Intima essenza e midollo del mistero della Incarnazione
c) L’albero trapiantato
Secondo la legge, un albero trapiantato da un luogo in un altro, quando in questo abbia gettate le radici, più non appartiene al padrone del primo fondo, ma al padrone del secondo; perché per il nutrimento preso nel nuovo terreno, è diventato in certo qual modo un altro albero, benché sia ancora lo stesso fusto, la stessa sostanza, la stessa anima vegetativa, la stessa pianta nel suo genere, nella sua specie ed anche nella sua natura individuale e in tal modo carica delle stesse foglie e degli stessi frutti.
Quanto più dobbiamo dire lo stesso di quella natura umana assunta dal Verbo, la quale è una pianta celeste e nella sua specie un albero rovesciato, secondo una parola di Platone1, ma in un senso ben più elevato, sconosciuto a quel grande filosofo e conosciuto solo dai cristiani? Quanto più dobbiamo dire che quella Umanità, levata dal fondo sterile dell’essere comune e ordinario alla sua natura specifica, e trapiantata felicemente nel fondo proprio dell’essere divino, quanto più dobbiamo dire che essa non è più nel potere e possesso suo naturale, ma nel potere e possesso della grazia divina e increata? È questa il nuovo fondo nel quale è stata come trapiantata, per la unione personale con Colui che è la Grazia essenziale e sostanziale, con Colui che, presso gli antichi Padri e nelle scritture, porta in modo assoluto il nome di Grazia. Il Verbo, infatti, è veramente la Grazia sostanziale ed ipostatica; San Paolo, secondo tutti gli antichi Commentatori latini ed una parte dei codici greci, lo chiama con quel nome: La Grazia di Dio ha gustato la morte per tutti (Eb 2, 9), vale a dire, il Figlio di Dio, che è l’autore, l’Essenza e la fonte della grazia.
1 L’uomo, per la sua natura spirituale, ha le radici in cielo, mentre la pianta le ha nella terra. Se non erriamo, l’autore allude al seguente passo di Platone, nel Timeo: "La gentilissima specie di anima che è dentro di noi, abita in su la sommità del corpo e leva noi da terra, per la parentela ch’ella ha con il cielo: imperocchè non siamo piante terrene, ma sì celesti, e ciò noi diciamo molto dirittamente. E per fermo là (in cielo) sospese Iddio il nostro capo o radice, e drizzò tutto il corpo, di dove trasse 1’anima suo principio». Platone, Dialoghi volgarizzati da Francesco Acri, 3a edizione Milano, pag. 585. (N. d. T.).
Card. Pietro de Bérulle
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