sabato 25 settembre 2021

Sacrificio, consacrazione, sacerdozio.

 


Sacrificio, consacrazione, sacerdozio. 

Tutto ciò che Dio ha fatto è perfetto, tutto è SACRO e SANTO. Nell’ordine primordiale della Creazione tutto, e in primo luogo l’uomo stesso, era “sacro”, che vuol dire vincolato a Dio, destinato a Dio, e “santo”, che significa che era secondo l’ordine perfetto voluto da Dio.  

L’opposto di “sacro” è “profano”, “profanato”, cioè privo di Dio, falsificato, deviato dallo scopo per cui è stato creato. Dal momento che “tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 a Cor 3,22-23), il peccato dell’uomo ha profanato lui stesso, in primo luogo, e tutte le cose. Perciò “la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità –non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa– e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rom 8,19-22). 

Da questo risulta evidente il significato del titolo dato da Gesù agli Scritti di Luisa: 


L’opera della Redenzione comporta la necessità di offrire un sacrificio. Il sacrificio comporta la necessità di un sacerdote e di una vittima, vale a dire, di qualcuno che abbia qualcosa da offrire a Dio. 
Consiste in offrire a Dio, ma più che di offrire si tratta di ridare, di restituire, di ricambiare e di ripristinare un ordine infranto, di riparare un’ingiustizia fatta a Dio. 
Se non ci fosse stato il peccato, senza l’ingiustizia del peccato, l’offerta a Dio sarebbe stata un puro ricambio di amore, di riconoscenza, di gratitudine. Ma col peccato, la doverosa offerta è dovuta anche al bisogno di riparare un’ingiustizia, di restaurare una situazione di grave disordine. 
Il sacrificio è perciò rendere sacro (appartenente a Dio) ciò che è stato reso profano dal peccato, deviato dalla Volontà di Dio. E ciò che si offre è una vittima. 
E così come il sacrificio può essere (a seconda del motivo per cui si offre): olocausto, espiatorio, di comunione, di ringraziamento, ecc., così ci sono diversi tipi di vittime: vittima di espiazione, di riparazione, d’onore, di amore, ecc. Sono i vari uffici ai quali possono essere destinate. 
Dopo il peccato l’uomo istintivamente incominciò ad offrire a Dio sacrifici ed ostie pacifiche, privandosi di qualcosa di suo, di qualche cosa importante, più significativa, di ciò che per lui era più prezioso. In che modo? Distruggendola per sé, in particolare mediante il fuoco, affinché per sé non restasse nulla (e allora si trattava di un olocausto o di un sacrificio di espiazione), oppure distruggendola solo in parte, cioè una parte veniva offerta a Dio e una parte –trattandosi di un animale– lasciandola per sé, per mangiarla, e in questo modo era una sacrificio di comunione con Dio: condividere con Dio ciò che nutre e serve per la vita. 
Ad un certo punto della storia dei rapporti dell’uomo con Dio appare la figura di Melchisedek, re e sacerdote del vero Dio, che offriva a Dio pane e vino (il cibo umano, pacifico), e ne diede anche ad Abramo in segno di comunione sacra, benedicendolo. 
Ma Dio non cerca le nostre cose; è Lui che ce le dà. Dio vuole noi, vuole quello nostro che si ribellò a Lui, quello che trascinò l’uomo  e  con l’uomo tutta la Creazione  nel disordine e nell’abominio della profanazione: Dio vuole la nostra libera volontà.  
“Con che cosa mi presenterò al Signore, mi prostrerò al Dio altissimo? Mi presenterò a lui con olocausti, con vitelli di un anno? Gradirà il Signore le migliaia di montoni e torrenti di olio a miriadi? Gli offrirò forse il mio primogenito per la mia colpa, il frutto delle mie viscere per il mio peccato? Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio” (Michea 6,6-8). 
Quale vittima deve offrire il sacerdote a Dio, in riparazione dell’ingiustizia commessa? In Cristo si manifesta l’identificazione tra il Sacerdote e la Vittima: “per uno Spirito Eterno offrì Se stesso immacolato a Dio” (Eb 9,14).  
In che modo? “…Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto –poiché di me sta scritto nel rotolo del Libro– eccomi che vengo per fare, o Dio, la tua Volontà. Dopo aver detto: Non hai voluto e non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né sacrifici per il peccato, cose tutte che vengono offerte secondo la legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua Volontà. Così Egli abolisce il primo ordine di cose per stabilire il secondo. Ed è appunto per quella Volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,5-10). 
Anche il discepolo di Cristo, il cristiano, deve offrire se stesso a Dio: “Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale” (Rom 12,1). 
È un “sacrificio vivente”: non si tratta di uccidere il proprio corpo, immolare se stesso, perché è un “culto spirituale”, non materiale. Ma in che modo lo si deve offrire e sacrificare? Facendo che sia “consacrato” (= “sacrificato”), reso sacro, appartenente a Dio, al servizio di Dio, dedicato a fare la sua Volontà. 
