venerdì 17 ottobre 2025

IL PRIMO ANNUNCIO PUBBLICO DELLA SUA MORTE

 


VITA DI CRISTO


La storia di ciascun uomo si riassume in due annotazioni: nato in data tale, morto in data tal'altra. Nella vita d'Uno solo, tra quanti siano vissuti su questa terra, venne prima la morte, nel senso che con essa appunto s'identificava la ragione del Suo avvento. Per dirla con Browning: 

«Credo sia questo il vero segno e sigillo della Divinità: che cresce in letizia, 

Sempre più in letizia, fin che questa sboccia, esplode, in un furore di sofferenza per il genere umano». 

Sebbene Egli fosse venuto per morire, non era venuto per amor di morte. Ecco perché, sempre che si parli di sofferenza, di morte o anche solo di umiliazione, troviamo il contrappunto della gloria, della vittoria o dell'esaltazione. Ogni volta che la Divinità risplende, la Sua natura umana viene umiliata. Questo rapporto intrinseco è una costante di tutta la Sua Vita. Nacque da un'umile vergine in una stalla, ma furono gli angeli del cielo ad annunziare la Sua gloria; si abbassò ad aver per compagni un asino e un bue in una greppia, ma una stella splendente guidò verso di Lui, in quanto Re, i Gentili; nel deserto ebbe fame e fu tentato, ma gli angeli vennero a servirLo; patì sudore di sangue nel Getsemani perché il Padre Celeste Gli porgeva un calice; fu arrestato perché l'Ora Sua era venuta, ma dodici legioni di angeli Lo avrebbero liberato se non avesse voluto offrire la Propria vita per gli uomini; al pari di un peccatore si umiliò a ricevere il battesimo di Giovanni, ma una Voce dal Cielo proclamò la gloria dell'Eterno Figlio che non abbisognava di purificazione; le popolazioni delle città Lo respinsero e Lo buttarono su una rupe, ma il potere divino camminò in mezzo a loro, illeso; fu inchiodato a una Croce, ma il sole nascose il proprio volto, e la terra tremò, in segno di ribellione contro ciò che le creature avevano fatto al suo Creatore; venne deposto in un sepolcro, ma gli angeli ne annunziarono la Risurrezione. 

L'unicità della vita di Cristo sta in questo: che Egli condizionò l'istituzione del Suo regno in terra e in cielo alla Sua sofferenza e morte. La Sua vittoria sul male, in quanto assorbi ciò che di peggio il male potesse fare, ebbe per Lui carattere rappresentativo e delegatorio: citando Isaia, Egli disse ch'era venuto per essere «annoverato tra i malfattori», ma la vittoria da Lui ottenuta sul male in virtù della Croce si sarebbe trasmessa agli uomini, i quali avrebbero riprodotto nelle proprie vite l'esperienza di portar la croce. 

Nella Sua vita la Croce era dappertutto. Egli non poteva parlarne troppo apertamente, perché quando lo fece non ne colsero i l senso neppure i Suoi amici più intimi, vale a dire gli Apostoli. La prima volta ch'Egli annunziò pubblicamente di esser venuto per morire fu quando i Farisei discussero con Lui l'argomento del digiuno. I Farisei si erano lagnati con i discepoli che Nostro Signore mangiasse e bevesse in compagnia di gente di assai dubbia moralità: praticando anch'essi, in quel tempo, il digiuno secondo le norme di Giovanni il Battista, accusavano Nostro Signore e i Suoi discepoli di mangiare mentre i discepoli di Giovanni digiunavano. 

In Israele, le persone pie digiunavano due volte la settimana, e, precisamente, il lunedì e il venerdì, che si supponevano fossero i giorni in cui Mosè era salito al Sinai. A quanto pare, il Nostro Signor Benedetto - e con Lui i Suoi discepoli - non digiunava al modo stesso di Giovanni il Battista, il che, in séguito, offrì ai Farisei l'occasione di accusarLo d'essere un ghiottone e un beone. Alla loro domanda perché mai i Suoi discepoli non digiunassero, il Nostro Signor Benedetto diede una risposta molto più profonda che non appaia a prima vista: 

«Possono i compagni dello sposo digiunare mentre lo sposo è con loro? Finché lo sposo è con loro, non possono digiunare» (Marco 2: 19) 

Egli si autodefiniva «lo Sposo»; e i Farisei, i quali conoscevano bene l'Antico Testamento, avevano dimestichezza con questo concetto, ché tra Dio e Israele i rapporti erano stati sempre quelli dello sposo con la sposa. Oltre sette secoli prima, il profeta Osea aveva udito le parole di Dio a Israele: 

