venerdì 18 gennaio 2019

VIII. COMANDAMENTO



EGO TE ABSOLVO


Non dir falsa testimonianza 

L'ottavo comandamento ci ordina di dire a tempo e luogo la verità, e d'interpretare in 
bene, possibilmente, le azioni del prossimo. Ci proibisce ogni falsità e il danno ingiusto 
dell'altrui fama: perciò oltre la falsa testimonianza, la calunnia, la bugia, la detrazione o 
mormorazione, l'adulazione, il giudizio e il sospetto temerario. 

LA BUGIA è una parola o un segno che esprime il contrario di ciò che si pensa o si 
sente, con animo di ingannare gli altri (San Agostino). 

Il peccato si commette non solo con le parole, ma con cenni, segni, con atti e in tutti quei 
mezzi che servono per manifestare il nostro pensiero. (stampe, giornali). 

Ogni simulazione, ogni finzione è bugia. La più brutta delle bugie è l'ipocrisia, che si fa 
quando si vuole apparire migliori di quello che si è, per trarre altri in inganno. 

Non è lecito dire una bugia, neppure se si trattasse di liberarsi da grandi mali, neppure se 
si trattasse di sottrarsi alla morte. 

Dio, verità, per essenza, condanna severamente la bugia nella Sacra Scrittura: « Chi 
adopera la bugia è persona senza pudore e cuore ». (Eccl. XX. 26) e di più: « I bugiardi 
hanno stretta parentela, anzi sono figli del diavolo, che è il padre della menzogna ». 
(Giov. VIII. 44.) 

La bugia generalmente è un peccato veniale, ma può diventare in certi casi peccato 
mortale, p. es. quando fa torto a Dio recando pregiudizio alla religione e alla Chiesa, al 
Papa, alle Autorità (le calunnie dei comizi), quando reca un danno considerevole 
all'onore, quando infine fosse causa di grave scandalo alla fama ed agli altri beni del 
prossimo; 

LA BUGIA « OFFICIOSA »; è quella che si dice per qualche utilità propria e degli 
altri, oppure per evitare a sè o agli altri qualche male; p. es. la madre per scusare i figli 
col padre, o i figli per evitare un castigo. 

LA BUGIA DANNOSA: è quella che reca, danno spirituale o temporale al prossimo, 
con inventare cose false a suo carico, interpretare male le azioni buone o indifferenti 
degli altri. Sono bugie dannose quelle che servono a trascinare qualche persona al 
peccato dandole ad intendere che sono cose da nulla, che le verità della fede sono 
invenzioni dei preti, per raggiungere il proprio scopo e fa cadere nella trappola gli 
inesperti. 

Le bugie dannose sono tutte peccati mortali e comportano l'obbligo di risarcire il danno 
nella buona fama del prossimo. 

PER FALSA TESTIMONIANZA si intende una deposizione fatta in giudizio contro la 
verità, dopo aver prestato giuramento davanti a un legittimo giudice. Chi è chiamato 
davanti al giudice ha l'obbligo stretto di deporre la verità, senza riguardo all'interesse o al 
danno che possa venire, sotto pena di peccato mortale e di dover risarcire tutto il danno 
arrecato con la sua falsa testimonianza. 

S. Tommaso afferma che il testimonio falso commette con un solo atto tre peccati: uno 
da spergiuro giurando contro la verità, uno di bugia col dire il falso, e un peccato di 
ingiustizia per il danno che reca. Egli oltraggia tre persone: Dio, che lui chiama 
testimonio di una cosa falsa, il giudice che inganna con una menzogna, la persona 
avversaria che tenta di far condannare ingiustamente. « Il ladro che mente reca morte 
all'anima ». « Chi per bugiardo una volta è ritenuto anche se dice il vero, non è creduto. » 

IL GIUDIZIO TEMERARIO: consiste nel giudicare male gli altri senza un giusto 
fondamento. Ha tre gradi: dubbio, sospetto e di vero giudizio. 

Chi dubita resta come sospeso fra il bene e il male. Chi sospetta è inclinato più a 
supporre il male che il bene. Chi giudica stabilisce dentro di sè la certezza della colpa 
altrui. Non ogni dubbio, sospetto, giudizio è peccato; ma solamente il temerario, quello 
cioè che si concepisce senza sufficiente fondamento. 

Chi giudica male temerariamente ingiuria Dio, perché ne usurpa la giurisdizione che Dio 
ha riservato solo per sè; « di giudicare vivi e morti ». Offende il prossimo, perché lo 
priva della nostra stima personale e del rispetto fino a prova contraria. Pecca contro la 
carità, la quale ci obbliga ad amare il prossimo come noi stessi e tenerlo nel concetto in 
cui noi stessi vorremmo esser tenuti. 

