Prigioniero in Vaticano
Se nel 1848 la Rivoluzione italiana si era presentata a Roma con il volto della violenza e dell'anarchia, nel 1870, dopo l'atto di forza, si presentò sotto l'aspetto della moderazione e della legalità. Garibaldi e Mazzini, i due protagonisti più violenti della Rivoluzione italiana, non avevano partecipato a questo evento. L'8 settembre Pio IX non fu costretto ad abbandonare la città di Roma, come al tempo della Repubblica Romana. Tuttavia egli, che nel 1860 aveva dichiarato che «il Papa a Roma non può essere che sovrano o prigioniero», decise di considerarsi prigioniero in Vaticano fino al giorno della restituzione del suo dominio temporale 53.
Il 1° novembre, il Papa pubblicò l'enciclica Respicientes 54 contenente le censure canoniche inflitte a tutti i responsabili dell'occupazione dello Stato Pontificio. Dopo aver considerato gli atti che il governo subalpino, «seguendo i consigli di perdizione delle sètte, aveva compiuti contro ogni diritto, con la violenza e con le armi», Pio IX tocca il cuore della "questione romana". Egli ricorda come già altre volte avesse esposto, in varie allocuzioni, «la storia della guerra nefanda», fatta dal governo piemontese alla Sede apostolica, le antiche ingiurie fino dal 1850, le offese continuate, «sia coll'infrangere la fede da solenni convenzioni obbligata alla Sede apostolica, sia col negare impudentissimamente l'inviolabile diritto di quelle nel tempo medesimo che dicevasi voler trattare nuovi patti» e fare nuove convenzioni. «Da quei documenti i posteri verranno a conoscere con quali arti e con quanto scaltre e indegne macchinazioni quel governo sia arrivato ad opprimere la giustizia e la santità della Sede apostolica, e quali fossero da parte del Papa le cure nel reprimere l'audacia ogni giorno crescente e nel rivendicare la causa della Chiesa».
Il Papa ripercorre quindi le fasi delle «annessioni» dei suoi Stati, dal 1859 in poi; la ribellione provocata nelle Romagne, l'esercito pontificio distrutto a Castelfidardo, l'occupazione delle Marche e dell'Umbria, dove si disse «voler restituire i principi di ordine morale, mentre invece di fatto si promosse dovunque la diffusione ed il culto d'ogni falsa dottrina, dovunque si sciolsero le redini alle passioni ed all'empietà».
Accenna quindi alle proposte di inique conciliazioni con gli usurpatori, «per le quali si tentava di indurlo a tradire turpemente il suo dovere»; ricorda gli assalti del 1867, quando «orde di uomini perdutissimi sostenuti da aiuti del medesimo governo irruppero nei confini pontifici e contro Roma»; rievoca i pericoli, i timori, la prodigiosa salvezza, la fedeltà e devozione sempre dai fedeli «mostrata con insigni significazioni e con opere di cristiana carità»; finalmente l'occasione presa dal governo di Firenze d'invadere lo Stato della Chiesa e i fatti seguiti.
Dopo avere ricordato quanto accadde il 20 settembre e nei giorni che seguirono, Pio IX, confermando tutte le encicliche, allocuzioni, brevi e proteste solenni del suo pontificato, dichiara «essere sua mente, proposito e volontà di ritenere e trasmettere ai suoi successori tutti i dominii e diritti della Santa Sede interi, intatti e inviolati; e qualunque usurpazione, tanto fatta allora quanto per lo addietro essere ingiusta, violenta, nulla ed irrita; e tutti gli atti dei ribelli e degli invasori sia quelli fatti fino allora, sia quelli che si faranno in seguito per assodare in qualsiasi modo la predetta usurpazione, essere da lui rescissi, cassati, abrogati, dichiarando inoltre dinanzi a Dio ed a tutto il mondo cattolico versare egli in tale cattività, che non poteva esercitare speditamente e liberamente e con sicurezza la sua pastorale autorità». Aggiunge che, «memore dell'ufficio suo e del solenne giuramento dal quale era obbligato non assentirebbe mai, né mai presterebbe assenso a qualunque conciliazione, la quale in qualsivoglia maniera distrugga o diminuisca i suoi diritti, che sono diritti di Dio e della Santa Sede: e professava essere veramente pronto coll'aiuto della grazia divina e nella sua grave età a bere fino all'ultima goccia per la Chiesa di Cristo quel calice che Cristo stesso per primo erasi degnato bere per la Chiesa; né commetterebbe giammai la debolezza di aderire alle inique domande che gli si porgevano, o di secondarle». Ammonisce infine che, «siccome ammonimenti, domande e proteste erano state vane, così per l'autorità dell'onnipotente Iddio, de' santi apostoli Pietro e Paolo, e sua, dichiarava ai vescovi e per mezzo loro a tutta la Chiesa, che tutti, anche posti in qualunque dignità, fosse pur degna di specialissima menzione, coloro che aveano commesso la invasione di qualunque provincia dello Stato della Chiesa e di Roma; e la occupazione, usurpazione, od altri atti di simil genere, e i loro mandanti, fautori, aiutanti, consiglieri aderenti, od altri qualunque procuranti o per se medesimi operanti le predette, cose, sotto qualsiasi pretesto e in qualunque modo, erano incorsi nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene inflitte dai sacri canoni, dalle apostoliche costituzioni, dai decreti dei concili generali e specialmente di quello di Trento (sess. 22 c., II de Reform.) giusta la forma e tenore espresso nella lettera del 26 marzo 1860».
Roberto De Mattei
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