martedì 16 marzo 2021

DIO CHE AMA IL MONDO

 


PRESENZA DELLA TRINITÀ NEL MONDO  

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Se ci si lascia guidare da questi testi, la coerenza dello schema circolare ci conduce irresistibilmente da Cristo verso il Padre. Tuttavia, prima di riconsiderare più ampiamente il movimento di ritorno nei capitoli seguenti, occorre ancora soffermarsi un po‘ sul movimento di uscita. Per il modo in cui dovremo ben presto parlare del comportamento del cristiano in questo mondo, è fondamentale focalizzare bene il modo in cui Dio stesso si comporta, se così si può dire, al cospetto del mondo.  Si può partire qui da una semplice constatazione. Tommaso è, come si sa, un frequentatore abituale della Bibbia, specialmente della letteratura sapienziale 168 . Ora, tra le numerose citazioni del libro della Sapienza che ritornano spesso sotto la sua penna, questa è una delle più frequenti: «Tu ami tutti gli esseri e nulla disprezzi di quanto hai creato; poiché se avessi odiato qualcosa, non l‘avresti neppure creato. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non l‘avessi voluta? Come conserverebbe l‘esistenza se tu non l‘avessi chiamata all‘esistenza?» 169  Tommaso ama dunque citare queste parole e quando si chiede: Dio ama tutte le cose?, senza esitare risponde:  «Dio ama tutto ciò che esiste. Infatti tutto ciò che esiste è buono per il solo fatto che esiste, poiché l‘essere è in se stesso un bene così come ogni perfezione che esso può avere. Dato che la volontà di Dio è la causa di ogni cosa, ogni cosa allora non ha essere né perfezione se non nella misura in cui è voluta da Dio. Dio dunque vuole bene ad ogni esistente e, poiché amare qualcuno non è nient‘altro che volergli bene, è evidente che Dio ama tutto ciò che è.  Ma questo amore non è come il nostro... L‘amore, mediante il quale vogliamo del bene a qualcuno, non è la causa della sua bontà; è al contrario la sua bontà che, vera o supposta, provoca l‘amore con il quale vogliamo conservargli il bene che possiede e perfino aumentarlo, facendoci impegnare in questo. L‘amore di Dio invece è la causa che infonde e crea la bontà negli esseri» 170 .  Non è possibile esprimere più semplicemente e più vigorosamente la differenza tra l‘amore di Dio e il nostro. Ciò che l‘amore più folle si rivela impotente a realizzare per l‘essere più amato, Dio lo fa per ciascuno di noi. Come un sole farebbe sbocciare il fiore anche senza seme e senza acqua, l‘amore di Dio fa sorgere l‘essere dal niente, lo serba nell‘esistenza e lo ricolma della sua bontà in ogni istante. Sicché la creazione non è un atto senza continuazione. Dio non si disinteressa di questo mondo che ha fatto. Tanto la fede quanto la ragione ci obbligano ad ammettere che le creature sono conservate nell‘essere da Dio:  «L‘essere delle creature dipende a tal punto da Dio che esse non potrebbero sussistere e sarebbero ridotte al niente se, mediante l‘operazione della potenza divina, non fossero mantenute nell‘essere» 171 . Ciò si spiega facilmente se ci si ricorda che Dio non è soltanto causa del divenire di ogni essere ma, nel modo più diretto e intimo, del l‘essere stesso 172 . La conclusione s‘impone da sola, senza però alcun bisogno di immaginare un nuovo intervento divino: «La conservazione delle cose operata da Dio non suppone una nuova azione da parte sua, ma soltanto che continui a donare 173  Senza insistervi molto, dato che la cosa ora dovrebbe essere evidente, bisogna tuttavia dire che ritroviamo all‘opera in questo contesto del governo divino — o della Provvidenza: i termini sono quasi sinonimi — le tre Persone così come le abbiamo scoperte nella prima creazione delle cose. Quando Tommaso trova in san Giovanni (5, 17) la parola di Cristo: «Il Padre mio è all‘opera fino ad oggi e anch‘io opero», commenta senza timore: «Perciò come il Padre mio, pur avendo istituito in principio l‘universo, opera tuttora, mantenendolo e conservandolo con un‘unica operazione, così anch‘io opero; poiché sono il Verbo del Padre, per il quale egli opera ogni cosa... Perciò come intervenne nella prima istituzione delle cose mediante