Visualizzazione post con etichetta ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE. Mostra tutti i post

giovedì 28 novembre 2024

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


S. Bernardo (Ser. 36 de div. n. 3) dice, che abbiamo da essere come i mercanti e negozianti del mondo. Vedrai un mercante ed un uomo di traffico, che usa tanta diligenza e sollecitudine per guadagnare e per aumentare ogni giorno la roba, che non fa conto di quel che ha guadagnato e acquistato sino a quell'ora, né delle fatiche che vi ha spese; ma tutta la sua cura e sollecitudine la mette a far nuovo guadagno e in moltiplicarlo ogni giorno più, come se per l'addietro non avesse fatto né guadagnato niente. Or così, dice il Santo, abbiamo da fare ancor noi. Tutto il nostro pensiero e sollecitudine ha da essere, come abbiamo da aumentare ogni giorno il nostro capitale; come ci abbiamo da avanzare giornalmente in umiltà, in carità, in mortificazione e in tutte le altre virtù, a guisa di buoni mercanti spirituali, non facendo conto di quel tanto che per l'addietro abbiamo faticato, né di quel tanto che abbiamo acquistato; e così Cristo nostro Redentore dice che il regno dei cieli è simile ad un uomo che traffichi, e ci comanda che traffichiamo. «Negoziate fino al mio ritorno» (Lc 19, 13). 

 E per servirci tuttavia della similitudine del mercante, giacché ce la propone il sacro Vangelo, guarda quanta diligenza e sollecitudine usano i mercanti e gli uomini di traffico mondano, che non perdono un punto, né lasciano passar occasione alcuna, nella quale possano aumentare il loro capitale, che non lo facciano; e fa così tu ancora. Non perdere un punto, né lasciar passare alcuna occasione, nella quale tu possa profittare, e non lo faccia. «Studiamoci tutti costantemente di non trascurare parte alcuna di perfezione, che con l'aiuto di Dio possiamo acquistare»: ce lo dice il nostro santo Padre nelle sue Regole (Const. p. 6, c. 1, § 15; Summ. 15; Epit. 171. § 2). Non avete da lasciar passar occasione alcuna, nella quale non procuriate di cavare qualche guadagno spirituale; da, quella paroletta pungente che vi disse colui, dall'ubbidienza che vi fu ordinata contro la vostra volontà, dall'occasione che vi si porse d'umiliarvi. Tutte queste cose sono vostri guadagni, e voi stessi dovreste andar a cercare e a comprare simili occasioni; e in quel giorno nel quale più ve se ne saranno presentate, dovreste andarvene a dormire più contenti ed allegri. Come fa il mercante quel giorno, nel quale se gli sono presentate più occasioni di guadagnare; perché in quel giorno le cose del suo mestiere sono andate bene per lui: e così anche in quel giorno sono andate bene per voi le cose toccanti alla vostra professione di religioso, se avete saputo approfittarvene. E siccome il mercante non sta a guardare se un altro perde, né si piglia collera con lui per questo, ma solamente fa conto del suo guadagno, e di questo si rallegra; così voi non dovete star a guardare se quell'altro ha fatto bene o male a darvi quell'occasione, né se ha avuto ragione o no di farlo; né avete a sdegnarvi contro di lui, ma sì rallegrarvi del vostro guadagno. Quanto lontani saremmo dal turbarci e dal perdere la nostra pace, quando ci si porgono simili occasioni, se camminassimo in questa maniera! Poiché se quella cosa, che ci potrebbe attristare e privare della pace, è quella medesima che noi altri desideriamo e andiamo cercando, che cosa ci potrà inquietare e torci la pace? 

 Inoltre considera, come il mercante va tanto ingolfato nei suoi guadagni, che pare che non pensi ad altro, e in tutti gli incontri e le occorrenze che vengono, subito i suoi occhi e il suo cuore si volgono a vedere come ne potrà cavare qualche guadagno. E mentre mangia, sempre sta pensando a quèsto; e con tal pensiero e sollecitudine se ne va a letto, si sveglia la notte, si leva la mattina e passa tutto il giorno. Or così dobbiamo far noi nel negozio delle anime nostre, e procurare che in tutti gli incontri e le occorrenze che avvengono subito gli occhi e il cuore s'avvezzino a guardare come ne potremo cavare qualche guadagno spirituale. Mangiando, abbiamo a stare in questo pensiero, e col medesimo andarcene a letto, levarci e passar tutto il giorno e tutta la vita; perché questo è il nostro negozio e il nostro tesoro, né v'è altra cosa da cercare. Aggiunge S. Bonaventura (S. BONAV. 

De ext. et int. etc. 1. 

3, c. 3, n. 3) che, come il mercante non trova quel che desidera e che gli fa di bisogno tutto insieme in un mercato o in una fiera, ma in diversi; così il religioso ha da cercare il suo profitto e perfezione, non solo nell'orazione e nella consolazione spirituale, ma ancora nella tentazione, nel travaglio, nella fatica, nell'ufficio e in tutte le occasioni che se gli presentano. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

martedì 23 luglio 2024

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che aiuta grandemente ad acquistar la perfezione il dimenticarsi l'uomo del bene passato e metter l'occhio in quello che gli manca. 


Esempi del viandante, del corridore. 

Guarda, dice S. Gregorio, che a quelli che vanno per viaggio e intendono arrivare a qualche luogo, poco giova loro l'avere già camminato assai, se non finiscono il resto del viaggio; e guarda ancora che il premio della corsa, assegnato per quelli che corrono meglio, non lo guadagna colui che ha corso gran parte di essa molto velocemente, se al fine si stanca; e rifletti che così ancora poco gioverà a te che abbi cominciato a correr bene, se ti stanchi a mezza la corsa. «Correte in guisa da far vostro il premio» (1Cor 9, 24), dice l'Apostolo. Non far conto di quel che fin qua hai corso; ma tieni sempre fissi gli occhi al luogo e termine ove sei inviato, che è la perfezione; e guarda il molto che ti manca; ché in questa maniera camminerai bene. Dice S. Giov. Crisostomo che chi considera che non è arrivato al termine, non lascia mai di correre (S. CHRYS. Hom. 24 in ep. ad Rom. n. 1). 

ALFONSO RODRIGUEZ

sabato 9 settembre 2023

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che aiuta grandemente ad acquistar la perfezione il dimenticarsi l'uomo del bene passato e metter l'occhio in quello che gli manca.


