domenica 12 giugno 2022

Disposizioni che si richiedono per ottenere una tenera devozione al S. Cuore di Gesù

 


LA DIVOZIONE AL S. CUORE DI N. S. GESÙ CRISTO

Le disposizioni necessarie ad avere questa devozione possono ridursi a  quattro: grande orrore del peccato, fede viva, vero desiderio d’amare Gesù,  raccoglimento interno per quelli che vogliono gustarne le vere dolcezze e  coglierne il frutto. 

 

§ 1. Orrore del peccato. 

Siccome il fine della devozione al S. Cuore di Gesù altro non è che  l’amore ardentissimo e tenerissimo verso di Lui, è chiaro che per possedere  questa devozione bisogna essere nello stato di grazia e sentire estremo  orrore di ogni sorta di peccato, incompatibile con questo amore. Essendo il  S. Cuore la sorgente d’ogni purezza, non solo non entrerà in Lui nulla di  macchiato, ma soltanto ciò ch’è al tutto puro e capace di piacergli, e  qualunque cosa si faccia o si dica per amor suo e per la sua gloria, se non  si vive nell’innocenza, lo disonora. La Corte di Gesù si compone soltanto  d’anime pure al maggior segno, perché il S. Cuore non può soffrire il  peccato. Un solo capello fuori di posto, cioè, il più piccolo difetto, la più  piccola macchia, gli fa orrore. 

Al contrario, quale accesso al S. Cuore non danno una grande  innocenza e una grande purezza? Perché Gesù prediligeva S. Giovanni?  Perché, come canta la Chiesa, la sua castità straordinaria l’aveva reso  degno d’essere amato d’un amore particolare. Egli era amato sopratutto,  dice S. Cirillo (Comment. in Ev. Joan. L. II), perché aveva una somma  purezza di cuore. 

Tutte le anime che aspirano alla vera devozione al S. Cuore di Gesù,  aspirano al grado di predilette dell’adorabile Salvatore, e la pratica di  questa devozione consiste propriamente nell’amore verso Gesù più ténero e  più intimo di quello ordinario dei fedeli. Quando un’anima si dà poco  pensiero dei peccati veniali deliberati, col proposito d’astenersi solo dai  mortali, oltre a esporsi a gran pericolo di perdere ben presto con la grazia  l’innocenza, non deve punto attendersi di gustare le dolcezze inesplicabili  di cui Gesù Cristo riempie d’ordinario quelli che l’amano veramente e senza  misura. E’ dunque evidente che non appena uno si dà alla devozione del  S. Cuore di Gesù, deve risolversi a non tralasciar nulla per acquistare una  purità di cuore che superi di molto la virtù ordinaria dei cristiani, benché  le pratiche stesse di questa devozione siano dei mezzi per acquistare questa  somma purità. 


§ 2. Fede viva. 

La seconda disposizione è una fede viva, ché una fede languida non  produrrà mai un grande amore. Poco si ama Gesù, benché tutti siano  d’accordo ch’Egli sia sommamente amabile, perché non si crede, come si  deve, ai prodigi grandissimi coi quali ci manifesta il suo più grande amore.  Che noti si fa per accogliere decorosamente una persona che si stima avere  influenza in Corte? Quanta premura, contegno e rispetto in presenza d’un  uomo che si crede essere il Re, ancorché nascosto sotto i cenci dell’uomo  più povero! Che non si farebbe dinanzi a Gesù sui nostri altari, che  assiduità, rispetto, ma sopratutto con che sentimenti d’amore non si  starebbe dinanzi a un sì amabile Redentore, al nostro Re, al nostro  Giudice, nascosto sotto le deboli apparenze dei pane, solo che si credesse  sinceramente che Egli vi fosse, o almeno se si credesse con fede viva? 

