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domenica 1 settembre 2024

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Quando si studia il disegno divino, soprattutto alla luce delle lettere di S. Paolo, si vede che Dio vuole che noi cerchiamo la nostra salvezza e la nostra santità, soltanto nel sangue di suo Figlio. Non c'è altro Redentore, non c'è «sotto il cielo, altro nome che sia stato dato agli uomini, pel quale essi possano essere salvati» (6): poiché la sua morte è sovranamente efficace (7). La volontà del Padre Eterno è che suo Figlio Gesù, dopo essersi sostituito a tutta la umanità nella dolorosa passione, sia, costituito capo di tutti gli eletti ch'egli ha salvato per mezzo del suo sacrificio e della sua morte.  

   Perciò «il cantico, che l'umanità riscattata fa sentire in cielo, è un cantico di lode e di azione di grazie a Cristo». 

Quando saremo nell'eternità felice, uniti ai cori dei santi, noi contempleremo Nostro Signore e gli diremo: «Voi ci avete riscattati per mezzo del vostro prezioso sangue; grazie a voi, alla vostra passione, al vostro sacrificio sulla croce, alle vostre soddisfazioni, ai vostri meriti, noi siamo salvati dalla morte e dalla dannazione eterna: o Gesù Cristo, Agnello immolato, a voi lode, onore, gloria e benedizione per sempre!» (1).   

 La passione e la morte del nostro divin Salvatore rivelano la loro efficacia soprattutto nei loro frutti.  

   S. Paolo non si stanca di enumerare i beni che ci ottengono i meriti infiniti acquistati dall'Uomo-Dio, nella sua vita e nelle sue sofferenze. Quando ne parla, il grande Apostolo esulta. Per esprimere il suo pensiero egli non trova altre parole che quelle di abbondanze; di sovrabbondanza, di ricchezze, che dichiara inscrutabili (2). La morte di Cristo «ci riscatta» (3), «ci ravvicina a Dio, ci riconcilia con lui» (4), ci «giustifica» (5), «ci porta la santità e la vita nuova di Cristo» (6). Per riassumere, l'Apostolo paragona Cristo ad Adamo, l'opera del quale Egli è venuto a riparare: Adamo ci ha portato il peccato, la condanna, la morte, Cristo, secondo Adamo ci rende la giustizia, la grazia, la vita (7) (8); la redenzione è stata abbondante (9). «Poiché quale è il delitto, tale è il dono (la grazia) ... e se per colpa di un solo uomo, la morte ha regnato quaggiù; a più forte ragione, coloro che ricevono l'abbondanza della grazia re-gneranno nella vita per opera del solo Gesù Cristo; là dove il peccato aveva abbondato, la grazia ha sovrabbondato» (1); perciò «non c'è più condanna per coloro che vogliono vivere uniti a Gesù Cristo» (2).  

   Nostro Signore, offrendo a suo Padre, in nome nostro, una soddisfazione di infinito valore, ha distrutto l'ostacolo che esisteva tra l'uomo e Dio. L'Eterno Padre guarda ora con amore la progenie umana, riscattata dal sangue di suo Figlio; per suo Figlio, egli la colma. di tutte le grazie di cui ha bisogno per unirsi a lui «per vivere per lui» della vita stessa di Dio (3).  

 

   Così, ogni bene soprannaturale che ci è dato, tutta la luce che Dio ci prodiga, tutti i soccorsi di cui avvolge la nostra vita spirituale, ci sono concessi in virtù della vita, della passione, della morte di Cristo. Tutte le grazie di perdono, di giustificazione, di perseveranza, che Dio dà e darà sempre alle anime di tutti i tempi, hanno la loro unica sorgente nella croce.    

   Oh! veramente se «Dio ha amato tanto il mondo fino a dargli suo Figlio» (4); se egli ci ha «strappati alla potenza delle tenebre e trasportati nel regno di Suo Figlio, nel quale noi abbiamo la redenzione e la remissione dei peccati» (5); se, dice ancora S. Paolo. Cristo ha «amato ognuno di noi ed ha dato sé stesso per noi» (6), per testimoniare l'amore che aveva pei suoi fratelli; se egli ha dato sé stesso per riscattarci da ogni iniquità e «acquistare, purificandoci, un popolo che gli appartenga» (7), perché esitare ancora nella nostra fede e nella nostra confidenza in Gesù Cristo? Egli ha espiato tutto, saldato tutto, meritato tutto; ed i suoi meriti sono nostri. Eccoci «divenuti ricchi di ogni bene», in modo che, se vogliamo, «niente ci manca più per  la nostra santità» (1).  

Perché ci sono dunque delle anime pusillanimi, che dicono a sé stesse che la santità non è per esse, che la perfezione non è alla loro portata? che dicono, quando si parla loro di perfezione: «Non è per me, io non saprei arrivare alla santità»? Sapete che cosa le fa parlare così? La loro mancanza di fede nell’efficacia dei meriti di Cristo. Poiché Dio vuole che tutti si santifichino (2). È il precetto del Signore: «Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto» (3). Ma noi dimentichiamo troppo spesso il disegno divino. Dimentichiamo che la nostra è una santità soprannaturale, la cui sorgente è soltanto in Gesù Cristo, nostro cupo e nostra testa.  

Nei facciamo ingiuria ai meriti infiniti ed alle soddisfazioni inesauribili di Cristo. Senza dubbio, da soli, non possiamo far nulla nella vita della grazia e della perfezione; nostro Signore ce lo dice formalmente (4); e S. Agostino commentando questo testo, soggiunge: […] (5). Quanto è vero! si tratti di cose grandi o di cose piccole, noi non possiamo fare niente senza Cristo.  

Ma, morendo per noi. Cristo ci ha reso libero l'accesso verso il Padre (6), e, per suo mezzo, non c'è grazia che non possiamo sperare. Anime di poca fede, perché dubitiamo in Dio, del nostro Dio?  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

lunedì 12 febbraio 2024

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


***

Quando, nella sua entrata in questo mondo, egli ha detto a suo padre: «Eccomi», egli prevedeva tutte le umiliazioni, tutti i dolori della Sua passione e della sua morte, e liberamente, dal fondo del cuore, per amore di suo Padre e di noi, ha accettato tutto: «Sì, io voglio» (2).  

     Cristo serba intatta, durante tutta la sua vita, questa verità. L'ora del suo sacrificio gli è sempre presente, l'aspetta con impazienza, la chiama la «sua ora» (3), come se solamente quella contasse per lui nella sua esistenza. Egli annuncia la sua morte ai suoi discepoli, ne traccia loro in precedenza i particolari, in termini così chiari che essi non si ingannano. Così, quando S. Pietro, commosso al pensiero di veder morire il suo maestro, vuole opporsi alla effettuazione di quelle sofferenze, Gesù la respinge: «Tu non hai il senso delle cose di Dio» (4). Ma egli conosce suo Padre, per amore verso il padre e per carità verso di noi, egli tende alla passione con tutto l'ardore della sua anima santa, ma anche con una sovrana libertà pienamente padrona di sé stessa. Benché questa volontà di amore sia così viva che è in lui come una fornace: «Io brucio di essere battezzato» (5) con un battesimo di sangue, - ciononostante nessuno avrà il potere di togliergli la vita; egli la lascerà spontaneamente (6). Guardate come fa risplendere la verità di queste parole. Un giorno, gli abitanti di Nazareth vogliono precipitarlo dall’alto di una roccia: Gesù sparisce di mezzo a loro con ammirabile tranquillità (7).  

Un'altra volta, a Gerusalemme, i Giudei vogliono lapidarlo, perché afferma la sua divinità, egli si nasconde ed esce dal tempio (1). La sua ora non è ancora venuta.  

   Ma quando l'ora è arrivata, egli si dà. - Osservatelo nell’orto degli Olivi, alla vigilia della sua. morte. Le truppe armate si avanzano verso di lui per prenderlo e farlo condannare. «Chi cercate?» domanda loro. Alla loro risposta: «Gesù di Nazareth», egli dice loro semplicemente: «Sono io». Questa sola parola caduta dalle labbra basta per gettare a terra i suoi nemici, Egli avrebbe potuto tenerli a terra, avrebbe potuto, come diceva egli stesso, «domandare a suo Padre di mandargli delle legioni di angeli per liberarlo» (2). Egli ricorda precisamente in quel momento, che ogni giorno l'hanno veduto nel tempio e che non hanno potuto mettere mano sulla sua persona: l'ora non era ancora venuta, perciò egli non permetteva loro di impossessarsi di lui; adesso è suonata l'ora nella quale egli deve, per la salvezza del mondo darsi ai suoi carnefici, che agiscono soltanto come strumenti della potenza infernale (3), Le soldatesche lo conducono di tribunale in tribunale; egli lascia fare. Ciononostante davanti al Sinedrio, tribunale supremo dei Giudei, egli proclama i suoi diritti di Figlio di Dio, poi si abbandona al furore dei suoi nemici fino al momento in cui consuma il suo sacrificio sulla croce.  

   Egli si è dato alla morte proprio perché l'ha voluto: (4), In questa consegna volontaria, piena d'amore di tutto se stesso, sulla croce; per mezzo di questa morte dell’Uomo-Dio; per mezzo di questa immolazione di una vittima senza macchia, che si offre per amore e con una sovrana libertà - noi diamo una infinita soddisfazione alla giustizia divina (5); Cristo acquista per noi un merito inesauribile, mentre la vita eterna è resa all'umanità (1): «Poiché ha consumato l'opera della sua mediazione, Cristo è divenuto per tutti coloro che lo seguono la causa meritoria della salvezza eterna». Così S. Paolo aveva il diritto di dire: «In virtù di questa volontà, noi siamo santificati per mezzo dell'oblazione che Gesù Cristo ha fatta, una volta per tutte, del suo corpo (2).  

Poiché «per noi tutti, per ognuno di noi Gesù Cristo è morto» (3). «Cristo è diventato propiziazione, non soltanto pei nostri peccati, ma pei peccati del mondo intero» (4); in modo che egli è «l'unico mediatore posto tra gli uomini e Dio» (5). 