Il secondo solleciti.

4. E questa è la seconda parte di questo mezzo che ci propone l'Apostolo; che sempre teniamo gli occhi volti a quel che ci manca, affine di farci coraggio e sforzarci per arrivare. 

Il che dichiarano i Santi con alcuni esempi e similitudini usuali. San Gregorio dice: Come quegli che deve dare mille scudi ad un altro, non resta quieto né libero da ogni pensiero per averne pagati duecento o quattrocento; ma sempre sta cogli occhi fissi in quel che gli rimane a pagare; e fin che non abbia finito di pagar tutto il debito, sempre sta con quell'ansia: così noi altri non dobbiamo considerare che col bene che abbiamo fatto fin ora abbiamo già pagata una parte del debito nostro con Dio; ma dobbiamo considerare il molto che ci resta da pagare; e questo è quello che ci ha da tenere ansiosi, e la spina che abbiamo da portare sempre fitta nel cuore. Di più, soggiunge lo stesso S. Gregorio, siccome i pellegrini e buoni viandanti non guardano quanto hanno camminato, ma quanto resta loro da camminare; e questo tengono sempre dinanzi agli occhi fin a tanto che abbiano finita la giornata; così noi altri, «giacché siamo pellegrini e viandanti che facciamo viaggio verso la nostra patria celeste, non abbiamo da guardare quel che ci pare d'aver camminato, ma quel che ci resta da camminare» (S. GREG. Mor. l. 22, c. 6, n. 12).

ALFONSO RODRIGUEZ 

sabato 18 marzo 2023

Che aiuta grandemente ad acquistar la perfezione il dimenticarsi l'uomo del bene passato e metter l'occhio in quello che gli manca.

 


Il primo ci fa superbi e ignavi.

San Gregorio e San Bernardo dichiarano questo in un modo assai distinto. Due parti molto principali, dicono essi, ha questo mezzo: la prima è, che ci dimentichiamo del bene che sin ora abbiamo fatto e che non stiamo a guardare a questo. E fu necessario che fossimo avvertiti di ciò in particolare, perché è cosa naturale il volgere facilmente gli occhi a quel che più ci diletta e il levarli da quello che ci può cagionare molestia. E siccome il vedere quel tanto che abbiamo profittato e il bene che ci par d'aver fatto ci diletta, e il vedere la nostra povertà spirituale e il molto che ci manca ci attrista; quindi è che gli occhi nostri si avvezzano a riguardare più tosto il bene che abbiamo fatto, che quello che ci resta da fare. Dice S. Gregorio che, come l'infermo va cercando la parte del letto più morbida, più fresca e più gustevole per riposarsi; così è proprio dell'umana infermità, debolezza e imperfezione nostra il compiacerci e il gustare di riguardare e pensare piuttosto al bene che abbiamo fatto, che a quello che ci resta da fare. Di più dice S. Bernardo: «perché se tu riguardi a quello che hai, monti in superbia, mentre ti preponi ad un altro; trascuri di avanzarti, mentre già ti stimi qualche cosa di grande, e cominci a venir meno e a ribassarti» (S. GREG. Mor. l. 22, c. 6, n. 12; S. BERN. Ser. 36, de div. n. 4). Sappiate, ci dice il Santo, che vi sono in ciò molti pericoli; perché se vi mettete a riguardar quel bene che avete fatto, non vi servirà ad altro che ad insuperbirvi, parendovi di essere qualche cosa; e quindi ve ne passerete subito a paragonarvi ad altri, e a preferirvi loro, ed anche a stimar essi poco, e voi stessi assai. Se non lo credete, vedetelo in quel Fariseo del Vangelo, le cui cose passarono perciò tanto male. Pose egli gli occhi nel bene che era in lui e si fece a rammemorare le virtù sue, dicendo: Vi ringrazio, Signore, ch'io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, né come questo pubblicano che è qui. Digiuno due volte la settimana, pago puntualmente le decime e primizie. Disse Cristo nostro Redentore che quel pubblicano, al quale il Fariseo si preferì, uscì di là giustificato; e costui, che si reputava giusto, ne uscì condannato per ingiusto e mal uomo (Lc 18, 14 segg.). 

 Questo è quel che pretende il demonio col metterti dinanzi agli occhi il bene che ti pare che sia in te: pretende con questo, che tu ti tenga da qualche cosa, che t'insuperbisca, che disprezzi gli altri e ne faccia poco conto, acciocché così tu resti condannato per superbo e malvagio. Inoltre, dice S. Bernardo (S. BERN. 1. c.), tu corri un altro pericolo col mettere gli occhi nel bene che hai fatto e nelle fatiche che hai sopportate; ed è, che questo ti servirà a farti trascurato e negligente nel camminare avanti, e lento e tiepido nel procurare il tuo profitto; mentre ti parrà di esserti affaticato assai nella religione e di poterti oramai riposare. Siccome chi sale un monte, quando comincia a stancarsi, rivolge gli occhi indietro per vedere quanto ha fatto di cammino; così noi altri, quando ci stanchiamo ed entra in noi la tiepidezza, ci mettiamo a guardare quello che abbiamo lasciato addietro; il che fa che ci contentiamo di quello e che ce ne restiamo più posati nella nostra lentezza. Or per fuggire questi inconvenienti e pericoli conviene grandemente che non stiamo a mirare il bene che abbiamo fatto, ma quel che ci manca; perché la prima vista c'invita al riposo, e la seconda alla fatica. 

ALFONSO RODRIGUEZ

sabato 22 ottobre 2022

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che aiuta grandemente ad acquistar la perfezione il dimenticarsi l'uomo del bene passato e metter l'occhio in quello che gli manca. 


1. «Chi è giusto si faccia tuttora più giusto, e chi è santo tuttora si santifichi» (Ap 22, 11). S. Girolamo e S. Beda sopra quelle parole del S. Vangelo: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno satollati» (Mt 5, 6), dicono: «Chiaramente c'insegna Cristo nostro Redentore in queste parole, che non abbiamo mai da pénsare, che ci basti di giustizia quel che abbiamo; ma che ogni giorno abbiamo da procurare di diventar migliori» (S. HIERON. in S. Matth. 5, 6; S. BEDA, Hom, l. 3; Hom. 69). Questo è, quello che c'insegna l'Apostolo ed evangelista S. Giovanni nelle parole proposte. 

