mercoledì 9 dicembre 2020

L'ultimo Papa canonizzato

 


UN NUOVO “CREDO” IN MUSICA 

Un episodio — meglio delle parole — ci farà comprendere la “perfetta 

letizia” della povertà del Cappellano di Tombolo. 

Una volta Don Giuseppe dovette cedere davanti alle rimostranze che la  sorella, Don Costantini e gli amici Cappellani dei dintorni gli facevano  continuamente per il misero stato della sua veste, tutta rammendi e toppe, la  quale domandava di venire messa in disparte. 

Ma come fare a provvedere la stoffa, se non c'erano danari? 

Don Giuseppe si mise nelle mani di Dio, e, recatosi a Riese da un merciaio di  antica conoscenza, gli espose il desiderio di acquistare del panno, ma “da  poveretti” — diceva — per la veste che aveva necessità di cambiare. 

Il merciaio gli fece vedere diverse qualità di stoffa. Don Giuseppe scelse  quella che gli parve più adatta: tirò sul prezzo quanto poté, e, quando ebbe in  mano il suo involto, guardando in faccia il mercante: 

— Signor Pasquale — disse — senta che bella voce mi è venuta e come ho  imparato bene la musica da quando sono Cappellano di Tombolo. 

Così dicendo, intonò il “Credo”. 

Il merciaio capì alle prime note il significato di quella musica e di quel canto,  e, ridendo, rispose: 

— Mi pareva impossibile che fosse venuto qui, questa volta, con le tasche in  regola! E sorridendo, prese il libro del dare e dell'avere, e, senza esitare, vi  segnò a credito le note musicali del famoso Credo di Don Sarto, perché non  ignorava che in quelle note vi era la voce della gratitudine di tutti i poveri di Tombolo soccorsi dalla insuperabile carità dell'eroico Cappellano, la quale  ogni giorno più s'illuminava di sacrificio, di povertà e di amore 118. 


UN PANEGIRICO E LA NOMINA A PARROCO 

I Tombolani amavano immensamente il loro Cappellano, ma temevano che,  un giorno o l'altro, dovesse venire loro tolto 119. Come supporre che un  sacerdote di tanto merito e di tanta virtù potesse venire lasciato  perpetuamente in un piccolo villaggio ed in un posto così umile? 

Don Costantini guardava al suo Don Giuseppe con amore e con ammirazione  e gli dispiaceva di vederlo quasi dimenticato dai Superiori. 

Lo avrebbe veduto volentieri salire nelle vie della gerarchia per fecondare  con i sudori della sua fronte un campo più vasto e andava pensando al modo  di aprirgli la via, quando nella primavera del 1866 capitava a Tombolo un  Canonico di Treviso: Mons. Luigi Marangoni. 

Don Costantini pensò subito tra sé: 

— E' qui Mons. Marangoni, un Professore di Teologia molto autorevole e  molto stimato dal Vescovo.... egli può fare .... Questo è il momento di tentare  il colpo! 

Si sentì sicuro, e, fatto cadere il discorso sopra il suo Cappellano, dopo  averne encomiate le invidiabili doti di mente e di cuore, terminò con questa  raccomandazione: 

— Caro Canonico, bisogna parlarne in Curia. Un Cappellano così degno  tenerlo confinato qui tra i pioppi, tra i mercanti e i sensali di bestiame, mi  sembra una cosa non giusta. 

— Avete ragione, Don Antonio — soggiunse Mons. Marangoni — ma cosa  volete! ... Ha studiato a Padova e i Superiori non lo conoscono! 

— Una ragione di più, perché se ne parli in Curia! — replicò con calore Don  Costantini. 

— Ma credete voi — domandò il Canonico — che il vostro Cappellano sia  capace di tenere il panegirico di S. Antonio di Padova nella Cattedrale di  Treviso?. . . Si tratta di un panegirico di grande importanza, come voi ben  sapete, non solo per l'intervento in Duomo di tutto il clero della città e del  Capitolo Canonicale, ma più, perché solito ad essere affidato ad oratori di  vaglia. 

— Capacissimo! — ribatté il Parroco. 

— Bene! — concluse il vecchio Monsignore — il vostro Cappellano è impegnato per il Duomo di Treviso. 

*** 

Il panegirico nella Cattedrale di Treviso fu un autentico successo oratorio per  il giovane Cappellano di campagna che, ignaro dell'affettuoso, quanto  delicato tranello del suo Parroco, sognava l'apostolato in mezzo agli umili in  una vita modesta, silenziosa ed oscura, intessuta di lavoro, di privazioni e di  sacrifici. 

Il Vescovo, che da tempo seguiva la meravigliosa attività del “Cappellano  dei Cappellani”, dieci mesi dopo, lo chiamava a concorso per una Parrocchia  della Diocesi. Don Sarto, nemico di ogni umana vanità, avrebbe voluto  rimanere nascosto tra i sensali e i mercanti di Tombolo 120. Ma la volontà  del suo Vescovo era troppo chiara e precisa, troppo insistenti le preghiere e  pressanti i consigli del suo Parroco, il quale, per vincere la resistenza della  sua umiltà, non cessava di ripetergli, celiando: “Se non concorri, concorro io  per te” 121. Obbedì il Beato ed il 21 Maggio 1867, vinto trionfalmente il  concorso, era promosso Parroco di Salzano: una delle migliori e più  importanti Parrocchie della Diocesi nella ubertosa pianura che si stende verso  le quiete lagune di Venezia 122.  

I Tombolani accolsero la notizia della promozione del loro Cappellano con il  pianto sugli occhi, perché sapevano di perdere un Santo 123. 

Giocando sopra una consonante del suo cognome, non dicevano essi, forse,  che il loro Cappellano “non era Don Giuseppe Sarto, ma Don Giuseppe  Santo”? 124 

*** 

Per il Cappellano dei Cappellani incominciava l'ascesa e l'avvenire si  preparava a rispondere, obbediente, al presagio che Don Costantini aveva  fatto poco prima quando al suo amico carissimo Don Tositti, Parroco di  Quinto, scriveva: 

 “Don Giuseppe Sarto è un buono e bravo Cappellano. Attendete alle mie  parole: presto lo vedremo Parroco di una delle più importanti Parrocchie  della Diocesi.... poi con le calze rosse.... e poi.... chissà!” 125 

Quello che allora non osò aggiungere Don Costantini, doveva aggiungerlo a  caratteri d'oro la Provvidenza Divina, la quale, piegando gli eventi ad una  eccelsa meta, nel Cappellano di Tombolo veniva preparando il Papa  “restauratore di ogni cosa in Cristo”.

Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c. 

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