Il giudizio temerario spesso è la sorgente di tante altre colpe di disordini, spesso anche 
gravi, di mormorazioni, di calunnie, di tante avversioni, tanti odii inveterati, tante 
ingiustizie e vendette, e rovine. Prima di giudicare le parole o le azioni del nostro 
prossimo pensiamo a questa conseguenza funesta. 

Non ogni giudizio temerario è sempre peccato grave. Dubbi e sospetto anche temerario 
quasi sempre sono solo peccati veniali. 

Nei seguenti casi il giudizio si trasforma sempre peccato mortale: quando sia fatto in 
materia grave, non in difetti leggeri, ma in materia gravemente disonorante. Secondo: 
che sia volontario e deliberato, cioè non sia una semplice tentazione a giudicare, ma un 
giudizio formale e concepito con tutta la volontà, non ostante si conosca la gravità e il 
poco fondamento del proprio giudizio. Terzo: che sia concepiti per motivi deboli e dietro 
indizi e prove inconcludenti. Con queste tre considerazioni il giudizio riveste una malizia 
grave ed è sempre peccato mortale. « In quelle cose in cui giudichi gli altri, condanni te 
stesso. (S. Paolo) e « Dall'abbondanza del cuore parla la bocca » (S. Matt. 15) 

LA MORMORAZIONE O MALDICENZA consiste nel rivelare ad altri senza giusto 
motivo i difetti e le colpe occulte del prossimo. Il giusto motivo si ha quando si danno 
informazioni a scopo di matrimonio, o per scoprire assassini. 

Quando si tratta di difetti occulti, di colpe nascoste al pubblico, oppure conosciute solo 
da pochi, e le colpe vengono diffuse per mezzo di chiacchiere, che non si sa quale 
fondamento abbiano; il parlarne, allora, è peccato di maldicenza, anche se aggiunge: « 
dico come segreto » o « la cosa è vera. » 

La mormorazione o maldicenza è per sua natura peccato grave, perchè offende il 
principale comandamento: « ama il tuo prossimo come te stesso » e si pecca quindi 
contro la carità e la giustizia. 

Se il danno che reca alla buona fama del prossimo è di poco conto, e se non ha che 
conseguenze leggere o non si commette con tutta la malizia, è solo peccato veniale. Ma 
in pratica chi può fissare la linea di confine tra la colpa veniale e quella mortale? 

Si pecca di maldicenza anche nell'acconsentire, col silenzio, con una smorfia, con una 
scrollatina di testa, con un ghigno beffardo, a quanto contribuisce screditando la persona 
oggetto della maldicenza. 

LA CONTUMELIA consiste nell'ingiuriare il prossimo in sua presenza, 

LA DERISIONE si ha quando si disonora il prossimo mettendolo in ridicolo e in 
disprezzo. 

LA SUSSURAZIONE consiste nel riportare a una persona in segreto cose vere o false 
dette da un'altra sul suo conto. In ogni salone ci vorrebbe lo scritto di S. Agostino: «Chi 
avesse la voglia di screditare la reputazione altrui, sappia che questa tavola non è fatta 
per lui ». 

LA CALUNNIA consiste nell'addebitare al prossimo falli di cui non è colpevole. E' il 
colmo della malignità, indizio di animo corrotto e volgare, fonte di danni innumerevoli e 
gravissimi. Offende gravemente la carità, la giustizia, ma sopratutto la verità. La lingua 
del calunniatore è paragonata a quella di un serpente velenoso che morde senza rumore e 
uccide. (Salmo 139.) In pratica è molto raro che con la calunnia non si arrivi al peccato 
mortale. «Un peccato eminentemente diabolico » dice S. Giov. Crisostomo. « Grande 
iniquità » dice S. Tommaso, perchè con un peccato si compiono tre orribili stragi: 
nell'anima di chi la dice, di chi la ascolta e di coloro contro cui sia, lacerando 
spietatamente la fama e recando danni funesti e incalcolabili. Dalla calunnia nessuno può 
salvarsi, nemmeno gli innocenti o le persone irreprensibili. 

La calunnia, senza riguardo attacca con intenzione, si insinua perfidamente, interpreta 
male; sicura che quand'onde si scoprisse la falsità di quel che si dice qualche cosa rimane 
.sempre. Sia chi ascolta, sia chi calunnia incorrono in gravissime pene, e hanno l'obbligo 
di restituire la buona fama e l'onore. «Restituzione o dannazione » . 
  
G. Crux 

Nessun commento:

Posta un commento