Il fascino della Verità non deve crearci l’illusione di possederla, come fosse già roba nostra, e renderci sicuri di noi stessi, esigenti con gli altri, inflessibili nei giudizi. Non basta entusiasmarsi per le biografie dei santi per diventare tali; non basta predicare, per essere dei maestri di vita; non basta darla da intendere, apparire, dare il meglio di sé solo per un periodo di tempo o in qualche occasione... La perfetta Verità cui il Signore chiama esige molto di più. Dio è ‘coerente’ perché è Vita Eterna, è Pienezza che non passa.
«Ora, Signore, tu sei Dio, le tue parole sono verità» (2 Sam 7, 28).
Ma noi chi siamo? Nell’impegno di vivere la nostra missione, non cadiamo nella trappola di sopravvalutare le nostre forze, di sentirci ormai sicuri dalle insidie del diavolo, invincibili dalle tentazioni, incapaci ormai di cadere. Riuscissimo a vivere ciò che predichiamo! Chi mai ha anche solo pensato di riuscire ad arrivare alla perfezione nella fede, nella fiducia in Dio, nell’abbandono, nell’accettazione della sofferenza, in una parola nell’amore? La sofferenza di dover testimoniare delle realtà che ci superano e che non raggiungeremo mai in pienezza, ci accompagnerà tutta la vita. Deboli e pieni di insicurezze, si rischia di infilare la maschera della menzogna. Quante piccole (o meno piccole) stravaganze e incoerenze si notano nei comportamenti di coloro che hanno promesso una sequela fedele del Maestro, che si sono proposti un amore perfetto!
Ci si è posti sotto la guida di una Regola, si è giurata Obbedienza, si è professata Povertà e Castità, abbiamo preso impegni santi e capaci di santificarci, e si è rimasti fedeli finché... non costava troppo! Il primo entusiasmo è venuto meno, il fervore si è intiepidito, lo spirito di sacrificio si è indebolito anziché irrobustirsi con l’esercizio. Ci eravamo illusi? Nasce il dubbio se l’amore per Gesù che ci ardeva in cuore non si sia spento per mancanza di nutrimento, come una bella fiammata che si appicca, per un attimo, solo a un gran mucchio di paglia. Ma più che la fragilità, è la doppiezza di cuore che spaventa. Non trovando le forze per rimanere nella Verità, si ricorre alle furberie della menzogna, che chiude il cuore e che Dio svela con i suoi terribili giudizi. Dio non può approvare le nostre incongruenze, i sotterfugi, i doppi giochi, il darla da intendere. È l’ipocrisia e la falsità che fanno alzare la voce terribile del Maestro contro farisei e dottori della legge (cf. Lc 11, 42ss), sepolcri imbiancati che
«all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume».
«Giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro pieni di ipocrisia e di iniquità» (cf. Mt 23, 27-28).
Diventeremo insopportabili anche a noi stessi, sale che perde il sapore e che «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini» (Mt 5, 13).
Eppure il Signore chiama proprio noi ad essere autentici, a rendere la nostra stupenda testimonianza alla Verità. Da quale punto cominceremo?
1. Ogni ascesi parte dalla confessione dei propri peccati. L’orgoglio vinto è già una battaglia vinta, una premessa solida su cui costruire. Il fondamento primo e indispensabile per una vita nella Verità, secondo l’esperienza dei santi, non può essere altro che quello dell’umiltà. «È tanto importante conoscerci, che in ciò non vorrei vi rilassaste, neppure se foste già arrivate ai più alti cieli, perché mentre siamo sulla terra, non c’è cosa più necessaria dell’umiltà. Torno dunque a ripetere che è assai utile, – anzi, utile in modo assoluto – che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio conoscimento, che sono le vie per andare a quelle... Credo che non arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere Dio. Contemplando la sua grandezza, scopriremo la nostra miseria; considerando la sua purezza riconosceremo la nostra sozzura; e innanzi alla sua umiltà vedremo quanto ne siamo lontani» (s. Teresa di Gesù, Castello interiore, I, 2, 9). Conoscere se stessi, in particolare il nostro caratteristico male, il nostro punto debole o difetto predominante. È lui che muove le pedine per darci scacco matto: è il nostro particolare difetto quello che si ripresenta in ogni tentazione. Bisogna avere di sé una conoscenza ‘spietata’. Attenti al proprio punto dolente (anche Achille aveva il tallone debole, ed è stato per lui fatale!). I fallimenti diventino un persuasivo testo di studio, e aiutino a ricordare che rimaniamo sempre vulcani attivi, sebbene momentaneamente tranquilli. Non c’è situazione, per quanto santa, che riesca a renderci impeccabili, confermati in Grazia: la nostra natura rimarrà debole, fragile, ovunque. Guai dimenticarlo: diventerebbe una trappola fatale.
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