«E ti farò mia sposa per sempre; e ti farò mia sposa in un connubio di giustizia, di giudizio, di pietà e di misericordia. E ti farò mia sposa fedele, e riconoscerai che sono io il Signore» (Osea 2: 19,20) 

Anche la profezia di Isaia, fra le tante altre, parlò del rapporto tra Dio e Israele in termini di sposo e di sposa: 

«Tuo sposo sarà il tuo creatore; il suo nome è: Signore degli eserciti; e il tuo redentore, il Santo d'Israele, sarà chiamato Dio di tutta la terra» (Isaia 54:5) 

I Suoi ascoltatori conobbero quello che Egli diceva, e cioè che Egli era Dio: era il Signore che Israele aveva sposato. Aveva sostituito il Dio dell'Antico Testamento, rivendicando i medesimi diritti e privilegi. Altre volte Nostro Signore parlò di Se stesso come dello Sposo: nella parabola del festino per il figlio del re, e in quella delle dieci vergini nella quale lo Sposo che giunge era Lui. Prima degli altri, anche Giovanni il Battista, non appena veduto Nostro Signore, aveva riconosciuto Cristo sotto l'immagine dello Sposo dell'Antico Testamento, perché aveva detto: 

«Io non sono il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. Chi ha la sposa è lo sposo; invece l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, si consola quando ode la voce dello sposo. Ora questa gioia, che è la mia, è perfetta» (Giov. 3: 28,29) 

Giovanni era soltanto l'amico dello Sposo, ossia il «migliore» agli sponsali, ossia il precursore del Messia, mentre Cristo stesso era lo Sposo, perché, avendo assunto in Betlemme natura umana pur senza essere mai una persona umana, aveva potenzialmente sposato l'umanità intera. In attesa dell'ora in cui il peccato sarebbe stato vinto e lo Sposo avrebbe preso per Sposa l'umanità rigenerata, ossia la Chiesa, Giovanni preparava le nozze. Più tardi, Paolo avrebbe detto che il compito da lui assolto era simile a quello di Giovanni il Battista, solo che si riferiva alla Chiesa di Corinto: 

«Vi ho fidanzati, per darvi, vergine casta, a un uomo solo, a Cristo» (2Corinti 2: 11) 

Il vecchio Israele, ch'era la Sposa, sarebbe diventato il nuovo Israele, cioè la Chiesa, e alla fine dei tempi le gloriose nozze tra lo Sposo e la Sposa si sarebbero celebrate in cielo: 

«Son giunte le nozze dell'agnello, e la sua sposa s'è abbigliata ... Il bisso infatti son le opere giuste dei santi» (Apocalisse 19: 7, 8) 

La risposta alla domanda dei Farisei fu che i discepoli di Nostro Signore non digiunavano perché non erano tristi: anzi, erano lieti, perché Dio camminava sulla terra insieme con loro. E mentre Egli era con loro, non poteva regnar che la letizia. Sennonché, questa non sarebbe potuta durar sempre, in terra, ché Egli era venuto per morire. Qui, ancora una volta, si ha quell'inscindibile connessione di cui si è detto tra la Croce e la gloria. Ed Egli passò a parlar della Sua morte: 

«Ma verranno i giorni nei quali ad essi sarà tolto lo sposo, e allora, in quei giorni, digiuneranno» (Marco 2: 20) 

Lo Sposo sarà crocifisso: muoverà guerra alle forze del male e rivendicherà la Sposa. E quando lo Sposo sarà colpito, essi passeranno dall'allegrezza del convito alla cupa tristezza del digiuno. 

Fu questo il primo annunzio pubblico della Sua morte. Il fine principale della Sua risposta ai Farisei non era di esaltare la pratica del digiuno, bensì di annunziare la rimozione dello Sposo. Ed Egli fece inoltre intendere che la Sua morte non sarebbe stata un tratto del destino, ma una parte essenziale della Sua missione. Nel momento in cui parlava dell'allegrezza di un convito nuziale, il Nostro Signor Benedetto scrutò l'abisso della Sua Croce, alla quale si vide sospeso. L'ombra della Croce non si allontanava mai da Lui, neppure quando Egli si allietava in veste di Sposo. Il Venerdì Santo e la Pasqua erano qui di nuovo congiunti, ma al rovescio: dalla letizia, infatti, Egli guardò alla Croce, in quel primo annunzio che diede di Sé in quanto Sposo. 

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN


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