Le reliquie dei Santi ispirano, non so qual rispetto, la sola lettura delle  loro virtù produce non so quale venerazione e amore per le loro persone,  perché non si dubita affatto della verità di ciò che s’è udito o si è letto: e il  Corpo e il Sangue di Gesù vivente sul nostri altari, la conoscenza delle  meraviglie che opera per testimoniarci l’eccessiva grandezza dell’amor suo,  non sono sufficienti a ispirarci quasi nessun rispetto e molto meno amore.  Non ci pare mai lungo il tempo presso una persona amata; perché un  quarto d’ora dinanzi al SS. Sacramento ci annoia tanto? Uno spettacolo,  una rappresentazione profana terminano sempre troppo presto, ancorché  siano durati tre ore; e una Messa in cui Gesù è veramente e realmente  offerto in sacrificio per i nostri peccati, ci sembra d’una lunghezza  insopportabile se dura appena mezz’ora; eppure siamo persuasi che lo  spettacolo profano è una finzione, che gli attori non sono affatto quei  personaggi che rappresentano, e che tutta l’azione ci è del tutto inutile. Al  contrario noi diciamo di credere che il Sacrificio dei nostri altari contiene la  medesima Vittima di quello del Calvario, e che nulla ci può essere più utile  di un atto ch’è il più augusto e il più santo di nostra Religione. In divino  hoc sacrificio quod in Missa peragitur, idem ille Christus continetur et  incruenter immolatur, qui in ara Crucis semetipsum cruenter obtulit: una  enim eademque est hostia. (Trid. Sess. 21, cap. 2). 

Gesù Cristo sta in mezzo a noi nel modo stesso che a Nazareth tra i  suoi concittadini; vi stava sconosciuto da loro e senza compiere per quelli i  miracoli che faceva altrove: ugualmente la nostra cecità e la cattiva  disposizione verso di Lui gli impediscono di farci vedere e sentire le  operazioni meravigliose con le quali benefica quelli che trova ben disposti.  Perché si deplora tanto la disgrazia dei Giudei e si sente tanto sdegno  contro costoro che trattarono sì male Nostro Signore che non vollero  riconoscere? Certamente perché si crede la verità di questo articolo di fede:  e perché allora noi sentiamo tanto poco la dimenticanza che si ha di Gesù  nel Santo Sacramento, dove è sì poco visitato e gli oltraggi che riceve da  quegli stessi che si professano suoi credenti? Certamente perché la fede dei  Cristiani in questo punto è assai languida. 

Bisogna dunque avere fede viva per avere amore ardente verso Gesù  sacramentato, e per sentire le offese a cui l’espone l’amore eccessivo per  noi, a fine di conseguire una vera devozione al S. Cuore di Gesù. Perciò bisogna menare una vita pura e innocente, bisogna ravvivare la nostra fede  con l’assiduità e sopratutto col profondo rispetto dinanzi al  SS. Sacramento, e con ogni sorta d’opere buone; bisogna pregare molto e  chiedere sovente a Dio questa fede viva, e comportarsi infine da persone  credenti. 

Allora sì che ci sentiremo ben presto animati da questa fede viva. 

 

§ 3. Vero desiderio.  

La terza disposizione è d’amare Gesù ardentemente. È vero che non si  può avere una fede viva e vivere nell’innocenza senza sentirsi in pari tempo  accesi di carità, ardentissima verso Gesù o almeno da gran desiderio  d’amarlo. Ora è chiaro che tale desiderio d’amare ardentemente Gesù è una  disposizione del tutto necessaria per questa devozione, esercizio continuo  essa pure di questo amore. 

Gesù non dona il suo amore se non a chi appassionatamente lo  desidera; la capacità in ciò del nostro cuore si misura dalla grandezza del  desiderio, e tutti i Santi si accordano in questo, che la disposizione più  propria per amar teneramente Gesù è desiderare d’amarlo assai. 

«Beati, dice il Figlio di Dio, quelli che hanno fame e sete della giustizia,  perché saranno infallibilmente saziati». Il cuore per divenire acceso delle  pure fiamme dell’amore divino deve essere necessariamente purificato per  mezzo di questo desiderio ardente, che non soltanto dispone il nostro cuore  ad essere infiammato dall’amore di Gesù, ma obbliga l’amabile Salvatore ad  accendervi questo fuoco sacro. Desideriamo dunque d’amarlo veramente,  ché un tal desiderio, si può dire, è sempre efficace, e non s’è mai udito che  Gesù gli abbia negato il suo amore. 

