Secondo la teoria gnostico-dualistica-manichea esistono nel mondo due principi e due poteri
ugualmente eterni, uno del bene, il sommo bene chiamato Ormudz, cioè Dio, e l’altro, Ahrimane, il
demiurgo del male, il sommo male, satana. Questi due poteri si contendono il dominio dell’uomo e
dell’universo. Questa è la sola e più definitiva spiegazione dell’esistenza del male nel mondo, dice
il manicheo. Il Dio buono e il dio cattivo sono equivalenti tra loro, ugualmente eterni, ugualmente
forti, del tutto indipendenti e capaci di imporsi, date le circostanze favorevoli, l’uno all’altro.
Tutta diversa l’impostazione del problema secondo la dottrina cattolica. Secondo la teologia
cattolica, che deriva dalla Sacra Scrittura e dalla rivelazione e che, in più, tiene nel dovuto conto
anche i dati della ragione, il male viene dopo il bene, cioè — nel caso concreto — il così detto dio
del male, satana, viene dopo il vero Dio, è creatura di Dio, quindi non è eterno, è inferiore a lui,
dipendente da lui, limitato nella sua azione e obbligato a seguire le sue direttive. San Tommaso
conferma questo dato della rivelazione con un’argomentazione molto convincente:
«Il male come privazione del bene — egli dice — è posteriore al bene e condizionato al bene e
l’ammettere un “sommo male” è lo stesso che ammettere il non-essere esistente, il che implica una
contraddizione nei termini»5.
Lo stesso concetto è espresso magistralmente e con la solita chiarezza da Romano Guardini:
«I romantici del secolo scorso amavano considerare il diavolo come un polo opposto a Dio, ossia
un’antitesi logica, a sfondo kantiano-hegeliano, tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, tra la
verità e l’errore, tra la vita e la morte. Spiegazione insufficiente e in parte frivola. Dio non ha
nessun polo opposto. Dio vive in se stesso. Egli solo è l’Essere, l’Ente verace, e accanto a lui e di
fronte a lui non esiste altro. Satana non è principio, non è potenza primordiale, ma è una creatura
corrotta, caduta nella rivolta, che presume erigere contro Dio un desolato regno di inganno e di
confusione. Egli ha forza, senza dubbio, ma unicamente in quanto l’uomo ha peccato. Di fronte al
cuore saldo nell’umiltà e nella verità, satana non può nulla. Tanto si estende il suo potere quanto si
estende la colpa dell’uomo. E dura fino al giudizio: “Presto non è più”, dice l’Apocalisse (3,11)»6.
Il demonio ha avuto inizio nel tempo. C’era un tempo in cui egli non esisteva, era nulla come noi.
La sua esistenza deriva da Dio. Egli è stato creato e quindi è inferio re a Dio, però è come spirito.
Che cosa s’intende per spirito?
La parola spirito ha nel linguaggio corrente diversi significati, ma qui deve essere inteso solamente
nel senso di una natura semplice che sussiste per se stessa ed ha vita e operazioni sue proprie:
— natura semplice, cioè non composta da altri elementi estranei che la dividano, senza materia,
senza peso, senza spazio, senza limiti di luogo;
— che sussiste per se stessa perché ha vita puramente intel1ettuale indipendente dalle cose esterne
che la circondano;
- per questo ha vita ed operazioni proprie, al di fuori e al di sopra di tutti gli altri esseri che sono
condizionati nel loro muoversi e nel loro operare.
Tutti gli spiriti esistenti — diremo subito quali sono — hanno in comune questa semplicità, questa
indivisibilità di parti quantitative, ma non sono uguali nella loro perfezione. Essi formano, secondo
il grado della loro perfezione, come una scala al cui vertice troviamo Dio, nel bel mezzo l’angelo e
nel fondo l’anima umana. Dio, angelo ed anima umana sono i tre gradi dello spirito a seconda della
loro maggiore o minore semplicità e indipendenza dalla materia.
Dio è al vertice massimo degli spiriti perchè è la stessa semplicità al grado infinito. In lui l'essenza
si indentifica con l’esistenza: «Io sono Colui che sono», dirà a Mosè sull’Oreb. Egli è l'essere reale
e infinito, sussistente, eterno, che non ha avuto, né potuto mai avere un principio e che non avrà mai
fine. Noi uomini, che siamo esseri composti e non semplici, parliamo di Dio distinguendo le sue
qualità e le sue operazioni, la sapienza, la potenza, la provvidenza, la giustizia, come se fossero
separate nel tempo e indipendenti tra loro, ma a voler essere precisi, non dovremmo usare mai,
parlando di Dio, il verbo «avere» ma solo il verbo «essere»: Dio non ha l'esistenza, la sapienza,la
potenza, la bontà, la bellezza, la vita, ma egli è l'essere stesso con tutte le perfezioni che si
identificano con l'essere. Egli è, in altre parole, l'infinito Tutto dal quale deriva l'essere e la
perfezione. Dio è nel massimo della semplicità, è semplicità infinita nella sua natura. Per questo è
nel massimo della spiritualità e deve essere definito il sommo spirito, al sommo vertice nella scala
degli spiriti.