 

 2. L'Apostolo S. Paolo, scrivendo ai Filippesi, ci dà un mezzo molto a proposito per quest'effetto, del quale dice che egli si valeva: «Io, fratelli, non mi credo di aver toccato la meta. Ma questo solo, che dimentico di quel che ho dietro le spalle, e stendendomi verso le cose che mi stanno davanti, mi avanzo verso il segno, verso il premio della superna vocazione di Dio in Cristo Gesù» (Philipp. 3, 13. 14). Qui l'Apostolo dice, che non si tiene per perfetto; chi dunque si potrà tenere per tale? Io, dice, non mi penso d'aver acquistata la perfezione; procuro però di affrettarmi per acquistarla. E che cosa fate, o santo Apostolo, per arrivarvi? Sai che fo? mi dimentico delle cose passate e mi metto avanti gli occhi quel che mi manca; verso quello mi volgo con ogni sforzo, facendomi animo e procurando di arrivare alla meta del sospirato conseguimento. 

 Tutti i Santi commendano grandemente questo mezzo, ed anche per questo stesso che è mezzo dato e praticato dall'Apostolo. Dice S. Girolamo: «Chiunque è santo, ogni giorno si protende verso quello che gli sta innanzi e si dimentica di quello che si lascia dietro». Il che vuol dire che chiunque vuol farsi santo deve scordarsi del bene che ha già fatto e farsi coraggio per arrivare a quello che gli manca. «È felice, soggiunge il Santo, colui che ogni giorno va profittando nella virtù». E chi è costui? Sai chi? E colui «che non considera che cosa ha fatto ieri, ma che cosa deve far oggi per fare profitto» e camminare avanti nella virtù (S. HIERON. Sup. Ps. 83). 

ALFONSO RODRIGUEZ

mercoledì 29 dicembre 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Si manca al proprio dovere.  

4. S. Girolamo e S. Giov. Crisostomo dichiarano anche più questa cosa con un'altra dottrina, comune tra i Santi e tra i teologi, e l'apporta S. Tommaso trattando dello stato della religione (2. 2. q. 184, a. 5, ad 2; q. 186, a. 1, ad 3). Dice ivi S. Tommaso che i religiosi sono in istato di perfezione; non già che subito che sono religiosi abbiano ad esser perfetti; ma che sono obbligati ad aspirare e ad anelare alla perfezione; e chi non procura d'esser perfetto, né tratta di questo, dice che è religioso finto, perché non fa quelle cose per le quali è venuto alla religione. Non tratto ora di mettere in chiaro e di determinare se peccherebbe o no mortalmente quel religioso che dicesse: lo mi contento d'osservare i comandamenti di Dio e i miei voti essenziali; ma non voglio osservare le altre regole, che non obbligano a peccato; perché intorno a questo punto i dottori parlano differentemente. Alcuni dicono, che peccherebbe mortalmente; altri dicono che, non intervenendovi qualche sorta di dispregio, non commetterebbe peccato mortale: ma quello che è certo, ed in cui tutti convengono, è che il religioso, il quale avrà questa volontà e starà in questo proponimento, sarà un cattivo religioso, scandaloso e di mal esempio; e che moralmente starà in gran pericolo di cadere in peccati mortali; perché colui che le piccole cose disprezza, a poco a poco andrà in rovina (Sir 19, 1): e al nostro proposito basta ben questo, poiché assai anche è questo per ritornare indietro. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

sabato 6 novembre 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Similitudine della corrente. 


Ma mi dirà alcuno: Avete detto bene, e così sarà, perché lo dicono i Santi; ma tutto ciò pare che sia un parlare in parabole, in figure e in enigmi: «spiegaci questa parabola» (Mt 15, 15). Vorremmo che ci dichiaraste questa verità più alla semplice e più chiaramente. Me ne contento, e mi piace. I Santi vanno dichiarando tuttavia questa cosa. Cassiano la dichiara con una bella similitudine, la quale è ancora di S. Gregorio (CASS. L. c. col. 564; S. GREG. III. Reg. past. adm. 35, c. 34; M. PL. v. 77, col. 118)18. Come se alcuno, trovandosi in mezzo alla corrente d'un impetuoso fiume, volesse fermarsi e non s'affaticasse per andare all'insù contr'acqua, starebbe in grandissimo pericolo d'andarsene all'ingiù, portato dalla furia della corrente; così, dicono, accade nella via della vita spirituale. Questo è un andare tanto contr'acqua, e tanto difficile alla nostra natura corrotta per il peccato, che chi non si affatica e si sforza per andare all'insù ed avanzarsi, sarà trasportato all'ingiù dalla corrente delle sue passioni. Come avviene a chi naviga contro vento e contr'acqua, che in lasciar di lavorare di braccia e di vogare all'insù, presto si trova molto addietro. «Il regno dei cieli si acquista colla forza, ed è preda di coloro che usano violenza» (Mt 11, 12). Bisogna andar sempre lavorando di braccia e facendo forza contro la corrente delle nostre passioni: se no, ci troveremo in un tratto molto scapitati e deteriorati. 

ALFONSO RODRIGUEZ

venerdì 24 settembre 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Si dichiara come il non camminare avanti è un tornare indietro.

