sabato 14 agosto 2021

ESISTENZA E NATURA DI DIO

 


Funzione della ragione e della cultura nella teologia. 


7 — Così la mente nostra si rende conto dell‘organicità vivente e vitale della parola di Dio, la quale è infinitamente ricca. E qui si apre un campo immenso alla speculazione teologica: il campo dell‘implicito, indiretto, virtuale. S. Tommaso lo chiamò il campo del «rivelabile » intendendo con questo termine tutto ciò che può essere visto in forza della luce della Rivelazione, che si trova in concreto nella sacra Scrittura: sia esso mistero inaccessibile di per sè alla ragione umana, sia invece verità di ragione connessa col mistero come presupposto o come conseguenza, sia fatto storico avente rapporto con la parola di Dio.  « Appartiene alla teologia — scrive S. Tommaso — l‘esplorazione dl tutte le verità che dai principi derivano e che servono alla loro difesa », «di tutte le verità che, o accompagnano la fede, o la precedono o la seguono» (1 Sent., Prol., a. 3, qc. 2, ad 2; 3 Sent., d. 24, q. I, a. 2, qc. 2). Campo esplorato dal teologo col sussidio che gli fornisce la propria cultura biblica, letteraria. filosofica, storica. La quale cultura non dovrà nulla immettere di estraneo nella parola di Dio; ma dovrà essere puro strumento di penetrazione di essa. La Parola. di Dio è data a uomini in termini loro intelligibili, proporzionati alla capacità umana, nelle analogie dell‘ente creato a cui è legata la nostra mente in questa vita. Chi dell‘ente creato ha una conoscenza più chiara, più profonda, più piena, possiede perciò stesso il migliore mezzo di penetrazione della Parola divina. Il teologo è, tra gli uomini di fede, colui che ha più intelligenza e più cultura.  Perchè scandalizzarsi dunque (come mostrano di fare alcuni) dell‘elemento razionale introdotto nel procedimento teologico‘? Non è possibile fare della teologia senza di esso: senza dare un Senso preciso alle nozioni rivelate, servendosi delle analogie tra il mondo creato e il mondo increato. La quale analogia non «invenzione dell‘Anticristo» come vorrebbe K. Barth (Dogmatik, p. VITI), ma è insita nella natura delle cose e nella rivelazione stessa, fatta a noi in speculo creaturarum. Con questa sua errata concezione la teologia dialettica di Barth si conclude in un agnosticismo sterile, in un nominalismo morto e mortale, in un relativismo che è distruzione della stessa Parola di Dio e della Fede, che pur pretende di esaltare; mentre la teologia vera deve essere la massima vita dell‘ intelligenza, la cognizione più piena dell‘oggetto della Fede, la contemplazione più alta dei misteri divini, l‘analogo in terra della visione beatifica, scopo finale della Rivelazione.  Lo sviluppo che prende la dottrina rivelata, per quanto vasto, non altera la dottrina rivelata: la teologia si muove nell‘ interno della Rivelazione stessa, anche servendosi di sussidi razionali; e resta, pure distinta dalla fede, perfettamente omogenea con essa. Non impoverisce la dottrina rivelata, come pretende qualcuno ripetendo un‘accusa superficiale; ma ne mostra più esplicitamente L‘ infinita ricchezza. La teologia non può limitarsi a ciò che è espressamente contenuto nella sacra Scrittura, ma va oltre, pur senza uscire dalla virtualità delle fonti della Rivelazione. S. Tommaso non esita ad affermare: « Qualunque verità deducibile da ciò che è contenuto nella Scrittura, non è estranea alla teologia, anche se nella sacra Scrittura [esplicitamente] non sia contenuta» (in Dionys. De Div. Nom., lect. 1).  Ripetiamo ancora che proprio la penetrazione del dato rivelato e non l‘abbondanza dell‘erudizione in sè, sta a cuore all‘Angelico. Egli venera la tradizione filosofica e patristica proprio per questo, conscio della intrinseca solidarietà del vero, la cui scoperta è opera di ognuno e di tutti. Ma aggiunge che una pura cultura che non servisse a questo fine, non sarebbe desiderabile; poichè  « non è il sapere quel che tu vuoi o quel che tu pensi, che costituisce la perfezione della mia intelligenza; ma soltanto il sapere la verità della cosa », solum quid rei veritas habeat (I, q. 107, a. 2).

di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z.

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