***

Beato Dom COLUMBA MARMION

giovedì 6 aprile 2023

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


CRISTO ARTEFICE DELLA NOSTRA REDENZIONE E TESORO INFINITO DELLE NOSTRE GRAZIE  


Che cosa è infatti il merito?  

   È un diritto alla ricompensa (1). Quando diciamo che le opere di Cristo sono meritorie per noi, diciamo che, per mezzo loro, Cristo ci ottiene il diritto alla vita eterna e a tutte le grazie che ci conducono o vi si riallacciano. È appunto ciò che ci dice S. Paolo: «Noi siamo giustificati, vale a dire resi giusti agli occhi di Dio, non per mezzo delle nostre opere, ma gratuitamente, per un dono gratuito di Dio, vale a dire per la grazia che ci viene per mezzo della Redenzione operata da Gesù Cristo» (2). L'Apostolo ci fa dunque capire che la passione di Gesù, che termina e corona tutte le opere della sua vita terrestre, è la sorgente, da cui deriva per noi la vita eterna: Cristo è causa meritoria della nostra santificazione.  

   E qual è la ragione profonda di questo merito? - Che ogni merito è personale. Quando siamo in istato di grazia, possiamo meritare, per noi stessi, un aumento di questa grazia; ma questo merito si restringe alla nostra persona. Per le altre, non possiamo meritare la grazia; tutt'al più possiamo implorarla, sollecitarla da Dio. Come dunque Gesù Cristo può meritare per noi? Qual è la ragione fondamentale per la quale, non soltanto Cristo può meritare per sé stesso, per esempio, la glorificazione dalla sua umanità, ma anche meritare la vita eterna, per gli altri, per noi, per tutto il genere umano?  

   Il merito, frutto e proprietà della grazia ha, per così dire, la stessa grandezza della grazia sulla quale si fonda. Gesù Cristo è pieno della grazia santificante, in virtù della quale può personalmente meritare per sé stesso. Ma questa grazia in Gesù non si ferma a lui solo, non ha soltanto un carattere personale, es a gode di un privilegio di universalità. Cristo è stato predestinato a diventare la nostra testa, il nostro capo, il nostro rappresentante, L'Eterno Padre vuol fare di lui il Primoqenitus omnis creaturae, «il primo nato di ogni creatura». In seguito alla predestinazione eterna ad essere il capo di tutti gli eletti, la grazia di Cristo, che per l'Incarnazione appartiene alla nostra progenie, riveste un carattere di eminenza e di universalità, il cui fine non è più di santificare l'anima umana di Gesù, ma di far di lui, nel dominio della vita eterna, il capo nell'umanità (1). Da qui deriva un carattere sociale, che si ritrova in tutti gli atti di Gesù quando li consideriamo in rapporto al genere umano. Tutto ciò che Cristo fa, lo compie non soltanto per noi, ma in nome nostro, Perciò San Paolo ci dice che, «se la disubbidienza di un solo uomo, Adamo, ci ha trascinati tutti nel peccato e nella morte, è bastata l'ubbidienza - e che ubbidienza! - di un altro uomo, ma di un uomo che è nel tempo stesso Dio, per rimetterci tutti nell’ordine della grazia» (2). Gesù Cristo, nella sua qualità di testa, di capo, ha dunque meritato per tutti noi come, sostituendosi a. noi, ha soddisfatto per noi. E siccome, colui che merita è un Dio, i suoi meriti hanno un valore infinito ed una efficacia inesauribile (3).  

Ciò che dà alle soddisfazioni ed ai meriti di Cristo ogni bellezza ed ogni pienezza, è l'aver egli accettato le sue sofferenze volontariamente e per amore. La libertà è un elemento essenziale del merito, poiché l'atto è degno di lode  soltanto se colui che lo compie è responsabile: Ubi non est libertas, nec meritum, dice S. Bernardo (1).  

    Questa libertà avvolge tutta la missione redentrice di Gesù. Uomo-Dio, Cristo ha accettato sovranamente di soffrire nella propria carne passibile, suscettibile di dolore.  

Beato Dom COLUMBA MARMION


sabato 10 dicembre 2022

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


«Quando, dice S. Paolo, venne la pienezza dei tempi fissati dai decreti celesti, Dio mandò suo figlio, formato da una donna, per liberarci dal peccato e conferirci zione dei figli» (1). Riscattare l'umanità dal peccato e rendere, per mezzo della grazia, l'adozione divina, questa è, infatti, la missione fondamentale del Verbo Incarnato, l'opera che Cristo viene a compiere quaggiù.  

   Il suo nome, il nome di Gesù, che Dio stesso gli impose, non è senza valore né senza significato (2). Questo nome significa la sua missione speciale di salvezza e segna la sua opera: la Redenzione del mondo. «Voi gli darete il nome di Gesù, dice l'angelo mandato a S. Giuseppe, poiché egli salverà il popolo dai suoi peccati» (3).  

   Ed ecco che viene. - Contempliamolo in questo momento solenne, unico nella storia dell'umanità. Che dice? Che fa? (4). «Entrando nel mondo, Cristo dice a suo Padre: Voi non avete voluto né sacrifici né oblazioni, ma mi avete formato un corpo; voi non avete gradito, a parte degli uomini, né olocausti, né sacrifici pel peccato; allora ho detto: eccomi!». Queste parole, che abbiamo ricopiate da S. Paolo, ci rivelano il primo movimento del Cuore di Cristo al momento della sua Incarnazione. E, dopo aver fatto questo atto iniziale di oblazione totale, Cristo «si slancia come un gigante, a percorrere la via che si apre davanti a lui» (5).  

   Gigante, perché è un Uomo-Dio; e tutte le sue azioni, tutte le sue opere, sono di un Dio, e, per conseguenza, degne di Dio, al quale ne fa omaggio.  

   Secondo il linguaggio della filosofia, «gli atti partengono alla persona”.   

   Le diverse azioni, che compiamo, hanno la loro sorgente nella natura umana e nelle facoltà che derivano da questa natura; ma, in ultima analisi, noi le attribuiamo alla persona che possiede questa natura. Così io penso per mezzo dell'intelligenza, vedo per mezzo dell’occhio, sento per mezzo dell’udito: sentire, vedere e pensare sono azioni della natura umana; ma noi le riferiamo infine alla persona; sono io, lo stesso io, che sento, vedo e penso. Benché ognuna di queste azioni abbia per sorgente immediata una facoltà differente, esse si riferiscono alla stessa ed unica persona. Ora in Gesù Cristo, la natura umana, perfetta ed integrale in se stessa, è unità alla persona del Verbo, del Figlio di Dio. Molte azioni in Cristo non possono essere compiute che nella sua natura umana: se egli lavora, cammina, dorme, mangia, insegna, soffre, muore, è nella sua umanità, è per mezzo della sua natura umana; ma tutte le sue azioni appartengono alla persona divina, alla quale è unita questa umanità. È una persona divina che agisce ed opera per mezzo della natura umana.  

    Ne risulta che tutte le azioni compiute dall'umanità di Gesù Cristo, per quanto infime, ordinarie, semplici, limitate esse siano alla loro realtà fisica e nella loro durata terrestre, sono attribuite alla persona divina alla quale è unita questa umanità; sono le azioni di un Dio (1). Per questa ragione esse posseggono una bellezza ed uno splendore trascendentale, esse acquistano, dal punto di vista morale, un prezzo inestimabile, un valore infinito, una efficacia inesauribile.  

Il valore morale delle azioni umane di Cristo si misura dalla dignità infinita della persona divina, nella quale sussiste ed agisce la natura umana.  

    Se ciò è vero delle minime azioni di Cristo, quanto è più vero ancora di quelle che costituiscono propriamente la sua missione quaggiù o vi si riallacciano, e cioè: sostituirsi a noi come una vittima senza macchia per pagare il nostro debito e rendere a noi la vita divina, per mezzo della sua espiazione e delle sue soddisfazioni.  

     Poiché questa è la missione che deve compiere, la carriera che deve percorrere. «Dio ha posto su di lui», uomo come noi della progenie di Adamo, ma giusto, innocente e senza peccato, «l'iniquità di tutti noi» (1). Cristo ha meritato di renderci solidali della sua giustizia e della sua santità, poiché egli è diventato, per così dire, solidale della nostra natura e del nostro peccato. Dio, secondo l'espressione così energica di S. Paolo, «mandando per il peccato suo Figlio in una carne simile a quella del peccato, ha condannato il peccato della carne» (2); e, con una energia più stupefacente ancora: «Dio ha fatto peccato per noi Cristo, che non ha affatto conosciuto il peccato». (3). Che energia c'è in questa espressione: peccatum fecit! L'apostolo non dice; peccator «peccatore»: ma peccatum «peccato».  

   Cristo, da parte sua, ha accettato di prendere su di sé tutti i nostri peccati, al punto di diventare quasi, sulla croce, il peccato universale, il peccato vivente. Egli si è messo volontariamente al nostro posto, e per questa ragione sarà colpito a morte: «Il vostro riscatto sarà costituito dal mio sangue» (4). L'umanità sarà riscattata, «non da cose mortali, dall'argento e dall'oro, ma da un sangue prezioso, quello dell'Agnello senza difetto e senza macchia, il sangue di Cristo, che è stato designato fino da prima della creazione del mondo» ad un grande prezzo» (1). Gesù Cristo ha versato per noi fino all’ultima goccia del suo sangue. Eppure anche una sola goccia di questo sangue divino sarebbe bastata per riscattarci. La minima sofferenza, la più leggera umiliazione di Cristo, anche un solo desiderio uscito dal suo cuore, sarebbero bastati ad espiare tutti i peccati, tutti i delitti che potrebbero essere commessi; poiché ognuna delle azioni di Cristo, essendo l'azione di una persona divina, costituisce una soddisfazione di un pregio infinito. Ma Dio, «per far risplendere sempre più agli occhi del mondo intero l'immenso amore che gli porta suo Figlio» (2), e l'«ineffabile carità di questo stesso Figlio verso di noi» (3), per farci più vivamente toccare col dito quanto infinita è la santità divina e profonda la iniquità del peccato, per altre ragioni ancora che non possiamo scoprire (4), l'Eterno Padre ha reclamato, come espiazione dei delitti dell'umanità, tutte le sofferenze, la passione e la morte del suo divin Figlio. Infatti la soddisfazione è stata completa solamente quando, dall'alto della croce, Gesù con la sua voce spirante, ha pronunziato il Comsummatum est: «tutto è consumato». Allora soltanto la sua missione personale di Redenzione quaggiù è stata adempiuta e la sua opera di salvezza compiuta. 

