martedì 19 ottobre 2021

L'ALDILA’ STUPENDA REALTA’ - Il Paradiso

 



«Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo si trova assiso alla destra di Dio; gustate le cose di lassù, non quelle della terra» (Col. 3, 1-2).


L'incredulo dice che l'aldilà è una mera illusione perché con la morte finisce tutto.

Il cristiano, invece, basandosi sulla parola infallibile di Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo, afferma senza esitazione: «Credo nella resurrezione della carne (cioè del corpo) e la vita eterna (cioè l'aldilà)».

L'uomo su questa terra si affanna tanto in cerca della felicità e della vita duratura, per le quali Dio l'ha creato. Anche se si professa ateo, incredulo circa l'aldilà, tuttavia egli lavora, si affatica, vive nell'attesa della felicità. Questa, con la sua potente attrattiva, sostiene i suoi sforzi e stimola la sua attività. Come la rondine che vola nell'aria per prendere al suo passaggio l'insetto che le serva di nutrimento, così il suo spirito, la sua anima, bramosa, cerca incessantemente qualche cosa che possa soddisfare le sue aspirazioni. Siamo tutti degli insoddisfatti, dei mendicanti, degli affamati della felicità.

Per una inclinazione naturale, invincibile, noi andiamo sempre in cerca di un bene che ci manca per essere pienamente contenti, soddisfatti, felici. Però nessuna cosa terrestre può saziare la fame di felicità piena e duratura, di cui è bramoso il cuore umano.

Tanti s'illudono di supplire a questa fame di felicità coi beni del potere, della gloria, della ricchezza, dei piaceri. Ma essi non possono saziare l'uomo. L'autorità e il potere possono accarezzare l'amor proprio, ma non possono darci la felicità. Possono dare qualche soddisfazione effimera, ma quanti affanni e pericoli, quante prove e difficoltà!

Tanti fanno della gloria l'unico scopo della loro vita. Si mettono in mostra per essere visti, ammirati, esaltati dagli uomini. Ma la gloria è vana perché, per quanto brillante e intensa possa essere, essa non soddisfa pienamente i suoi favoriti, i quali invano sono sempre in cerca di qualche altra cosa che li soddisfi pienamente, che li renda felici.

Non può saziare la ricchezza. La preoccupazione degli affari, l'amore del commercio, il miraggio del guadagno, l'avidità del denaro fanno dimenticare agli uomini che su questa terra sono di passaggio e dovranno lasciare tutto, perché Dio non li ha creati per questo. La ricchezza quindi non ci può dare la felicità perché essa è fonte di innumerevoli preoccupazioni, di grandi inquietudini, di molti affanni.

Non ci può dare la felicità il piacere. Tanti fanno dei piaceri sensuali uno dei principali scopi della loro esistenza, illudendosi di trovare in essi la felicità di cui sono assetati. Mangiare bene, immergersi il più possibile nei piaceri della carne è la mira costante del loro agire. Ma questi lussuriosi arriveranno mai a soddisfare le loro grossolane brame? No, perché il corpo carnale si disgusta presto e, volubile com'è, brama sempre qualche nuovo piacere più saporoso. Insaziabile, va sempre in cerca di nuove sensazioni e più ne sperimenta, più le brame di acutizzano.

Anche l'amore matrimonale non può soddisfare le esigenze del cuore umano, perché l'amore umano è sempre limitato e quindi incapace di quell'amore illimitato e durevole di cui l'uomo sente il bisogno. Per tanti poi la «luna di miele» si muta in «luna di fiele» con le tristi conseguenze delle infedeltà coniugali, delle separazioni, dei divorzi, ecc. Altro che gioia e felicità!