2. Questo medesimo, e quasi colle medesime parole, dicono S. Gregorio, S. Giovanni Crisostomo, S. Leone Papa e molti altri Santi, e lo replicano molte volte: ma particolarmente S. Bernardo prosegue questa materia a lungo in due delle sue epistole. Va ivi parlando col religioso lento e tiepido, che si contenta d'una vita comune e non vuole camminare avanti nel suo profitto, ed argomenta con lui in questo modo: «O monaco, non vuoi camminare avanti? - No. - Dunque vuoi tornare indietro? - né anche questo. - Dunque che cosa vuoi fare? - Voglio starmene così come sto; non voglio essere né migliore, né peggiore. - Ma questo è un volere quello che non può essere. Infatti qual cosa vi è in questo mondo che duri ferma in un medesimo stato» (S. BERN. Ep. 254, n. 4; ep. 385, n. 1). Di Dio solo è proprio questo: «In cui non è mutamento né alternativa di adombramento» (Gc1,17), ed egli solo può dire di sé: «Io sono il Signore, e sono immutabile» (Ml3, 6). Tutte le cose del mondo stanno in continua mutazione. «Invecchieranno tutti come un vestito, e come un mantello li cangerai e saranno cangiati; ma tu sei quell'istesso e gli anni tuoi non verranno meno» (Ps. 101, 27, 28). E dell'uomo particolarmente dice Giobbe, che mai non dura in un essere, né in uno stato medesimo. «Fugge come ombra, né mai resta in un medesimo stato» (Gb14, 2). E dell'istesso Cristo dice S. Bernardo: «Stette egli forse fermo fino a quando fu su questa terra e conversò cogli uomini?» ( Loc. cit.). No. Dice di lui l'evangelista S. Luca: «Gesù avanzava in sapienza, in età e in grazia presso Dio e presso gli uomini» (Lc 2, 52). Il che s'intende del mostrar che faceva colle opere sue esteriori segui sempre maggiori di sapienza e di santità. E il Profeta dice che: «Si accinse con giubilo a correre questa strada» (Ps. 18, 15). Se dunque noi altri vogliamo tenercela con Cristo, abbiamo da camminare del passo medesimo con cui camminò egli. «Chi dice di stare in lui, dice San Giovanni, deve esso pure camminare come egli camminò» (1Gv 2, 6.). «Ora Sé, osserva S. Bernardo, correndo Cristo, tu te ne stai fermo, non ti avvicini a lui, ma piuttosto te ne allontani» (Loc. cit.)13. E soggiunge: «Giacobbe vide una scala (Gen. 28, 12,13), e sulla scala degli angeli, dei quali nessuno gli apparve seduto, nessuno fermo, ma si vedevano tutti o salire o discendere» (Loc. cit.): solo Dio stava seduto sulla sommità della scala, per darci ad intendere, come appunto insegna S. Bernardo, che in questa vita nella via della virtù non v'è mezzo tra l'ascendere e il discendere, tra l'andar avanti e il tornar indietro; ma che per la stessa ragione per cui uno non cammina innanzi, ritorna indietro; a guisa della ruota del tornio che adopera il tornitore, che mentre egli la vuol fermare, si rigira indietro. Lo stesso dice l'abate Teodoro, come riferisce Cassiano: «Dobbiamo, così egli, con indefessa cura e sollecitudine applicarci sempre allo studio delle virtù ed occuparci di continuo in questo esercizio, affinché col venir meno l'avanzamento non abbia altresì a tener tosto dietro una diminuzione delle virtù stesse; poiché, come abbiamo detto, non può l'animo stare in un solo e medesimo stato, cosicché o non acquisti aumento di virtù o non ne soffra scapito; ché il non farne acquisto è lo stesso che soffrirne diminuzione, poiché, venendo meno la volontà di progredire, questa non sarà lungi, dal pericolo di indietreggiare» (CASS. coll. 6, c. 14; M. PL. v. 49, col. 665). 

ALFONSO RODRIGUEZ 

martedì 17 agosto 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Non andare avanti è tornare indietro. 

1. È sentenza comune di tutti i Santi: «Nella via del Signore il non camminare avanti è tornare indietro». Questa cosa dichiareremo qui, e ci servirà d'un mezzo molto buono per animarci a far progresso nella perfezione. Poiché, chi è colui che voglia tornare indietro da quel che ha cominciato specialmente vedendo che ha contro di sé la sentenza del Salvatore nel Vangelo: «Nessuno che, dopo aver messo mano all'aratro, volga indietro lo sguardo, è buono pel regno di Dio» (Lc 9, 62). Colui che ha posto mano all'aratro e ha cominciato a camminare per la via della perfezione, se riguarda indietro, non è atto pel regno dei cieli. Sono parole queste che ci dovrebbero far tremare. S. Agostino dice: «Tanto non torniamo addietro, quanto ci sforziamo di camminare avanti, e subito che cominciamo a fermarci, torniamo indietro» (Epist. Pelagii ad Demetr. c. 27). Sicché se vogliamo non tornar indietro, è necessario che sempre camminiamo e procuriamo d'andar innanzi. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

sabato 17 luglio 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che è gran segno di essere in grazia di Dio il vivere con desiderio d'andar crescendo e facendo progresso nella perfezione. 


I fervorosi avanzano, i tiepidi indietreggiano. 

Si conferma benissimo questa cosa con quel che dice lo spirito Santo nei Proverbi: «La via dei giusti è simile alla luce che comincia a risplendere, la quale si avanza e cresce fino al giorno perfetto» (Prov 4, 18). Ossia la via e il sentiero dei giusti e il loro modo di procedere è come la luce del sole, che esce fuori la mattina, e quanto, più cammina, tanto più va crescendo e perfezionandosi, sin che arriva alla perfezione del mezzo giorno: così i giusti, quanto più camminano innanzi, tanto più vanno crescendo in virtù. «Il giusto, dice S. Bernardo, non crede mai d'aver raggiunto la meta; non dice mai: basta; ma sempre ha fame e sete della giustizia, così che, se sempre durasse in vita, sempre, per quanto sta da sé, si adoprerebbe di diventare più giusto; sempre si sforzerebbe con ogni diligenza di progredire di bene in meglio» (Ep. 251 ad Abb. Guar. n. 2). Il giusto non mai dice, basta; perché dei giusti sta scritto: «Andranno di virtù in virtù» (Ps. 83, 7), perché sempre procurano di camminar avanti, crescendo di virtù in virtù, sino ad arrivare alla cima della perfezione. Ma la via dei tiepidi, degl'imperfetti e dei cattivi è come la luce della sera, che va diminuendo, offuscandosi e imbrunendo sempre, sino ad arrivare alle tenebre ed all'oscurità della mezza notte. «Tenebrosa è la via degli empi: non sanno ove sia il precipizio» (Prov. 4, 19). Arrivano a tanta cecità, che non vedono ove inciampano, né s'avvedono dei mancamenti e delle imperfezioni che commettono, né rimorde loro la coscienza quando cadono in esse; anzi alle volte pare loro che non sia peccato quel che è peccato, e che sia veniale quello che forse è mortale: tanta è la confusione e cecità loro! 

ALFONSO RODRIGUEZ 

martedì 4 maggio 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che è gran segno di essere in grazia di Dio il vivere con desiderio d'andar crescendo e facendo progresso nella perfezione. 


