domenica 11 dicembre 2022

TEMPO ED ETERNITÀ



L'eternità è senza fine. 


L'eternità non ha limiti. 

In riguardo alla prima condizione, cioè del non aver fine, disse Cesario che l'eternità è un giorno senza sera, perché l'eternità dei Santi non vedrà mai tramontare il sole della sua chiarezza, Vespere carens et unicus dies est tota aeternitas, quoniam nulla sequente nocte, ultra mundana lux excipitur (cap. 3), quella dei peccatori è una notte che non sarà giammai illuminata dal sole. In un buio eterno devono stare i corpi ardendo e le anime degli infelici in tormento. Se al febbricitante cui fugge il sonno, benché si trovi in un letto agiatissimo, un'ora della notte sembra un secolo, e gli par mille anni che venga il mattino, che sarà lo stare senza dormire una notte eterna, per coloro che dormirono in questa vita, quando era ora di stare desti, e che sarà patire tanti strazi in un letto di fuoco, senza speranza mai del mattino? Certamente, anche se non vi fosse nell'inferno altra pena fuor di quella di stare in quell'oscurità senza fine, ciò sarebbe sufficiente per spaventarci. 

Questo stesso carattere dell'eternità, cioè il non aver fine, vien simboleggiato dagli antichi nella figura dell'anello, perché nell'anello non vi ha fine. Con più profondo significato Davide la chiamò corona, la cui rotondità, secondo Dionisio Cartusiano, manca pure del termine, per significare che l'eternità senza fine dev'essere il premio e la corona delle nostre buone opere e la pena per le opere cattive. Dovremmo tremare sentendo questa voce: senza fine, per le opere cattive. Dovremmo giubilare a questa parola senza fine, per le opere buone, se comprendiamo ciò che vuol dire durare senza fine, perché nessuno potrà mai esagerare nel dire ciò che è, e sempre ne dirà di meno. Se un dannato, come riflette San Bonaventura, (De Inferno, cap. 49) di cento in cento anni spargesse una lacrimuccia e si conservassero tutte, finché dopo innumerevoli anni fossero tanto le raccolte da uguagliare i mari, quanti milioni di anni sarebbero necessari per uguagliare, non dico un solo mare, ma un ruscello? Ora, dopo di aver riempito un mare col corso di tanti milioni di secoli, si potrà forse dire: questa è l'eternità, qui è il termine? No, anzi non è che l'inizio. Si torni a mettere insieme un'altra volta le gocce delle lacrime di quel dannato, in uno spazio maggiore di tempo l'una dall'altra, e si riempia un'altra volta l'oceano; dopo tanti anni passati a centinaia di milioni, finirebbe qui l'eternità? No, anzi qui incomincerebbe, come se fosse il primo giorno. Si ripeta la stessa cosa altre dieci, altre cento, altre centinaia di migliaia di volte e si riempiano altri centomila oceani con gli intervalli e le distanze suddette, e maggiori ancora, si giungerebbe per ventura a toccare il fondo dell'eternità? 

No, anzi ci troveremmo sulla superficie, tanto è profonda ed inarrivabile l'eternità. Non v'è numero, né algebra che possa comprendere gli anni dell'eternità, perché, se tutti i cieli fossero tante pergamene, tutte scritte da una parte e dall'altra di figure aritmetiche, non arriverebbero tutte a dire la minima parte dell'eternità. Essa non ha parte, ma è tutta intera; se anche vi fosse oceano che tenesse innumerevoli gocce, o montagna composta di innumerevoli grani di arena, non si potrebbero contare per mezzo di essi gli anni dell'eternità. 

C'erano al tempo di Archimede certi filosofi che dicevano essere infinito il numero dei granelli dell'arena del mare; altri, sebbene dicessero non essere infinito, pensavano però non potersi comprendere in numero alcuno. Per confutare gli uni e gli altri Archimede compose un libro dotto e profondo, dedicandolo al re Cerone di Siracusa, nel quale dimostrava con prove che, quando anche il mondo fosse pieno di arena e fosse molto più grande di quello che è ora, tutta quella moltitudine di arena sarebbe limitata e si potrebbe quindi ridurre ad un numero. Dopo questo filosofo, il P. Clavio contò con quanti granelli di sabbia verrebbe a riempirsi tutto quanto lo spazio che sotto il firmamento è occupato dall'acqua e dall'aria e dal fuoco ed i cieli, cioè lo spazio che si trova sotto le stelle fisse, e supponendo ogni granello di arena così piccolo ed indivisibile che di diecimila di essi si facesse un granello di papavero o di senapa, venne ad assommarne in così breve spazio la quantità, che la strinse tutta in una riga, giacché il numero di essi non consta più che di un'unità e cinquantuno zero. Supposto poi che tanta moltitudine di milioni di granelli si contiene in una somma così breve, si pensi che cosa saranno gli anni infiniti dell'eternità. 

