mercoledì 20 ottobre 2021

SOTTO LA GUIDA DELLO SPIRITO

 


Crescere verso l'interiore

Le motivazioni del silenzio potrebbero essere ambigue e la sua pratica ha bisogno di un certo apprendistato: potrà crescere solo poco alla volta. C'è stato un periodo della nostra vita in cui abbiamo osservato un silenzio assoluto e nel contempo abbiamo vissuto intensamente, un tempo in cui crescita rapida e mutismo si confondevano. Era il tempo in cui non disponevamo ancora della parola, prima e dopo la nostra nascita. In quel silenzio obbligato c'è stata una scoperta progressiva della parola che avremmo un giorno balbettato all'indirizzo dei nostri genitori. Quel silenzio era d'altronde relativo: fin dall'inizio, infatti, il contatto con i genitori è stato estremamente intenso, lo scambio era incessante e l'esperienza non faceva che aumentare. Fin dal giorno stesso della nascita il contatto con la madre si è stabilito attraverso il corpo e la pelle; ben presto siamo stati in grado di riconoscere i nostri genitori con lo sguardo: da quel momento tra loro e noi c'è stato un linguaggio visivo. Un passo ulteriore avvenne qualche settimana più tardi: il sorriso; con il sorriso gli abbiamo fatto sapere che li riconoscevamo, consolidando così il legame tra loro e noi. A quel punto eravamo già capaci di registrare le loro parole e, in una certa misura, di capirle. La prima parola che abbiamo padroneggiato e, per così dire, inventato è stata "mamma" o "papà": conferma e chiamata, maturate in un lungo silenzio. Si trattava già allora della migliore espressione di noi stessi, di come ci percepivamo, avvolti nell'amore dei nostri genitori. Ma prima ci sono voluti mesi di silenzio, un lento e paziente scavo di questa nuova capacità, senza dubbio anche molta sofferenza. Il primo frutto è stata una parola d'amore, parola densa di significato, una vera parola. Molto più tardi, quando ormai sapevamo padroneggiare il linguaggio, siamo stati a nostra volta sorpresi dalle parole: ci oltrepassavano, erano ben lungi dall'essere sempre vere e chiare. Abbiamo imparato per esperienza che l'uomo è capace di usare una parola in disaccordo con la propria verità, e di nascondervisi dietro: ogni uomo può diventare bugiardo. La parola gli serve allora da difesa, lo separa dal prossimo, da se stesso e a volte anche da Dio. Le parole possono essere solo formalismo e convenzione, una maschera dietro la quale restiamo invisibili. Tutto questo può renderci avidi di silenzio, ma di un silenzio che è ancora il silenzio di una certa impotenza: vorrei sbarazzarmi della maschera superficiale con la quale inganno gli altri e me stesso. Per essere veramente fecondo, il silenzio dev'essere qualcosa di più: deve rivelarmi il desiderio che vive in me, nascosto sotto molto rumore e molte parole, deve aiutarmi a raggiungere il mio intimo in cui si trova la fonte del silenzio autentico. Dovremo procedere a lungo fino al cuore della nostra interiorità, là dove ci aspetta il Padre da cui procede ogni paternità (cf. Ef 3,15) e di cui cerchiamo di articolare il nome. Nel nostro intimo più profondo, infatti, c'è un altro legame d'amore, di cui quello che ci univa ai genitori era solo il segno: il legame con il Padre, nel Figlio e per mezzo dello Spirito. E lo Spirito che ci fa balbettare: "Abba, Padre" (Rm 8,15). La stessa invocazione, che è stata un giorno la nostra prima parola umana, viene ora nuovamente balbettata, al di là di un silenzio che è diventato solo pienezza d'amore. Si crea così un andirivieni tra il silenzio che ci imponiamo all'esterno e il silenzio interiore, o interiorità, di cui cominciamo a discernere in noi la profondità insondabile. E il processo non è ancora finito: poco alla volta questa interiorità rimpiazzerà il silenzio esteriore perché questo è chiamato a trasformarsi in interiorità, una realtà che è silenzio che respira la vita, in quanto è vita essa stessa, vita interiore, vita spirituale, vita eterna. Isacco il Siro sostiene che il silenzio è la lingua del mondo futuro. Per favorire questa interiorità è necessario non solo il silenzio esteriore, ma anche quello interiore. Quest'ultimo è molto più importante del primo anche se, purtroppo, è molto meno conosciuto. Il nostro universo interiore non è spontaneamente in accordo con Dio, salvo il suo nucleo più profondo, là dove il nostro essere si riceve dalle mani di Dio. Questo nucleo è ricoperto da una cappa di desideri e di pensieri che impedisce un contatto diretto con Dio che ci abita. Come il nostro corpo, così anche il nostro essere interiore conserva delle tracce del peccato: ecco perché è sempre necessaria una vigilanza interiore per non cedere al primo desiderio che si presenta. Una certa povertà o sobrietà di desideri e di pensieri aprirà in noi un vuoto, creerà una cavità attraverso la quale la vita dello Spirito potrà sgorgare, come sorgente inarrestabile, nel fondo del nostro cuore. La sorgente è forse l'immagine migliore del silenzio, perché questo ha sempre a che fare con lo Spirito, immagine d'altronde già usata da Gesù: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”. Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Gv 7,37b-39). Grazie al silenzio e al raccoglimento, lo Spirito santo scava in noi un vuoto, una cavità che sarà lo spazio che consentirà alla sorgente di scaturire: questa sorgente è lo Spirito stesso. Siamo infatti nati da acqua e da Spirito (cf. Gv 3,5), da un'acqua che sgorga non appena il silenzio le crea lo spazio. Scavare diventa allora inutile perché il silenzio autentico, quello interiore, si sostituisce al silenzio imposto dall'esterno. L'acqua scava da sola il proprio letto, sempre più profondo: basta lasciarla scorrere.


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