2. Timore del contrario, mitigato da questo desiderio.  

2. Diceva il glorioso S. Bernardo, che tremava e se gli drizzavano per l'orrore i capelli quando considerava quello che dice lo Spirito Santo per mezzo del Savio: «Non sa l'uomo se sia degno di amore o di odio» (Qo9, 9). «È terribile, esclama il Santo, questo passo e privo di ogni tranquillità. Inorridii tutto ogni qual volta mi sentii portato ad esso, replicando tra me e me con tremore quella sentenza: Chi lo sa se è degno di amore o di odio?» (Ser. 23 in cant.). Or se questa considerazione, di non saper noi se stiamo in grazia o in disgrazia di Dio, faceva tremare gli uomini santi, che erano colonne della Chiesa, che farà in noi altri, i quali, per molti motivi che ne abbiamo dati, «abbiamo in noi stessi avviso di morte?» (2Cor 1, 9). Io so per cosa certa che ho offeso Dio; ma non so con certezza se egli mi abbia perdonato: e chi non tremerebbe a questa considerazione? Oh quanto stimerebbe uno l'aver qualche pegno o sicurezza in una cosa, che tanto gl'importa! Oh s'io sapessi che il Signore mi ha perdonato i miei peccati! Oh s'io sapessi che sto in grazia di Dio! Or quantunque sia vero, che in questa vita non possiamo aver certezza infallibile di stare in grazia e amicizia di Dio, senza sua particolare rivelazione; possiamo nondimeno averne alcune congetture, le quali ce ne danno qualche probabilità morale: ed una di esse, e molto principale, si è l'aver uno questa fame e questo desiderio di profittare e d'andar ogni giorno crescendo più in virtù e perfezione. Onde questa cosa sola ci dovrebbe bastare per star sempre con questo desiderio; cioè l'avere un pegno ed una testimonianza così grande di stare in grazia ed amicizia di Dio, che è una delle maggiori consolazioni e contentezze, o la maggiore assolutamente che possiamo avere in questa vita. 

ALFONSO RODRIGUEZ

venerdì 2 aprile 2021

Che è gran segno di essere in grazia di Dio il vivere con desiderio d'andar crescendo e facendo progresso nella perfezione.

 


ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE 


Desiderio della perfezione segno d'essere in grazia di Dio.

Per animarci maggiormente ad aver grande desiderio del nostro profitto e fame e sete di far progresso nella virtù e di piacer ogni giorno più al Signore, e per usar in ciò maggior diligenza e sollecitudine, ci aiuterà una cosa molto principale e di grande consolazione; ed è, che uno dei maggiori e più certi contrassegni che si hanno di abitar Dio in un'anima e di star ella bene con Dio è questo, l'avere un tal desiderio e una tale fame e sete. Così dice S. Bernardo: «Non v'è maggior contrassegno né più certa testimonianza della presenza di Dio in un'anima, che l'aver ella un gran desiderio di maggior virtù, di maggior grazia e di maggior perfezione» (Ser. de S. Andrea, n. 4). E il Santo lo prova; perché lo stesso Dio lo dice per mezzo del Savio: «Coloro che mi mangiano hanno sempre fame; e coloro che mi bevono hanno sempre sete» (Sir 24, 29). Se hai fame e sete delle cose spirituali e di Dio, rallegrati; ché questo è contrassegno e testimonianza molto grande che Iddio abita nell'anima tua: egli è quegli che ti cagiona questa fame e questa sete; hai trovata la vena di questo divino tesoro, e questo stesso n'è il segno, poiché così bene la seguiti. Come il cane da caccia va lento e pigro quando non ha ancora trovata la traccia della fiera; ma dopo che l'ha sentita, si accende e con grande velocità corre cercando in questa parte e in quella quel che ha fiutato, né si ferma fino a tanto che non l'abbia trovato; così anche colui che davvero ha odorata quella divina soavità, corre all'odore di questo prezioso unguento: «Traimi tu dietro a te: correremo noi all'odore dei tuoi profumi» (Cant. 1 3). Dio, che sta dentro di te, ti tira dietro a sé. E se non senti in te questa fame e sete, temi che ciò non avvenga forse perché non dimori Dio nel tuo cuore: ché questa proprietà hanno le cose spirituali e di Dio, come già abbiamo sentito da S. Gregorio, che quando non le abbiamo, allora non le amiamo, né le desideriamo, né ci curiamo punto di esse. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

domenica 28 febbraio 2021

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che quanto più uno si dà alle cose spirituali, tanto maggior fame e desiderio ha di esse . 

 

1. Come ci contentano i beni spirituali. 

2. Diversità coi beni temporali.  

3. Come tolgono e accrescono fame e sete. 

 