il Verbo, così opera nella loro conservazione. Anch‘io opero, perché sono il Verbo del Padre per mezzo del quale tutte le cose sono prodotte e conservate nell‘essere» 174 . [Tommaso sembra che non perda nessuna occasione per sottolineare la costanza di questa azione del Verbo. Così quando spiega le parole di Gesù: «Io lascio il mondo e vado al Padre», crede utile precisare che si tratta solo di una  partenza fisica e non di un abbandono del mondo]. «Lo lascia non già sottraendogli la provvidenza del suo governo, poiché egli governa sempre il mondo insieme col Padre, e rimane sempre con i suoi mediante il conferimento della sua grazia» 175 . La stessa cosa vale per lo Spirito Santo. Quando Tommaso parla del modo in cui «le persone divine, a causa della loro stessa processione, hanno una causalità riguardante la creazione delle cose» e di ciò che appartiene a ciascuna di esse per appropriazione, precisa in questo modo il ruolo dello Spirito Santo: «governare come Signore e vivificare ciò che è creato dal Padre e dal Figlio». Se questo ruolo gli spetta, «è perché gli si attribuisce la bontà, a cui appartiene il condurre, governandole, le cose verso i loro propri fini, e il vivificare: infatti la vita consiste in un certo movimento interiore; ora, il primo movente degli esseri è il fine e la sua bontà» 176 .  Questo insegnamento fa eco esattamente ad un grande testo della Somma contro i Gentili al quale occorrerà riferirsi quando parleremo dello Spirito Santo:  «Giacché il governo del mondo è simile ad un certo moto mediante il quale Dio regge e guida tutte le cose verso i loro propri fini, e se è vero che l‘impulso e la mozione spettano allo Spirito Santo in quanto è amore, è giusto allora attribuire allo Spirito Santo il governo dell‘universo e la sua propagazione» 177 . Tale dottrina della creazione e della presenza permanente del Verbo «che sostiene l‘universo con la potenza della sua parola» 178 , induce Tommaso ad esaminare en passant una di quelle supposizioni impossibili che gli storici molto frequentemente ritrovano presso i mistici: «Se Dio ritirasse la sua potenza un solo istante dalle realtà create, queste sarebbero tutte ridotte al niente e cesserebbero di esistere». Egli attribuisce ad Origene (ma si dovrebbe trattare piuttosto di Giovanni Scoto Eriugena) un paragone suggestivo: se si smette di parlare, non si ha più voce; come pure: se Dio smettesse di pronunciare il suo Verbo, l‘effetto del Verbo terminerebbe immediatamente e non si avrebbe più l‘universo creato 179 .  Tommaso non si lascia intimidire da questa supposizione, ma la considera più un dettaglio. Bisogna ammettere che Dio potrebbe ridurre al nulla gli esseri che ha fatto, poiché egli non ha creato per una necessità di natura. Dato che tutto dipende dalla sua libera volontà, è necessario ammettere che niente lo obbliga a sostenere ciò che ha creato, così come niente lo obbligava a creare. Egli non avrebbe bisogno nemmeno di una nuova azione: sarebbe sufficiente che cessasse di agire 180 Ma qui il carattere impossibile della supposizione riprende i suoi diritti e infatti subito Tommaso corregge il tiro: «Assolutamente niente è ridotto al niente», visto che un simile annientamento non servirebbe affatto alla manifestazione della potenza di Dio, anzi vi si opporrebbe perché è nella conservazione degli esseri che la potenza e la bontà di Dio si esprimono al massimo 181 .  A volte si è avanzato il sospetto che Tommaso insegnasse una concezione dell‘immutabilità divina secondo la quale Dio sarebbe indifferente alla sua creazione. In effetti però dice che «(se) le creature hanno una relazione reale con Dio.., non si dà relazione reale di Dio nei confronti della sua creatura» 182 . Qui è necessario prevenire l‘equivoco che potrebbe derivare da una cattiva lettura di questa frase, se cioè la si comprendesse in un senso puramente psicologico, mentre di fatto enuncia un‘asserzione metafisica incontestabile. Essa significa semplicemente che «Dio è al di fuori dell‘intero ordine del creato (cum... Deus sit extra totum ordinem creaturae. . )»; egli conferisce la consistenza, mentre il contrario non