Per mezzo di queste soddisfazioni, come del resto per mezzo di tutti gli atti della sua vita, Gesù Cristo ha meritato  per noi ogni grazia di perdono, di salvezza, di santificazione.  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

lunedì 5 settembre 2022

CRISTO ARTEFICE DELLA NOSTRA REDENZIONE E TESORO INFINITO DELLE NOSTRE GRAZIE

 


CRISTO, VITA DELL'ANIMA 

Che bisogna intendere quando diciamo che Cristo è la causa soddisfattoria e meritoria della nostra salvezza e della nostra santificazione?  

   Come sapete, Dio, creando il primo uomo, l'aveva stabilito nella giustizia e nella grazia; ne aveva fatto il proprio figlio ed il proprio erede. Ma il disegno divino è stato attraversato dal peccato; Adamo, costituito capo della sua progenie, ha prevaricato. - Egli ha perduto immediatamente, per sé e per i suoi discendenti, ogni diritto alla vita e all'eredità divina. Tutti i figli di Adamo, divenuti prigionieri del demonio (1), divideranno la sua disgrazia. 

Perciò essi nascono, dice S. Paolo, «nemici di Dio» (2), «oggetti di collera» (3), e, per questa ragione, esclusi dalla beatitudine eterna (4).  

   Fra i figli di Adamo, non ci sarà nessuno, che riscatterà i propri fratelli e toglierà la maledizione che pesa su di loro? Nessuno, poiché tutti hanno peccato in Adamo; né per sé, né per gli altri, nessuno potrà dare una adeguata soddisfazione.  

   Il peccato è un'ingiuria fatta a Dio, ingiuria che deve essere espiata; l'uomo, poiché è una semplice creatura, è incapace di saldare degnamente il debito contratto verso la Maestà divina per una colpa, la cui malizia è infinita.  

   Una soddisfazione, per essere adeguata, deve essere offerta da una persona di una dignità equivalente a quella dell'offeso. La gravità di una ingiuria si misura dalla dignità della persona offesa; la medesima ingiuria fatta ad un principe è di una maggiore gravità, per via del grado dell'offeso, di quello che sarebbe se fosse fatta ad un contadino (1). Per la soddisfazione, bisogna rovesciare il principio.  

La grandezza di una riparazione si valuta, non dalla dignità di colui che la riceve, ma di colui che la dà. Lo stesso re riceve l'omaggio di un contadino e di un principe: è evidente però che l'omaggio di un principe prevale su quello di un contadino.  

   Tra noi e Dio c'è l'infinito. - L'umanità dovrà dunque disperare? l'oltraggio fatto a Dio non sarà mai riparato? L'uomo non rientrerà mai in possesso dei beni eterni? Dio solo poteva risponderci, Dio solo poteva dare una soluzione a questo angoscioso problema.  

*** 

   Voi sapete quale è stata la risposta di Dio, la soluzione piena, nello stesso tempo, di misericordia e di giustizia che egli ha portata. Nei suoi inscrutabili disegni, egli ha decretato che il riscatto dell'umanità avverrebbe soltanto per mezzo di una soddisfazione uguale ai diritti della sua infinita giustizia, e che questa soddisfazione sarebbe data dal sacrificio sanguinoso di una vittima che si sostituirebbe liberamente, volontariamente all’umanità peccatrice. Quale sarà questa vittima? Quale sarà questo salvatore? (2) Dio l'ha promesso all’indomani della colpa, ma migliaia d'anni passano prima che egli venga; migliaia d'anni durante i quali l'umanità leva le braccia dal fondo di un abisso senza nome, dal quale è impotente a sollevarsi; migliaia d'anni durante i quali accumula sacrificio su sacrificio, olocausto su olocausto per liberarsi della sua servitù.  

Ma «quando viene la pienezza dei tempi», Dio manda il Salvatore promesso, il Salvatore che deve riscattare il creato, distruggere il peccato e riconciliare gli uomini con Dio. Chi è il Figlio di Dio fatto uomo.  

Essendo uomo, disceso dalla progenie di Adamo, egli potrà sostituirsi volontariamente a tutti i fratelli e rendersi per così dire, solidale del loro peccato. Accettando liberamente di soffrire e di espiare nella sua carne passibile, egli sarà capace di meritare. Essendo Dio il suo merito avrà un valore infinito, la soddisfazione sarà adeguata, la riparazione sarà completa. Non c'è, dice S. Tommaso, soddisfazione pienamente sufficiente all’infuori di una operazione pienamente infinita nel suo valore, vale a dire di una operazione che un Dio soltanto poteva compiere (1). Come l'ordine della giustizia domanda che la pena risponda alla colpa, sembra domandare anche, dice S. Tommaso, che colui che ha peccato dia soddisfazione per il peccato, ed ecco perché si è dovuto prendere, nella natura corrotta della colpa, ciò che doveva essere offerto in soddisfazione per tutta questa natura (2).  

Questa è la soluzione che apporta Dio stesso. Egli avrebbe potuto apportarne altre; ma alla sua saggezza, alla sua Potenza, alla sua bontà, è piaciuto di darsi questa soluzione.  

Dobbiamo quindi contemplarla e lodarla, poiché è veramente ammirevole. «L'umanità di Cristo, dice S. Gregorio, gli permetteva di morire e di soddisfare per gli uomini; la sua divinità gli dava il potere di renderci la grazia che santifica» (3), La morte era uscita da una natura umana insozzata dal peccato; da una natura umana unita ad un Dio, sarebbe scaturita la sorgente della grazia e della vita (4). 

Beato Dom COLUMBA MARMION 


giovedì 5 maggio 2022

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Quando si scorre il Vangelo di San Giovanni, si vede l'insistenza con la quale Cristo ripete: «La mia dottrina non è mia» (4); «il Figlio non può far niente da solo» (5), «io non posso far niente da me» (6); «io non faccio niente da solo» (7).  

   Vuol forse dire questo che Cristo non aveva né intelligenza, né volontà, né attività umane? Niente affatto, sarebbe una eresia il pensarlo. Ma essendo l'umanità di Gesù unita ipostaticamente (8) al Verbo, non c'era in Cristo la persona Umana, alla quale le sue facoltà potessero attaccarsi.  

In lui c'era una sola persona, quella del Verbo che fa tutto in unione col Padre. Tutto era nella più assoluta dipendenza della divinità. Tutta la sua attività emanava dalla sola persona che era in lui, quella del Verbo; questa attività, anche quando era immediatamente effettuata dalla natura umana, era divisa nella sua radice, nel suo principio; e perciò l'Eterno Padre ne riceveva una gloria infinita e vi trovava tanta compiacenza.  

   Possiamo imitare tutto questo? Sì poiché, per la grazia santificante, noi partecipiamo alla filiazione divina di Gesù; per mezzo suo la nostra attività è aumentata e come divinizzata nel suo principio. Naturalmente nell'ordine dell'essere, noi serbiamo sempre la nostra personalità; restiamo sempre, per natura, creature umane; la nostra unione con Dio per mezzo della grazia, per quanto stretta ed intima possa essere, resta una unione accidentale, non sostanziale; ma essa è tanto più grande quanto più l'autonomia della nostra personalità nell’ordine dell’attività si eclissa davanti alla divinità.  

   Se vogliamo che non s'interponga niente fra noi e Dio, che niente impedisca la nostra unione con lui, che le benedizioni divine affluiscano nell’anima nostra, dobbiamo non solo rinunciare al peccato e alle imperfezioni, ma anche spogliarci dalla nostra personalità in quanto costituisce un ostacolo all'unione perfetta con Dio. Essa vi mette un ostacolo allorché il nostro giudizio, la nostra volontà, il nostro amor proprio, le nostre suscettibilità ci fanno pensare ed agire in modo diverso dai desideri del nostro Padre celeste.  

Credetemi, le nostre colpe di debolezza, le nostre miserie e le nostre servitù umane impediscono infinitamente meno la nostra unione con Dio di quel che non faccia questa attitudine abituale dell’anima che vuole, per così dire, serbare in tutto la proprietà della sua attività. Noi non dobbiamo dunque annientare la nostra personalità, - ciò che non è né possibile, né voluto da Dio - ma ricondurla, se posso parlare così, ad una intera capitolazione davanti a Dio.  

   Dobbiamo deporla ai piedi di Dio e domandargli di essere per mezzo del suo spirito, come per l'umanità di Cristo, il primo movente di tutti i nostri pensieri, di tutti i nostri sentimenti, di tutte le nostre parole, di tutte le nostre azioni, di tutta la nostra vita (1).  

   Quando un'anima arriva a spogliarsi di ogni peccato, di ogni attaccamento a se stessa e alla creatura; a distruggere in sé, per quanto è possibile, tutti i movimenti puramente naturali ed umani, per darsi completamente all'azione divina; a vivere in una dipendenza assoluta da Dio, dalle sue volontà, dai suoi comandamenti, dallo spirito del Vangelo; a riferire tutto all’Eterno Padre, essa può dire (2); «Dio mi dirige: tutto in me viene da lui; io sono nelle sue mani». Quest'anima è arrivata ad una imitazione così perfetta di Cristo, che la sua vita è la riproduzione stessa di quella di Cristo (3): Dio la regge, la dirige; tutto in lei si muove sotto l'impulso divino: questo è santità, è imitazione la più perfetta di Gesù Cristo nel suo essere, nel suo stato di Figlio di Dio, nella sua disposizione primaria di appartenere completamente a suo Padre, nella sua persona e nella sua attività.  

