Intima essenza e midollo del mistero della Incarnazione
A voi mi rivolgo, Sapienza essenziale, e adorando il vostro essere nella unità di Dio e nella sussistenza del Verbo al quale siete singolarmente appropriata, adorando pure le vostre vie ammirabili nella condotta e nel compimento delle opere vostre, vi domando questa grazia di penetrare nel segreto ammirabile del capolavoro delle Opere vostre, perché possa pubblicare e manifestare il Ritrovato divino per il quale Voi avete saputo congiungere il Verbo eterno colla umana natura nel Mistero della Incarnazione.
Il segreto di questo profondo e stupendo mistero, il movente più intimo di questa opera grande, che è l’opera delle opere di Dio, il mezzo singolarissimo e sconosciuto alle celesti intelligenze, che la Sapienza divina ha trovato per congiungere così la terra col Cielo come in un punto e in un centro solo, l’invisibile col visibile in un solo soggetto, l’essere creato con l’essere increato in una stessa persona, e questo senza miscuglio né confusione di due esseri e di due creature così distanti e insieme così congiunte: questo segreto, questo movente, questo mezzo, questo ritrovato divino, è la privazione nella Umanità di Gesù, della sussistenza naturale, propria e ordinaria alla quale essa aveva diritto, e questo perché essa, nel primo istante della sua creazione, fosse felicemente rivestita di una sussistenza estranea e straordinaria. Come il giardiniere divide e apre con un taglio il tronco che deve ricevere l’innesto, e il frutto ne sarà straordinario per l’albero selvatico nel quale viene inserito; così il Padre eterno, il divino agricoltore del Vangelo, ha scelto sulla terra una pianta selvatica, se noi la consideriamo nella sua origine e nella sua natura: l’umanità, che porta la somiglianza della carne di peccato; in essa ha separato la natura della persona che le sarebbe stata propria e connaturale e doveva naturalmente fluire dalla sua essenza esistente e attuata, e vi ha sostituito l’innesto celeste, la sussistenza divina, la Persona propria del suo Figlio, al posto della sussistenza umana che in essa è stata impedita e proibita.
In tal modo, questa pianta così divisa e come scemata, diminuita, tronca in ciò che è così intimo, così proprio e così connaturale al suo essere, porta frutti differenti e che non appartengono ad essa, ma all’innesto che vi è inserito.
La natura umana priva della sua sussistenza e rivestita della sussistenza del Verbo ha oramai un essere nuovo e differente; non già nella sua essenza, ma nella sua esistenza e nella sua sussistenza. La sua vita, i suoi atti, le sue azioni, non le appartengono più in proprio ma appartengono a Colui che divinamente la sorregge. Vi è, infatti, questa notevole differenza tra l’innesto del giardiniere e l’innesto divino di quel celeste giardiniere che è l’Eterno Padre, che mentre l’innesto naturale è portato e sorretto dalla pianta selvatica, il Verbo invece, innesto divino, è Egli stesso il sostegno di quella pianta selvatica che è l’umanità portante la somiglianza del peccato.
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Card. Pietro de Bérulle
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