lunedì 2 dicembre 2019

VITA DI CRISTO



 LA SOLA PERSONA CHE SIA MAI STATA PREANNUNZIATA  

La storia è piena di uomini che hanno asserito di venire da Dio, o di essere Dio, o di recare il messaggio di Dio: Budda, Maometto, Confucio, Cristo, Lao-Tse, e tanti e tanti altri, fino a colui che oggi stesso magari ha fondato una nuova religione. E, di essi, ciascuno ha il diritto di essere ascoltato e valutato. Ma, come per ogni cosa che si debba misurare occorre un metro esterno e ad essa affatto estraneo, così occorrono talune prove permanenti, che siano valide per tutti gli uomini, tutte le civiltà, tutte le epoche, onde si possa stabilire se alcuno di coloro o tutti coloro che hanno fatto simili affermazioni siano, o non, nel giusto. A due categorie appartengono tali prove: alla ragione e alla storia. Alla ragione, perché tutti ne sono dotati, anche quelli che mancano di fede; alla storia, perché tutti, vivendo, ne partecipano, ed è lecito presumere che abbiano a conoscerne alcunché.  

La ragione ci suggerisce che, ove questo o quello di tali uomini venisse realmente da Dio, Dio ne avrebbe perlomeno preannunziato l'avvento al fine di convalidarne l'affermazione. I fabbricanti di automobili avvertono la clientela circa l'epoca in cui ha da aspettarsi un nuovo modello. Orbene, se Dio ci mandasse un messaggero o se Egli stesso venisse su questa terra per diffondere un messaggio d'importanza vitale per gli uomini tutti, sembrerebbe logico che anzitutto Egli mettesse gli uomini in grado di sapere quando il Suo messaggero apparirebbe in mezzo a loro, e dove nascerebbe, dove vivrebbe, quale dottrina predicherebbe, quali nemici susciterebbe, quale programma adotterebbe per il futuro, quale morte farebbe. Di modo che, nella misura in cui il messaggero si conformasse a tali annunzi, sarebbe possibile giudicare la validità delle sue asserzioni.  

La ragione, inoltre, ci induce a credere che se Dio non agisse a questo modo, nulla potrebbe impedire un qualunque impostore d'introdursi nella storia dicendo: «Provengo da Dio», oppure: «Un angelo mi è apparso nel deserto e mi ha consegnato questo messaggio». In simili casi, verrebbe a mancare un mezzo oggettivo, storico, per constatare la veridicità del messaggero, ché altro non avremmo che la sua parola, e, pertanto, egli potrebbe essere nel torto.  

Se un visitatore venisse da un paese straniero a Washington e asserisse di essere un diplomatico, il governo gli chiederebbe il passaporto e altri documenti comprovanti la sua qualità di rappresentante di questo o quel governo; e s'intende che codesti documenti dovrebbero recare una data anteriore al suo arrivo. Se dunque ai delegati dei nostri paesi vengono richieste simili prove d'identità, la ragione deve per certo agire allo stesso modo con i messaggeri che affermano di essere stati inviati da Dio. 
A ciascuno di costoro la ragione domanda: «Che cosa, prima che tu nascessi, stava ad attestare che tu saresti venuto?»  

Un simile criterio consente di giudicare il merito degli assertori. (E, in questo stadio preliminare, Cristo non è più grande degli altri.) Nessuno predisse la nascita di Socrate; nessuno preannunziò Budda e il di lui messaggio, né svelò il giorno in cui egli si sarebbe seduto sotto l'albero; di Confucio non ci sono stati tramandati né il nome della madre né il luogo di nascita, e neppure è a dire che questi dati fossero stati rivelati agli umani alcuni secoli prima del suo avvento così che quando egli venne al mondo gli uomini potessero riconoscere in lui un messaggero di Dio. 
Quanto a Cristo, il discorso è diverso: date le profezie dell’Antico Testamento, la Sua venuta non era inaspettata. Perché, se mancò qualsiasi predizione relativa a Budda, a Confucio, a Lao-Tse, a Maometto, o a chiunque altro, non mancarono per contro le predizioni relative a Cristo. Gli altri vennero e dissero: «Eccomi, credete in me». 
Erano, quindi, solo uomini fra gli uomini, non erano divini fra gli umani. Unica eccezione fu Cristo, in quanto disse: «Ricercate gli scritti del popolo ebraico e i riferimenti storici dei Babilonesi, dei Persiani, dei Greci e dei Romani». (Per il momento, gli scritti del mondo pagano, e perfino l'Antico Testamento, possono considerarsi solo documenti storici e non già parole ispirate.)  