Si può pretendere cosa più ragionevole di questa? Si può esigerne di  più facile mentre non c’è cristiano che non affermi di sentire almeno il  desiderio d’amare Gesù Cristo? Se dunque è vero che questo desiderio è  una disposizione adattissima ad avere amore ardente verso Gesù Cristo,  come mai sono tanto scarsi quelli che la amano ardentemente, mentre tutti  s’illudono d’avere tale disposizione, e Gesù è così pronto a concedere il suo  amore a tutti quelli che sono ben disposti? La ragione è che il nostro cuore  è pervaso dall’amor proprio, e quello che noi chiamiamo desiderio d’amare  Gesù non è che semplice speculazione, sterile conoscenza dell’obbligo che  abbiamo di amarlo, è un atto dell’intelligenza e non della volontà. 

E questa conoscenza, comune a chiunque non ignori i benefici di cui  gli è debitore, oggi è considerata come vero desiderio da chi si crede in  buona coscienza, purché abbia un pretesto specioso per ingannarsi. 

Per convincersi che il nostro non è punto un vero desiderio d’amare  Gesù, non ci resta che confrontare questo preteso desiderio con quelli che  abbiamo davvero. 

Quante diligenze, quante premure quando amiamo  appassionatamente una cosa! Siamo tutti invasi da questo desiderio, ci  pensiamo, ne parliamo ad ogni istante, studiamo senza posa le misure,  cerchiamo i mezzi per attuarlo; s’arriva persino a perdere il sonno! 

E quale effetto simile ha mai prodotto in noi il desiderio, che  pretendiamo d’avere, d’amare Gesù? Ci ha mai recato gran dispiacere il  timore di non aver questo amore? Il pensiero del medesimo, quanto ci tiene  occupati? No, non l’amiamo Gesù, e ci culliamo nell’illusione di desiderar  molto questo amore. 

Il vero desiderio d’amare il Salvatore divino si avvicina molto all’amor  vero, per mancare di simili effetti, e per quanti palliativi dell’amor proprio si  adoperino, non sarà mai vero che si desideri d’amar molto Gesù mentre in  verità si ama così poco. C’è gran pericolo che quei desideri sterili di amare  Gesù, che sentiamo talvolta, non siamo altro che piccole faville d’un fuoco  quasi spento e chiari indizi, della tiepidezza in cui si vive da noi. 

Se ancora ci manca quest’amore ardente verso Gesù, riflettiamo  seriamente, almeno una volta nella nostra vita, agli obblighi che abbiamo  d’amarlo, ed essi desteranno certo in noi il desiderio, almeno, d’essere  infiammali da questo ardente amore. 

 

§ 4. Raccoglimento interno. 

La quarta disposizione che si deve avere per acquistare questa  devozione, per gustarne tutte le dolcezze e recarne tutti i vantaggi, consiste  nel raccoglimento interno. Dio non si fa udire nel tumulto, non in  commotione Dominus… e un cuore aperto ad ogni oggetto, un’anima sempre  diffusa al di fuori e distratta di continuo da mille cure superflue e pensieri  inutili, non sono davvero in condizione di udire la voce di Colui, che si  comunica all’anima e parla al cuore soltanto nella solitudine. Ducam eam  in solitudinem et loquar ad cor eius. 

