sabato 22 ottobre 2022

Pene del Purgatorio: pena del danno. - S. Caterina da Genova. - S. Teresa. - Il Padre Nieremberg.

 


IL DOGMA DEL PURGATORIO 


Pene del Purgatorio: pena del danno. - S. Caterina da Genova. - S. Teresa. - Il Padre Nieremberg. 

  

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    Dopo d'aver udito i Teologi e i Dottori della Chiesa, ascolteremo i Santi che parlano delle pene  dell'altra vita, e che narrano ciò che Dio fece loro vedere con comunicazioni soprannaturali. 

    S. Caterina da Genova, nel suo Trattato del Purgatorio (114), dice che «le anime provano un  tormento tanto forte, che nessuna lingua potrebbe narrarlo, né alcun intelletto concepirne la  menoma idea, se Dio non lo facesse conoscere con una grazia speciale. 

    «Nessuna lingua, aggiunge, saprebbe esprimere, né mente alcuna saprebbe farsi un'idea di ciò che  è il Purgatorio. Quanto alla gravezza della pena, uguaglia l'inferno». 

    S. Teresa, nel Castello dell'anima (115), parlando della pena del danno, in tal modo si esprime:  «La pena del danno, o la privazione della vista di Dio, sorpassa tutto quanto si può immaginare di  più doloroso; perché le anime, spinte verso Dio, come verso il centro di tutte le loro aspirazioni, ne  sono dalla sua giustizia continuamente respinte. Figuriamoci un naufrago, il quale, dopo d'essersi  per lungo tempo dimenato contro le onde, sta per toccare la riva, ma sempre se ne vede allontanato  da una mano irresistibile: quale dolorosa angoscia! Mille volte di più è quella delle anime del  Purgatorio» 

   Il Padre Nieremberg della Compagnia di Gesù, che morì in odore di santità a Madrid nel 1638,  racconta (16) un fatto avvenuto a Treveri e che, dice li P. Rossignoli (17), fu riconosciuto dal  vicario generale di quella diocesi, come quello che presentava tutti i caratteri della verità. Il giorno  di Ognissanti, una giovane di rara pietà vide comparirsi dinanzi una dama di sua conoscenza, morta  poco prima, che, vestita di bianco, con un velo dello stesso colore in testa, teneva in mano un lungo  rosario, segno della tenera divozione che sempre aveva professato per la Regina del Cielo. Essa  implorava la carità della pia sua amica, dicendo che altra volta aveva fatto voto di far celebrare tre  messe all'altare della S. Vergine, e che non avendo potuto compierlo, questo debito accresceva i  suoi dolori. La pregò quindi di compierlo in sua vece. 

    Volentieri la giovane concesse la carità domandatale; e quando le tre messe furono celebrate, di  nuovo le apparve la defunta, testificandole la sua gioia e la sua riconoscenza. Anzi continuò ad  apparirle tutto il mese di novembre, quasi sempre nella chiesa. La sua amica la vedeva in  adorazione dinanzi al SS. Sacramento, compresa di un rispetto di cui niuno potrebbe dare un'idea:  non potendo ancora vedere il suo Dio faccia a faccia, sembrava che volesse compensarsene  contemplandolo almeno sotto le specie eucaristiche. Durante il santo sacrifizio della Messa, al  momento dell'elevazione, il suo aspetto talmente si faceva raggiante, che la si sarebbe detta un  serafino disceso dal Cielo; la giovane ne andava tutta in ammirazione, e confessava di nulla aver  veduto di così bello. 

    Intanto scorrevano i giorni, e, ad onta delle messe e preghiere offerte per lei, quest'anima santa  rimaneva nel suo esilio, lungi dagli eterni tabernacoli. Il 3 dicembre, festa di S. Francesco Saverio la  sua protettrice dovendo comunicarsi nella chiesa dei Padri Gesuiti, quell'anima l'accompagnò alla  sacra mensa e stette poi ai suoi fianchi in tutto il tempo del ringraziamento, come per partecipare  alla felicità della santa comunione e così godere della presenza di Gesù Cristo. 

    L'8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione, ritornò ancora, ma tanto brillante che la sua  amica non poteva rimirarla. Visibilmente si avvicinava al termine della sua espiazione. Finalmente  il 10 dicembre, nel tempo della santa messa apparve in uno splendore ancor più meraviglioso, dopo  d'essersi profondamente inchinata dinanzi l'altare; ringraziò la pia amica per le sue preghiere ed in  compagnia del suo angelo custode salì al Cielo. 

    Alcun tempo prima, quest'anima santa aveva fatto conoscere che non pativa più che la pena del  danno, ossia della privazione di Dio; ma aggiunse che questa privazione le cagionava un supplizio  intollerabile. - Questa rivelazione giustifica la parola di S. Giovanni Grisostomo nella sua 47.a omelia: Supponete, dice egli, tutti i tormenti del mondo: non ne troverete che uguagli quello  d'essere privo della vista benefica di Dio. 

    Infatti, il supplizio del danno, di cui qui si tratta, è, secondo tutti i Santi e tutti i Dottori, assai più  rigoroso della pena del senso. È vero che nella vita presente non sapremmo comprenderlo, perché  troppo poco conosciamo il sommo bene pel quale siamo creati. Ma nell'altra vita, questo bene  ineffabile si presenta alle anime come il pane ad un uomo affamato, come l'acqua viva a colui che  muore di sete, come la salute ad un infermo martoriato da lunghe sofferenze; in esse eccita desideri  infuocati che le tormentano senza potersi soddisfare. 

Padre F. S. SCHOUPPE 

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