 1. «Coloro che mi mangiano hanno sempre fame; e coloro che mi bevono hanno sempre sete» (Sir 24, 29) dice lo Spirito Santo, parlando della Sapienza divina. S. Gregorio (S. GREG. Homilia 36 sup. Evang. n. 1) dice, che fra i beni e diletti del corpo e quelli dello spirito v'è questa differenza: che quelli, quando non li abbiamo, cagionano grande appetito e desiderio di sé; ma conseguiti che li abbiamo, non stimiamo niente ciò che si è acquistato. Desidera uno colà nel mondo un uffizio, una cattedra; e subito che l'ha avuta, non stima niente quella cosa e volge l'occhio ad un'altra maggiore, come ad aver un canonicato, o un ufficio di uditore: e conseguito questo, subito se ne infastidisce e comincia a desiderare un'altra cosa più eminente, come un posto nel consiglio reale, e poi un vescovato: e né anche quivi sta contento, ma subito mette l'occhio in qualche altra cosa maggiore, non stimando né tenendosi contento di quel che ha avuto. Ma nelle cose spirituali è tutto al rovescio; ché quando non le abbiamo, allora ci cagionano fastidio e abbiamo renitenza ad esse: e quando le abbiamo e possediamo, allora le stimiamo più ed abbiamo di esse maggior desiderio; e tanto più, quanto più le gustiamo. Ne rende S. Gregorio la ragione di questa differenza; perché quando conseguiamo ed abbiamo i beni e diletti temporali, allora conosciamo meglio l'insufficienza ed imperfezione loro; e vedendo che non ci saziano, né ci soddisfano, né danno la contentezza che pensavamo, stimiamo poco quel che abbiamo conseguito e restiamo con sete e desiderio d'altra cosa maggiore, pensando di trovar in essa il contento che desideravamo. Ma c'inganniamo, perché lo stesso sarà dopo conseguita questa e quell'altra cosa; e nessuna cosa di questo mondo ci potrà mai saziare: ché questo è quello che disse Cristo nostro Redentore alla Samaritana: «Tutti quelli che bevono di quest'acqua, torneranno ad aver sete» (Gv4, 18). Bevi quanto tu vuoi di quest'acqua di qua, che da lì a poco tornerai subito ad aver sete. L'acqua dei gusti e diletti che dà il mondo, non può saziare né soddisfare la nostra sete; ma i beni e diletti spirituali, quando si posseggono, allora sì che si amano e si desiderano maggiormente; perché allora si conosce meglio il prezzo e la valuta loro: e quanto più perfettamente li possederemo, tanto maggior fame e sete ne avremo. Quando uno non ha provate le cose spirituali, né ha cominciato a gustarle, non è gran cosa, dice S. Gregorio, che non le desideri. «Chi infatti, dice egli, può amare e desiderare quello che non conosce», né ha provato che sapore abbia? Perciò dice l'Apostolo S. Pietro: «Se pure avete gustato come è dolce il Signore» (1Pt. 2, 3); e il Salmista: «Gustate e fate esperienza come soave sia il Signore» (Ps. 33, 8); perché subito che comincerete a gustar di Dio e delle cose spirituali, troverete in quelle tanta dolcezza e soavità, da rimanerne sempre più presi. Or questo è quello che, per bocca del Savio, dice la divina Sapienza con queste parole: Chi di me mangerà e beverà, quanto più ne mangerà, tanto ne avrà più fame, e quanto più ne beverà, tanto più ne avrà sete. Quanto più vi darete alle cose spirituali e di Dio, tanto maggior fame e sete avrete di esse. 

 2. Ma, mi dirà alcuno, come si accorda questo con quello che disse Cristo alla Samaritana: «Chi beve di quell'acqua che gli darò io, non avrà più sete in eterno?» (Gv4,13). Qui Cristo dice, che chi berrà dell'acqua che gli darà lui, non avrà più sete; e in quell'altro luogo dice lo Spirito Santo, per mezzo del Savio, che quanto più berremo della divina Sapienza, che è quanto dire delle cose spirituali, tanto più ne avremo maggior sete: come si accorda l'uno con l'altro? A questo rispondono i Santi, che quel che disse Cristo alla Samaritana, s'intende in questo modo: che chi berrà dell'acqua viva, che ivi gli promette, non avrà più sete dei diletti sensuali e mondani; perché la dolcezza delle cose spirituali e di Dio glieli farà parere insipidi. Dice S. Gregorio: «Siccome ad uno, dopo aver mangiato del miele, tutte le altre cose gli paiono insipide e amare; così subito che uno gusta di Dio e delle cose spirituali, tutte le cose del mondo gli fanno nausea e gli paiono insipide e amare» (S. GREG. loc. cit.). Ma quel che dice il Savio in quell'altro luogo, cioè quelli che di me mangiano, seguiranno ad averne fame, e quelli che di me bevono, seguiranno ad averne sete; s'intende delle stesse cose spirituali, ché quanto più uno gusterà di Dio e delle cose spirituali, tanto maggior fame e sete avrà di esse; perché conoscerà meglio quanto valgono e meglio sperimenterà la loro grande dolcezza e soavità; e così avrà di quelle maggior desiderio. In questa maniera accordano i Santi questi due luoghi. 

 3. Ma come s'accorda questo con quel che dice Cristo in S. Matteo: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno satollati?» (Mt 5, 6). Qui dice che quelli che avranno fame e sete della giustizia rimarranno sazi; e quel luogo del Savio dice, che quelli che mangeranno e berranno delle dolcezze della divina Sapienza ne resteranno sempre con maggior fame e sete. Queste due cose, cioè aver fame e sete ed esser satolli, come sono compatibili? Ma vi è una buona risposta. Questa è l'eccellenza dei beni spirituali, che con saziare, cagionano fame, e con soddisfare al nostro cuore e al nostro desiderio, cagionano sete; ed una sazietà congiunta con fame, ed una fame congiunta con sazietà. Questa è la meraviglia, la dignità e la grandezza di questi beni, che soddisfano e saziano il cuore, ma in modo che sempre restiamo con fame e sete di essi; e quanto più andiamo gustandone, mangiandone e bevendone, tanto più ne cresce in noi la fame e la sete. Ma questa fame non dà fastidio, anzi dà contentezza; e questa sete non dà affanno né angoscia, ma più tosto ricrea e cagiona una soddisfazione e un gusto grande nel cuore. Vero è che la perfetta e compiuta sazietà sarà nel cielo, secondo quel detto del Profeta: «Sarò satollato all'apparire della tua gloria» (Ps. 16, 15); ed altrove: «Saranno inebriati dall'opulenza della tua casa» (Ps. 35, 8). Ma anche colà nella gloria, dice S. Bernardo sopra queste parole (Sermo 94 de diversis. n. 2), in tal maniera ci sazierà lo stare vedendo Dio, che sempre ne staremo come con fame e con sete; perché non mai ci cagionerà rincrescimento né noia quella felice vista di Dio, ma sempre staremo con una nuova voglia di vederlo e goderlo, come se quello fosse il primo giorno e la prima ora. In quella guisa che S. Giovanni dice nell'Apocalisse, che vide i beati starsi alla presenza del trono e dell'Agnello con grande musica e festa, e «cantavano come un nuovo cantico» (Ap14. 3); perché sempre si rinnoverà quel cantico, e quella manna divina ci darà del continuo un gusto sì nuovo, che andremo del continuo con nuova ammirazione dicendo: «Manhu, vale a dire: che è questo?» (Es 16, 25). Or di questa maniera sono anche di qua le cose spirituali; perché sono una partecipazione di quelle celesti, che da un canto saziano, soddisfano e riempiono il cuore, e dall'altro cagionano fame e sete di se stesse: e quanto più ci diamo ad esse e più le gustiamo e godiamo, tanto maggior fame e sete ne abbiamo: ma questa stessa fame è una sazietà, e questa sete è un ristoro e una soddisfazione molto grande. Tutto questo ci ha da aiutare a far una stima tanto grande e ad apprezzar tanto le cose spirituali e ad averne desiderio tanto ardente, ed a nutrire per esse una sì sviscerata affezione, che dimenticate e sprezzate tutte le cose del mondo, diciamo con l'Apostolo S. Pietro: «Signore, buona cosa è per noi lo star qui» (Mt 17, 4). 

