lunedì 1 febbraio 2021

IL CURATO D'ARS SAN GIOVANNI MARIA BATTISTA VIANNEY

 


L'anno di Filosofia a Verrières (1812-1813). 

In un'ora nella quale avrebbe avuto grande bisogno della sua «povera madre», sopravvenne la morte che portò il lutto in famiglia. Donde avrebbe potuto sperare conforto nei nuovi dolori, dopo la scomparsa di colei, che aveva raccolto le prime confidenze della sua vocazione, e lo aveva difeso di fronte al padre irritato? Ma forse la pia madre prima di morire aveva lasciato all'addolorato marito, coll'ultimo addio, anche una raccomandazione suprema, perché Matteo Vianney non oppose alcun ostacolo al ritorno di Giovanni Maria presso l'abate Balley.  

Malgrado l'atmosfera di tristezza che pesava su tutti, il suo ritorno portò gioia al presbiterio di Ecully, tanto più che anche l'abate Balley già disperava di questo ritorno provvidenziale: erano ormai sedici mesi che lo raccomandava ogni sera nella preghiera in comune. Sembra che una delle sue parrocchiane, «non eccessivamente fervorosa»1, rivedendolo abbia esclamato: «Meglio così! Avremo un Pater ed un'Ave di meno da dire ogni sera»2.  

In questa seconda dimora ad Ecully, Giovanni Maria Vianney non si stabilì più presso la zia Humbert, ma al presbiterio 3. Così aveva voluto anche l'abate Balley, dopo il ritorno al seminario dei due fratelli Loras e del giovane Deschamps, per potere meglio sorvegliare questi suoi studi, già deboli e tante volte sospesi; in più, al presbiterio, per i suoi buoni servizi, quasi da domestico 4, avrebbe potuto essere utile al suo vecchio maestro. Durante le sue ricreazioni si occuperebbe del giardino; in chiesa sarebbe sagrestano ed inserviente; nelle passeggiate in campagna terrebbe compagnia al suo vecchio professore, e queste ore di svago non sarebbero perdute!  

Giovanni Maria aveva ormai raggiunto i venticinque anni. Il tempo stringeva e l'abate Balley, che desiderava di vedere presto il suo allievo iniziato agli ordini sacri, avendolo aggregato agli studenti di retorica del seminario minore 5, ottenne di presentarlo per la tonsura, il 28 maggio 1811. Da questa data l'abate Vianney «apparteneva alla gerarchia della Chiesa» 6, cioè aveva fatto un passo verso il sacerdozio. Non ostante fosse vivo ancora il lutto per la morte della madre, in quel giorno vi fu festa per una ragione di più nel presbiterio di Ecully.  

Alla dipendenza immediata dell'abate Balley, Giovanni Maria godeva di una direzione sicura, ma molto austera. Un vecchio della sua parrocchia ne ha tracciato un ritratto fedele, dicendo che «sembrava non avere altro che ossa, anche perché forse non 

prendeva il cibo in proporzione del suo bisogno» 7. A contatto con questo santo prete il futuro apostolo si edificava e cominciava a condividere la rigida vita del maestro 8. L'austero abate Balley era di una pietà semplice e tenera «e si commuoveva fino alle lagrime celebrando la Messa» 9, ed il suo allievo che gliela serviva, indossando il casto simbolo della sua cotta bianca, imparò da lui il modo col quale si trattano i divini misteri.  

Quando non passava il tempo della ricreazione al giardino od alla chiesa, Giovanni Maria visitava con piacere la buona madre Bibost, che, per puro amor di Dio, si occupava del suo corredo. Uno dei suoi figli, che era allora in seminario, al ritorno per le vacanze fu felice di ritrovare questo amico che nella conversazione lo iniziava al misterioso avvenire, nel quale brillava per lui quest'unica meta: l'altare.  

Era anche di una obbedienza senza pari. «Presso il Curato Balley - diceva - non ho mai fatto la mia volontà»10 Le sue letture preferite erano le vite dei Santi. Si conserva tuttora una lettera da lui scritta a Giacomo Loras, antico condiscepolo ad Ecully, al quale domanda, come favore di «comperare presso il libraio Ruzand, un vecchio volume in-folio intitolato: Storia dei Padri del deserto»11  

Nell'ultimo semestre del 1812 all'abate Balley sembrò giunto il momento di far seguire al suo allievo di ventisei anni la linea di studio prevista dal regolamento, che esigeva, da coloro che aspiravano al sacerdozio, un anno di filosofia e due anni almeno di teologia. Erano i mali del tempo che portavano a questa benigna indulgenza 12.  