La devozione perfetta al S. Cuore di Gesù è una continua pratica di  questo amore verso di Lui, e perciò non deve essere priva di raccoglimento.  Gesù si comunica all’anima più specialmente per mezzo di questa  devozione, perciò è necessario ch’essa stia nella calma, svincolata dagli  impedimenti e dal tumulto delle cose esteriori, in condizione da intendere  la voce dell’amabile Salvatore e di gustare le grazie straordinarie ch’Egli  largisce a un cuore libero da ogni turbamento e occupato soltanto di Dio. Il  raccoglimento interiore è la base di tutto 1’edificio spirituale delle anime,  tanto che senza di quello è impossibile progredire nella perfezione; e si può  affermare che tutte le grazie concesse da Dio all’anima non ben salda su  questa base, sono come lettere scritte sull’acqua o figure impresse sulla  sabbia, perché per avanzare nella perfezione bisogna necessariamente  unirsi sempre più a Dio; ma senza raccoglimento interno è impossibile che  ciò avvenga, perché Dio si trova solo nella pace dello spirito e nel  ritiramento d’un’anima non distratta da varî oggetti, né turbata da  impedimenti di occupazioni esterne. S. Gregorio osserva che quando Gesù  vuole accendere un’anima del suo fuoco divino la prima grazia che le fa è di  darle un grande allettamento per la vita interiore.  

Si può affermare che la sorgente più comune delle nostre imperfezioni  è la mancanza di raccoglimento e d’attenzione su noi stessi. Questo  rallenta tante persone nella via della pietà, e fa che l’anima non trovi quasi  affatto piacere nelle pratiche più sante della devozione. 

Un uomo poco raccolto non fu mai ben devoto. Diceva un uomo santo:  «Da che viene che tanti religiosi, tante persone devote che hanno sì buoni  desideri e compiono, a quanto pare, tutto ciò che si deve per diventare  santi, tuttavia ricavano così poco frutto dalle orazioni, dalle Comunioni e  dalle letture, e con tanti esercizi esterni di vita spirituale praticati per molti  anni non si nota quasi nessun profitto in loro? Da che proviene che  Direttori, i quali guidano gli altri nel cammino della perfezione, rimangono  poi essi stessi sempre nei soliti difetti? 

«Quanti uomini zelanti, operai che lavorano con tanto ardore alla  salvezza delle anime, persone che si danno interamente alle opere buone,  conservano tuttavia le passioni così vive, soggiacciono sempre agli stessi  difetti, non hanno quasi nessun ingresso nell’orazione, trascorrono tutta la  vita in non so quale languore, senza mai gustare le soavità ineffabili della  pace del cuore, inquiete sempre, che il pensiero della morte spaventa e il  minimo accidente abbatte? Tutto questo non deriva che dall’essere  negligenti nella custodia del cuore e dal non conservarsi nel raccoglimento.  Costoro tralasciano le cure del loro interno e si diffondono troppo nelle cose  esteriori». 

Questo fa sì che sfugga loro un’infinità di difetti, una moltitudine di  parole inconsiderate, una quantità di capricci, di movimenti sregolati,  d’azioni puramente naturali; la qual cosa non accadrebbe se con  un’attenzione attuale regolassero la loro condotta interna, e se nell’agire si  portassero in modo da impedire che le passioni si rinvigorissero tanto più  pericolosamente, e quanto più vi si mascherano sotto una speciosa  apparenza di zelo e di virtù. 

Si deve dunque confessare che il raccoglimento interno è così  necessario per amare Gesù con perfezione e per ricavar profitto nella vita  spirituale, che non vi si progredisce se non in proporzione che ci daremo a  questo eccellente esercizio. 

Con questo mezzo appunto S. Ignazio, S. Francesco di Sales,  S. Teresa, S. Francesco Saverio e S. Luigi Gonzaga sono pervenuti al  sommo della perfezione; e se noi non ci curiamo di tenerci raccolti  nell’azione stessa, ricaveremo poco frutto anche dalle stesse azioni. 

Conserviamoci nel silenzio se vogliamo udire la parola di Gesù,  allontaniamo l’anima nostra dal tumulto e dagli impedimenti delle cose  esteriori, per poter trovare la libertà di conversare più a lungo con Lui, e  per amarlo ardentemente e con tenerezza. 

