martedì 15 agosto 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Pene del Purgatorio - Il religioso ammalato. - Durata d'un quarto d'ora al Purgatorio. - II fratello  Angelico. - Una religiosa defunta e la beata Quinzioni.- L'imperatore Maurizio. 


Ciò che ancora dimostra il rigore del Purgatorio è che il tempo più breve ivi sembra lunghissimo.  Tutti sanno che presto passano i giorni della gioia e sembrano corti, mentre ci torna lunghissimo il  tempo del patire. Oh! quanto lentamente scorrono le ore della notte per i poveri infermi che le  passano nell'insonnia e nei dolori! Oh! quanto sembrerebbe lungo un minuto, se durante questo  minuto si dovesse tener la mano immersa nel fuoco! Si può dire che più intense sono le pene che si  soffrono, e più lunga sembra la minima durata. Questa regola ci dà un nuovo mezzo d'apprezzare le  pene del Purgatorio. 

    Negli annali dei Frati Minori, sotto l'anno 1285, si trova il seguente fatto. Un religioso, che da  lungo tempo soffriva una dolorosa malattia, si lasciò vincere dallo scoraggiamento e supplicò Dio di  farlo morire per esser liberato dai suoi mali. Non pensava che il prolungamento della sua malattia  era una misericordia di Dio, che con ciò voleva risparmiargli le più rigorose sofferenze. 

    A risposta della sua preghiera, Dio incaricò il suo angelo custode di offrirgli la scelta, o di morire  immediatamente e sostenere tre giorni di Purgatorio, o di continuare per un anno ancora nella sua  malattia e poscia andare direttamente al Cielo. L'infermo non esitò, e scelse i tre giorni di  Purgatorio. Morì dunque all'istante ed andò al luogo d'espiazione. 

    Dopo un'ora venne a visitarlo nei suoi patimenti il suo angelo. Vedendolo, il povero paziente si  lamentò perché l'avesse lasciato si lungo tempo nei suoi supplizi. «Eppure, aggiunse, mi avevate  promesso che non vi sarei stato che tre giorni. - Quanto tempo, domandò l'angelo, pensate voi d'aver  già patito? - Almeno parecchi anni, rispose, ed io non doveva soffrire che tre giorni. - Sappiate,  riprese l'angelo, che non è che da un'ora che vi trovate qui. Il rigore della pena v'inganna circa il  tempo, facendo che un istante vi sembri un giorno, ed un'ora degli anni. ­ Ohimè! disse allora gemendo, ben fui cieco, ben imprudente nella scelta che feci. Pregate Dio, mio buon angelo, che mi  perdoni e mi permetta di ritornare sulla terra. Sono pronto a soffrire le più crudeli malattie non solo  per un anno, ma per tutto quel lungo tempo che a lui piacerà. Piuttosto dieci anni di dolorose  malattie che un'ora sola in questo soggiorno d'inesprimibili torture». 

    Il seguente fatto è tolto da un pio autore citato dal P. Rossignoli (24). Due religiosi d'eminente  virtù vicendevolmente si eccitavano a condurre la più santa vita. Uno di essi s'infermò, e per visione  conobbe che ben presto morirebbe, che sarebbe salvo, e che solo rimarrebbe in Purgatorio fino alla  prima messa che si celebrerebbe per lui. Pieno di gioia a questa notizia, s'affrettò di farne parte al  suo amico, e lo scongiurò di non tardare dopo la sua morte a celebrare la messa che doveva aprirgli  il Cielo. 

    Morì l'indomani mattina, ed il suo santo compagno, senza perder tempo, andò ad offrire per lui il  divin sacrifizio. Finito questo, facendo il suo ringraziamento e continuando a pregare per il defunto,  questi gli apparve raggiante di gloria; ma con amichevole lamento gli domandò perché aveva tanto  differito a celebrare quella sola messa di cui aveva bisogno. - «Mio fortunato fratello, rispose il  religioso, ho tanto differito, voi dite? Non vi capisco. - Eh! non mi avete forse lasciato partire più di  un anno, prima di dir la messa per me? - Fratello mio, vi dico il vero, subito dopo la vostra morte  cominciai il santo sacrifizio: non vi fu l'intervallo di un quarto d'ora». Allora il beato esclamò: «Oh!  quanto dunque son terribili queste pene espiatrici, dacché mi fecero credere lunghissimo tempo il  breve spazio di alcuni minuti! Servite Dio, fratel mio, con esatta fedeltà onde evitare siffatti  castighi. Addio; io volo al Cielo, ove ben presto verrete a raggiungermi». 