Per tali corsi Giovanni Maria fu mandato al seminario di Verrières, vicino a Montbrison. Questo centro di studi, fondato nel 1803, non era stato dapprima che una scuola di presbiterio, come quello dell'abate Balley ad Ecully. L'abate Périer aveva disposto il meglio possibile la sua vecchia casa per ricevere quei fanciulli dei dintorni, che davano qualche segno di vocazione, e Dio fu largo della benedizione sua, poiché in poco tempo quest'opera raccolse circa cinquanta allievi. Più tardi, per alloggiare i convittori fu annessa anche un'altra casa vicina, in cattivo stato. Questi giovani che pagavano dieci franchi al mese, ricevevano alloggio e nutrimento proporzionato alla loro spesa: il dormitorio era un fienile al quale si saliva per una piccola scala rustica. All'ora dei pasti andavano alla cucina per ricevere ciascuno la propria porzione di lardo e di patate, e durante il tempo della ricreazione si occupavano in cerca di legna secca o nel migliorare quel povero abituro in rovina. Il Card. Fesch, che dichiarò seminario minore questa scuola di presbiterio, vi procurò anche un luogo meno sconveniente. Fin dal 1807 vi si trovarono riuniti centocinquanta pensionanti. e la casa prosperò ancora fino a contare trecento tredici allievi, nel 1809. Fu in quest'occasione che il parroco di Verrières, consumato dalla sua abnegazione, si sentì impari al nuovo compito e dovette abbandonare il suo posto, che fu occupato dall'abate Barou, professore di filosofia al seminario minore dell'Argentière 13.  

Nel 1811, quando Napoleone avanzò la pretesa di nominare i Vescovi, senza la istituzione del Papa, tutta l'opera sembrò per un momento compromessa. Per assicurarsi l'appoggio dell'episcopato francese, il 17 giugno l'imperatore riunì un concilio nazionale all'arcivescovado di Parigi; ma, contrariamente ai suoi desideri ed alle sue speranze, vide l'episcopato unanime dichiarare che non vi era mezzo di sorpassare le dichiarazioni delle Bolle Pontificie. A questa decisione, non si fecero attendere le rappresaglie: il 10 luglio un decreto dichiarò sciolto il concilio ed il giorno 12, alle ore tre del mattino, i Vescovi di Tournai, di Gand, e di Troyes vennero sorpresi nel loro letto   per essere deportati alle carceri di Vincennes. I seminaristi vennero chiamati alle armi; e perché non sfuggisse alla punizione l'abate Emery, che si era opposto all'imperatore collerico 14, un decreto del 20 ottobre, dichiarava la soppressione della Compagnia di San Sulpizio. Un decreto del 15 novembre sopprimeva i seminari minori, ed accettava nei collegi municipali quegli allievi, che desiderassero continuare gli studi.  

Il Cardinale di Lione, quantunque non avesse molta influenza 15, poté ottenere da suo nipote l'Imperatore una dilazione di alcuni mesi; ma alla fine dell'anno scolastico del 1812, dovettero chiudersi tutti i seminari minori della Diocesi, in «Verrières, La Roche, Saint-Jodard, Argentière, Alix, Meximieux». Gli allievi colpiti furono in numero di milleduecento. Per l'attività dell'abate Courbon, incaricato delle case di educazione, si poterono organizzare due esternati nelle località ove si avevano collegi pubblici, come a Bourg, Belley, Villfranche, Roanne e Saint-Chamond 16. Qualcuno aveva anche fatto la proposta al Consiglio dell'Arcivescovado di collocare questi giovani nelle scuole dello Stato, ma il Cardinale aveva risposto categoricamente: «No, mai ... io non voglio dannarmi e non sottoporrò mai i miei giovani al regime dell'Università. L'Università è come una grande caserma: vi si educano dei soldati ed io voglio dei preti» 17.  

Per questi sentimenti Mons. Fesch, con una risoluzione decisiva, aprì il seminario di Verrières, e riuscì a fare tutto segretamente, ciò che era abbastanza facile in questo angolo isolato, lontano dalle grandi vie di comunicazione. Del resto, anche nel caso in cui fosse sopravvenuta un'inchiesta, vi era modo di mettersi al sicuro, rispondendo alla polizia che la casa di Verrières era annessa al seminario maggiore di Sant'Ireneo, allora troppo angusto per poter contenere tutti i futuri ordinandi della Diocesi di Lione. Nel mese di ottobre e novembre, furono guidati a Verrières duecento seminaristi, che avevano appena finito i loro studi classici, e che dovevano compire là il loro anno di filosofia, 

prima di entrare a Sant'Ireneo. In questo modo anche Giovanni Maria, nonostante la sua limitata preparazione a tali studi, fu ammesso a seguire questo corso, che era diventato obbligatorio.  

Divisi i filosofi in due sezioni, l'abate Barou ne affidò la prima all'abate Grange e l'altra all'abate Chazelles, i soli che poté ottenere per la scarsità numerica del clero 18. Giovanni Maria passò alla sezione di Chazelles, nella quale fu il più vecchio di tutti, anche del suo professore; ma non si turbò per questo, avendo progredito, se non nelle scienze umane, almeno nell'umiltà, che è la scienza dei Santi.  

