EPISTOLARIO
2. Descrizione
Finora abbiamo cercato di precisare alcune note caratterizzanti la notte oscura, con riferimento alle lettere di padre Pio. Come si è potuto constatare, esse coincidono sostanzialmente con la dottrina degli specialisti della teologia spirituale e con la esperienza dei mistici.
Più difficile si presenta il compito di sintetizzare in poche righe la varietà e la intensità dei dolori crocifiggenti, degl'incubi atroci e delle pene sconvolgenti che affliggono lo spirito e purificano l'anima. In qualche occasione padre Pio scrisse che il suo linguaggio non poteva essere compreso se non da chi avesse avuto, in qualche modo, esperienza dei fenomeni da lui descritti. Avrebbe potuto egualmente osservare che nessuna pena avrebbe trovato, per descrivere un quadro così fosco, termini così realistici, espressivi ed appassionati come quelli del protagonista della vicenda, benché anche lui dovesse lamentare di non riuscire se non a dare una pallida idea dello strazio dell'anima in questa fase di purificazione.
Perciò anziché presentare noi un quadro approssimativo delle pene purificatrici dell'anima preferiamo stralciare dall'epistolario alcuni brani tra i più significativi. Li disponiamo cronologicamente per disegnare, nello stesso tempo, le diverse tappe della notte oscura, le diverse cause e manifestazioni e il continuo e perseverante evolversi del fenomeno mistico.
La scelta non è facile, perché la descrizione occupa pagine e pagine dell'epistolario, tutte assai vive e commoventi. Trascriviamo pertanto soltanto due brani alquanto estesi; per chi volesse avere un quadro più completo del fenomeno qui descritto legga, tra le altre, le seguenti lettere: 314, fine genn. 1916, 11 9 1916, 4 12 1916, 6 3 1917, 19 6 1918, 4 7 1918. Particolarmente espressive le descrizioni della desolazione causata dall'abbandono di Dio, delle sterili ricerche del sommo Bene, della cognizione sperimentale dello stato della sua miseria morale di fronte alla santità di Dio desiderata ed intravista: "Quare posuisti me contrarium tibi, et factus sum mihimetipsi gravis? Questo è il grido che emette l'anima mia dal fondo della sua miseria, in cui è posta dal suo Dio. La mia anima è posta dal Signore a marcire nel dolore. Il mio stato è amaro, è terribile, è estremamente spaventoso. Tutto è oscurità intorno a me e dentro me: oscurità nell'intelletto, afflizioni nella volontà, angustiato sono nella memoria, il pensiero della sola fede mi regge in piedi; nell'intimo sono tocco di dolore, ed in pari tempo afflitto ed ansioso di amore divino [...]. In questo stato quello che in modo speciale più mi strugge è il vedere che non sono degno di Dio e non lo sarò mai più, perché veggo con ogni chiarezza, con ogni evidenza la mia bruttura; conosco pure nel più chiaro modo, che sono affatto indegno di Dio e di qualsiasi creatura. Innanzi all'anima si vanno schierando uno per uno tutti i mali di cui ella si rese rea davanti a Dio, e questo fa sì che tocchi con mano che non potrà mai avere altro [...]. Compassionevolissimo stato che mi riempie di estrema confusione! Vorrei nascondermi agli occhi di Dio, agli sguardi di tutte le sue creature, vorrei nascondermi a me stesso, tanta è la pena che mi cagionano le mie miserie, la mia imperfezione, la mia povertà, che mi tengono lo spirito intero affogato nelle tenebre [...]. Il mio patire è angosciosissimo, che solo potrebbe rassomigliarsi alle sofferenze di colui al quale si togliesse ogni aria da respirare [...]. Invero tutto è tristezza in me e non vi è parte alcuna che non sia in alta afflizione: la parte sensitiva è posta in un'amara e terribile aridità, le potenze tutte dell'anima in un vuoto di tutte le loro apprensioni, che mi riempie di un estremo spavento [...]. In certi istanti, padre mio, è sì tremenda [l'intima acerbità] che all'anima sembra avere sotto i piedi aperto l'inferno e la dannazione eterna. Ahimè! chi mi libererà da tanta sventura? chi mi sosterrà? chi si ricorderà della mia povertà, dei miei eccessi, dell'assenzio e del fiele? Sopra di me, o padre, si è confermato il furore dell'Altissimo e tutte le onde ed i flutti si scaricarono sopra di me" (19 7 1915, degna di essere letta tutta).
"Questo è il più raffinato martirio che la mia fralezza potesse sopportare: lo spirito sembra che declini ogni momento ai ripetuti colpi della divina giustizia giustamente adirata contro questa malvagia creatura, e si frange: il cuore sembrami di essere infranto, perché non più sanguina dal sempre più incrudelimento della costante morte spietata. Padre mio! Dio mio! ho smarrito ogni traccia, ogni vestigia del sommo Bene, nel senso più rigoroso. Tutte le mie affannose ricerche in cerca di questo Bene mi riescono inutili, sono lasciato solo nella mia ricerca, solo alla mia nullità e miseria, solo alla viva immagine di ciò che si possa, anche in cognizione sperimentale; sono solo, completamente solo, senza cognizione alcuna della suprema bontà, all'infuori di un desiderio forte sì, ma sterile, di amare questa suprema bontà" (27 7 1918, a padre Benedetto. Leggerla tutta).
PADRE PIO DA PIETRELCINA
Nessun commento:
Posta un commento