Chi è che deve “sacrificare”, cioè rendere sacra la vittima? Colui che è sacro, vale a dire, il sacerdote. Il sacerdote “sacrifica”, ovvero “consacra” la vittima. Ma come Cristo offrì Se stesso, così il cristiano (che per il battesimo è unito a Cristo e sacerdote di se stesso) non deve offrire vittime altrui, ma la propria vittima, se stesso. Precisamente la propria libera volontà, quello che chiamiamo “il cuore dell’uomo”. Solo così diventa santo. 
Orbene, un’ostia non può consacrare se stessa, ci vuole un sacerdote che la consacri nella Messa. E pronunciando le parole di Cristo, compie il Suo sacrificio in modo incruento e l’ostia all’istante viene trasformata: di colpo lascia di essere farina di grano e diventa il Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo, vivente sotto i veli accidentali dell’ostia. 
Invece, trattandosi dell’uomo, per il Battesimo diventa abilitato ad offrire il sacrificio di sé e quindi può consacrare se stesso, “in virtù di quella Volontà Divina” che, fatta da lui, gli dà il potere di trasformare se stesso in Cristo: “noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella sua stessa immagine, di gloria in gloria (a poco a poco), secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 a Cor 3,18). 
Inoltre, se l’ostia viene consacrata o trasformata all’istante, è perché non ha una sua volontà con la quale possa interferire nell’azione della Volontà Divina che la consacra. Invece nell’uomo, avendo una sua volontà propria, questa consacrazione o trasformazione in Cristo avviene –se avviene– poco per volta, nella misura che il suo volere umano cede il posto al Volere Divino. 
Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, è per Se stesso sacro e santo: non dev’essere reso sacro da nessuno, è Lui che rende sacro l’uomo e l’intera Creazione, cioè la riporta a Dio, la ripristina nello stato originale di giustizia o santità. È Lui che toglie il peccato del mondo, cioè cancella ogni profanazione: “non chiamare immondo (profano) ciò che Dio ha purificato”, disse l’Angelo a Pietro (Atti, 10,15).  
Egli è il Sommo ed eterno Sacerdote: “Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek” (Salmo 109,4). Egli rende partecipi del suo Sacerdozio tutti i suoi fratelli, membri del suo Corpo Mistico, in un duplice modo: mediante il Battesimo e mediante il sacramento dell’Ordine Sacerdotale. 
Per il Battesimo, l’uomo è in grado di ricollegare a Dio tutte le cose, di rendere sacro tutto ciò che Dio ha creato, l’intera Creazione. Vivere la spiritualità del “sacerdozio regale” ricevuto nel Battesimo è la vera ed unica soluzione al problema dell’ecologia: “sia che mangiate, sia che bevete, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 a Cor 10,31). Tutto dev’essere occasione di fare comunione con Dio, comunione di riconoscenza, di lode, di benedizione, di amore; comunione con la Sua adorabile Volontà. 
Tutte le cose, gli animali, le piante, il sole, l’acqua, il vento, i campi, le stelle… , tutto ci sta dicendo: “prendimi, portami con te –non nelle tue mani quanto nel tuo cuore, nel tuo spirito– e portami al tuo e mio Creatore; Egli mi creò per te e tu non devi essere ingrato e cieco davanti a tanta sua Provvidenza, Sapienza e Amore. Offrimi a Lui in omaggio di riconoscenza, di lode, di ringraziamento e di amore; solo questo è il motivo della mia esistenza”. 
Tutto ciò che è uscito da Dio nella Creazione deve ritornare a Dio, ma solo l’uomo, che ne è il destinatario, può farlo, dando voce, palpito e vita a tutte le cose che non possono farlo da sole, non avendo una loro volontà responsabile, dotata di libero arbitrio, come invece può farlo l’uomo, creato per essere il vero re e sacerdote della Creazione (galassie comprese). E il mondo non può finire, se prima non è stato ripristinato del tutto l’ordine primordiale della Creazione: ogni cosa del mondo e della vita umana deve essere “restaurata in Cristo”, cioè “nella Volontà Divina”. Non finirà il mondo se non dopo che l’ultimo figlio di Dio avrà ricambiato il Creatore con un “ti riconosco, ti adoro, ti lodo, ti benedico, ti amo” per ogni cosa creata. Solo così tutto ritornerà a Dio. 
Sarà come dice, col suo linguaggio pittoresco, il profeta Zaccaria (14,20-21): “In quel tempo anche sopra i sonagli dei cavalli si troverà scritto: «Sacro al Signore», e le caldaie nel tempio del Signore saranno come i bacini che sono davanti all'altare. Anzi, tutte le caldaie di Gerusalemme e di Giuda saranno sacre al Signore, re degli eserciti; quanti vorranno sacrificare verranno e le adopereranno per cuocere le carni. In quel giorno non vi sarà neppure un Cananeo nella casa del Signore degli eserciti.” 
Ma gli uomini stessi, chi deve invece ricollegarli con Dio, chi può renderli sacri e santi? Un altro uomo, “preso (scelto da Dio) fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomini nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati”. (Ebrei, 5,1). È il Sacerdote “ministeriale”, che tale diventa con la imposizione delle mani di un Vescovo, successore degli Apostoli, i primi Sacerdoti del Nuovo Testamento: quindi mediante un altro Sacramento, l’Ordine sacro.
 