È vero che il demonio, prevedendo benissimo la grande utilità che  l’anima ricava dalla pace interna e dalla custodia del cuore, nulla tralascia  per farle perdere questo raccoglimento, e qualora disperi, di farle  abbandonare gli esercizi di pietà e le opere buone, si serve dell’esercizio  stesso di queste per costringerla a dissiparsi all’esterno e di uscire, per dir  così, da quella trincea dove stava al sicuro da tutte le sue persecuzioni.  L’anima, dunque, incantata da non so quale soddisfazione che si prova  nella moltitudine delle azioni esteriori, tenuta a bada da quello specioso  pretesto di fare molto per Iddio, si dissipa e perde a poco a poco l’unione  con Dio e la dolce presenza di Lui, senza la quale si lavora molto e si  profitta poco. 

L’anima dissipata è simile a una pecora smarrita e vagabonda, che presto vien divorata dal lupo. 

Ci sembrerà poi facile rientrare in noi stessi, ma oltre che la presenza  di Dio è una grazia che non è sempre a nostra disposizione, l’anima non  sarà quasi più in grado di liberarsi da cento oggetti esterni che la tengono  occupata, ed ha perso il gusto delle cose spirituali per aver soggiornato, per  dir così, troppo a lungo in un paese straniero. I rimorsi, le inquietudini che  prova quando sì ripiega alquanto su se stessa, le rendono questo  raccoglimento un supplizio; è dunque dissipata e infine ama la  dissipazione. 

O mio Dio, che perdita fa quell’anima che si diffonde continuamente  nelle cose esterne! Quali ispirazioni, quali grazie non rende essa inutili, e di  quali favori non si priva con la mancanza di raccoglimento? Per evitar  questa disgrazia si abbia grande cura di stare sempre alla presenza di Dio  e dì mantenere lo spirito di raccoglimento in tutte le occupazioni esteriori:  quando lo spirito è occupato, il cuore deve riposare e restare immobile nel  suo centro, ch’è la volontà divina, da cui non deve mai distaccarsi. 

Per acquistare il raccoglimento interno, che certo è un dono di Dio, ma  ch’Egli non nega mai a chi lo desidera ardentemente e usa i mezzi per  ottenerlo; per acquistare, dico, questo raccoglimento interno bisogna  abituarsi a riflettere molto ai motivi che si devono avere da noi in tutto quel  che facciamo. Prima di cominciare un’azione osserviamo sempre s’è  nell’ordine, se piace a Dio e se la facciamo per Lui: durante l’azione  eleviamo di tanto in tanto lo spirito al Signore, rinnovando la purità  d’intenzione. 

Il segno per conoscere se un’azione è fatta per Iddio si ha quando noi  la tralasciamo agevolmente e la riprendiamo senza inquietudine e  rincrescimento, e non c’infastidiamo se dobbiamo interromperla. 

Ma il mezzo più sicuro ed efficace per conservare il raccoglimento  interno in ogni più grande nostra occupazione esteriore consiste nel  rappresentarci Gesù operante. 

Osserviamo con che aspetto, modestia ed esattezza Egli operava  quando era sulla terra. Quanta diligenza usava nel compiere con perfezione  ciò che stava facendo, e tuttavia con quanta tranquillità e dolcezza Egli  l’adempiva! Quale differenza tra il suo modo d’agire ed il nostro! Se ciò che  dobbiamo fare non ci piace, quante false ragioni per dispensarcene, quanti  rigiri per differirlo, con che languidezza e indifferenza noi l’eseguiamo! Ma  se è di nostro gusto ne sentiamo non so quale piacere che reca subito la  dissipazione nell’anima. Il solo pensiero di non riuscire ci rende inquieti e  malinconici. Prendiamo dunque a modello Gesù Cristo, e teniamolo sempre  dinanzi agli occhi se vogliamo conservarci raccolti internamente e crescere  sempre più nell’amore di Lui.  

