venerdì 11 giugno 2021

LA PIA PRATICA DELLA GRANDE PROMESSA TUTTI IN PARADISO

 


TUTTI IN PARADISO 

Scopo unico della nostra vita terrena è quello di giungere nella patria celeste. Siamo Stati creati per il Paradiso, dove saremo felici in Dio. Dio solo può renderci felici nella sua visione, nel suo amore, nel possesso di Lui, né è possibile una vera felicità lontano da Dio. Chi non si salva si danna. Non vi è via di mezzo. O eternamente beati con [57] Dio nei gaudi del Cielo, oppure eternamente infelici, lungi da Lui, nelle fiamme infernali.  

La salvezza dell'anima ci deve premere moltissimo. In paragone a questo, tutto passa in seconda linea. Che giova all'uomo se conquista anche il mondo intero e perde poi la sua anima? Ognuno deve fare perciò quanto sta nelle proprie forze per salvarla e conservarsi sulla via buona, che conduce al cielo.  

I martiri, per salvare l'anima, hanno sparso il sangue e data la vita; gli eremiti si sono ritirati nel deserto per condurre colà una vita molto austera e ricca di penitenze; gli Apostoli e i messi evangelici, i missionari, hanno fatto all'uopo lunghissimi viaggi e sopportato indicibili fatiche; valga tra tutti il primo e più grande tra i missionari, San Paolo, il quale può dire che per salvare la propria anima e concorrere alla salvezza delle anime altrui, ha sofferto moltissimo: «Da più nelle fatiche, da più nelle prigionie, molto più nelle battiture ricevute, e spesse volte in rischio di morte. Dai Giudei ben cinque volte ho ricevuto i quaranta colpi meno uno; tre volte fui battuto colle verghe; una volta fui lapidato; tre volte naufragai; una notte e un giorno passai nell'abisso. In viaggi [58] sono stato più volte in pericoli di fiumi, in pericoli di pirati, in pericoli da parte della mia schiatta, in pericoli da parte dei gentili; pericoli in città, e nel deserto, e sul mare; pericoli tra i falsi fratelli; in fatiche e pene, nelle veglie tante volte, nella fame e nella sete, nei frequenti digiuni, nel freddo e nella nudità» (2Cor. XI, 33-37). Che cosa non hanno fatto, per salvare l'anima, tanti e tanti servi e serve di Dio: S. Luigi Gonzaga che rinunzia al trono; S. Casimiro, figlio del re di Polonia, che preferisce la morte ad un solo peccato; S. Lodovico, re di Francia, che porta sotto il manto regale il cilicio; S. Francesco d'Assisi, diventato povero per amore di Gesù; il Beato Jacopone da Todi pazzo di amore? E noi non faremo quanto sta nelle nostre forze, per garantirci nel cielo quel posto che Dio ha destinato ad ognuno di noi e giungere a vera santità, come lo vuole Gesù, che ci raccomanda: Siate santi come è santo il Padre vostro che è nei cieli? Non dobbiamo attendere e dire: farò qualche cosa quando mi troverò sul letto di morte. La morte viene spesso improvvisa; può venire improvvisamente anche a me o a te; io non so se vivrò, finché questo libro giungerà nelle tue mani, e tu non sai [59] se arriverai a leggere questa pagina fino al fondo.  

Guai a noi se non fossimo preparati alla morte e questa ci sorprendesse in istato di peccato!  

Ma forse non verremo colpiti dalla morte improvvisa; chi ci dice, però, che Dio ci darà, nei nostri anni senili, se pur arriveremo alla vecchiaia, la grazia di convertirci; se ce la concederà nella nostra ultima malattia, se ce la darà in punto di morte? La conversione non dipende da noi ma dalla grazia di Dio, e Dio non è obbligato a concedercela quando la vogliamo noi, ma ce la concede quando vuole Lui. Chi respinge la grazia quando il Signore gliela offre, e la vuole quando piace a lui; chi pecca e non provvede subito alla sua anima, ma procrastina la propria conversione fino agli ultimi anni, agli ultimi giorni della propria carriera mortale, commette uno di quei peccati contro lo Spirito Santo che non vengono perdonati né in questa né nell'altra vita. Di questi disgraziati si può dire quanto la Scrittura dice di Faraone. Il Signore cercò con nove piaghe di piegare il monarca borioso, e di condurlo a resipiscenza, ma Faraone fece il sordo alla divina chiamata. Finalmente Dio gli rifiutò [60] grazie ulteriori, e s'indurì il cuore del cattivo sovrano.  

