UN NUOVO “CREDO” IN MUSICA
Un episodio — meglio delle parole — ci farà comprendere la “perfetta
letizia” della povertà del Cappellano di Tombolo.
Una volta Don Giuseppe dovette cedere davanti alle rimostranze che la sorella, Don Costantini e gli amici Cappellani dei dintorni gli facevano continuamente per il misero stato della sua veste, tutta rammendi e toppe, la quale domandava di venire messa in disparte.
Ma come fare a provvedere la stoffa, se non c'erano danari?
Don Giuseppe si mise nelle mani di Dio, e, recatosi a Riese da un merciaio di antica conoscenza, gli espose il desiderio di acquistare del panno, ma “da poveretti” — diceva — per la veste che aveva necessità di cambiare.
Il merciaio gli fece vedere diverse qualità di stoffa. Don Giuseppe scelse quella che gli parve più adatta: tirò sul prezzo quanto poté, e, quando ebbe in mano il suo involto, guardando in faccia il mercante:
— Signor Pasquale — disse — senta che bella voce mi è venuta e come ho imparato bene la musica da quando sono Cappellano di Tombolo.
Così dicendo, intonò il “Credo”.
Il merciaio capì alle prime note il significato di quella musica e di quel canto, e, ridendo, rispose:
— Mi pareva impossibile che fosse venuto qui, questa volta, con le tasche in regola! E sorridendo, prese il libro del dare e dell'avere, e, senza esitare, vi segnò a credito le note musicali del famoso Credo di Don Sarto, perché non ignorava che in quelle note vi era la voce della gratitudine di tutti i poveri di Tombolo soccorsi dalla insuperabile carità dell'eroico Cappellano, la quale ogni giorno più s'illuminava di sacrificio, di povertà e di amore 118.
UN PANEGIRICO E LA NOMINA A PARROCO
I Tombolani amavano immensamente il loro Cappellano, ma temevano che, un giorno o l'altro, dovesse venire loro tolto 119. Come supporre che un sacerdote di tanto merito e di tanta virtù potesse venire lasciato perpetuamente in un piccolo villaggio ed in un posto così umile?
Don Costantini guardava al suo Don Giuseppe con amore e con ammirazione e gli dispiaceva di vederlo quasi dimenticato dai Superiori.
Lo avrebbe veduto volentieri salire nelle vie della gerarchia per fecondare con i sudori della sua fronte un campo più vasto e andava pensando al modo di aprirgli la via, quando nella primavera del 1866 capitava a Tombolo un Canonico di Treviso: Mons. Luigi Marangoni.
Don Costantini pensò subito tra sé:
— E' qui Mons. Marangoni, un Professore di Teologia molto autorevole e molto stimato dal Vescovo.... egli può fare .... Questo è il momento di tentare il colpo!
Si sentì sicuro, e, fatto cadere il discorso sopra il suo Cappellano, dopo averne encomiate le invidiabili doti di mente e di cuore, terminò con questa raccomandazione:
— Caro Canonico, bisogna parlarne in Curia. Un Cappellano così degno tenerlo confinato qui tra i pioppi, tra i mercanti e i sensali di bestiame, mi sembra una cosa non giusta.
— Avete ragione, Don Antonio — soggiunse Mons. Marangoni — ma cosa volete! ... Ha studiato a Padova e i Superiori non lo conoscono!
— Una ragione di più, perché se ne parli in Curia! — replicò con calore Don Costantini.
— Ma credete voi — domandò il Canonico — che il vostro Cappellano sia capace di tenere il panegirico di S. Antonio di Padova nella Cattedrale di Treviso?. . . Si tratta di un panegirico di grande importanza, come voi ben sapete, non solo per l'intervento in Duomo di tutto il clero della città e del Capitolo Canonicale, ma più, perché solito ad essere affidato ad oratori di vaglia.
— Capacissimo! — ribatté il Parroco.
— Bene! — concluse il vecchio Monsignore — il vostro Cappellano è impegnato per il Duomo di Treviso.
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Il panegirico nella Cattedrale di Treviso fu un autentico successo oratorio per il giovane Cappellano di campagna che, ignaro dell'affettuoso, quanto delicato tranello del suo Parroco, sognava l'apostolato in mezzo agli umili in una vita modesta, silenziosa ed oscura, intessuta di lavoro, di privazioni e di sacrifici.
Il Vescovo, che da tempo seguiva la meravigliosa attività del “Cappellano dei Cappellani”, dieci mesi dopo, lo chiamava a concorso per una Parrocchia della Diocesi. Don Sarto, nemico di ogni umana vanità, avrebbe voluto rimanere nascosto tra i sensali e i mercanti di Tombolo 120. Ma la volontà del suo Vescovo era troppo chiara e precisa, troppo insistenti le preghiere e pressanti i consigli del suo Parroco, il quale, per vincere la resistenza della sua umiltà, non cessava di ripetergli, celiando: “Se non concorri, concorro io per te” 121. Obbedì il Beato ed il 21 Maggio 1867, vinto trionfalmente il concorso, era promosso Parroco di Salzano: una delle migliori e più importanti Parrocchie della Diocesi nella ubertosa pianura che si stende verso le quiete lagune di Venezia 122.
I Tombolani accolsero la notizia della promozione del loro Cappellano con il pianto sugli occhi, perché sapevano di perdere un Santo 123.
Giocando sopra una consonante del suo cognome, non dicevano essi, forse, che il loro Cappellano “non era Don Giuseppe Sarto, ma Don Giuseppe Santo”? 124
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Per il Cappellano dei Cappellani incominciava l'ascesa e l'avvenire si preparava a rispondere, obbediente, al presagio che Don Costantini aveva fatto poco prima quando al suo amico carissimo Don Tositti, Parroco di Quinto, scriveva:
“Don Giuseppe Sarto è un buono e bravo Cappellano. Attendete alle mie parole: presto lo vedremo Parroco di una delle più importanti Parrocchie della Diocesi.... poi con le calze rosse.... e poi.... chissà!” 125
Quello che allora non osò aggiungere Don Costantini, doveva aggiungerlo a caratteri d'oro la Provvidenza Divina, la quale, piegando gli eventi ad una eccelsa meta, nel Cappellano di Tombolo veniva preparando il Papa “restauratore di ogni cosa in Cristo”.
Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.
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