Sta di fatto che le profezie dell’Antico Testamento possono venir comprese nella loro pienezza alla luce del loro compimento. Perché il linguaggio profetico non ha la precisione delle scienze matematiche; ma ove nell' Antico Testamento si ricerchino i ricorsi messianici, e ove si paragoni l'immagine che ne risulta con la vita e le opere di Cristo, si può mai dubitare che le predizioni antiche si riferiscano a Cristo e al Regno da Lui istituito? La promessa che Dio fece ai patriarchi che per il loro tramite tutti i popoli della terra sarebbero stati benedetti; la predizione che la tribù di Giuda avrebbe avuto su tutte le altre tribù ebraiche la supremazia fino all'avvento di Colui al quale tutte le genti avrebbero obbedito; il fatto, certamente strano, ma innegabile, che nella Bibbia dei Giudei di Alessandria, cioè nella Versione detta dei Settanta, si trovi chiaramente predetta la nascita verginale del Messia; la profezia di Isaia (53) relativa all'Uomo dei Dolori, al Servo del Signore, il quale darà la vita in espiazione delle colpe del Suo popolo; le prospettive del glorioso ed eterno regno della Stirpe di Davide: in chi, se non in Cristo, queste profezie han trovato il loro compimento? Da un punto di vista meramente storico, si verifica qui una unicità che distingue Cristo da tutti gli altri fondatori di religioni terrene; e giacché il compimento di tali profezie si verificò, storicamente, nella persona di Cristo, non soltanto cessarono in Israele tutte le profezie ma si produsse anche la cessazione dei sacrifici dopo il sacrificio del vero Agnello pasquale.  

E si guardi alla testimonianza del mondo pagano. Tacito, parlando degli antichi Romani, dice: «La gente, per la maggior parte, credeva nelle antiche profezie, secondo le quali l'Oriente avrebbe prevalso e dalla Giudea sarebbe venuto il Padrone e Reggitore del mondo». E Svetonio, là dove narra la vita di Vespasiano, così riferisce circa la tradizione romana: «Era vecchia e perpetua credenza, in tutto l'Oriente, che, in base a profezie d'indubbia veridicità, i Giudei avrebbero raggiunto l'apice della potenza».  

La Cina nutriva la medesima attesa, ma, poiché si trovava dall'altra parte della terra, credeva che il Gran Savio sarebbe nato in Occidente. Gli Annali del Celeste Impero contengono la seguente relazione:  

«Nell'anno ventiquattresimo di Ciao- Wang della dinastia dei Cieu, nel giorno ottavo della quarta luna, una luce apparve a sud-ovest, che illuminò il palazzo del re. Colpito da tanto splendore, il monarca interrogò i savi, che gli mostrarono alcuni libri dai quali risultava che quel prodigio doveva venire interpretato come l'apparizione del Gran Santo d'Occidente, la cui religione sarebbe stata introdotta anche nel loro paese».  

E Lo aspettavano i Greci, perché nel Prometeo, composto sei secoli prima ch'Egli nascesse, Eschilo scriveva: «E, inoltre, non aspettarti che questa maledizione abbia fine sino a quando Iddio non si manifesti, per addossarsi, in vece tua, tutte le pene conseguenti dai peccati da te commessi».  

Come fecero i Re Magi a sapere della Sua venuta? Probabilmente in base alle tante profezie diffuse per il mondo dagli Ebrei, nonché in base alla profezia che Daniele alcuni secoli prima della nascita di Cristo aveva fatta ai Gentili.  

Quanto a Cicerone, dopo aver riportato le parole degli antichi oracoli e delle Sibille relativamente a un «Re che dovremo riconoscere se vorremo essere salvati», si domanda ansioso: «A quale uomo e a quale periodo di tempo alludono codeste predizioni?» La Quarta Egloga di Virgilio testimonia della medesima antica tradizione e parla di «una donna casta, sorridente al suo bambino, con il quale avrebbe fine l'età del ferro».  

