Causa ed effetto
La filosofia ci insegna che ad una causa corrisponde sempre un determinato effetto. Abbiamo visto che le azioni poste in essere durante il Vaticano II hanno sortito l’effetto voluto, concretizzando quella svolta antropologica che oggi ha portato all’apostasia dell’anti-chiesa e all’eclissi della vera Chiesa di Cristo. Dobbiamo quindi comprendere che, se vogliamo annullare gli effetti nefasti che abbiamo sotto gli occhi, è necessario e indispensabile rimuovere le cause che li hanno determinati. Se questo è lo scopo che ci prefiggiamo, è evidente che l’accettazione – ma anche solo parziale – di quei principi rivoluzionari renderebbe il nostro impegno inutile e controproducente. Dobbiamo quindi avere ben chiari gli obbiettivi da raggiungere, ordinando l’azione al fine, con l’adottare i mezzi necessari. Ma dobbiamo essere tutti consapevoli che in questa opera di restaurazione non sono possibili deroghe sui principi, proprio perché la mancata condivisione di essi impedirebbe qualsiasi possibilità di successo.
Mettiamo quindi da parte, una volta per tutte, i vani distinguo sulla presunta bontà del Concilio e sul tradimento della volontà dei Padri Sinodali, sulla “lettera” e sullo “spirito” del Vaticano II, sulla magisterialità o meno dei suoi atti, sull’ermeneutica della continuità contro quella della rottura. Abbiamo tutti compreso che l’anti-chiesa ha usato l’etichetta “Concilio Ecumenico” per dare autorevolezza e forza di legge alle proprie istanze rivoluzionarie, così come Bergoglio chiama “enciclica” il suo manifesto politico di adesione al Nuovo Ordine Mondiale. Abbiamo compreso che l’astuzia del nemico ha bloccato in un vicolo cieco la parte sana della Chiesa, combattuta tra il dover riconoscere l’indole eversiva dei documenti conciliari ed escluderli quindi dal corpus magisteriale, e il dover negare l’evidenza dichiarandoli apoditticamente ortodossi per salvaguardare l’infallibilità del Magistero. Abbiamo anche compreso che i Dubia hanno rappresentato un’umiliazione per i Principi della Chiesa, senza sciogliere i nodi dottrinali sottoposti all’attenzione del Romano Pontefice. Bergoglio non risponde proprio perché non vuole né smentire gli errori insinuati, né confermarli esponendosi così al rischio di esser dichiarato decaduto dal Papato per eresia. È lo stesso modo di procedere del Concilio, dove l’equivoco e l’uso di una terminologia impropria impediscono di condannare l’errore che pure vi è insinuato. Ma il giurista sa bene che, oltre alla violazione palese della legge, si può compiere un crimine anche aggirandola, servendosene dolosamente per scopi malvagi: contra legem fit, quod in fraudem legis fit.
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