domenica 25 agosto 2024

La dimensione personale nella medicina

 


ILDEGARDA  DI  BINGEN


Già nei tempi prima di Cristo, al centro della scienza medica veniva posto il rispetto e la dignità della persona, a cui obbligava il giuramento di Ippocrate. “In ogni casa nella quale io verrò a trovarmi, entrerò a vantaggio dei malati, libero in coscienza di ogni ingiustizia e malfatto, in particolare di ogni abuso di uomini e donne, di liberi e schiavi”. Così, già nel III secolo a.C., Ippocrate non fa differenza tra liberi e schiavi, mentre nel Codice giustinianeo, nel VI secolo d.C., solo l’uomo libero ha il diritto di persona, a differenza dello schiavo. L’uomo è anima, che ha preso un corpo, un corpo animato, fornito di anima. L’uomo ha un valore in sé, al quale non si può in nessun modo rinunciare, né egli in sé, né nel suo rapporto con gli altri, indipendentemente dal suo rendimento e delle sue qualità. Un uomo è un uomo, mai un “caso interessante”. 

Inseparabile dalla dignità dell’uomo è la sua responsabilità, unicità e insostituibilità della persona. L’uomo porta di conseguenza una responsabilità morale insostituibile. Come persona è in primo luogo responsabile della sua salute e della sua guarigione in caso di malattia. Nel suo essere anima e corpo è fondamentale, non solo la sua propria individualità, ma anche il suo rapporto dialogico con gli altri, con il mondo, con la comunità. L’aspetto dialogico è da mettersi in relazione con la comprensione di ciò che è la persona. Ogni agire o non agire dell’uomo ha direttamente o indirettamente un influsso sugli altri. La dimensione antropologica della personalità prende in considerazione anche gli altri e porta alla solidarietà. L’antropologia cristiana intende la persona dal punto di vista del rapporto con Dio. Il suo concetto di persona include il rapporto dell’uomo con Dio. Non c’è, quindi, attività medica che non comporti una dimensione divina.

Il peccato non viene considerato in primo luogo sotto il punto di vista della morale. Vengono fatte altre considerazioni che servono per spiegare anche questo aspetto. Dio è l’essere in sé, per sé. Quanto viene da lui, n’è diventato in un certo senso partecipe. Esiste. Dio ha chiamato all’esistenza il mondo e ogni creatura e tutto quanto egli ha creato era buono, molto buono. Il più bello degli spiriti creati, quello che eccelleva, Lucifero, volle essere qualcosa di altro, volle divenire pari a Dio. Aver un proprio ordine e un proprio regno. Ma Dio è il tutto e tutto viene da lui; non vi può essere nulla se non da lui e per lui, perché egli solo possiede l’essere. Quello che Dio non vuole, non è, non ha l’essere, è il niente. 

Sia il peccato originale di Adamo ed Eva, sia il primo peccato, quello di Lucifero, è un concetto di quale Ildegarda sempre si rifà perché è l’inizio della storia dell’uomo. Adamo ed Eva vengono ingannati da questo angelo che, con la menzogna, promise che essi sarebbero diventati quello che egli aveva voluto per sé e che non aveva potuto raggiungere. Anch’essi, perciò, stesero la loro mano a quanto non era per loro e annullarono la perfezione, l’armonia, della loro persona e della loro vita. Anch’essi gustarono, letteralmente, il nulla. Volere quello che non è per noi, è il male. Questo è il peccato, un nulla che distrugge, perché promette, a chi lo fa, qualcosa che non risponde alla sua natura, che non è secondo quello che Dio ha voluto per quella determinata natura. Per l’uomo, c’è il male, quando egli usa quanto non risponde alle esigenza del suo essere e alla sue finalità. Perché ogni cosa che gli è stato data ha un determinato compito e determinate qualità, che l’uomo può usare e che possono servirgli. 

Il male non voluto da Dio ha la sua realtà nella distruzione dell’uomo che lo compie, a danno del proprio essere e a danno di quello degli altri. Nessuno compie il male solo per sé, ma in un certo senso infetta anche gli altri, o almeno li mette in grande difficoltà. Soltanto una creatura che abbia la libertà, solo l’uomo, può fare il male. Fa il male, chi volontariamente agisce contro la propria natura, in senso lato, o quello degli altri, a proprio scopo. Il male, come, del resto, anche il bene, può essere fatto solo dall’uomo. Abbiamo già detto molte volte quanto Ildegarda insista sul fatto che: “Tu, l’uomo, hai la scienza del bene e del male e tu sei posto al bivio e puoi scegliere, tu solo”. 

La malattia viene trattata nel Medioevo e quindi anche da Ildegarda nel quadro della creazione, nella quale è considerato l'uomo, sano o malato che sia. Egli è una creatura ed è visto nella sua dipendenza in quanto creatura. Solo così l’uomo può comprendere se stesso, nella sua dipendenza dal mondo e nella sua esperienza di vita. Non si può considerarlo isolato in se stesso, perché ad essere in se stesso c’è solo Dio. La storia della creazione da parte di Dio e la rivelazione dell’Antico Testamento è un mistero. Ildegarda tratta questo mistero secondo la tradizione patristica, dandovi un proprio accento. Lo descrive secondo la vita della Trinità. Per lei, Dio trinitario è la chiave per comprendere tutto il creato. “Per tutta l’eternità Dio Padre porta nel suo cuore il piano della Creazione. Il Verbo di Dio la realizza, il soffio dello Spirito Santo dà al Verbo la veste della redenzione”.

Sr. ANGELA CARLEVARIS osb

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