ALFONSO RODRIGUEZ

sabato 21 novembre 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE

 


Che l'aver gran desiderio del nostro profitto è un mezzo molto principale ed una disposizione assai grande per ricever grazie dal Signore. 


Dannosa.

Assalonne restò appiccato pei suoi belli e indorati capelli ( 2Sam 18,9); così verrà la morte a molti e resteranno appiccati per i loro buoni e in dorati proponimenti. L'Apostolo ed evangelista S. Giovanni nella sua Apocalisse dice, che vide una donna che stava per diventare madre, e vicino ad essa un dragone molto grande per divorarsi la creatura appena nata (Ap12, 2, 3 etc). Questo è quello che procura il demonio a tutto suo potere, quando l'anima concepisce qualche buon proponimento: e così è necessario che noi altri, per lo contrario, procuriamo con tutte le nostre forze che i nostri desideri siano tali e tanto efficaci, che veniamo a metterli in esecuzione. E questo dice S. Bernardo (Serm. 37 de diversis, n, 9) che volle dire il profeta Isaia in quelle parole non meno sentenziose che brevi: «Se voi cercate, cercate» (Is21, 12). Vuol dire: non vi stancate, perché i desideri e proponimenti veri hanno da essere efficaci e perseveranti, e tali, che ci facciano molto solleciti e bramosi di piacere sempre più a Dio; conforme al detto del profeta Michea: «Io t'insegnerò, o uomo, quello che è ben fatto e quello che il Signore cerca da te: valle a dire che tu, faccia giudizio ed ami la misericordia e cammini con sollecitudine dietro al tuo Dio» (Mic6,8). 

 Questi ferventi desideri sono quelli che ricerca da noi il Signore, per farci delle grazie e riempirci di beni. Beati quelli che hanno questa fame e sete della virtù e della perfezione, perché questi saranno resi sazi, e Dio adempirà i loro desideri. Di S. Geltrude si legge che il Signore le disse: Io ho dato a ciascun fedele un cannellino d'oro, col quale possa succhiare e cavare dal mio deificato cuore quanto saprà desiderare; e un tal cannellino le dichiarò essere la buona volontà e il buon desiderio (In Vita S. Gertrud.). 

ALFONSO RODRIGUEZ 

domenica 30 agosto 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Che l'aver gran desiderio del nostro profitto è un mezzo molto principale ed una disposizione assai grande per ricever grazie dal Signore. 


Prove della Scrittura.

Nel capo sesto della Sapienza ci si fa anche più chiaramente intendere questa verità; poiché parlandosi ivi della Sapienza, ch'è l'istesso Dio, si dice: «È facilmente veduta da quelli che l'amano, ed è facilmente trovata da quelli che la cercano» (Sap. 6, 13). Sapete quanto facilmente? «Previene coloro che la bramano, ed ella la prima ad essi si fa vedere» (Ibid. 14). Non avete incominciato voi a desiderarla, che già si trova con voi. «Chi di gran mattino andrà in cerca di lei, non avrà da stancarsi; poiché la troverà assisa alla sua porta» (Ibid. 15). La prima cosa nella quale s'incontrerà nell'aprire la propria porta sarà questa Sapienza divina, che è lo stesso Dio. Oh bontà e misericordia infinita di Dio! Non si contenta solamente d'andar egli cercando noi altri e di dar una o più bussate alla nostra porta, acciocché gli apriamo: «Ecco che io sto alla porta e picchio», dice nell'Apocalisse (Ap3, 20); e nei Cantici: «Aprimi, sorella mia» (Cant. 5, 2). No, non si contenta, dico, solamente di questo; ma, come stanco di battere, si mette a sedere alla nostra porta, dandoci a conoscere che già sarèbbe entrato, se non avesse trovata la porta chiusa; e che con tutto ciò non se ne va via, ma si mette ivi a sedere, acciocché, aprendo tu, subito t'incontri con lui. Sebbene hai tardato ad aprir il tuo cuore a Dio e a rispondere alla sua buona ispirazione; egli con tutto ciò non s'è partito ancora, avendo più voglia d'entrare di quel che tu pensi; sta a sedere alla porta, aspettando che tu gli apra. «Aspetta il Signore a fin di usarvi pietà» (Is30, 18), perché non vi è amico che tanto desideri entrare in casa d'un altro amico, quanto desidera Dio di entrar nel tuo cuore. Maggior voglia ha egli di comunicarsi a noi e di farci delle grazie, di quella che noi possiamo avere di riceverle; ma sta aspettando che lo desideriamo e che ne abbiamo questa fame e questa sete: «A chi ha sete io darò gratuitamente della fontana dell'acqua della vita» (Ap21, 6). «Chi ha sete venga a me, e beva» (Gv7, 37). Vuole il Signore che abbiamo gran desiderio della virtù e della perfezione, acciocché quando egli ce ne darà qualche parte, la sappiamo stimare e conservare come cosa molto preziosa: perché quello che poco si desidera, poco si suole stimare dopo che si è ottenuto. E così una delle principali cagioni, per le quali ci avanziamo poco nella virtù e restiamo tanto indietro nella perfezione, è perché non abbiamo fame e sete di essa: la desideriamo con tanta tiepidezza e languore che i nostri desideri paiono più tosto morti che vivi. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

giovedì 2 luglio 2020

Che l'aver gran desiderio del nostro profitto è un mezzo molto principale ed una disposizione assai grande per ricever grazie dal Signore.