Quando si dice che per mantenersi nel raccoglimento interiore non  bisogna che l’anima si occupi troppo di cose esterne, non si vuol dire che  l’occuparsi in quelle cose che sono obbligatorie costituisca un impedimento  al raccoglimento interno: anche nell’azione si può essere assai raccolti.  Santi grandissimi che ebbero maggiore unione con Dio e furono perciò più  raccolti spesso furono attivissimi in opere esterne, come gli Apostoli e gli  uomini apostolici, occupati nella salvezza del prossimo. È uno sbaglio  perciò il credere che le più grandi occupazioni esterne ostacolino il raccoglimento interno: se Dio ci pone in queste occupazioni esterne, esse  stesse diventano i mezzi più adatti per tenerci continuamente uniti a Lui:  solo però bisogna prestarsi per così dire, ad esse, ma non attaccarci il  cuore. 

Bisogna assolutamente scegliere una di queste due cose, diceva un  gran servo di Dio, o essere uomo interiore, o menare una vita infingarda e  inutile, vita piena di mille vane occupazioni, nessuna delle quali ci porterà  mai alla perfezione a cui Dio ci chiama. Che se non ci curiamo di  mantenerci nel raccoglimento interno, noi, ben lungi dal compiere i disegni  di Dio, nemmeno li conosceremo, e non s’arriverà mai a quel grado di  santità richiesto dal nostro stato, né alla perfezione. 

L’uomo che non è affatto raccolto, va errando qua e là senza punto  trovare quiete, e cerca avidamente ogni sorta d’oggetti senza potersi saziare  d’alcuno; mentre se si desse al raccoglimento rientrerebbe nel suo interno e  ci troverebbe Dio, gusterebbe Dio, che con la sua presenza lo colmerebbe di  tanta abbondanza di beni, ch’egli non andrebbe più a cercare altrove di che  riempire il vuoto dei suoi desideri. 

Questo si può vedere ogni giorno nelle persone interiori. Noi crediamo  che il loro amore per il ritiramento e il dispiacere che sentono nel doversi  diffondere al di fuori, sia effetto di malinconia: niente affatto. La ragione è  che gustano Dio dentro di sé, e le dolcezze ineffabili di cui son piene fan  loro giudicare i divertimenti e i piaceri del mondo sì insipidi e disgustosi,  da sentirne orrore. Quando s’è gustato una volta Dio e le cose spirituali,  sembra insipido tutto ciò che sa di attacco e contagio della carne e del  sangue. 

Quanti vantaggi meravigliosi della vita interiore ricavano quelli che già  vi si sono stabiliti! Si può affermare che soltanto tali persone godono Dio e  sentono le vere dolcezze della virtù. Io non so se dipenda dal raccoglimento  interno o se sia la ricompensa della cura che si ha di star sempre uniti con  Dio, ma è certo che l’uomo interiore possiede la fede, la speranza e la carità  in un grado sì sublime, che nulla può smuoverlo dalla sua credenza: a  poco a poco viene innalzato sopra tutti i timori umani, sta sempre fisso in  Dio. 

Si piglia occasione d’elevarsi a Dio da tutto ciò che si vede e si ode: Lui  solo si vede nelle creature, come quelli che, avendo fissato il sole per un  pezzo, s’immaginano poi di rivederlo in tutti gli oggetti che guardano. 

Né si deve pensare che tale raccoglimento interno renda le persone  oziose e fomenti la negligenza, ché l’uomo veramente raccolto è più attivo,  fa maggior bene ed è di maggior utilità alla Chiesa in un giorno, che non  cento altri dissipati potrebbero rendere in molti anni, benché assai più di  lui forniti di doti naturali. E questo non solo perché la dissipazione è un  ostacolo al frutti di zelo, ma anche perché l’uomo niente affatto interno e  che pure s’affatichi molto, tutto al più si può dire che lavora per Iddio,  mentre mercé il raccoglimento è Dio stesso che lavora per mezzo dell’uomo.  Mi spiego: la persona non raccolta può avere Dio come motivo delle sue  azioni, ma di solito l’umore, l’amor proprio e il suo carattere naturale  hanno la maggior parte nelle sue buone opere; al contrario, una persona  raccolta, sempre attenta a sé e a Dio, sempre in guardia contro i capricci dell’inclinazione naturale e gl’inganni dell’amor proprio, opera unicamente  per Iddio e secondo l’impulso e la direzione dello spirito di Dio.  

