martedì 18 giugno 2024

La grande Guerra di spiriti - LA LOTTA SPIRITUALE

 


La Guerra Sacra e la Grande Vittoria finale 


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Da questo momento diventano pienamente evidenti i due protagonisti del dramma, della lotta, che dal cielo si è spostata sulla terra: la adorabile Volontà del Creatore e la volontà dell’uomo. 

La prima dava all’uomo la sua bellezza, la sua nobiltà, la sua vita divina, il suo Regno! 

La seconda, separandosi dal Volere Divino per aver dato vita ad un volere umano, ci ha fatto perdere quella bellezza e nobiltà divina, la vita, quel Regno sì santo! 

È vero che dietro il volere umano si nasconde il suo istigatore, satana, che così ha buon gioco sull’uomo, ma pur tuttavia l’uomo resta sempre libero e responsabile di aderire alla Volontà di Dio o di preferire la propria.  

“Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita,         perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a Lui, poiché è Lui la tua vita” (Deut. 30,19-20).  

L’unico problema che in fondo esiste, è quello dei rapporti tra la Volontà di Dio e la nostra. Guerra o pace. Incontro o scontro. 

Entrambe erano già raffigurate nelle due misteriose e simboliche piante del Paradiso terrestre: l’Albero della Vita e l’albero della conoscenza del bene e     del male (Gen. 2,9). Il frutto benedetto del primo è la Vita; il frutto del secondo, del quale l’uomo non doveva mangiare, è la morte.  

La Volontà Divina era “discesa” per amore nella sua opera di Creazione; è presente in ogni cosa creata, alla quale dà esistenza, energia e vita, la vita delle sue infinite qualità, per cui “i Cieli e la terra sono pieni della sua Gloria”. E anche nell’uomo, in Adamo, creato perfetto ed immacolato, la Divina Volontà era presente per essere la sua vita, ed era in lui tanto più gloriosa, quanto l’uomo superava in dignità e bellezza tutti gli altri essere creati. Gli altri esseri, infatti,   sono opere, creature di Dio, ma l’uomo, Adamo, fu creato in quanto figlio di Dio (Lc. 3,38).  

In Adamo Dio vedeva tutti gli altri uomini futuri, figli suoi; ma Adamo e tutta la sua progenie erano invitati ad essere figli di Dio in Gesù Cristo, il Verbo Incarnato, “il primogenito” fra tutte le creature (Col. 1,15-17) “il Capo di ogni uomo” (1a Cor. 11,3), “l’Erede di tutta la Creazione”  (Lc. 20,14). In Adamo, figlio di Dio, la Divina Volontà voleva formare, non solo la vita di lui, poiché Adamo fu fatto “anima vivente” (1a Cor.15,45), ma la stessa Vita soprannaturale di Dio; e   ciò era un dono di grazia.  

Per questa ragione, l’Albero della Vita era “in mezzo al giardino” (Gen. 2,9). 

Ma il Dono doveva essere accettato liberamente e per amore, così come liberamente e per amore Dio lo offriva. Ecco il perché della prova. Senza la prova, libera accettazione totale della Volontà Divina, risposta d’amore, Dio avrebbe avuto dei servi, anzi, degli schiavi, ma non dei figli, cosa indegna del suo Amore. L’uomo doveva avere la sua umana volontà “come se non l’avesse”, doveva sacrificarla, vale a dire consacrarla, cioè offrirla in dono di amore a Dio, per fare posto in essa al Dono della Volontà Divina.  

Ma che significa che l’uomo avrebbe dovuto avere la sua volontà “come se non l’avesse”? Insomma, doveva o non doveva averla? È lo stesso problema dell’Albero della conoscenza del bene e del male: esso doveva stare lì, nel giardino dell’Eden, ma non si doveva mangiare del suo frutto, per non morire.  

In altre parole, in quel “Paradiso terrestre”, che era la natura umana, non poteva assolutamente mancare la volontà dell’uomo, che è la nostra facoltà decisionale attiva, la cui caratteristica essenziale è l’essere libera, avere il “libero arbitrio”. Questa è chiaramente una caratteristica divina, che da sola dimostra come l’uomo è stato creato “ad immagine” di Dio.  

Infatti, poter decidere senza costrizione è cosa nobilissima, propria di Dio, che nella creatura è anche un rischio necessario e gravissimo: poter rifiutare Dio per preferire se stessa. È appunto ciò che fece Lucifero ed è quello che in grado minore fa l’uomo quando pecca.  

Alla natura umana (“spirito, anima e corpo”, 1a Tes. 5,23), nella quale l’uomo è “immagine” di Dio, Dio aggiunse, non per natura, ma per grazia, a modo di corona regale, un dono soprannaturale: quello della sua Divina Volontà, per    la quale l’uomo era “a Sua somiglianza”.  