     Questo rigore di giustizia riguardo alle anime più ferventi, si spiega colla infinita santità di Dio  che scopre macchie in ciò che a noi si presenta di più puro. Gli annali dell'Ordine di S. Francesco  (25) parlano d'un religioso per la sua eminente pietà soprannominato l'Angelico. Morì santamente in un convento dei Frati Minori a Parigi, ed uno dei suoi confratelli, dottore in teologia, persuaso che  dopo una vita sì perfetta fosse andato diritto al Cielo e che non avrebbe abbisognato di preghiere,  omise di celebrare per lui le tre messe d'obbligo secondo lo statuto per ogni defunto. Dopo alcuni  giorni, meditando, passeggiava in un luogo solitario, quando a lui si presentò il defunto, tutto  circondato di fiamme, e con voce lamentevole gli disse: «Caro maestro, vi scongiuro, abbiate pietà  di me! - Ecchè! fratello Angelico, abbisognate del mio soccorso? - Io sono ritenuto nel fuoco del  Purgatorio, ed aspetto il frutto del santo sacrifizio che tre volte dovevate offrir per me. - Amatissimo  fratello, credetti che già foste in possesso della gloria. Dopo una vita fervente ed esemplare come la  vostra, non potei immaginare che vi rimanesse qualche pena da scontare. - Ohimè! ohimè! riprese il  defunto, nessuno crederebbe con quale severità Iddio giudica e punisce la sua creatura. L'infinita  sua santità scopre nelle migliori nostre azioni dei lati difettosi, imperfezioni che a lui dispiacciono.  Si fa render conto fino all'ultimo quattrino: usque ad novissimum quadrantem». 

    Nella Vita della B. Stefanina Quinzioni (26), religiosa domenicana, si parla d'una suora, chiamata  Paola, che morì nel convento di Mantova, dopo una lunga vita, santificata colle più eccellenti virtù.  Il corpo era stato portato alla chiesti e, scoperto, collocato nel coro in mezzo alle religiose. Durante  l'ufficio, la B. Quinzioni si era inginocchiata presso la bara, a Dio raccomandando la defunta, a lei  stata carissima; quando quella tutt'ad un tratto, lasciando cadere il crocifisso postole fra le mani,  stende il braccio sinistro, e pigliata la mano destra della beata, strettamente la serra, come farebbe  un'inferma che nell'ardore della febbre chiede soccorso ad un'amica. Per un tempo considerevole la  tenne stretta, poscia ritirò il braccio, che inanimato ricadde nella bara. Le religiose, stupite per  questo prodigio, ne domandarono la spiegazione alla beata. Rispose che, quando la defunta le  serrava la mano, una voce non articolata le aveva parlato nel fondo del cuore, dicendo  «Soccorretemi, mia sorella, soccorretemi nei terribili supplizi che patisco. Oh! se sapeste la severità  del Giudice che vuole il nostro amore! Quale espiazione esige pei menomi falli prima d'ammetterci  alla ricompensa! Se sapeste quanto bisogna essere puri per veder la faccia di Dio! Pregate, pregate e  fate penitenza per me, che più non posso aiutarmi». 

    La beata mossa dalla preghiera della sua amica, si abbandonò ad ogni sorta di penitenze e d'opere  soddisfattorie, finché una novella rivelazione le fece conoscere che suor Paola era finalmente  liberata dai suoi supplizi ed ammessa alla gloria. Riferisce la storia (27) che l'imperatore Maurizio,  ad onta delle sue buone qualità che l'avevano reso caro a S. Gregorio Magno, sul finire della vita  commise un fallo considerevole e l'espiò con una esemplare penitenza. 

    Avendo perduto una battaglia contro il re degli Avari, ricusò di pagare il riscatto dei prigionieri,  sebbene per testa non si chiedesse che la sesta parte d'un soldo d'oro, il che faceva meno d'una lira  di nostra moneta. Questo sordido rifiuto fece montare in tale collera il barbaro vincitore, che tosto  fece trucidare i soldati romani in numero di ben dodicimila. Allora l'imperatore conobbe il suo fallo,  e tanto vivamente lo sentì che inviò denaro e ceri alle chiese principali ed ai principali monasteri  perché vi si pregasse il Signore di punirlo piuttosto in questa che nell'altra vita. 

   Queste parole furono esaudite. L'anno 602, avendo voluto obbligare le sue truppe a passar  l'inverno al di là del Danubio, con furore si ammutinarono, cacciarono il loro generale Pietro,  fratello di Maurizio, e proclamarono imperatore un semplice centurione di nome Foca. La città  imperiale seguì l'esempio dell'armata. Maurizio fu obbligato a fuggire di notte, dopo aver  abbandonato tutte le insegne della sua potenza, che altro non facevano che spaventarlo. Tuttavia fu  ancora riconosciuto. Fu arrestato colla sua moglie, con cinque suoi figli e le tre figlie, ossia tutti i  suoi figliuoli, ad eccezione del maggiore di nome Teodosio, che già aveva fatto coronare imperatore  e che per allora sfuggì al tiranno. Maurizio ed i cinque suddetti figli furono senza pietà sgozzati  vicino a Calcedonia. La carneficina cominciò dai giovani principi, fatti morire sotto gli occhi di  quel padre infelice, che non si lasciò sfuggire una sola parola di lamento. Pensando alle pene  dell'altra vita, si stimava fortunato di poter soffrire nella vita presente; e durante tutta la strage, dalla  sua bocca non uscirono che quelle parole del salmista: Signore, giusto voi siete e retti sono i vostri  giudizi (Salmo 118). 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G.

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