Svetonio cita un autore contemporaneo per rilevare che tanta paura avevano i Romani di un Re che avrebbe governato il mondo da ordinare che tutti i bambini nati in quell'anno venissero uccisi: ordine che poi non fu emanato se non da Erode.  

Non soltanto gli Ebrei aspettavano la nascita di un Gran Re, di un Savio, di un Salvatore, ma anche Platone e Socrate parlarono del Logos e del Savio Universale «che doveva ancora venire». Confucio parlò del «Santo»; le Sibille, di un «Re Universale»; i tragici greci, di un salvatore e redentore che avrebbe liberato l'uomo dalla «primaria remota maledizione». Tutti costoro aspettavano nel senso dei Gentili. Ciò che anzitutto distingue Cristo da tutti gli uomini è che era atteso: perfino i Gentili bramavano un liberatore o redentore che fosse. Il che è di per sé sufficiente a differenziarLo da tutti i condottieri religiosi.  

La seconda distinzione consiste nel fatto che, una volta apparso, con tanta violenza Egli percosse la storia da fenderla in due, dividendola in due periodi: anteriore alla Sua venuta il primo, posteriore il secondo.  

Il che Budda non fece, né alcun altro dei grandi filosofi indiani. Perfino coloro che negano l'esistenza di Dio devono così datare gli attacchi che conducono contro di Lui: l'anno tale d. C., oppure l'anno tal altro a. C. La terza realtà che Lo differenzia da tutti gli altri è questa: chiunque altro sia mai venuto al mondo è venuto per vivere; Egli è venuto per morire. Per Socrate, la morte fu una pietra d'inciampo, in quanto ne troncò l'insegnamento; mentre per Cristo fu la meta e il compimento della vita, la ricchezza ch’Egli ambiva. Delle Sue parole ed azioni, poche sono intelligibili ove non si stabilisca un riferimento con la Sua Croce, giacché Egli si manifestò come un Salvatore invece che come un semplice Maestro. A nulla infatti sarebbe valso ch'Egli avesse insegnato agli uomini il modo d'esser buoni se non gli avesse anche concesso la facoltà d'esser buoni, dopo averli riscattati dalla amarezza della colpa.  

La Storia d'ogni vita umana comincia con la nascita e finisce con la morte; nella Persona di Cristo, invece, venne prima la morte poi la vita. La Scrittura Lo descrive come «l'Agnello sgozzato fin dalla fondazione del mondo», ché, nell'intenzione, Egli fu sgozzato dal primo peccato e dalla prima ribellione contro Dio. Non fu la Sua nascita a proiettare un'ombra sulla Sua vita e a trarLo quindi a morte; prima in ordine di tempo venne bensì la Croce, rimandò la propria ombra sopra la Sua nascita.  

La Sua è stata l'unica vita che sia mai stata vissuta a ritroso. Come il fiore nel muro screpolato rivela il poeta della natura, e come l'atomo è la miniatura del sistema solare, così la Sua nascita rivela il mistero del patibolo. La Sua esistenza si svolse tra i poli di due realtà conosciute, dalla ragione della Sua venuta resa palese dal nome di Gesù», ossia «Salvatore», al compimento della Sua venuta, cioè alla Sua morte sulla Croce.  

Di Lui, Giovanni ci dà la preistoria eterna; Matteo, la preistoria temporale, attraverso la genealogia; è significativo che la Sua stirpe umana sia tanto legata a peccatori e stranieri! Codeste macchie sullo scudo del Suo lignaggio umano Gli ispirano pietà per i peccatori e per quanti siano estranei all'Alleanza; ed entrambi questi aspetti della Sua compassione Gli saranno, in séguito, addebitati a mo' di accuse: «È amico dei peccatori»; «un Samaritano». Ma l'ombra di un passato contaminato predice il Suo futuro amore per i contaminati. Nato da una donna, Egli fu un uomo e, al tempo stesso, poté essere tutt'uno con l'umanità intera; nato da una Vergine adombrata dallo Spirito e «piena di grazia», sarebbe stato altresì fuori da quella corrente di peccato che corrompeva tutti gli uomini.  

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN 

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