 La prima volta che fu interrogato in scuola, non comprese il senso della interrogazione e tacque... mentre da un banco all'altro si ripetevano le risate spontanee, proprie di questa età implacabile. Il professore, secondo l'usanza dei seminari, faceva la sua interrogazione in latino ed il nostro studente a stento traduceva la sua lezione, linea per linea, nelle pagine del suo libro. Ma vi erano anche altri sette compagni che non presentavano migliore preparazione della sua, e fu deciso che sarebbero separati dalla sezione dell'abate Chazelles, perché ricevessero le lezioni in francese 19  

Il nostro giovane filosofo ci metteva la migliore buona volontà, ma non comprese molto della dialettica; le maggiori e le minori non gli aprirono l'intelletto alla conoscenza della logica, della quale era già magnificamente dotato da Dio col suo senso pratico, e benché il tredici giugno 1813, cioè sette o otto mesi dopo la sua entrata a Verrières, lui, che dapprima aveva tremato al pensiero di non capire nulla, scrivesse al suo «carissimo padre» che «per riguardo agli studi andava meglio di quanto avrebbe pensato», rimase tuttavia sempre un allievo di una debolezza intellettuale estrema 20.  

Dio voleva che rimanesse, Come S. Paolo, un «ignorante dell'arte oratoria»; e, se la sua profonda modestia non fosse stata muta, avrebbe potuto rispondere ai migliori della sua sezione, come un altro santo, il poeta italiano Jacopone da Todi: "Io vi lascio i sillogismi, le parole cavillose, i calcoli sottili... Vi lascio Aristotele colla sua arte ed i suoi segreti. L'intelligenza semplice e pura si eleva sola sino al cospetto di Dio, senza l'aiuto della filosofia» 21  

Poco compreso dagli uomini, Giovanni Maria si rivolse all'Amico Eterno, che sa comprendere l'eloquenza del silenzio e penetrare gli intimi sospiri del cuore, e nella cappella, tra le lagrime, disse a Lui le pene della sua anima. La sua povera madre riposava nel piccolo cimitero del colle di Dardilly, ma egli la sentiva più viva e più vicina e la faceva la confidente delle amarissime pene che a lui derivavano dal vedersi deriso dai compagni malevoli e raramente incoraggiato dai superiori. Più tardi, ricordando questo tempo, dirà, a Verrières ho avuto un poco da soffrire». - E si comprende che cosa significassero queste due parole un poco, sulle sue labbra abituate alla carità più indulgente. - Solo le lunghe visite all'altare gli davano coraggio; mancandogli quel cuore materno, che da nessuno può essere sostituito sulla terra, si consolerà colla devozione tenera e filiale alla Santa Vergine. Spinto dalla sua  pietà verso di lei, fece il voto di servitù, col quale si consegnava completamente nelle sue mani 22.  

Sarebbe però un'esagerazione dire che a Verrières l'abate Vianney sia stato un perseguitato ed un isolato. «I più seri ed i più ferventi erano felici di prenderlo per modello, - ha detto uno dei suoi antichi condiscepoli. - Amavano la sua compagnia, perché parlava quasi sempre di Dio e della Santa Vergine» 23. Per questo riuscì a stringere amicizia con Marcellino Champagnat, che fu il fondatore dei Piccoli Fratelli di Maria.  

Anche Marcellino Champagnat non era conosciuto per un'aquila: aveva iniziato i suoi studi a diciassette anni, ma era stato rinviato, un anno appresso, per insufficiente intelligenza. Dopo aver fatto, come l'abate Vianney, il voto di pellegrinare al Santuario della Louvesc, ottenne di essere riammesso a Verrières, e, dopo cinque anni di una fatica inaudita, era giunto alla classe di retorica, che dovette ripetere; fu così che al corso dell'anno 1812, quando aveva l'età di 23 anni, si trovò nella classe di filosofia, col discepolo dell'abate Balley, di allora 26 anni e mezzo. L'età già avanzata, la somiglianza della prova passata, dei gusti e delle virtù dell'uno e dell'altro, ne avvicinarono gli animi 24.  

A Verrières si mantenevano le abitudini austere dei tempi eroici e, quantunque vi si stesse meglio alloggiati che non anteriormente, il regime era sempre duro, il pasto molto frugale, il regolamento severo. Giovanni Maria, ben lontano dal lamentarsi, ne fu oltremodo contento e non lo si vide mai una volta mancare al suo dovere; se la sua buona condotta non attirò l'attenzione in modo speciale, lo si deve alla sua cura di vivere nell'oscurità e nell'oblio. Non abbiamo un indizio per dire che egli fosse citato pubblicamente come un modello; piuttosto lo circondava una specie di disistima, corollario naturale dei suoi insuccessi nello studio.  

Le sue note di fine d'anno ci lasciano questo giudizio:  

Lavoro …bene.  

Scienza....molto debole.  

Condotta… . buona.  

Carattere… buono.  

L'abate Barou, se era un impareggiabile educatore, non era obbligato ad essere un profeta, e, stando solo alle apparenze, non poteva apprezzare il tesoro incomparabile che per un momento gli era affidato dalla divina Provvidenza. 

Canonico FRANCESCO TROCHU

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