mercoledì 6 febbraio 2019

GESU’ OSTIA



La fede della Chiesa


Due secoli dopo, San Tommaso d'Aquino, sull'errore di Berengario ribadisce: «La reale presenza del corpo e del sangue di Cristo in questo sacramento non può essere conosciuta dai sensi, ma solo dalla fede, che si fonda sull'autorità divina».
Ma la vita della Chiesa riceve un lacerante scossone la mattina dell'1 novembre 1517. Alle porte della chiesa universitaria di Wittemberg si trovano affisse 95 tesi in latino; contestano: le indulgenze concesse dal Papa a favore dell'erigenda chiesa di S. Pietro in Roma, l'efficacia delle indulgenze per le anime del Purgatorio, la stessa autorità del Romano Pontefice.
L'autore delle tesi è il trentaquattrenne professore di sacra Scrittura, l'agostiniano Martin Lutero.
Quella mattina segna l'inizio di una triste storia: discussioni, insurrezioni sanguinose, repressioni violente agitano tutta la Germania, poi la Svizzera, la Francia, l'Olanda, il Nord Europa.
Si assommano fattori religiosi, politici, economici, sociali e culturali che corrodono i pilastri dell'unica fede.
A Lutero, in Germania, si affiancano Zwingli e Calvino, in Svizzera. Nascono le Chiese della Riforma, che con spirito missionario approdano in America, in Africa e negli altri continenti.
I punti dottrinali sono: solo Dio (Egli opera da solo, e solo a Lui spetta il nostro culto); solo Cristo (l'unico mediatore fra Dio e gli uomini); solo la grazia (non i meriti e le opere dell'uomo); solo la fede (è l'unica risposta che l'uomo può dare); solo la Scrittura (non la tradizione, non l'intermediazione, ma solo ciò che nella Scrittura è contenuto).
Dalla Riforma viene rivisitata pure la dottrina eucaristica. Lutero rifiuta la trasformazione di TUTTA la sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue di Cristo. Egli formula che la presenza reale di Cristo coesiste con la sostanza del pane e del vino.
Zwingli interpreta le parole di Gesù: "Questo è il mio corpo", "questo è il mio sangue", in senso simbolico: 'è' vuol dire «significa», quindi riduce l'istituzione eucaristica ad una semplice commemorazione, perché mostra e ricorda la grazia della salvezza già avvenuta e ricevuta.
Calvino coniuga la presenza reale di Cristo della dottrina luterana, con quella simbolica della dottrina zwingliana. Egli, infatti, parla di presenza reale ma spirituale di Cristo, insegnando che la «carne» del Signore è mangiata spiritualmente, per fede, senza che vi sia mutamento di sostanza.
Se la presenza sacramentale di Cristo differisce nella maniera in cui è manifestata e realizzata, per tutti i riformatori la conservazione del pane e del vino rimasti dopo la santa cena non ha senso: la presenza di Cristo non è in alcun modo legata agli elementi del pane e del vino usati, ma si realizza nell'incontro della nostra fede con la parola di Dio predicata.
Viene così messa pure in discussione la devozione al SS. Sacramento, consolidatasi nel corso dei secoli.
Significativa, a questo proposito, è l'espressione di Erasmo da Rotterdam (1466-1536), umanista olandese, considerato il più grande intellettuale del suo tempo, che interviene nel dibattito e, contro le argomentazioni della Riforma, scrive in tono arguto: «Non mi sono mai potuto persuadere che Gesù, la Verità e la Bontà stessa, abbia permesso che per tanti secoli la sua sposa, la Chiesa, abbia adorato un pezzo di pane in sua vece»5.
La Chiesa di Roma non sta a guardare. All'attacco esplicito e massiccio dei riformatori, che minacciano la sua organizzazione e la sua stessa funzione di guida del cristianesimo, risponde con una reazione altrettanto massiccia che troverà il suo momento culminante nel Concilio di Trento (1545-1563).
Sulla dottrina eucaristica si riaffermano con vigore i princìpi della fede antica, rimasti immutati fino ad oggi.
Solo sul piano pratico, nell'età odierna, sono subentrati dei cambiamenti: il messale di Pio V, composto secondo le direttive di Trento nel 1570, è stato sostituito dal messale di Paolo VI, sulla base del Concilio Vaticano II.

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