   Non pensiamo che sia una presunzione da parte nostra di voler realizzare un'idea tanto sublime. No, è il desiderio stesso di Dio; è il suo pensiero eterno su noi (4). Più siamo simili a suo Figlio, più il Padre ci ama perché siamo uniti a lui (5). Quando vede un 'anima pienamente trasformata nel figlio suo, egli la circonda della sua speciale protezione, delle cure più attente della sua provvidenza; la colma delle  sue benedizioni, non mette limiti alla comunicazione delle sue grazie. Questo è il segreto delle larghezze di Dio.  

   Ringraziando il nostro Padre celeste di averci dato suo Figlio, Gesù Cristo, come modello, di modo che noi dobbiamo semplicemente guardarlo per sapere ciò che dobbiamo fare. Cristo ce l'ha detto: «Io vi ho dato l'esempio affinché voi operiate come avete visto fare (1). Egli ci ha lasciato il suo esempio affinché camminiamo sulle sue tracce (2). Egli è la sola via che bisogna seguire. Ego sum via (3); colui che la segue non cammina nelle tenebre, ma perviene alla luce della vita. Ecco il modello che ci rivela la fede, modello trascendente e pertanto accessibile (4).  

L'anima di Nostro Signore contemplava ogni momento l'essenza divina. Con lo stesso sguardo essa vedeva l'ideale concepito da Dio per l'umanità e ognuna delle sue azioni era l'espressione di questo ideale. Alziamo dunque gli occhi e cerchiamo di conoscere sempre più Gesù Cristo, di studiare la sua vita nel Vangelo, di seguire i suoi misteri nell’ordine ammirabile stabilito dalla Chiesa stessa nel suo ciclo liturgico, dall'Avvento alla Pentecoste, apriamo gli occhi della nostra fede e viviamo in modo da riprodurre in noi i lineamenti di questo esemplare, da confermare la nostra vita alle sue parole ed ai suoi atti. Questo modello è divino e visibile; esso ci mostra Dio agente in mezzo a noi e santificante, nella sua umanità, anche le più ordinarie nostre azioni, anche i più intimi nostri sentimenti, anche le nostre più profonde sofferenze.  

   Contempliamo questo modello, ma con fede. - Siamo talvolta tentati d'invidiare i contemporanei di Gesù, che hanno potuto vederlo, seguirlo, sentirlo. Ma la fede ce lo  rende presente, di una presenza non meno efficace per le anime nostre. Cristo stesso ce l'ha detto: «Beati coloro che credono in me senza avermi veduto» (1). Egli ci fa capire così che per noi non è meno vantaggioso lo stare in contatto con Gesù per mezzo della fede che l'averlo visto in carne. Colui che vediamo vivere ed agire quando leggiamo il Vangelo, e quando celebriamo i suoi misteri, è il vero Figlio di Dio.  

Abbiamo detto tutto, quando abbiamo detto di Cristo:  

«Voi siete il Figlio del Dio vivente» poiché questo è l'aspetto fondamentale del divino modello delle anime nostre. Contempliamolo, non in una contemplazione astratta, esteriore, teorica, fredda; ma in una contemplazione piena d'amore, attenta a cogliere, per riprodurre nella nostra esistenza, le minime linee di questo modello, e. soprattutto, quella disposizione fondamentale e primordiale di Cristo, di vivere per suo Padre. Tutta la sua vita può essere ritratta da queste parole; tutte le virtù di Cristo sono l'effetto di questa orientazione della sua anima verso il Padre, e questa orientazione stessa e il frutto di quell'unione ineffabile per la quale, in Gesù, l’umanità intera è trascinata in quello slancio divino che porta il Figlio verso suo Padre.  

   Questo costituisce propriamente il cristiano: partecipare prima di tutto, per mezzo della grazia santificante, alla filiazione divina di Cristo: è l'imitazione di Gesù nel suo stato di Figlio di Dio. Riprodurre poi, per mezzo delle nostre virtù, le linee di questo prototipo unico di perfezione: è l'imitazione di Gesù nelle sue opere. Tutto ciò indica S. Paolo quando dice che dobbiamo «formare Cristo in noi» (2) «rivestirci di Cristo» (3), «portare in noi la rassomiglianza di Cristo» (4).  

   «Il cristiano è un altro Cristo». Questa è la definizione di cristiano data, se non  in veri termini, almeno in espressione equivalente, da tutta la tradizione. «Altro Cristo» poiché il cristiano è, prima di tutto, per la grazia, del figlio Padre celeste e fratello di Cristo quaggiù, per essere suo coerede lassù. «Altro Cristo», perché tutta la sua attività, - Pensieri, desideri, azioni, - affonda la sua radice in questa grazia, per esercitarsi secondo i pensieri, i desideri, i sentimenti di Gesù ed in conformità con le azioni di Gesù (1).  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

martedì 30 novembre 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Nostro Signore possedeva ancora tutte le altre virtù,  

- la dolcezza e l'umiltà: «Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore» (3). Egli, il Signore, davanti al quale ogni ginocchio si piega in cielo e sulla terra, si prosterna davanti ai suoi discepoli per lavare loro i piedi. - L'obbedienza: si è sottomesso a sua madre e a S. Giuseppe. Una parola del vangelo riassume la sua vita nascosta a Nazareth (4). Ubbidisce alla legge mosaica; partecipa assiduamente alle riunioni del tempio; si sottomette ai poteri legittimamente stabiliti, dichiarando che bisogna «rendere a Cesare ciò che è di Cesare» (5); paga egli stesso il tributo. - La pazienza: quante testimonianze ce ne ha date, soprattutto durante la sua passione!  

- La sua misericordia infinita verso i peccatori: egli accoglie con bontà la samaritana, Maria Maddalena; buon Pastore, corre alla ricerca della pecora smarrita e la riconduce all'ovile. - Egli è pieno di uno zelo ardente per la gloria e gli interessi di suo Padre; questo zelo gli fa cacciare i venditori dal tempio e bollare con anatemi l'ipocrisia dei farisei. - La sua preghiera è continua (6). Chi potrà dire che cosa fosse questo colloquio del Verbo Incarnato da solo a solo con suo Padre, e lo spirito di religione e di adorazione che lo animava?  

In Lui dunque tutte le virtù si schiudono a loro tempo, per la gloria di suo Padre e per la nostra salvezza.  

Sapete che gli antichi patriarchi, prima di lasciare la terra, davano al loro figlio maggiore una benedizione solenne, che era come il pegno delle prosperità celesti pei loro discendenti. Leggiamo nel libro della Genesi, che il patriarca Isacco, prima di dar questa solenne benedizione al figlio Giacobbe, lo abbracciò e, respirando il profumo dei suoi vestiti, esclamò in uno slancio di gioia: «Ecco che il profumo, che sparge mio figlio, è come l'odore di un campo fecondo che il Signore ha benedetto». E subito, pieno di entusiasmo, chiamò sul capo di suo Figlio le più opulente benedizioni dall'alto: «Che Dio ti dia la rugiada del cielo! ti arricchisca della fecondità della terra! ti dia abbondanza di frumento e di vino! che i popoli ti servano! che le nazioni si prostrino davanti a te! Sii il padrone dei tuoi fratelli... Maledetto sia chi ti maledirà e benedetto sia chi ti benedirà!» (1).   

   Questa scena è immagine del rapimento che prova il Padre Eterno, contemplando l'umanità di suo Figlio Gesù e delle benedizioni spirituali, che sparge su coloro che gli sono uniti. Simile ad un campo smaltato di fiori, l'anima di Cristo è ornata di tutte le virtù, che abbelliscono la natura umana. Dio è infinito; come tale ha delle esigenze infinite; e pertanto, la minima delle azioni di Gesù era l'oggetto delle compiacenze di suo Padre. Quando Gesù Cristo lavorava nell'umile bottega di Nazareth, quando parlava con gli uomini o mangiava coi suoi discepoli, - tutte cose molto semplici in apparenza, - suo Padre lo guardava e diceva: «Ecco il mio beneamato Figliuolo, nel quale ho messo tutte le mie compiacenze» (2). E soggiungeva: «Ascoltatelo», vale a dire, contemplatelo per imitarlo: egli è il vostro modello. Seguitelo: egli è la via e nessuno viene a me senza passare per lui: nessuno ha parte alle mie benedizioni se non è in lui (1), poiché gliene ho dato la pienezza, così come gli ho destinato in eredità le nazioni della terra (2). Perché il Padre Celeste poneva questa compiacenza infinita in Gesù? Perché Cristo compiva tutto perfettamente ed i suoi atti erano l'espressione delle più sublimi virtù; ma, soprattutto, perché tutte le azioni di Cristo, pur essendo in sé stesse umane, erano divine pel loro principio.   

   «O Gesù Cristo, pieno di grazia e modello di tutte le virtù, Figlio beneamato nel quale il Padre ha messo le sue compiacenze, siate l'unico oggetto della mia contemplazione e del mio amore. Che io riguardi tutto ciò che passa «come spazzature» (3) per porre in voi solo la mia gioia; che io cerchi di imitarvi per piacere a vostro Padre in ogni cosa per voi e con voi».  

Beato Dom COLUMBA MARMION

giovedì 23 settembre 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Gesù Cristo non aveva, per parlare propriamente, la virtù della speranza:

non era possibile sperare ciò che si possiede. La virtù teologale della speranza ci fa desiderare il possesso di Dio, mentre ci dà la confidenza di ricevere le grazie necessarie per conseguirlo. L'anima di Cristo, per la sua unione col Verbo, era ripiena della divinità e non poteva avere la speranza. Tale virtù esisteva in Cristo soltanto nel senso che Egli poteva desiderare, e desiderava infatti, la glorificazione della sua santa umanità; la gloria accidentale, che doveva essergli resa dopo la sua resurrezione (1). Di questa gloria egli possedeva in sé la sorgente e la radice fino al momento della sua incarnazione; la lascia scorgere un istante nel momento della sua Trasfigurazione sul Tabor, ma la sua missione quaggiù fra gli uomini l'obbligava, fino alla sua morte, a velarne lo splendore. Gesù Cristo domandava anche delle grazie a suo Padre: per esempio, alla resurrezione di Lazzaro, vediamo che egli si rivolge a suo Padre con la confidenza più assoluta (2).  

