20 giugno 1946, Corpus Domini.
I cinque calici:
1. "Gesù prese il calice, rese grazie e disse "Prendete e dividetelo tra voi".
2. "Prendendo il calice, disse: "Bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue; il sangue della nuova alleanza che sarà sparso per voi e per tutti".
3. "Padre mio, se è possibile, e tutto è possibile a Te, passi da me questo calice".
4. "Venne allora un Angelo dal cielo a fortificarlo".
5. "Io non berrò più del prodotto della vite fino a quando il Regno di Dio sia arrivato. Allora berrò con voi quello nuovo nel Regno di mio Padre".
I° calice: bevuto durante la Pasqua giudaica, è l'unione nell'antica Alleanza, ne è anche la fine. I sacrifici antichi non erano che figure di quello del Nuovo Testamento. Gesù vi mette fine senza berlo apparentemente, giacché non ha a che fare con delle immagini, Lui, che è la realtà. Ma gli apostoli, come i loro successori, dovranno continuare a nutrirsi della linfa che contiene l'Antica Legge.
Il secondo calice, è alla base dell'istituzione del Sacrificio Nuovo. Tutti ne devono bere per essere salvati e uniti alla Divina Vittima (ahimè! La Chiesa l'ha perso di vista; mio Dio, fa' che essa recuperi presto la vista). "Non è più vino", nonostante l'apparenza, nasconde la realtà del sangue di un Dio sparso per gli uomini peccatori. Nelle usanze antiche, ogni alleanza era suggellata nel sangue delle parti contraenti. Gesù ha messo il Suo nel calice. L'alleanza sarà perfetta solo se noi vi mescoliamo il nostro. Questo sangue di Gesù non ha tardato ad essere versato in realtà: è quello del terzo calice; quello che il Padre presenta a suo Figlio. Non è per ridere che Gesù ha detto: "questo è il sangue della Nuova Alleanza". Esso è scorso sul suolo dell'orto degli Ulivi, nella corte dei Sacerdoti, nel pretorio di Pilato, sul cammino del Calvario, sulla Croce e ancora nel Sepolcro. Così noi possiamo prendere il calice in memoria di quello che Egli ha fatto per noi, se non siamo degli ingrati. É d'altronde nostro il vantaggio: vi troveremo la forza che Gesù ha trovato nella bevanda che l'Angelo gli ha portato dal cielo col quarto calice.
Gesù, nell'offrirci di partecipare al calice dei suoi dolori, ce ne ha dato al contempo il mezzo per attingere il coraggio di farlo: è il suo calice Eucaristico, che contiene la forza del Cielo... la Sua. Se noi lo facciamo, ci attende più tardi con un quinto calice che berremo con Lui nel Regno del Padre. Questa bevanda sarà nuova. Non sarà dunque più il frutto delle nostre vigne attuali. Non sarà neanche il sangue di Cristo, giacché Lui lo berrà con noi (e Lui non deve bere il Suo sangue). Sarà la bevanda dell'Angelo? Qualcosa di analogo, ma di più. Qualcosa come il succo del frutto dell'albero di Vita del Paradiso Terrestre che solo Adamo ed Eva hanno gustato per troppo poco tempo, ma meglio ancora. Sarà un frutto nuovo che nessuno ha conosciuto: il frutto che dà la vita e non solo quella temporale, come per i nostri progenitori, ma quella eterna. E l'umanità santa del Figlio di Dio manterrà la Sua vita come la nostra. Non sarà più nel giardino del Peccato Originale, né in quello dell'agonia, ma nel giardino del Regno dei Cieli, dove non ci saranno più lacrime, né sangue versato, ma una gioia eterna nell'unione felice col Cristo di cui avremo partecipato le sofferenze e la morte.
4 luglio 1946, Cuore Eucaristico di Gesù.
Cristo si è appena donato ai suoi apostoli, carne e sangue, umanità e divinità. Se ne va ora all'agonia dell'Orto, alle sofferenze, alla morte, alla Resurrezione e all'Ascensione. Perché ha scelto quest'ultimo momento per istituire la S. Eucarestia? Fintanto che era sulla terra Egli era la Luce del mondo, vivificava i discepoli con la sua Parola, regnava già sul mondo. Donandosi ai suoi apostoli, è Sè stesso che prolunga sulla terra fino alla fine dei tempi. Tutti noi che ci comunichiamo a Lui, assicuriamo la sua sopravvivenza, il suo regno quaggiù, se sappiamo conservarlo in noi. Ora, può consegnare il suo corpo agli aguzzini, rimettere la sua anima nelle mani del Padre, risalire anche verso il Padre. Ma non cesserà, fino alla fine dei tempi, di essere su questa terra che ha conquistato col suo Sangue.
Ecco il motivo di aver dato in extremis l'Eucarestia: è il suo testamento, la ripartizione dei suoi beni tra gli eredi della sua promessa e della sua Parola, la distribuzione di Sè ai suoi, affinché, come fedeli depositari, facciano fruttare questo Dono inapprezzabile moltiplicandolo in altri Cristi. E siccome si era donato interamente in questo mistero d'Amore, siccome vi aveva speso le sue forze e la sua vita, è un uomo fiaccato e abbattuto che va ad affrontare la lotta suprema la cui sola uscita vittoriosa potrà assicurare la perpetuità della Sua opera, sarà il sigillo della sua vittoria. Così, aveva il diritto di chiedere il conforto da quelli a cui aveva distribuito le sue forze: "Restate qui e vegliate con me", ma invano. Ahimè! Il dono divino non era stato compreso, e non era stato che passivamente ricevuto; non poteva ancora fare degli eroi di poveri uomini peccatori.
Ci vorrà la fecondazione dello Spirito Santo, e per questo l'Ascensione che prepara alla Pentecoste. É dunque un doppio dono che dovrà fare Gesù: Sè Stesso prima, il suo Coeterno che scenderà poi; e questi due doni sono i garanti del terzo: il Padre Supremo, che ritroverà con ciò i suoi figli pentiti. Gesù, non potendo essere confortato dai suoi discepoli, dovrà restare con la sua sola debolezza alle prese con la paura, l'angoscia, la tristezza, il dolore, l'annientamento, l'agonia. La sua lotta non è che più meritoria giacché ha veramente spinto le sue forze al punto che ne sarebbe morto di dolore se il Cielo non fosse venuto in suo aiuto. Ammiriamo la fedeltà degli Angeli in mancanza di quella degli uomini. Essi, i puri Spiriti, avrebbero avuto il diritto o almeno la scusa di dubitare in presenza, non più del Figlio dell'Uomo glorioso, come fu mostrato a Satana, ma di una vera rovina umana che tuttavia era il loro Dio. Ha dovuto esserci in quel momento ancora una lotta terribile nel Cielo che terminò con un atto di fede, di carità (con l'apporto del calice), di speranza, di incoraggiamento nella vittoria finale.
E gli ìnferi, attraversati da un soffio di speranza cattiva, dovettero riconoscersi vinti e ricadere più in basso che mai.
Che al Santo Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, nel Cielo, sulla terra e negli ìnferi. Così sia.
meditazioni, ritrovate tra i suoi scritti Fernand Crombette
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