è vero e la relazione è necessariamente dissimmetrica. L‘immaginazione non ha niente a che vedere qui, e se si volesse implicare realmente Dio nella sua creazione (fargli condividere le nostre sofferenze, per esempio, come oggi tentano di fare molti teologi), ci si fabbricherebbe un idolo supplementare, niente di più 183 . Questo dio non sarebbe Dio. Lungi dall‘essere estraneo alla sua creazione, il Dio di Tommaso è personalmente presente ad ogni essere più intimamente di quanto lo sia questo essere a se stesso. Più di una volta il lettore esperto non può fare a meno di pensare a sant‘Agostino ai quale Tommaso deve tanto: «E tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta» 184 . Tommaso non ha certo il genio letterario di Agostino, eppure non dice altro, e la lettura delle sue pagine sulla presenza attiva di Dio nella sua creazione è proprio fatta per p rovocare l‘adorazione ammirativa che deriva dal provato sentimento di questa presenza.  Questo sentimento non può che ampliarsi quando ci si rende conto a che punto il Dio di Tommaso non abbia niente in comune con il principio impersonale del deismo che non si occupa del mondo. Si tratta proprio del Dio-Trinità della Bibbia attivamente implicato nella sua creazione. Non solo egli ne è l‘origine assoluta e il costante sostegno, ma l‘ama con l‘amore con cui ama se stesso:  «Il Padre non ama soltanto il Figlio mediante lo Spirito Santo, ma anche se stesso e noi; poiché‘... amare, in senso nozionale, non evoca solamente la produzione di una Persona divina, evoca anche la Persona prodotta per modo di amore, e l‘amore dice rapporto alla cosa amata. Per questo come il Padre esprime se stesso e ogni creatura tramite il Verbo che genera, dato che il Verbo generato da solo è sufficiente a rappresentare il Padre e ogni creatura; così pure, il Padre ama se stesso e ogni creatura mediante lo Spirito Santo, visto che lo Spirito Santo procede come amore da questa bontà originaria a causa della quale il Padre ama se stesso così come ogni creatura. In questo modo si evoca anche come in secondo piano, nel Verbo e nell‘Amore procedente, un rapporto alla creatura, poiché la verità e la bontà divine sono principio della conoscenza e dell‘amore che Dio ha per le creature» 185 .  Non ci si sorprenderà di ritrovare un insegnamento simile a proposito della persona del Figlio. San Tommaso lo propone in un suo commento dell‘espressione di san Paolo agli Efesini (1, 6): «La grazia che ci ha dato nel suo Figlio diletto»:  «È importante considerare come alcuni sono amati in se stessi e altri a causa di un altro. In effetti, quando io amo veramente qualcuno, lo amo con tutto ciò che lo concerne. Così quando siamo amati da Dio ciò non è dovuto (direttamente] a causa di noi stessi; siamo amati a causa di colui che è il Prediletto del Padre. Per questo l‘Apostolo aggiunge nel suo Figlio diletto, a causa del quale ci ama nella misura in cui gli assomigliamo. L‘amore infatti è fondato sulla somiglianza... Ora il Figlio è per natura simile al Padre, e perciò è amato in se stesso e in primo luogo; egli è per natura e nel modo più eccellente il Prediletto del Padre. Quanto a noi, siamo figli per adozione nella misura in cui siamo conformi al Figlio [per natura]; è per questo che abbiamo una certa partecipazione all‘amore di Dio» 186 .  La lettura di alcuni testi raccolti in questo capitolo dovrebbe essere sufficiente a mostrare la coerenza della visione del mondo e di Dio che se ne ricava. Tommaso non può parlare di creazione senza mostrare le tre Persone all‘opera, così come non può parlare della presenza di Dio nella sua creazione senza indicare il suo coronamento in Cristo. Né inoltre può parlare della creazione nell‘essere senza parlare della salvezza, cioè della ricreazione nell‘amore. Questa costanza e questa insistenza non sono arbitrarie e questi legami sono dappertutto presupposti, anche quando non sono esplicitamente evocati. Questi, dato che entrano a titolo strutturale nella costruzione stessa della Somma, non possiamo dimenticarli. 

di P.Tito S. Centi  e P. Angelo Z.

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