   Egli ha praticato la carità al più alto grado. Il cuore di Cristo è una immensa fornace d'amore. Il grande amore di Cristo è l'amore per suo Padre. - Tutta la sua vita può  riassumersi in questa parola: «Io cerco soltanto ciò che piace al mio Padre».  

Meditiamo questa parola nell’orazione; soltanto allora potremo penetrare un po' il segreto. Quest'amore indicibile, questa tendenza dell'anima di Gesù Cristo verso il Padre è la conseguenza necessaria della sua unione ipostatici.  

   Il Figlio appartiene interamente «a suo Padre»: Ad Patrem, come dicono i teologi; tale è la sua essenza, se così posso esprimermi: la santa umanità è trasportata in questa corrente divina. Essendo diventata, per mezzo dell'Incarnazione, l'umanità vera del Figlio di Dio, essa appartiene interamente al Padre. Bisogna necessariamente che la disposizione fondamentale, il sentimento primo ed abituale dell'anima di Cristo sia questo: lo vivo per mio Padre, «io amo mio Padre» (1). Gesù compie tutta la volontà di suo Padre perché lo ama; il suo primo atto, entrando in questo mondo, è un atto di amore verso di lui: «O Padre, eccomi, io vengo per fare la vostra volontà» (2).  

Si può dire che tutta la sua esistenza quaggiù non sarà che lo sviluppo di questo atto iniziale. Durante la sua vita si compiace di ripetere che suo nutrimento è il fare la volontà del Padre suo (3). Perciò compie sempre ciò che piace a suo Padre (4).  

   Tutto ciò che suo Padre aveva deciso per lui, egli l'ha effettuato «fino all'iota», vale a dire fino all'ultimo particolare (5). Infine, per amore verso suo Padre, egli è divenuto obbediente fino alla morte sulla croce (6). Non dimentichiamo che se Cristo ha potuto dire: «Non c'è più grande amore di quello di dare la vita pei propri amici» (7); se è di fede che egli sia morto per noi e per la nostra salvezza, resta vero che Nostro Signore ha dato la vita prima di tutto per amore verso il  Padre. Amandoci, egli ama suo Padre; egli ci vede e ci trova nel Padre suo (1); sono queste le sue parole: «Io prego per essi poiché sono vostri». Sì, Cristo ci ama perché siamo figli di suo Padre, perché gli apparteniamo. Egli ci ama di un amore ineffabile, che sorpassa tutto ciò che possiamo immaginare, al punto che ognuno di noi può dire con S. Paolo (2), «Egli si è dato a me, poiché mi ha amato».  

Beato Dom COLUMBA MARMION

domenica 29 agosto 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Nostro Signore è dunque il nostro modello come Figlio di Dio e come figlio de ll’uomo., ma lo è in primo luogo come Figlio di Dio; questo stato di Figlio di Dio è propriamente ciò che c'è di fondamentale in Cristo e noi dobbiamo rassomigliargli in questo prima di tutto.  

   E come rassomigliargli in ciò? La filiazione divina di Cristo è il tipo della nostra filiazione soprannaturale; la sua condizione, il suo essere di Figlio di Dio e l'esemplare di uno stato nel quale deve stabilirci anzitutto la grazia santificante. Cristo è il Figlio di Dio per natura e per diritto, in virtù dell’unione del Verbo eterno con la natura umana (3); noi lo siamo per adozione e per grazia, ma lo siamo realmente e ad un titolo molto vero. Cristo ha in più la grazia santificante; egli ne possiede la pienezza.  

In noi, essa deriva da questa pienezza più o meno abbondantemente ma nella sua sostanza, la stessa grazia che riempie l'anima creata di Gesù ci divinizza. S. Tommaso dice che la nostra filiazione divina è una somiglianza della filiazione eterna (4).  

Tale è il modo primario e sopraeminente, col quale è il nostro modello: ne ll’Incarnazione egli è costituito, per diritto, Figlio di Dio. Noi dobbiamo divenirlo con la partecipazione alla grazia, che deriva da lui e che, divinizzando la sostanza dell'anima nostra, ci costituisce nello stato di figli di Dio. Questa è la linea prima e fondamentale di rassomiglianza, che dobbiamo avere con Gesù Cristo, il quale regola tutta la nostra attività soprannaturale. Se non possediamo in noi, prima di tutto, questa grazia santificante che è il segno fondamentale di somiglianza con Gesù, il Padre Eterno non ci riconoscerà per suoi. Tutto ciò che facciamo nella nostra esistenza, senza questa grazia, non è di nessun merito per farci partecipare all'eredità eterna: non saremo coeredi di Cristo, se non saremo fratelli suoi per la grazia (1).  

Cristo è modello anche nelle sue opere. Abbiamo veduto con quale verità è stato uomo; bisognerebbe dire anche con quale verità ha agito da uomo.  

   Anche in questo Nostro Signore è per noi un modello completo, e pertanto accessibile, di ogni santità. Egli ha praticato, in un grado incomparabile, tutte le virtù che possono ornare la natura umana, tutte quelle almeno che erano compatibili con la sua natura divina.  

   Voi sapete che con la grazia santificante, è stato dato all'anima di Cristo il magnifico corteo di virtù e di doni dello Spirito Santo; queste virtù scaturivano dalla grazia  come da una sorgente; esse si sono manifestate nel corso de ll’esistenza di Gesù in tutta la loro perfezione.  

    Certamente, egli non ha avuto la fede. Questa virtù teologale esiste soltanto nell'anima che non gode ancora della visione di Dio. L'anima di Cristo contemplava Dio faccia a faccia ed essa non poteva credere in questo Dio che vedeva; ma ha avuto quella sottomissione di volontà, che è necessaria alla perfezione della fede, quella reverenza, quella adorazione di Dio, verità prima ed infallibile. Tale disposizione era nell’anima di Cristo in un altissimo grado.  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

lunedì 19 luglio 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Cristo è Dio, Dio perfetto. Trasportiamoci in Giudea, ai tempi di Cristo. Egli ha già compiuto una parte della sua missione, percorrendo la Palestina, insegnando e compiendo le «opere di Dio» (1). Eccolo, dopo una giornata di corse apostoliche, libero dalla folla, circondato dai suoi soli discepoli. Egli domanda loro: «Che dicono di me gli uomini? (2). I discepoli si fanno l'eco di tutti i discorsi sparsi nel popolo: «Maestro, hanno detto che siete Giovanni Battista o Elia o Geremia o qualcun altro dei profeti». «Ma voi, dice Gesù, chi dite che io sia?». Allora Pietro, prendendo la parola, gli dice: «Voi siete Cristo, Figlio di Dio vivente». E nostro Signore, confermando la testimonianza del suo apostolo, gli risponde: «Tu sei beato, poiché non per una intuizione naturale hai saputo chi io sia, ma mio Padre ti ha fatto questa rivelazione».  

Cristo è dunque Figlio di Dio, «Dio nato da Dio, luce nata dalla luce, vero Dio uscito dal vero Dio», come dice in nostro Credo, Cristo, dice S. Paolo, non ha creduto che fosse una usurpazione il dirsi l'eguale del Padre (1).  

Tre volte la voce del Padre Eterno si è fatta sentire, ed ogni volta per glorificare Cristo chiamandolo suo Figlio, il Figlio delle sue compiacenze, l'organo dei suoi oracoli (2).  

Prosterniamoci come i discepoli che sentirono sul Tabor questa voce del Padre Eterno; con Pietro. ispirato dall'alto, ripetiamo a Gesù: «Sì, voi siete Cristo, il Verbo incarnato, vero Dio uguale al Padre vostro, Dio perfetto, che possedete tutti gli attributi divini; voi siete, o Gesù, come vostro Padre e con lo Spirito Santo, il potentissimo, voi siete l'eterno, voi siete l'amore infinito.  

Io credo in voi e vi adoro, mio Signore e mio Dio!».  

   Figlio di Dio, Cristo è anche Figlio de ll’uomo, uomo perfetto.  

   Il Figlio di Dio si è fatto carne. Egli resta ciò che è, Dio perfetto; ma si unisce ad una natura umana, completa come la nostra, integra nella sua essenza, con tutte le sue proprietà native. Cristo è, come tutti noi, «nato da una donna» (3), appartiene autenticamente alla nostra razza.  

Spesso nel Vangelo egli si chiama il «Figlio de ll’uomo»; degli occhi di carne lo hanno veduto, delle mani umane l'hanno toccato» (4). Anche all’indomani della sua resurrezione, egli fa constatare all’apostolo incredulo la realtà dalla sua natura umana (5). Egli ha, come ciascuno di noi, un 'anima creata direttamente da Dio; un corpo formato nelle viscere della Vergine; una intelligenza che conosce, una volontà che ama e decide, tutte  le facoltà che noi abbiamo, la memoria, l'immaginazione.  

Egli ha delle passioni, nel senso filosofico, elevato e nobile della parola, nel senso che esclude ogni disordine ed ogni debolezza; ma in lui queste passioni sono perfettamente sottomesse alla ragione e non si mettono in moto che per mezzo di un atto della sua volontà (1). La sua natura umana è dunque in tutto simile alla nostra, a quella dei suoi fratelli (2), eccettuato il peccato (3). Gesù non ha conosciuto né peccato, né ciò che è la sorgente o conseguenza del peccato, l'ignoranza, l'errore, la malattia, tutte cose indegne della sua perfezione, della sua saggezza, della sua dignità, della sua divinità.  

