venerdì 5 settembre 2025

“TU, NON SEI PIU’ SAPIENTE DI DIO”

 


“Se il Signore è lento nel rispondere alla tua domanda, se chiedi e non ottieni facilmente, non rattristarti; tu, infatti, non sei più sapiente di Dio.” 

(s. Isacco il Siro – asceta ortodosso-siriano – VII° sec.)


Il Cristo unisce nella propria Persona la natura divina e la natura umana. In quanto Dio, egli è «colui che si è incarnato per noi». In quanto uomo, è «colui che è morto ed è risorto». Senza la risurrezione dell’uomo e l’abolizione della morte, l’incarnazione di Dio sarebbe una verità incompleta, una teofania senza effetti per l’uomo, perché senza rapporto con l’avventura esistenziale di ciascun essere umano cioè con la sua vita e con la sua morte.…La morte del Cristo è stata una morte volontaria, «egli ha dato se stesso» (Ef 5, 25)… Il Cristo si consegna alla morte rinunciando totalmente a qualsiasi tendenza o a qualsiasi aspirazione ad un’esistenza autonoma, naturale, del creato e ponendo l’evento dell’esistenza e della vita nella relazione con il Padre, nel suo abbandono alla volontà del Padre, nella consegna del proprio «spirito nelle mani» del Padre…Ciò a cui Dio nel suo amore tendeva era di trasformare la necessità della morte, che la Caduta ha imposto alla natura umana universalmente, in una possibilità ugualmente universale di partecipare all’incorruttibilità e all’immortalità. Così, il Cristo accetta di sua spontanea volontà la morte stessa, sì da integrare l’ultima conseguenza della ribellione umana nella libertà dell’amore e nell’obbedienza alla volontà del Padre, cioè nel modo di esistenza dell’increato.

…Nella persona del Cristo, la natura umana ha ottenuto la stessa relazione di vita con Dio che il Figlio ha con il Padre — è il significato della ‘adozione’ sulla quale insiste san Paolo (Ef 1, 5; Gal 4, 5). D’ora in poi, la nostra vita la «salviamo» perdendola volontariamente (Mt 16, 25); «morendo» con il Cristo, «viviamo con lui» eternamente (2Tim 2, 11). È questo il senso dell’ “ascesi” che la Chiesa definisce come un’imitazione della croce del Cristo; questa è la testimonianza dei martiri, veri ‘modelli’ per la Chiesa, i quali danno all’ascesi tutto il suo senso: la Vita non è la sopravvivenza biologica bensì la relazione con Dio, la rinuncia all’esigenza di una vita autonoma, la realizzazione dell’esistenza come comunione di amore. Tutto questo non significa che, per il Cristo, la morte sia stata affrancata da quella sofferenza e da quell’orrore che provoca, in ogni creatura umana, la separazione della propria ipostasi dal modo con il quale la natura attua esistenzialmente questa ipostasi. Il Cristo non muore semplicemente, ma ricapitola nella sua morte tutto il tragico di cui una morte può essere gravata dal peccato dell’uomo.…[Il Cristo] muore sulla croce come un martire — morte di una sofferenza estrema, quando il corpo non potendo più, a causa delle piaghe, sorreggersi ai chiodi perché il petto possa respirare, si abbandona all’asfissia e al soffocamento. «È attraverso tutto ciò, egli ha mostrato il suo amore per noi».

 Chrisos Yannaras, «La fede dell’esperienza ecclesiale»

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