Dio fece l’uomo a sua immagine, affinché l’uomo vivesse e attuasse a sua somiglianza, come un piccolo Dio creato, per poterlo amare ed essere da lui riamato, e così diventasse “partecipe della Natura Divina” (2a Pt. 1,4). 

Ma al momento della risposta nella prova, l’uomo disse di no a Dio, disubbidì e con somma ingratitudine ignorò il Donatore e il Dono: volle fare cioè la propria volontà. In questo consiste il peccato. Rifiutò e perdette la Divina Volontà, gli cadde dalla testa la corona regale e perdette la somiglianza con Dio. Col peccato l’uomo lasciò di essere figlio di Dio, ruppe il vincolo d’amore e di vita che lo univa al suo Creatore e, sebbene poi si pentì, poteva essere soltanto suo servo. Per diventare di nuovo figlio era necessario che Colui che è il Figlio di Dio per     propria natura,  restituisse all’uomo la sua stessa condizione di figlio per grazia, mediante la Redenzione.  

La Divina Volontà non poté più vivere e regnare nell’uomo, fu disprezzata, espulsa, cacciata via e restò come occulta nella Creazione, come in uno stato di coma profondo, ignorata dall’uomo (e per questo “tutta la Creazione geme e    soffre fino ad oggi nelle doglie del parto”: Rom. 8,22). Restò come una madre amantissima, priva di figli, perché essi non La riconoscono più, La ignorano e La offendono in modo orrendo; ma Essa intanto continua a curarli, a servirli per mezzo di tutte le cose create, a dar loro quel poco che può, a causa della loro cecità e lontananza, in attesa del giorno in cui la sua Luce si farà strada nelle loro menti ottenebrate e finalmente La accoglieranno e La faranno regnare come la loro Vita. 

Il peccato è fare come un bambino che, appena incomincia a parlare, la prima parola non è “papà, mamma!”, ma dice: “vattene dalla mia vita, non ti riconosco, non ti amo, non ti servirò!”. È dare vita al proprio volere umano, rifiutando la Volontà Divina. 

Poiché occorre precisare che la Volontà Divina e la volontà umana dovevano vivere in tale accordo e unione d’amore, da non potersi distinguere quale fosse l’una e quale l’altra, come   avviene quando una goccia d’acqua si getta nel mare. Quindi, più che unione, dovevano vivere nell’unità di un solo volere, il Volere  Divino.  

Come succede appunto in Gesù, vero Dio e vero Uomo. Egli ha per natura una Volontà Divina (la stessa Volontà del Padre e dello Spirito Santo) e una volontà umana, che ha conservato innocentissima e fedelissima, eppure l’ha tenuta perfettamente immolata, senza vita propria...  Gesù l’aveva come se non l’avesse, perché entrambe le volontà vivevano ed attuavano nell’unità di un solo Volere, il Volere Divino. Non ha vissuto una doppia vita, “a momenti come Dio e in altri momenti come uomo”, no, ma sempre ed in tutto come l’Uomo-Dio. Perciò, tutte le cose  fatte da Gesù con la sua perfetta natura umana, anche le più piccole (il mangiare, il dormire, il piangere, il camminare, il conversare, ecc.) sono umano-divine, frutto di un Volere Divino, Infinito, Eterno, Santissimo... Sono dunque di un valore infinito e divino, hanno una portata eterna, non solo perché fatte da Colui che è una Persona Divina, ma perché sono frutto di un Volere Divino. 

Intravediamo la croce-dolore: essa è formata da queste due volontà che si oppongono, che si incrociano, come i due pali, come i tronchi di quei due alberi. Quello verticale, la Volontà di Dio; quello orizzontale, che dice “non voglio”, la volontà dell’uomo. 

Allora Gesù, che nella sua Incarnazione aveva unito in felice sposalizio la sua Volontà Divina e la sua volontà umana, ha assunto in Sé tutte le creature per riunirle a Dio. Ha trovato la Volontà di Dio e le volontà umane in contrasto, in forma di “croce-dolore”, e così l’ha abbracciata per coprirla con la sua “Croce-Amore” e annientare in questo modo la loro contrapposizione ed il loro reciproco dolore. E la “Croce-Amore” di Gesù, sulla quale è sempre vissuto, sdraiato in placido abbandono, altro non è che le braccia amorose del Padre Buono che Lo sorreggono, la sua dolcissima ed immensa Volontà, che per Gesù è il cibo, il riposo, la Vita. 

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Pablo Martín Sanguiao 

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