   Ma il nostro divin Salvatore ha voluto avere, durante la sua vita mortale, le nostre infermità, tutte le infermità compatibili con la sua santità. Il Vangelo ce lo mostra chiaramente. Non c'è niente nell'uomo che Dio non abbia santificato: i nostri lavori, le nostre sofferenze, le nostre lacrime; tutto egli ha fatto suo. Osservatelo a Nazareth durante trent'anni, egli passa la sua vita in un oscuro lavoro di operaio, di modo che, quando, comincia a predicare, i suoi compatrioti se ne stupiscono, poiché finora l'hanno conosciuto soltanto come il figlio del falegname (4). Nostro Signore ha sentito la fame come noi; dopo aver digiunato nel deserto, egli ha avuto fame (5). Egli ha sofferto la sete; non ha forse domandato alla samaritana di dargli da bere (6), e sulla croce non ha esclamato: «Ho sete»? Egli ha provato come noi la stanchezza; le lunghe corse attraverso la Palestina affaticavano le sue membra; allorché al pozzo di Giacobbe do-mandò l'acqua per spegnere la sua sete, S. Giovanni ci dice che era affaticato, Era mezzogiorno, dopo aver camminato a lungo, stanco, si sedette sull’orlo del pozzo (1). Così dunque, secondo l'osservazione di S. Agostino nell'ammirabile commentario che ci ha dato di questa bella scena evangelica, «colui che è la forza stessa di Dio è sopraffatto da stanchezza» (2).  

   Il sonno ha chiuso le sue palpebre; egli dormiva nella barca quando si scatenò la tempesta (3): egli dormiva veramente ed i suoi apostoli, temendo di essere inghiottiti dalle onde infuriate, debbono svegliarlo.  

Ha pianto su Gerusalemme, la patria che amava malgrado la sua ingratitudine. Il pensiero dei disastri che, dopo la sua morte, sarebbero caduti su di lei, gli strappa delle lacrime e delle parole piene di afflizione: «Se tu pure conoscessi ciò che farebbe la tua pace!» (4).  

   Egli ha pianto alla morte di Lazzaro, come noi pure piangiamo coloro che amiamo, al punto che i Giudei, testimoni di questo spettacolo dicevano: «Guardate come l'amava!» (5). Cristo versava delle lacrime non per convenienza, ma perché aveva il cuore commosso; piangeva colui che era il suo amico e le sue lagrime uscivano dal fondo del cuore. Nel Vangelo è pure detto di lui in più luoghi che il suo cuore era commosso per la compassione (6).  

Che più? Egli ha provato sentimenti di tristezza, di noia, di timore (7); nella sua agonia nell'orto degli olivi, la sua anima è sopraffatta da tristezza (8). L'angoscia ha penetrato la sua anima al punto di strappargli grida di dolore (1). Tutte le ingiurie, tutti gli insulti, gli schiaffi, gli sputi, di cui fu colmato nella sua passione, l 'hanno fatto soffrire immensamente. Le derisioni, gli insulti non lo lasciano insensibile. Al contrario, poiché la sua natura era più perfetta, la sua sensibilità era più grande, più delicata, Egli è stato inabissato nella sofferenza.  

Infine, dopo essersi mostrato veramente uomo, simile a noi in ogni cosa, egli ha voluto soffrire la morte come tutti i figli di Adamo (2).  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

giovedì 29 aprile 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Del mistero di Cristo tre sono, pertanto, gli aspetti che noi dobbiamo contemplare quando parliamo di Nostro Signore come sorgente della nostra santificazione. Ne prendiamo l'idea da S. Tommaso, il principe dei teologi, nella sua dottrina sulla causalità santificatrice di Cristo (2).

Cristo è, nel tempo stesso, la causa esemplare, la causa meritoria e la causa efficiente di tutta la nostra santità, Cristo è il modello unico della nostra perfezione, - l'artefice della nostra redenzione ed il tesoro delle nostre grazie, - la causa efficiente della mostra santificazione.  

   Questi tre punti riassumono perfettamente ciò che dobbiamo dire di Cristo stesso come vita delle anime nostre.  

La grazia, è, infatti, il principio di questa vita soprannaturale di figli di Dio, la quale costituisce il fondo e la sostanza di ogni santità Questa grazia si trova in tutta la sua pienezza in Cristo e tutte le opere, che la grazia ci fa compiere, hanno il loro esemplare in Gesù. Cristo ci ha meritato questa grazia per mezzo della sua vita, della sua passione, della sua morte. Infine, Cristo stesso produce questa grazia in noi per mezzo del sacramento e del contatto che abbiamo con lui nella fede.  

   Ma queste verità sono così ricche che noi dobbiamo contemplare ognuna in sé. In questa conferenza considereremo Nostro Signore come il nostro. modello divino in ogni cosa,  come l'esemplare della santità, alla quale dobbiamo mirare.  

La prima cosa da considerare è lo scopo che dobbiamo raggiungere. Una volta compreso questo scopo, l'applicazione dei mezzi propri al suo raggiungimento verrà naturale.  

I  

   Abbiamo visto che la nostra santità è una partecipazione alla santità divina: siamo santi se siamo figli di Dio e se viviamo da veri figli del Padre celeste, degni della nostra adozione soprannaturale. «Siate, dice S. Paolo, gli imitatori di Dio come conviene a dei figli adorati» (1). Gesù stesso ci dice: «siate perfetti» - ed è a tutti i suoi discepoli che si rivolge Nostro Signore - non di una perfezione qualunque (2), «come il vostro Padre celeste è perfetto». E perché ciò? Perché dobbiamo essere all'altezza del posto che occupiamo, perché Dio ci ha adottati come suoi figli, ed i figli devono nella loro vita, assomigliare al padre.  

   Ma per imitare Dio bisogna conoscerlo e come possiamo conoscere Dio? Egli «abita una luce inaccessibile», dice S. Paolo (3). «Nessuno, dice S. Giovanni, ha mai visto Dio» (4). Come potremo dunque riprodurre ed imitare le perfezioni di colui che non vediamo?  

   Una parola di S. Paolo ci dà la risposta (5). «Dio si è rivelato a noi per mezzo del Figlio suo e nel Figlio suo Gesù Cristo». Gesù Cristo è «lo splendore della gloria del Padre» (6); «la immagine del Dio invisibile» (7), perfettamente simile a suo Padre,  capace di rivelarlo agli uomini, poiché lo conosce come ne è conosciuto: «Il Padre non è conosciuto da nessuno, dice Gesù, eccetto che dal Figlio suo e da coloro ai quali suo Figlio vuole rivelarlo» (1). Gesù Cristo, che è sempre in sinu Patris, ci dice: «Io conosco mio Padre» (2): ma egli lo conosce «per rivelarcelo» (3); Cristo è la rivelazione del Padre.  

    E come il Figlio ci rivela il Padre? Incarnandosi. Il Verbo. il Figlio, si è incarnato, s'è fatto uomo, e in lui e per lui noi conosciamo Dio. Cristo è Dio messo alla nostra portata sotto una espressione umana; è la perfezione divina che si rivela a noi sotto forme terrestri; è la santità stessa che apparisce sensibilmente ai nostri occhi durante trentatré anni, per rendersi tangibile ed imitabile (4). Noi non potremo mai pensarci troppo: Cristo è Dio che si fa uomo, che vive fra gli uomini, a fine di insegnar loro, con la sua parola e soprattutto con la sua vita, in qual modo devono vivere per imitare Dio e piacergli. Noi, dunque. per vivere da figli di Dio, dobbiamo soltanto aprire gli occhi con fede ed amare e contemplare Dio in Gesù.  

    C'è nel Vangelo, un episodio semplicissimo, e tuttavia magnifico. Voi lo conoscete, ma è bene ricordarlo. Era la vigilia della passione di Gesù. Nostro Signore aveva parlato, come sapeva far lui, di suo Padre ai suoi apostoli: e questi entusiasmati, desideravano vedere e conoscere il Padre. L'apostolo Filippo esclama: «Maestro, mostraci il Padre, e noi non domanderemo più niente» (5). E Gesù Cristo risponde: «E che? Io sono con voi da tanto tempo, e non mi conoscete ancora? Filippo, chi vede me, vede mio Padre». 

   Sì, Cristo è la rivelazione di Dio, di suo Padre. Come Dio, egli è uno con lui, e colui che lo contempla vede la rivelazione di Dio.  

uando contemplate Cristo, che si abbassa nella povertà della mangiatoia, ricordate queste parole: Qui videt me, videt et Patrem. Quando vedete l'adolescente di Nazaret lavorare pieno di obbedienza, nell'umile bottega, fino a trent'anni, ricordate queste parole: «chi lo vede, vede suo Padre»; chi lo contempla, contempla Dio. Quando vedete Cristo attraversare le borgate della Galilea facendo il bene dappertutto, guarendo gli ammalati, annunciando la buona novella; quando vedete il suppliziato della croce morire per amore degli uomini, oggetto delle risa dei carnefici, ascoltate, egli vi dice: Qui videt me, videt et Patrem, «Chi mi vede, vede Dio stesso». Queste sono altrettante manifestazioni di Dio, altrettante rivelazioni di perfezioni divine. Le perfezioni di Dio sono, in sé stesse, incomprensibili come la natura divina; chi di noi, per esempio, potrebbe capire che cosa sia l'amore divino? È un abisso che sorpassa tutto ciò che possiamo concepire. Ma quando vediamo Cristo - che, come Dio, è «uno con suo Padre» (1), che ha in sé la stessa vita divina del Padre (2) - istruire gli uomini, morire sulla croce, dare la sua vita per amore di noi, quando lo vediamo istituire l'Eucarestia, noi comprendiamo allora la grandezza dell’amore di Dio.   

   Così è di ognuno degli attributi di Dio, di ognuna delle sue perfezioni. Cristo ce le rivela e, man mano che avanziamo nel suo amore, ci fa penetrare più avanti nel suo mistero (3). Vale a dire: se qualcuno mi ama, mi riceve nella mia umanità, sarà amato da mio padre; e anch'io l'amerò e mi manifesterò a lui nella mia divinità; gliene scoprirò i segreti.  

