giovedì 14 settembre 2023

Eccessi della bontà divina

 


24.1. Eccessi della bontà divina

Lo stesso giorno 16 dopo il pranzo, giorno che ricorreva la festa del patrocinio del patriarca san Giuseppe, mio avvocato, mi trattenevo all’adorazione del SS. Sacramento. Piena di affetto ringraziavo il Signore della grazia grande che si è degnato compartire alla misera anima mia, di non averla privata delle grazie, nonostante la mia ingratitudine, come si disse di sopra. Si struggeva di amore e di tenerezza in lacrime, e tutta gratitudine verso l’amato Signore si volgeva invitando tutte le creature del cielo e della terra a ringraziare Dio per me.

In questo tempo si è sopito il mio spirito, e mi parve di essere trasportata in un luogo ameno e delizioso, dove vidi il mio spirito sotto la forma di leggiadro giovanetto, dotato di doni molto insigni; e questi doni non li possedeva per se stesso, ma per la grazia di Dio gli venivano compartiti. Non mi è possibile spiegare tutte le belle doti di questo, ma per non mancare all’obbedienza, qualche piccola cosa dirò.

Era questo giovanetto di una bellezza senza pari, agile nel portamento, sottile nell’ingegno, al pari del sole risplendente, chiara aveva la memoria, l’intelligenza era il suo intelletto, di santo amore aveva la volontà ripiena, da molti spiriti angelici era corteggiato; questi sublimi spiriti, conoscendo la grande opera del Signore, restavano ammirati, lodavano e benedicevano Dio. Questi si tenevano per fortunati il potermi presentare all’augusto trono di Dio, loro Signore.

Intanto andava inoltrandosi questo fortunato spirito verso l’amato suo Signore. Mio Dio, e come potrò io manifestare i mirabili eccessi della vostra infinita bontà e misericordia? Vorrei per rispetto occultarli, ma l’obbedienza mi obbliga a manifestarli. Anima mia, perché ti arresti, e che non ricordi quello che ti disse il tuo Signore, che avessi manifestato liberamente il tuo spirito, che lui ne riceveva onore e gloria?

Mio Dio, mi accingo a manifestare le vostre misericordie. Cosa mai dirò? già mi perdo. Padre mio, per carità, mi dica se vide mai amore più grande di quello che Dio porta alla peccatrice anima mia. Mio Dio, a voi mi rivolgo, e adesso confesso, a gloria vostra, di provare i buoni effetti delle vostre amorose espressioni, quando mi faceste sapere dal bel principio delle vostre misericordie, che avreste favorito la povera anima mia non meno di quello che vi degnaste favorire le vostre serve fedeli, di una Geltrude, di una Teresa. Vengano pure queste due sante a dire se ricevettero nelle belle anime loro maggior favore di questo, che io non so manifestare; per la sublimità di tal favore, mi degnò il buon Dio di unione così particolare, che non può comprendersi da umano intelletto; neppure la povera anima mia fu capace di comprendere la sublimità di questa unione, benché ne godesse i buoni effetti.

Dal dì 26 aprile 1815 fino al dì 30 del suddetto mese il mio spirito ha goduto una interna quiete, unitamente ad una contrizione molto bene ordinata, per mezzo della quale la povera anima mia si umiliava profondamente sino all’abisso del nulla. Questi buoni sentimenti si aumentavano molto più nella santa Comunione, lasciando nel mio cuore un raccoglimento molto particolare, che mi teneva tutto il resto della giornata occupata in santi affetti verso Dio, godendo della sua presenza ora più ora meno; ma diverse volte nei suddetti giorni, dopo la santa Comunione, mi seguì un certo fatto, che non so manifestare con chiarezza. Il fatto è che, tutto ad un tratto, al mio spirito, per mezzo di particolare intelligenza, gli si manifestava Dio, non palesemente, ma con somma occultezza veniva il mio spirito notiziato di cose molto grandi, riguardanti Dio medesimo; questo seguiva in me per mezzo di scienza infusami da raggio prodigioso di luce, ma nella magnificenza della cognizione, si perdevano le potenze dell’anima mia nella stessa magnificenza. Senza più sapere se in quei momenti vivessi più al mondo, ma tutta persa ed occupata in Dio, se ne stava la povera anima mia quando l’anima tornava nei sensi, si sentiva come staccare da questo bene perfetto, che le comunicava la vita. Questo stacco era molto sensibile, e cagionava all’anima un forte, ma dolce deliquio, che la teneva tutta la giornata fuori di sé, languendo di amore.

Altri due fatti, seguitimi nel suddetto mese di aprile, tralasciati per dimenticanza: pregando per tre anime a me attinenti, ebbi la bella sorte di sapere che Dio si sarebbe degnato, per la sua infinita bontà e misericordia, di salvarle per mezzo delle mie povere orazioni e continue lacrime. Quante volte io lo voglia e desideri, mi fu fatto intendere che alle mie premure sono affidate le suddette anime, questa fu la notizia che ne ebbe da Dio il mio povero spirito. Questo mi seguì il dì 13 aprile 1815.

Il dì 17 aprile poi, non so troppo spiegare cosa mi seguì nel mio spirito. So bene che mi fu manifestato come vostra paternità, con la grazia di Dio, appoggia e sostiene la povera anima mia, e come questa si appoggi con sicurezza alla sua direzione, e come vostra paternità la presenta a Dio, e come Dio si degna riceverla.

Beata Elisabetta Canori Mora


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