L'uomo, quando riflette o spontaneamente o perché costretto da qualche evento doloroso che l'ha colpito, si chiede sempre se con la morte tutto finisca, oppure ci sia una vita futura, un aldilà che l'attenda. A questa intima domanda risponde il Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, n. 18): «In faccia alla morte l'enigma della vita umana diventa sommo. Non solo l'uomo si affligge al pensiero dell'avvicinarsi del dolore e della dissoluzione del corpo, ma anche, ed anzi più ancora, per il timore che tutto finisca per sempre. Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell'eternità che portà in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a colmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento della longività biologica non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore che invincibilmente sta dentro il suo cuore.

La Chiesa, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena. C'insegna inoltre che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato, sarà vinta dall'onnipotenza e dalla misericordia del Salvatore quando l'uomo sarà restituito allo stato perduto per il peccato originale. La fede cristiana quindi dà la risposta alle ansietà dell'uomo circa la sua sorte futura».

La rivista «Il Messaggero di S. Antonio» dell'aprile 1988 riporta quanto scrive l'articolista Myriam: «Oggi, nell'onda della Risurrezione trionfante, dei fiori che germogliano e che sbocciano, degli insetti che ronzano, delle farfalle che veleggiano con i colori dell'arcobaleno dipinti sulle ali; e delle scadenze liturgiche che celebrano la risurrezione del Signore, in quest'ondata trionfante di vita che sconfigge la morte, vorrei domandarti, Signore, come sarà quella vita futura che attendiamo e che già cominciamo misteriosamente a vivere, ma che vivremo disvelata dopo il sipario della morte. Vorrei domandartelo, Signore, vorrei saperlo perché talvolta mi spaventa, come spaventa l'ignoto.

Questa vita terrestre, Signore, la conosco: con i suoi limiti, le siíe povertà, i suoi dolori, ma anche gli amori, ma anche le dolcezze. Ormai mi ci sono adattata e lei mi aderisce come un vestito, come una pelle: è la mia pelle, quella che tu mi hai dato e che io mi sono abituata a vivere. E la amo così: con i suoi limiti e i suoi ritmi: il sole che si leva al mattino, fa il suo giro nel cielo e, la sera, tramonta. E l'uomo che si perde nel sonno: una parentesi d'incoscienza che però ci dà, ogni giorno, la gioia del risveglio; e di poter ricominciare col ricominciare del pellegrinaggio del sole.

E della luna. Già: la luna. Non ce la ruberai, per caso, la luna in Paradiso? Mi sembrerebbe un paradiso triste senza questa dolce pellegrina della notte che scandisce il tempo con i suoi quarti, la sua pienezza luminosa, la sua oscura rinnovazione quando, come nella notte di Pasqua, morte e vita s'incontrano e la luna vecchia che termina coincide con la luna nuova che ricomincia il ciclo col suo peregrinare in cielo.

Io la luna, Signore, ce la vorrei di là, e anche le nuvole del cielo, e gli animali della terra: i passi felpati dei gatti, lo zoccolare dei cavalli e i conigli fulvi che saltano nei boschi.

Forse, Signore, il mio è un paradiso troppo umano; ma non ci hai fatto tu uomini? Non ce le hai dato tu queste cose? Noi siamo impastati con la terra, perciò, con noi, deve risorgere anche la terra: quei cieli nuovi e quelle terre nuove che ci hai promesso e di cui parlano i profeti.

Quelli sono la vera Gerusalemme eterna, la vera terra promessa di cui la Palestina "dove scorre latte e miele" era soltanto un simbolo e una anticipazione molto povera perché il latte e miele erano solo un'immagine che rinviava al di là. Così come l'antico paradiso era anch'esso un'immagine di quello definitivo ed ultimo, e la felicità dell'Eden un'embrionale profezia del paradiso che diremo "celeste "per distinguerlo da quello "terrestre"; ma è una distinzione puramente lessicale perché, da quanto abbiamo detto, risulta chiaro che anche il paradiso celeste è un paradiso terrestre; così come quello iniziale che, convenzionalmente chiamiamo terrestre, era, per la sua parte, celeste perché la terra e il cielo non sono separati; e tu scendevi, nelle sere di brezza, a passeggiare per i suoi sentieri.