   «La Vita è stata manifestata, scrive S. Giovanni (4),  e noi l'abbiamo veduta; perciò noi le rendiamo testimonianza, e noi vi annunciamo la vita eterna, che era nel seno del Padre e che si è resa sensibile quaggiù, in Gesù Cristo. Di modo che, per conoscere ed imitare Dio, noi non dobbiamo che conoscere ed imitare suo Figlio Gesù, che è l'espressione umana e divina, ad un tempo, delle perfezioni infinite del Padre: Qui videt me, videt et Patrem.  

II  

   Ma come ed in che cosa Cristo, Verbo Incarnato, è il nostro modello, il nostro esemplare? Cristo è doppiamente modello: nella sua persona e nelle sue opere: nel suo stato di Figlio di Dio, e nella sua attività umana, poiché egli è nello stesso tempo Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, Dio perfetto e uomo perfetto. 

Beato Dom COLUMBA MARMION 

giovedì 25 marzo 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


CRISTO MODELLO UNICO D'OGNI PERFEZIONE.  

Quando leggiamo le epistole che S. Paolo indirizzava ai cristiani del suo tempo, ci sentiamo impressionati vedendo con che insistenza egli parla di Nostro Signore Gesù Cristo.  

Egli ritorna sempre su questo soggetto, di cui è così permeato che, per lui, «Cristo è la sua vita: "Mihi vivere Christus est» (1). Così «egli si prodiga largamente per Cristo e pei suoi membri» (2).  

   Scelto ed istruito da Gesù stesso per essere l'araldo del suo mistero nel mondo intero (3), egli ne ha penetrato talmente le profondità e le grandezze, che il suo unico desiderio è di svelarlo, di far conoscere. ed amare l'adorabile persona di Cristo. Egli scrive ai Colossesi che ciò che lo riempie di gioia in mezzo alle sue tribolazioni è il pensiero che «egli ha potuto annunciare il mistero nascosto ai secoli anteriori, ma manifestato presentemente ai fedeli, poiché ad essi Dio ha voluto far conoscere le gloriose ricchezze di questo mistero che è Cristo» (1).  

   Nella sua prigione gli annunciano che altri, oltre a lui, predicano Cristo; gli uni lo fanno per spirito di contesa, per fargli opposizione; gli altri con delle buone intenzioni; ne prova egli gelosia? Tutt'altro! Purché Cristo sia predicato, che gliene importa? «Ma che? - dice - In qualunque maniera lo facciano, sia con idee nascoste, sia sinceramente, io ne godo e ne godrò» (2). Poiché egli riferisce tutta la sua scienza, tutta la sua predicazione, tutto il suo amore, tutta la sua vita a Gesù Cristo (3). Nei lavori e nelle lotte del suo apostolato, una  delle sue gioie è di pensare che egli «fa nascere», è la sua espressione, «Cristo nelle anime» (4).  

I cristiani delle prime età comprendevano la dottrina che esponeva loro il grande apostolo. Essi comprendevano che Dio ci ha dato il suo unico Figlio, Gesù Cristo, affinché fosse tutto per noi, «la nostra saggezza, la nostra giustizia, la nostra santificazione, la nostra redenzione» (5). Essi comprendevano il disegno divino: Dio ha dato a Cristo la pienezza della grazia perché trovassimo tutto in lui. Essi vivevano di questa dottrina, Christus ... vestra vita (6), e perciò la loro vita spirituale era, nello stesso tempo, così semplice e così feconda.  

   Ora, noi diciamo pure che, ai nostri tempi, il cuore di Dio non è meno amante, né il suo braccio meno potente.  

Dio è pronto a spargere su di noi delle grazie, non dico così straordinarie nel loro carattere, ma altrettanto abbondanti ed utili che sui primi cristiani. Egli non ama noi meno di essi. Noi possediamo tutti i mezzi di santificazione che essi avevano, ed abbiamo in più, per incoraggiarci, gli esempi: dei santi che hanno seguito Cristo. Ma siamo troppo spesso come il lebbroso venuto per consultare il profeta e sollecitare la propria guarigione: egli stava per perderla perché gli sembrava troppo semplice il rimedio (1).  

   Questo è il caso di parecchi che incominciano la vita spirituale. Vi sono spiriti talmente attaccati al proprio punto di vista, che sono scandalizzati dalla semplicità del disegno divino. E questo scandalo non è senza pericolo. Queste anime, che non hanno compreso il mistero di Cristo, si perdono nella molteplicità dei particolari e si affaticano spesso in un lavoro senza gioia. Perché? Perché tutto ciò, che la nostra ingegnosità umana può creare per la nostra vita interiore non serve a nulla, se non fondiamo su Cristo il nostro edificio (1) 2Re 5,1,sg. 

Nostro Signore stesso vi allude: (cfr. Lc 4,27). Naaman generalissimo delle armate di Siria, era colpito da una lebbra che lo sfigurava interamente. Avendo sentito le meraviglia che operava il profeta Eliseo a Samaria, egli andò da lui per domandare la sua guarigione. “Va a lavarti sette volte nel Giordano, gli dice Eliseo, e sarai guarito». Questa risposta irrita Naaman. «Io mi ero immaginato, dice ai suoi seguaci, che il profeta stesso si presentasse, che egli mi guarisse invocando su me Iehovah. Questo profeta crede dunque che i fiumi di Siria non valgano tutte le acque di Israele?  

Non potrei tuffarmivi per ricuperare la salute?». E, pieno di delusione e di collera, si dispone a riprendere il cammino del suo paese. Ma i suoi servitori si avvicinano a lui: «Padrone, gli dicono, e se il profeta avesse ragione? Se ti avesse domandato qualche cosa di più difficile non lo avresti fatto? Dunque, quanto più dovresti ubbidirgli allorché egli ti comanda una cosa così semplice?». Naaman si piega a questo suggerimento pieno di buon senso, va a tuffarsi sette volte nel Giordano, e, secondo la parola dell'uomo di Dio, riacquista la salute.   

   Si comprende così il cambiamento che si opera talvolta in alcune anime. Durante anni interi esse hanno vissuto come soffocate, spesso depresse, quasi mai contente, trovando sempre nuove difficoltà nella vita spirituale. Poi, un giorno, Dio ha fatto loro la grazia di comprendere che Cristo è tutto per noi, che egli è l'Alfa e l'Omega (2); che all'infuori di lui non abbiamo nulla, che in lui abbiamo tutto, che egli riassume tutto in sé. A partire da questo momento, tutto si è, per così dire, cambiato in queste anime e le loro difficoltà sono svanite come le ombre della notte davanti al sole levante. Dacché Nostro Signore, il vero sole della nostra vita (3), illumina pienamente queste anime e le feconda, esse si schiudono, salgono e portano innumerevoli frutti di santità.  

   Le prove non saranno certo assenti dalla loro vita; esse costituiscono spesso la condizione stessa del progresso interno; la collaborazione alla grazia divina resterà ugualmente attenta e generosa; tutto ciò che restringe il cuore, ferma lo slancio e porta lo scoraggiamento, è svanito.  

   L'anima vive nella luce, «si dilata» (4); la sua vita si semplifica; l'anima comprende la povertà dei mezzi, che ha creati da sé stessa, che ha rinnovato continuamente, illudendosi di puntellare con quelli il proprio edifizio spirituale; essa afferma la verità di queste parole (5). «Se voi stesso, Signore, non edificate in noi la vostra dimora, non possiamo arrivare a costruirvi una abitazione degna di voi». In Cristo e non in sé stessa cerca la sorgente della sua santità. Essa sa che questa santità è soprannaturale nel suo principio, nella  sua natura e nel suo fine e che tesori di santificazione si trovano ammassati in Gesù perché noi vi partecipiamo. Essa comprende che è ricca soltanto delle ricchezze di Cristo.  

   Queste ricchezze, secondo la parola di S. Paolo, non sono scandagliabili (1). Noi non le esauriremo mai e tutto ciò che ne diremo resterà sempre al disotto delle lodi che meritano.  

Beato Dom COLUMBA MARMION 

giovedì 18 febbraio 2021

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


IL DISEGNO DIVINO NELLA NOSTRA PREDESTINAZIONE ADOTTIVA IN GESÙ CRISTO 

Infatti ogni gloria deve ritornare a Dio, questa gloria è il fine fondamentale dell’opera divina (3). S. Paolo ce lo dimostra terminando con queste parole la sua esposizione del disegno divino (4).  

   Se Dio ci adotta come suoi figli, se egli realizza questa adozione per mezzo della grazia, la cui pienezza è in suo Figlio Gesù, se vuole farci partecipare alla beatitudine dell'eredità eterna di Cristo, tutto ciò è per l'esaltazione della sua gloria.  

   Osservate con quale insistenza S. Paolo, esponendoci il disegno divino, nelle parole che vi ho citate in principio, insiste su questo punto: «Dio ci ha eletti... a lode della  gloria della sua grazia» (1).  

   Più avanti, egli riprende due volte: «Dio ci ha predestinati affinché noi serviamo di lode alla sua gloria» (2).  

   La prima espressione dell'apostolo soprattutto è notevole. Egli non dice: «in lode della sua grazia», ma «in lode della gloria della sua grazia»; ciò vuol dire che questa grazia sarà circondata dallo splendore che si unisce ai trionfi.  

Perché S. Paolo parla così? Por renderci l'adozione divina, Cristo ha dovuto trionfare degli ostacoli creati dal peccato; ma questi ostacoli hanno servito solamente a far risplendere di più, agli occhi del mondo intero, le meraviglie divine nell'opera della nostra restaurazione soprannaturale. Ognuno degli eletti è il frutto del sangue di Gesù e delle mirabili operazioni della sua grazia; tutti gli eletti sono altrettanti trofei acquistati da questo sangue divino e perciò essi sono tutti come una lode gloriosa a Cristo e a suo Padre.  

   Vi diceva, incominciando, che la perfezione divina particolarmente cantata dagli angeli, è la santità.  