I sacerdoti dell’Antico Testamento, della tribù di Levi, come Aaronne, si trasmettevano il sacerdozio, da padre in figlio. Quelli del Nuovo, che sono resi tali per la partecipazione al Sacerdozio di Cristo, sono invece chiamati da Dio. È Dio che chiama allo stesso tempo nell’intimo della coscienza ed esternamente, mediante l’Autorità  della Chiesa. 
Gli antichi sacerdoti rappresentavano il popolo presso Dio e offrivano a Dio ciò che il popolo aveva da offrire. I Sacerdoti della Chiesa rappresentano invece Dio presso     il popolo, sono “espropriati” volontariamente e per amore, agiscono “in Persona Christi”, nella Persona di Cristo. Non sono soltanto un altro Cristo (alter Christus) – come lo è ogni battezzato– ma diventano una sola cosa con Cristo (ipse Christus). Perciò possono offrire ai loro fratelli le cose di Dio: la Via, la Verità, la Vita stessa di Dio; la luce, la consolazione, il perdono, la salvezza, il Signore stesso. 
Perciò, il Sacerdote che celebra il Sacrificio della Messa, dal momento che esce dalla sagrestia per salire all’altare è già in profonda comunione con il Signore (sia che si renda conto, sia che non si renda), molto prima di riceverlo lui stesso e i fedeli nella Comunione Eucaristica. Fin dal primo momento è così unito con Cristo (dovrebbe essere così identificato in tutto, ventiquattro ore al giorno), che può perciò ad un certo punto dire: “Questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue”… 
E questa ritengo sia la più profonda ragione del celibato del Sacerdote, che la Chiesa Cattolica considera “un valore non negoziabile”, senza con questo biasimare quelle situazioni particolari di sacerdoti sposati (uomini sposati che diventano successivamente sacerdoti), nei luoghi dove per ragioni storiche la Chiesa lo ammette nel rito orientale.

P. Pablo Martin Sanguiao

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