Non dico solo una facciata di un libro, ma se tutto un libro fosse di algebra, e non solo un libro ma quanta carta trovasi nel mondo e quantunque il mondo tutto, fino al firmamento, fosse pieno di carta e il firmamento fosse tutto scritto di numeri: tutto questo non comprenderebbe che una piccolissima parte dell'eternità. La moltiplicabilità è tanta che, aggiungendo ad ogni numero uno zero, lo si moltiplica per dieci, se si aggiunge un altro, per cento e se si aggiunge un terzo, per mille; in questo modo si hanno dei prodotti iperbolici, moltiplicando con tanta velocità. Dalla qual cosa ognuno può considerare che, aggiungendo cento zeri, si ottiene un tale numero quale nessuna immaginazione può concepire. Ed allora che sarebbe se si aggiungessero tanti zeri quanti stanno in una pergamena grande  come il cielo? Tutto questo numero non è tanto grande come la minima parte dell'eternità, perché dopo passati tanti anni, quanti sono indicati da quel numero, l'eternità sarebbe ancora al primo giorno, Tutti quegli anni verrebbero alla fine e altrettanti milioni di volte, mentre l'eternità sempre sarà e continuerà dopo queste migliaia di secoli, come se incominciasse allora. 

Pensi il cristiano quanto sarebbe lunga la vita di centomila anni; eppure non avrebbe passato nulla dell'eternità. Pensi dieci volte centomila anni: non ha fatto nulla. Pensi mille volte mille milioni: ancora non ha fatto in questa cognizione nessun progresso. Pensi altri milioni di volte altrettanto: ancora non ha toccato l'eternità, anzi essa starà sempre nel suo principio. Onde disse ottimamente Lattanzio: Con quali anni si può saziare l'eternità, giacché non ha fine? [Quibus annis satiarì potest aeternitas, cuius nullus est finis? (LACT., De falsa Relig.. lib. 1, cap. 12)] Si troverà sempre nel principio, perché tutto è principio. E veramente in questa maniera si potrebbe definirla con profondo significato: "L'eternità è un perenne principio senza fine". Perché sempre sta nel suo principio e non arriva alla fine; sempre è nuova, sempre è intera e niente la può diminuire. Si tolgano dall'eternità tanti anni quante gocce di acqua ha il mare, quanti atomi ha l'aria, quante foglie hanno le piante, quanti grani di arena ha la terra, quante stelle sono in cielo; essa ancora resterà tutta intera. Le si aggiungano altrettanti anni, non per questo essa diventa maggiore, né più lontana dalla sua fine, perché essa è senza fine e senza principio. Mai, e poi mai essa avrà fine e sempre sarà nel principio. 

Si immagini un monte di arena che dalla terra arrivi al cielo e che un angelo ne levi ogni mille anni solamente un granello, quante migliaia di anni occorrerebbero per vedere quel monte spianato? Si ponga pure il più destro contabile a far i conti: quanti anni passerebbero fino a ridurre alla metà quel monte, diminuendolo l'angelo tanto adagio? Sembra che non sia possibile vederne la fine; eppure la nostra mente s'inganna, poiché quel monte avrà fine e arriverà un tempo che si sarà consumata non solo la metà, ma tutto il monte. Arriverà il tempo in cui sparirà anche l'ultimo granello; l'eternità invece non arriverà mai alla fine e quando sarà consumato tutto quel monte di arena, nessuna diminuzione avrà avuto luogo in essa, ma starà come al principio dopo aver passati milioni di secoli. Dopo di aver consumati milioni di quei monti, le pene dei dannati saranno tanto intere, fiammanti ed atroci come al principio. Questo pare che intendesse significare Abacuc quando disse: Le montagne secolari furono stritolale.. dai passi della loro eternità. [Contriti sunt montes saeculi, incurvati sunt colles ab itineribus aeternitatis eius (Habacuc., 3, 6).] Migliaia di monti e di colli, grandi come tutto il mondo, potranno disfarsi mille volte mentre sopra di essi passa l'eternità dei dannati e questa non finirà mai di passare. Così i miserabili dannati passeranno in mezzo a quel fuoco vorace ed a quei tormenti eterni migliaia e milioni di anni senza avvicinarsi mai alla fine più che il primo giorno. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J. 


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