   Ma qual è l'inno di lode, che si eleva al cielo dal coro degli eletti? Qual è il cantico di questa folla immensa, che costituisce il regno di cui Cristo è il  Capo? «O Agnello immacolato, voi ci avete riscattati, voi ci avete resi i titoli all’eredità, voi ce ne avete fatto parte; a voi e a colui che è seduto sul trono, lode, onore, gloria e potenza!» (1). È il cantico di lode, che il cielo fa risuonare per esaltare i trionfi della grazia di Gesù. 

   Unirci fin da quaggiù a questo cantico è dunque entrare nel pensiero eterno. Guardate S. Paolo: quando scrive quella ammirabile epistola agli Efesini, è prigioniero; ma nel momento in cui si prepara a rivelar loro il mistero nascosto da secoli è talmente rapito dalla grandezza di questo mistero dell’adozione divina in Gesù Cristo, è talmente abbagliato dalle «inscrutabili ricchezze» portate da Cristo, che non può impedirsi, malgrado le privazioni, di innalzare, fin dal principio della sua lettera, un grido di lode e di ringraziamento: «Sia benedetto Dio, il Padre di Nostro Signor Gesù Cristo, che ci ha benedetti in Cristo con ogni sorta di benedizioni spirituali» (2). Sì, sia benedetto il Padre Eterno che ci ha chiamati a sé da tutta l'eternità, per renderci suoi figli e farci partecipi della sua vita e della sua beatitudine; che, per effettuare i suoi disegni, ci ha dato in Gesù Cristo tutti i beni, tutte le ricchezze, tutti i tesori, in modo che «niente ci manca in lui» (3).  

Ecco il disegno divino.  

   Tutta la nostra santità consiste nell'approfondire, alla luce della fede, questo Sacramentum absconditum, l'idea intima di Dio, nell’entrare nel pensiero divino, nell’effettuare in noi l'economia eterna. Colui che vuol salvarci, renderci santi, ne ha tracciato il disegno con una saggezza che ha di uguale soltanto la sua volontà. Adattiamoci a questo pensiero divino, che vuole che noi troviamo la nostra santità nella nostra conformità a Gesù Cristo. Non ce n'è un'altra.  

   Noi piaceremo al Padre Eterno - e non è il fondamento della santità «piacere e Dio?» - soltanto se egli riconoscerà in noi i lineamenti di suo figlio. Bisogna che siamo, per la grazia e le nostre virtù, talmente identificati con Cristo, che il Padre, guardando le anime nostre, ci riconosca come suoi figli, vi si compiaccia, come faceva contemplando Gesù Cristo sulla terra. Cristo è il suo Figliolo diletto, e in lui noi saremo colmati di tutte le benedizioni, che ci condurranno alla pienezza della nostra adozione nella beatitudine celeste.  

   È bene ripetere ora, alla luce di queste verità così elevate e così benefiche, la preghiera che Gesù stesso, il Figlio beneamato dal Padre, ha messo sulle nostre labbra e che, venendo da lui, è la preghiera del Figlio di Dio per eccellenza: «O Padre santo, che vivete nei cieli, noi siamo i vostri figli, poiché voi volete essere chiamato Padre nostro!  

Che il vostro nome sia santificato, onorato, glorificato; che le vostre perfezioni siano lodate ed esaltate ognor più sulla terra; che noi manifestiamo in noi, per mezzo delle nostre opere, lo splendore della grazia vostra; - estendete dunque il vostro regno; si accresca continuamente questo regno, che è anche di vostro Figlio, poiché voi lo avete costituito capo; vostro Figlio sia veramente il re delle anime nostre; - che - noi esprimiamo questa regalità in noi con l'adempimento perfetto della vostra volontà; e continuamente «cerchiamo, come lui, di aderire a voi, realizzando ogni vostro desiderio» (1), il vostro pensiero eterno su noi, a fine di essere simili al vostro Figlio Gesù in ogni cosa e di essere, per opera sua, degni figli del vostro amore!».  

Beato Dom COLUMBA MARMION

lunedì 21 dicembre 2020

CRISTO, VITA DELL'ANIMA

 


Noi tutti dobbiamo partecipare alla santità di Gesù. Egli non ha escluso nessuno dalla vita, che ha portata e per la quale ci rende figli di Dio;    

(1); Cristo ha riaperto le porte della vita eterna all'umanità intera. Come dice S. Paolo, egli è il primo nato, ma di una moltitudine di fratelli (2).  

   Il Padre eterno vuole che Cristo, suo Figlio, sia costituito capo di un regno, del regno dei suoi figli. Il disegno divino non sarebbe completo se Cristo fosse isolato; la sua gloria come la gloria del Padre (3), è di essere alla testa di un'assemblea innumerevole, che è come «il suo complemento» ***, e senza il quale, per così dire, non sarebbe perfetto.  

   S. Paolo lo dice molto chiaramente nella sua lettera agli Efesini, nella quale traccia il piano divino: «Dio ha fatto sedere Cristo alla sua destra nei cieli, al disopra di ogni principato, di ogni autorità, di ogni potenza, di ogni dignità e di ogni nome che si possa nominare non soltanto nel secolo presente, ma anche nel secolo da venire, e tutto sottopose ai suoi piedi e l'ha dato per capo supremo alla Chiesa, che è il suo corpo» (4). Cristo si è conquistata questa assemblea, questa chiesa, secondo la parola dello stesso apostolo, perché, nell'ultimo giorno, essa sia «senza ruga né macchia, ma tutta santa ed immacolata» (5).  

   Questa Chiesa, questo regno si forma già quaggiù. Vi si entra per mezzo del battesimo; sulla terra vi si vive per mezzo della grazia, nella fede, nella speranza, nella carità; ma verrà il giorno in cui contempleremo il suo completamento in cielo. Sarà il regno della gloria nella chiarezza della visione, il godimento del possesso e l'unione senza fine.  

Perciò S. Paolo diceva che «la grazia di Dio è la vita eterna stessa portata al mondo da Cristo» (6).  


È questo il grande mistero del pensiero divino.  

Se conosceste il dono di Dio! Dono ineffabile  


in sé stesso: ineffabile, soprattutto, nella sua sorgente che è l'amore.  

   «Dio vuol farci partecipare alla sua beatitudine, come suoi figli, perché ci ama» (1), L'amore che ci fa un simile dono è infinito, poiché, dice S, Leone: «Il dono, che sorpassa, ogni dono, è che Dio chiami l'uomo suo figlio e che l'uomo chiami Dio suo Padre» (2). Ognuno di noi può dire a sé stesso in tutta verità «Dio mi ha creato e mi ha chiamato con un 'atto particolare d'amore e di benevolenza, cioè per mezzo del battesimo, all'adozione divina; poiché, nella sua pienezza e nella sua opulenza infinita, Dio non ha bisogno di nessuna creatura (3). Dio mi ha scelto con un atto speciale di dilezione e di compiacenza, Dio mi ha scelto per essere elevato infinitamente al di sopra della mia condizione naturale, per godere eternamente della sua beatitudine, per realizzare uno dei suoi pensieri divini, per essere uno di quei fratelli, che sono simili a Gesù e partecipano senza fine alla sua celeste eredità». Questo amore si manifesta con uno splendore particolare nel modo di realizzazione del disegno divino, «in Gesù Cristo».  

   «Dio ha rivelato il suo amore per noi, mandando nel mondo il suo unico Figlio affinché noi viviamo per suo merito» (4). Sì, «Dio ci ama talmente che, per mostrarci questo amore ci ha dato il suo unico Figlio» (5); suo Figlio, perché suo Figlio diventasse nostro fratello, e noi fossimo un giorno suoi coeredi, avessimo parte alle ricchezze della sua grazia e della sua gloria (6).  

Tale è dunque, nella sua maestosa ampiezza e nella sua misericordiosa semplicità, il disegno di Dio su noi: Dio vuole la nostra santità, la vuole, perché ci ama infinitamente, e noi dobbiamo volerla con lui. Dio vuol renderci santi, facendoci partecipare alla sua stessa vita; e per ciò ci adotta come suoi figli ed eredi della sua gloria infinita e della sua beatitudine eterna. La grazia è il principio di questa santità, soprannaturale nella sua sorgente, nei suoi atti, nei suoi frutti. Ma Dio ci dà questa adozione per mezzo di suo Figlio, Gesù Cristo: in lui e per lui Dio vuole che noi ci uniamo a lui (1), Cristo è la Vita, ma la sola via, per condurci a Dio; e «senza di lui noi non possiamo far nulla» (2). «Non c'è altro fondamento, per la nostra santità, che quello stesso che Dio ha stabilito, vale a dire l'unione a Gesù Cristo» (3).  

   Così Dio comunica la pienezza della sua vita divina a ll’umanità di Cristo - e, per essa, a tutte le anime «nella misura della loro predestinazione in Gesù Cristo» (4).  

Dobbiamo comprendere che non saremo santi che nella misura stessa in cui la vita di Gesù Cristo sarà in noi. Dio ci domanda questa sola santità, né ve n'è altra. Saremo santi in Gesù Cristo o non lo saremo affatto. La creazione non trova in sé stessa nessun atomo di questa santità; essa deriva da Dio per un atto sovranamente libero della sua potentissima volontà, e perciò esso è soprannaturale.  

   S. Paolo rileva più di una volta sia la gratuità del dono divino dell'adozione, sia l'eternità dell'amore ineffabile, che ha risolto di rendere partecipi anche noi, e il mezzo ammirabile della sua effettuazione per la grazia di Gesù Cristo: «Ricordatevi, scrive al suo discepolo Timoteo, che Dio ci ha scelti per mezzo di una vocazione santa, non per le nostre opere, ma secondo il suo decreto e la grazia che ci è stata data in Gesù Cristo, prima di tutti i secoli» (1). «Per mezzo della grazia vi siete salvati e santificati, - scriveva ai fedeli di Efeso, - e non con le vostre forze, affinché nessuno si glorifichi in se stesso» (2). 

Beato Dom COLUMBA MARMION