L’angelo a sua volta è uno spirito intermedio. La sua natura è semplice, immune da materia, ma è
infinitamente inferiore alla semplicità divina. Spirito creato, non eterno, è inferiore a Dio, ma
ordinato da lui a un’esistenza propria, non a vivificare un corpo come l’anima umana. L’angelo è
quindi, sotto questo aspetto, superiore all’uomo perché superiore all’anima dell’uomo.
Al terzo ed ultimo grado degli spiriti troviamo così l’anima umana, creata da Dio e immortale,
quindi eterna a parte posi’, come si dice, cioè indistruttibile dal momento che è stata creata e
destinata ad esistere sempre, anche indipendentemente dal corpo che anima, nell'eternità. Essa,
unita al corpo, è alla base del suo vivere, del suo muoversi, del suo comprendere, del suo operare. Il
comprendere e l’operare dell’uomo è sostanzialmente diverso da quello degli animali bruti appunto
per l’influsso esercitato in lui dall’anima. Gli animali bruti, vivi e operanti, hanno una sorgente
vitale che potremmo chiamare anima, ma non un’anima spirituale e immortale, dotata di
intelligenza e di volontà, come quella dell’uomo. Gli animali sono guidati dall’istinto che spesse
volte ha espressioni simili, e in certi campi anche superiori, a quelle dell’intelligenza e delle
capacità umane. L’animale non è creativo come l’uomo. L’uccello, il cane, il cavallo, il castoro e
tutti gli animali della foresta vivevano e si comportavano così migliaia e milioni di anni fa, da
quando sono venuti alla vita, senza cambiare o migliorare o peggiorare le loro abitudini, e vivono
oggi allo stesso modo, senza progresso e senza perfezionamento ulteriore, come un qualunque
prodotto meccanico e materiale. Manca ad essi l’intelligenza e la volontà , che sono le vere motrici
e matrici del cambiamento e del progresso. L’anima della bestia proviene, dopo che si sono avverate
certe condizioni, dalla materia, resta immersa nella materia, e cessa di esistere quando non esistono
più le condizioni da cui era stata sostenuta. L’uomo invece, sotto la spinta dell’anima, è sempre
capace di progresso, sa variare in mille modi le sue opere, le perfeziona, spazia nell’universo e
sopra l’universo col suo pensiero e col suo ragionamento, carpisce al mondo creato i suoi segreti,
penetra nelle viscere della terra, si eleva in alto per la conquista dei cieli, si esprime attraverso le
meravigliose invenzioni dell’arte, della musica, della poesia. Tutto questo perché alberga in lui e
opera in lui uno spirito, la sua anima immortale creata da Dio a sua immagine e somiglianza.
Torniamo ancora brevemente sugli angeli che formano il tema principale del nostro studio: sugli
angeli fedeli a Dio e sugli angeli ribelli, i demoni
La teologia degli angeli è nota. San Gregorio Magno la compendia in queste parole:
«Il termine angeli (dal greco enghelos, messaggero) denota l’ufficio non la natura. Infatti quei santi
spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre angeli, perché
solo allora sono angeli quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi
ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi sono chiamati arcangeli,
l’arcangelo Gabriele che porta l’annuncio a Maria, l’arcangelo Raffaele che significa “medicina di
Dio” e l’arcangelo Michele che significa “chi è come Dio?”»7.
Esistono quindi nella gerarchia angelica diversi gradi e diversi «cori», che si ritengono in numero di
nove. Una simile gradazione gerarchica dovrebbe esistere anche tra gli angeli ribelli, i demoni, di
cui però non è facile definire né la natura né i limiti né i poteri.
Gli angeli «ribelli», abbiamo detto. C’è nell’Apocalisse una pagina impressionante che ci fa vedere
il momento della ribellione e della caduta:
«Scoppiò una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago
combatteva insieme coi suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il
grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra,
fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora si udì una gran voce
nel cielo che diceva: Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno di Dio e la potenza del suo
Cristo» (Ap 12,7-10).
Da che cosa è stata causata questa immane catastrofe, destinata ad avere conseguenze così
disastrose e così prolungate nella storia dell’umanità? Dalla libera scelta delle prime creature di
Dio, degli angeli stessi. Dio, creando gli esseri liberi, volle che nel mondo si realizzasse
quell’amore vero che è possibile solamente sulla base della libertà. Creando gli spiriti puri come
esseri liberi, Dio nella sua provvidenza non poteva non prevedere anche la possibilità del peccato
degli angeli, pur prevedendo nello stesso tempo il bene che ne sarebbe derivato per tutto il cosmo
creato attraverso l’incarnazione del Verbo e la redenzione da lui operata.