Due ladri furono appesi sulla croce con Gesù e furono testimoni della grande tragedia del Calvario. Uno si convertì e l'altro morì impenitente. Uno si convertì, perché tu non disperi: anche se i tuoi peccati fossero senza numero e di una malizia senza fine, sei sempre in tempo di convertirti. Uno morì impenitente, perché tu non presuma e non dica: Mi convertirò quando sarò vecchio, quando piacerà a me.  

Dobbiamo provvedere subito alla salvezza dell'anima. Dobbiamo metterci con una buona confessione in istato di grazia, se ancora non lo siamo; la confessione sia generale, se dubitiamo prudentemente del valore delle altre confessioni; dobbiamo cibare la nostra anima delle immacolate carni del Signore; evitare con cura il peccato, fare buoni propositi e mantenerli, evitare le occasioni prossime di peccato ed esercitarci nelle virtù.  

Non dobbiamo rimanere neppure un minuto nello stato di peccato; ma se, per disgrazia, dovessimo macchiarci di qualche colpa, dobbiamo annullarla colla contrizione perfetta, che monda l'anima e le ridona l'innocenza, pur rimanendo l'obbligo di [61] confessare, nella prossima volta, i peccati così rimessi, e rimanendo pure la proibizione di ricevere la santa Comunione senza aver prima confessato la colpa mortale, annullata colla contrizione.  

Pure anche la persona più attenta e cauta nella propria vita spirituale non sarà mai libera da dubbi e da timori riguardo allo stato della propria coscienza, e più di una volta le si affaccerà il dubbio: mi salverò?  

Il dolce Cuore di Gesù ci ha assicurato con una Grande Promessa la penitenza finale, la morte nel suo santo bacio e la salvezza dell'anima, se faremo la pratica dei nove primi Venerdì del mese. Chi non si assicurerà così la grazia santificante in vita, una buona morte e la gloria nell'al di là?  

E' così poco ed è pur tanto che chiede Gesù. Poco riguardo alla fatica che chiede da noi, molto riguardo al valore reale di ciò che chiede. E' come se un signore dicesse ad un negro dell'Africa meridionale il cui campo è disseminato di diamanti di ogni grandezza: «Regalami nove bei diamanti». Il negro non dovrebbe fare altro che chinarsi per prenderli e la sua fatica sarebbe ben poca; pure egli darebbe a quel signore gemme di un valore inestimabile.  

Allo stesso modo Gesù chiede da noi una [62] cosa che a noi costa poca fatica, ma che è pure la più grande e più nobile che l'uomo possa fare, un'azione più gradita a Dio dell'offerta più cospicua di oro e di gemme: nove sante Comunioni; vuole venire ricevuto da noi nove volte, nel primo venerdì di nove mesi, in nove giorni particolarmente consacrati al culto del suo Cuore divino.  

Gesù chiede una cosa estremamente gradita a Lui ma anche estremamente gradita a noi: di aprirgli il cuore e di riceverlo in quello; di prendere parte a quel grande banchetto «nel quale si riceve Cristo, si ricorda la sua Passione, la mente si riempie di grazie e a noi si dà un pegno della futura gloria»; al grande banchetto celeste pieno di dolcezze e di soavità divine.  

Chi si rifiuterà di fare la pia pratica dei nove primi venerdì di ogni mese e di mettere così al sicuro la propria anima?  

Chi non ha fatto ancora questa pia pratica la faccia subito; chi l'ha già fatta la ripeta, ma, intendiamoci: sono necessarie nove comunioni ben fatte; fatte dunque per amore di Gesù e col desiderio di andare in Paradiso, per vivere con Gesù per tutta l'eternità nella visione del Padre e dello Spirito Santo, che formano col Verbo umanato il solo, vero, unico Dio. [63]  

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