A farci stimare il raccoglimento basterebbe solo considerare la  differenza che passa tra l’uomo interiore e quello di spirito svagato. L’uomo  poco raccolto mostra non so che aspetto dissipato che oscura le azioni  virtuose, anche più appariscenti, ed ha qualche cosa di disgustoso che  affievolisce la stima che avevamo della sua pietà, e rende le sue parole  quasi affatto prive di unzione: invece quanta buona impressione ci fa  quell’atteggiamento modesto, quella dolcezza, quella pace che si rivela  persino sulla faccia d’una persona veramente interiore! E quel contegno,  quel silenzio, quell’attenzione continua su di sé non c’ispirano venerazione  e amore per la virtù? 

Se non siamo veramente devoti, assai difficilmente potremo  conservarci a lungo raccolti, mentre è certo che dalla mancanza di  raccoglimento deriva di solito quella della devozione. 

 

I mezzi per acquistare il raccoglimento interno e di conservare un dono così prezioso dopo averlo acquistato sono: 

1) evitare la fretta in ciò che si sta facendo, e con libertà di spirito attendere a gli esercizi di pietà; 

2) non distrarre mai il cuore con opere poco necessarie, per non renderlo arido nella preghiera; 

3) vegliare continuamente su noi stessi e tenerci talmente disposti da essere sempre pronti all’orazione; 

4) renderci padroni delle nostre azioni, elevandoci per dir così sopra  qualunque impiego, tenendo il cuore libero da ogni imbarazzo e tumulto in  cui ci mettono le funzioni dì zelo delle anime, l’applicazione allo studio, le  cure della famiglia, le relazioni col mondo, il disimpegno degli affari e le  differenti occupazioni, considerando gli uffici del proprio stato come  altrettanti mezzi per arrivare al nostro ultimo fine; 

5) avere il ritiramento e il silenzio come mezzi efficaci per tenerci  raccolti, perché è difficile davvero che una persona ciarliera possa  mantenersi raccolta; 

6) il raccoglimento interno non solamente è un segno di grande purità  di cuore, ma n’è anche il premio. Beati quelli che hanno il cuore puro,  perché vedranno Dio, cioè cammineranno sempre alla sua presenza; 

7) per meglio agevolarci l’esercizio della presenza di Dio possiamo  servirci d’un segno che ce lo faccia ricordare, per es. il suono dell’orologio,  il principio e la fine di ciascuna azione, ogni volta ch’entriamo o usciamo di  camera, la vista d’un’immagine, la venuta d’una persona e via dicendo; 

8) il ritegno e la modestia in tutto ciò che si compie è anche un gran  mezzo per divenire uomo interiore, specie se si ha cura di proporsi a  modello la modestia e la dolcezza di Gesù Cristo; 

9) il fare molte riflessioni aiuta molto l’uomo che vuol darsi al  raccoglimento; pensare di tanto in tanto che Dio sta in mezzo a noi, o  meglio che noi siamo in mezzo a Lui, che in qualunque luogo noi stiamo  Egli ci vede, ci sente, ci tocca; nella preghiera, al lavoro, a tavola, a  conversazione.

Rinnovare spesso atti di fede sulla presenza dì Dio, mantenerci  modesti tanto quando si è soli, come in compagnia. 

Finalmente il raccoglimento interno è dono di Dio, a cui bisogna  chiederlo sovente e chiederlo quale disposizione necessaria per amare  ardentemente Gesù: motivo questo che rende efficaci tutte le nostre  preghiere. 

La devozione ai Santi che furono più eccellenti nella vita interiore può  essere utilissima ad avere il raccoglimento interno. Essi sono la Regina di  tutti i Santi, S. Giuseppe, S. Anna, S. Gioacchino, S. Gio. Battista, e in  modo speciale S. Luigi Gonzaga. 

P. GIOVANNI CROISET S.J. 

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