E quest'immagine - che dice come tu lo abitavi - ci fa capire come fosse "celeste" quel giardino terrestre. Così, Signore, amo pensare il paradiso, beato regno della risurrezione: una dimensione, una situazione, uno stato abitato e beatificato da te e quindi essenzialmente divino, eppure in un modo molto umano perché fatto per uomini».

Parlare del Paradiso è evidentemente una cosa molto difficile, perché gli stessi mistici, che furono favoriti di visioni al riguardo, non riuscivano a descrivere quanto avevano visto, come per esempio, l'Apostolo San Paolo, che, scrivendo di se stesso in terza persona, dice (2 Cor. 12,2-4): «Conosco un uomo in Cristo, che 14 anni fa... fu rapito in Paradiso e udì parole indicibili che non è lecito ad alcuno pronunziare (perché evidentemente è impossibile)», perché (1 Cor. 2,9) «Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano».

La trattazione, oltre al poco rivelatoci da Gesù, oltre all'insegnamento della Chiesa e della sana Teologia, oltre a quanto ci fa dedurre la nostra ragione umana, lascia pure un piccolissimo spazio alla fantasia e al sentimento, perché anche queste due facoltà contribuiscono a farci capire e sentire meglio una realtà così lontana da noi: una stupenda realtà che appagherà ogni nostro desiderio di felicità; sazierà tutte le esigenze del nostro cuore che anela ad amare ed essere amato senza misura; soddisferà ogni esigenza della nostra mente che vuol conoscere tutto senza alcun limite; realizzerà ogni esigenza del nostro spirito che vuole immergersi nell'infinito e nell'eterno.

Attenzione

È un cosa comune dire: nessuno è venuto dall'aldilà.

Agli atei se non si citano loro delle apparizioni di morti, vi trovano una conferma alla loro affermazione.

Se invece vengono loro citate, le negano per principio, però si guardano bene dal farne una ricerca.

E inspiegabile come uomini, anch'essi come tutti, desiderosi di non morire mai, non abbiano alcun desiderio di vedere se ha fondamento la dottrina che insegna e prova la sopravvivenza. Tanto può il pregiudizio!

Ebbene: per smentire coloro che, come i Testimoni di Geova, affermano che con la morte muore pure l'anima e non resta più nulla; per smentire gli increduli, i quali, per negare i miracoli, dicono la solita storia di un fatto che ieri era ritenuto miracoloso, oggi invece non lo è più, per es. una guarigione per mezzo della penicellina. Costoro ignorano cosa la Chiesa intende per miracolo.

Il miracolo è una guarigione improvvisa, totale, senza impiego di alcun medicinale e senza alcun intervento umano da una malattia grave, debitamente diagnosticata.

Nel miracolo generalmente avviene la creazione e l'annientamento di un corpo, ad esempio l'annientamento di una massa tumorale e la creazione al suo posto di cellule normali. Ora in natura niente si crea e niente si distrugge. L'annientamento come la crazione sono opere esclusive di Dio, e, dove avvengono, manifestano l'intervento di Dio. Così avviene l'intervento di Dio quando in una guarigione mancano i fattori tempo, medicine, intervento umano; per sfatare coloro che affermano che nessuno è venuto dall'aldilà per dirci che c'è l'altra vita; per confermare coloro che credono nell'altra vita, ma alle volte vengono assillati da dubbi, alla fine di ogni capitolo si riporta un fatto storico, preceduto dalla dicitura «Chi è venuto dall'aldilà?», che ci conferma l'esistenza dell'altra vita.

- Se non ci fosse l'aldilà, non varrebbe la pena di vivere nell'aldiquà. Considerando la nostra vita così rapida e fuggente, sarebbe spaventoso pensare che tutto finisca con quello che chiamiamo «morte». Quindi non solo con la fede, ma anche con la ragione credo nell'aldilà e spero che sia gioia di amare illimitatamente. (Pro f. Enrico Medi - scienziato) -

P. GNAROCAS N.I.


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