Per saggiare questa libertà sottopose gli angeli a una prova di carattere morale. Essi dovevano fare
liberamente la loro scelta accettando o rifiutando questa prova. Se la scelta fosse stata positiva —
come lo fu per la maggior parte di essi, gli angeli buoni — Dio avrebbe offerto loro il mistero della
sua divinità rendendoli partecipi, mediante la grazia, della sua infinita gloria. Proprio perché esseri
di natura spirituale — spiega papa Giovanni Paolo II — vi era nel loro intelletto la capacità, il
desiderio di questa elevazione soprannaturale a cui Dio li aveva chiamati per fare di essi, ben prima
dell’uomo, dei «consorti della natura divina» (2Pt 1,4), partecipi della vita intima di Colui che è
Padre, Figlio e Spirito Santo, di Colui che nella comunione delle tre divine Persone è «amore»8.
Ma per una gran parte di essi la scelta fu volontariamente negativa. Essi, capeggiati da Lucifero
principe celeste, dissero no a Dio, un no deciso, cosciente, definitivo, irreversibile: «Non servirò»
(Ger 2,20), e furono precipitati dal cielo: «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li
precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno serbandoli per il giudizio» (2Pt 2,4).
Su che cosa verteva il no di Lucifero e degli angeli ribelli? La Sacra Scrittura non lo dice
espressamente, ma la tradizione ecclesiastica, accettata generalmente dai teologi, ritiene che
riguardasse l’incarnazione del Verbo. Il Verbo, seconda persona della santissima Trinità, Dio come
il Padre e lo Spirito Santo, sarebbe diventato uomo, non angelo, avrebbe assunto la natura umana,
inferiore a quella angelica, ma restando Dio, quindi continuando ad essere oggetto di adorazione
anche dopo la sua unione con l’umanità. Gli angeli avrebbero dovuto, in conseguenza, piegarsi
davanti alla preferenza data da Dio all’uomo, quasi scavalcando l’angelo, e sentirsi obbligati ad
adorare in futuro la stessa umanità assunta dal Verbo. Il progetto divino fu ritenuto un’offesa alla
propria dignità e grandezza angelica e perciò rigettato sdegnosamente.
Il peccato degli angeli fu perciò un peccato di superbia pienamente congeniale alla loro qualità
spirituale, e non poteva essere un peccato di altra natura. Anche Dante lo vede così:
Principio del cader fu il maledetto
superbir di colui che tu vedesti
da tutti i pesi del mondo costretto
Par 29,55-57
cioè di Lucifero.
Il rifiuto radicale e definitivo di Lucifero e dei suoi seguaci a collaborare all’edificazione del regno
di Dio nel mondo creato li fissa per sempre nella maledizione e nella condanna, cambia il loro
amore in odio, in un odio tanto profondo da rasentare la follia e il parossismo, e li fa autori,
sostenitori e fomentatori di tutte le ribellioni della storia a cominciare da quella dell’Eden, e di tutte
le sciagure e sofferenze che da quelle ribellioni sono derivate e continuano a derivare nel mondo.
Una maledizione e una condanna eterna, senza possibilità di ripensamento, o di modifica, o di
perdono: «Via da me maledetti nel fuoco eterno» (Mt 25,41).
Ci si può domandare perché Dio «della cui misericordia infinito è il tesoro» si sia deciso di
pronunziare una condanna così severa e a punire in una forma così radicale un solo peccato, peccato
di pensiero soltanto, commesso una volta sola, mentre all’uomo, colpevole di molti peccati, ha
voluto lasciare aperta la porta del perdono e della riconciliazione «non solo sette volte, ma settanta
volte sette» (Mt 18,22). A qualcuno è sembrata un’esagerazione e qualche scrittore meno
provveduto ha parlato di un Dio che si è lasciato prendere la mano dal desiderio di vendetta e
trascinare oltre i limiti entro i quali doveva essere contenuta la punizione della colpa.
Nulla di tutto questo. il peccato degli angeli non ha avuto una punizione superiore alla colpa. Dio è
stato sommamente giusto anche nel punire quel solo peccato di pensiero che aveva attraversato per
un istante la mente degli angeli ribelli. Il peccato è tale infatti quando c’è la piena avvertenza e il
deliberato consenso del peccatore, ossia la chiara coscienza del male e la decisa volontà di
commetterlo. La ribellione alla volontà di Dio — il «Non servirò» —, peccato gravissimo, è
avvenuto negli angeli con maggior conoscenza della mente e con maggior consenso della volontà di
quanto può avvenire nell’uomo. L’intelligenza dell’angelo non è condizionata dai sensi esterni come
avviene nell’uomo. L’angelo non intende le cose per via di ragionamenti, ma le intuisce
direttamente perché Dio nel crearlo ha infuso nella sua mente le forme intelligenti ossia le idee delle
varie cose. La conoscenza che l’angelo ha di Dio è perciò incomparabilmente più perfetta di quella
dell’uomo perché con la potenza del suo intelletto, non limitato dalla mediazione della conoscenza
sensibile, vede fino in fondo la grandezza dell’Essere infinito, della prima Verità, del sommo Bene.
Di qui la completa proporzione e giusta misura tra la punizione e la colpa. La colpa gravissima
doveva essere punita con pena gravissima, definitiva ed eterna.
Paolo Calliari
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