissione chiave, sulla stessa falsariga, emersa dai  “meandri del Vaticano” dopo la pubblicazione della prima edizione  di questo libro. In una sorprendente intervista a due giornalisti  Cattolici italiani, Mons. Domenico Bartolucci - niente meno che il  Maestro Perpetuo della Cappella Sistina sotto cinque Papi consecutivi  e recentemente onorato da Papa Benedetto per i suoi servigi resi alla  Chiesa durante tutti questi anni – ha parlato in assoluta franchezza,  anzi quasi brutalmente, della nuova liturgia e del tentativo fraudolento  di “proibire” la Messa tradizionale. Mons. Bartolucci – ricordiamolo  ancora: Maestro della Cappella Sistina! – rivelò ai giornalisti di non  aver mai celebrato in vita sua la nuova Messa, ma solamente quella  Tradizionale in Latino, affermando: “…avrei delle difficoltà, non  avendola mai detta, a celebrare la Messa del rito moderno”. Quando gli  fu chiesto se la “riforma liturgica” fosse stata fatta da gente consapevole  e dottrinalmente formata, Bartolucci fornì questa tagliente risposta:

Scusate, ma la riforma è stata fatta da gente arida, arida, ve lo ripeto. E io li ho conosciuti. Quanto alla dottrina, il Cardinal  Ferdinando Antonelli, di venerata memoria, mi ricordo che diceva  spesso: “che cosa ce ne facciamo di liturgisti che non conoscono la  teologia?”214

Lo storico Motu proprio del Papa non può che essere il frutto della  campagna mondiale dei rosari, condotta dalla Società di San Pio X,  teoricamente “scismatica”, che aveva chiesto la “liberazione” della  Messa in Latino come prerequisito per continuare i propri colloqui con  le autorità del Vaticano, in relazione alla crisi nella Chiesa e al ruolo  della Società di San Pio X nell’affrontarla. 

La difesa della Tradizione Cattolica da parte della Società di San  Pio X, è stata convalidata in modo quasi drammatico quando il Papa  ha esaudito anche il secondo prerequisito della Società, sospendendo  (con grande clamore e polemiche, sia dentro che fuori la Chiesa) la  presunta “scomunica” del 1988 contro i suoi quattro vescovi, grazie  ad un decreto della Congregazione per i Vescovi promulgato il 21  gennaio 2009 (Festa di Sant’Agnese, Vergine e Martire, nel calendario  liturgico Romano Tradizionale). In una lettera ai vescovi del mondo,  nella quale difendeva la sua decisione di fare un passo in avanti per  “regolarizzare” la Società di San Pio X, il Papa ha fatto forse la più  devastante ammissione tra tutte quelle “uscite dal Vaticano” sin dalla  pubblicazione della prima edizione di questo libro: 

Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più  nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio  presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio.215

Che commento, e proprio durante la “Primavera del Vaticano II”  che avrebbe dovuto essere inaugurata teoricamente dalle “riforme” del  Vaticano II! Non desta stupore il fatto che il Papa abbia collegato queste  sue parole riguardo allo spegnimento della fiamma della fede in vaste  zone della terra - perché rimasta senza più nutrimento  –ai numeri che  la Società di San Pio X aveva fatto pervenire alla Chiesa: “Può lasciarci  totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491  sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari,  117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli?”

Ma non si tratta di una semplice e isolata affermazione del Santo  Padre. Nel settembre 2009 il Papa ha ripetuto questo tema di un disastro  post-conciliare, nella Chiesa, durante un discorso ai Vescovi del Brasile,  durante la loro visita ad limina Apostolorum:

Amati Fratelli, nei decenni successivi al Concilio Vaticano II, alcuni hanno interpretato l’apertura al mondo non come  un’esigenza dell’ardore missionario del Cuore di Cristo, ma come un passaggio alla secolarizzazione … ma si è smesso di parlare di certe verità fondamentali della fede, come il peccato, la grazia, la vita  teologale e i novissimi. 

Inconsciamente si è caduti nell’auto-secolarizzazione di molte  comunità ecclesiali; queste, sperando di compiacere quanti erano  lontani, hanno visto andare via, defraudati e disillusi, coloro che già vi partecipavano: i nostri contemporanei, quando s’incontrano con noi, vogliono vedere quello che non vedono in nessun’altra  parte, ossia la gioia e la speranza che nascono dal fatto di stare con il Signore risorto.

Attualmente c’è una nuova generazione nata in questo ambiente  ecclesiale secolarizzato che, invece di registrare apertura e consensi,  vede allargarsi sempre più nella società il baratro delle differenze e delle contrapposizioni al Magistero della Chiesa, soprattutto in  campo etico. In questo deserto senza Dio, la nuova generazione  prova una grande sete di trascendenza.216

Con buona pace del “rinnovamento del Vaticano II”! È chiaro che  l’uomo che siede attualmente sul Soglio di Pietro non è lo stesso che  parlava quand’era ancora il Cardinale Ratzinger. Egli, adesso, è un  uomo che ha ricevuto le grazie del suo ufficio Petrino, e per mezzo di  esse è in grado di riconoscere i nemici della Fede che lo circondano.  Come ha dichiarato nella sua prima omelia in qualità di Pontefice, il 24  aprile 2005. “Pregate per me, perché io non fugga per paura, dinanzi ai  lupi.” Ma Papa Benedetto XVI non sarebbe il primo Papa a subire una  trasformazione in chiave conservatrice. Anche il Beato Pio IX era stato  un “liberalista” all’inizio del suo lungo pontificato, ma alla fine egli era  diventato l’arcinemico del Liberalismo e del “mondo moderno”, dopo  essere scampato per un soffio alla morte ed aver dovuto fuggire dal  suo palazzo apostolico, mascherato da semplice sacerdote, quando i  “patrioti” massonici avevano invaso Roma in nome della Libertà.

Eppure, malgrado questi segni incoraggianti nel pontificato di  Benedetto XVI, la crisi della Chiesa continua. Persino il motu proprio  del Papa non fa altro che ridurre l’antico rito della Messa a “forma  straordinaria” della liturgia, elevando al tempo stesso un nuovo rito,  concepito poco meno di quarant’anni fa da un comitato, allo stato di  “forma ordinaria”. Quest’orribile scambio tra una novità creata dall’uomo  e una tradizione perenne, che giungeva a noi sin dai tempi degli  Apostoli ed era stata forgiata dall’influenza stessa dello Spirito Santo,  è assolutamente emblematica di quel “disorientamento diabolico” nella  Chiesa, di cui parlò più e più volte Suor Lucia, nella sua corrispondenza  e durante le sue conversazioni. Inoltre, il motu proprio che ribadisce con  chiarezza il diritto dei sacerdoti di celebrare la Messa tradizionale senza  alcun permesso preventivo da parte del Vescovo, viene tuttavia ignorato  e talvolta addirittura disubbidito platealmente da molti vescovi, che  continuano ad imporre ridicole restrizioni al patrimonio liturgico stesso  della Chiesa.

Anche la crisi teologica (la discussione sulla quale costituiva il terzo  prerequisito chiesto dalla Società di San Pio X) continua imperterrita.  Nel momento in cui viene pubblicato questo libro, sono appena iniziate  le discussioni teologiche richieste al Vaticano dalla Società di San Pio X.  Ci sembra quindi opportuno, nel contesto di queste nuove e sorprendenti  ammissioni provenienti dal Vaticano, ribadire le preoccupazioni di  carattere teologico che avevamo già espresso nella prima edizione. 

Padre Paul Kramer

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