1. Desiderio della perfezione, fonte di grazie.  

1. Grandemente ancora c'importa l'aver questo desiderio e questa fame e sete del nostro profitto; perché questa è una delle migliori disposizioni ed uno dei principali mezzi che possiamo mettere dal canto nostro per ricevere dal Signore la virtù e perfezione che desideriamo. Così dice S. Ambrogio: «Quando uno ha gran desiderio del suo profitto e di crescere nella virtù e nella perfezione, Dio gusta tanto di questo, che lo arricchisce e lo riempie di bene e di grazie» (S. AMBROS. Serm. 3 sup. Ps. 118). E apporta a questo proposito quel che disse la sacratissima Vergine nel suo Cantico: «Dio ha ricolmati di bene i famelici» (Lc 1, 53). E il medesimo aveva detto prima il Salmista: «Perché Egli ha saziata l'anima sitibonda, e ha ricolmo di beni l'anima famelica» (Ps. 106, 9). Quelli che hanno tanto desiderio della virtù e della perfezione, che di essa hanno fame e sete, sono arricchiti e riempiti dal Signore di doni spirituali, perché Egli si compiace grandemente del buon desiderio del nostro cuore. Apparve a Daniele l'angelo Gabriele e gli disse, che le sue orazioni erano state esaudite sin dal principio, perché era «uomo di desideri» (Dan. 9, 23). E al re David Iddio confermò il regno per i suoi discendenti in grazia della volontà e del desiderio che ebbe di fabbricar casa e tempio al Signore. E sebbene non volle che glielo fabbricasse egli stesso, ma Salomone, suo figliuolo; gli piacque nondimeno grandemente quel desiderio, e gliene diede il premio, come se lo avesse posto in esecuzione (2Sam 7,12, 13,16). Di Zaccheo poi dice il sacro Vangelo, che desiderò vedere Gesù, e dal medesimo Gesù fu veduto egli il primo, invitato si da sé il Signore e spontaneamente entratogli in casa (Lc 19, 5). 

ALFONSO RODRIGUEZ 

lunedì 1 giugno 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Del desiderio ed affezione che dobbiamo avere alla virtù e alla perfezione 


Rende facile ogni cosa.

E di più questa cosa, che cioè l'esercizio della virtù esca dal cuore, reca seco un altro bene, che è quello che rende tanto efficace questo mezzo; e il bene è, che fa riuscir facili e soavi le cose, siano pur esse quanto si voglia difficili di loro natura. Dimmi un poco, per qual cagione ti si rese già tanto facile il lasciar il mondo e l'entrare nella religione; se non perché ti uscì tale risoluzione dal cuore, dandoti il Signore una volontà ed affezione ben grande a questa cosa, che fu la grazia della vocazione, togliendoti l'affezione verso le cose del mondo e mettendotela verso quella della religione; e con questo ti si rese l'entrarvi sì facile? E per qual cagione a quelli che se ne restano nel mondo riesce questa risoluzione di abbandonarlo tanto difficile? perché Dio non ha dato loro questa volontà ed affezione, che ha data a te: non li ha chiamati Dio, come essi dicono, né ha concessa loro questa grazia della vocazione. Siccome dunque per entrar nella religione ti fu facilitata la strada dalla volontà e dal desiderio grande che n'avesti, sicché non furono bastanti né il padre né la madre né i parenti né tutto il mondo a distortene; così ancora per andar profittando nella religione e per aver facilità negli esercizi di essa è necessario che duri codesta volontà e desiderio con cui entrasti in essa: e sin a tanto che durerà, ti saranno facili questi esercizi; ma se mancherà, sappi che ogni cosa ti si renderà difficile ed ardua. 
 Questa è la cagione del trovarci noi alcune volte tanto pesanti, ed alcune altre tanto snelli. Non sia chi ne incolpi le cose, né i Superiori: diane pur la colpa a se stesso e alla poca virtù e poca mortificazione. Dice il padre maestro B. Giovanni D'Avila (B. IOANNES DE AVILA. Epp. p. 1, ep. 2): «Un uomo sano e gagliardo facilmente alzerà un gran peso; ma uno debole o un fanciullo diranno: oh quanto pesa!». Questa è la cagione della nostra difficoltà; ché le cose sono le medesime, e in altro tempo ci erano facili, né in esse eravamo restii; sta dentro di noi la colpa, i quali quando dovremmo esser uomini di valore e aver fatto progresso nella perfezione, quando dovremmo esserci cambiati «in uomini perfetti», (Ef 4, 13) come parla S. Paolo, siamo tuttavia fanciullini nella virtù, siamo divenuti deboli e abbiamo allentato in quel desiderio di far profitto, col quale siamo entrati nella religione. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

sabato 16 maggio 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Del desiderio ed affezione che dobbiamo avere alla virtù e alla perfezione 


Supplisce la vigilanza dei Superiori. 

Questo negozio della perfezione non è negozio, che si abbia a fare per forza, ma ha da procedere dal cuore. E così disse Cristo nostro Redentore a quel giovinetto del Vangelo: «Se vuoi essere perfetto» (Mt 19, 21). Ma se tu non vuoi, non basteranno tutte le diligenze e i mezzi che possono usare i Superiori per farti perfetto. Questa è la risposta e la dichiarazione della domanda, che fa S. Bonaventura, dicendo: qual è la cagione che anticamente un Superiore bastava per mille monaci, e per tre mila, e per cinquemila, come in fatti S. Girolamo e S. Agostino dicono, che tanti volevano stare sotto un Superiore; ed ora uno non basta per dieci; né per meno di dieci? (S. BONAV. De exter. etc. l. 2, c. 50, n. 5.) La ragione di questo si è, perché quegli antichi monaci avevano dentro del loro cuore un vivo ed ardente desiderio della perfezione, e quel fuoco, che là dentro ardeva faceva pigliar loro molto a petto il proprio profitto e li spingeva a camminare con gran fervore. «Risplenderanno i giusti e trascorreranno come scintille in un canneto» (Sap. 3, 7). Con questa metafora lo Spirito Santo ci dichiara molto bene la velocità e la facilità con cui camminano i giusti per la via della virtù quando si è acceso questo fuoco nel loro cuore. Guarda con che velocità e facilità corre la fiamma per un canneto secco, quando s'appicca in esso il fuoco: ora in questa maniera corrono i giusti per la via della virtù, quando sono accesi ed investiti da questo fuoco divino. Così facevano quei monaci antichi, e perciò non avevano bisogno di Superiore per quest'effetto; ma piuttosto per andarli ritenendo nei loro fervori. Quando poi non vi sia questo, non solo non basterà un Superiore per dieci, ma né anche basteranno dieci per uno solo, né lo potranno far perfetto, se egli non vuote. Questa è cosa chiara perché; a dire il vero, che gioverà il visitare all'orazione? Passato il visitatore, non può uno fare quel che gli piace? e stando ivi inginocchiato, non può stare pensando allo studio, al negozio e ad altre cose fuor di proposito? E quando va a render conto della coscienza, non può egli dire quello che vuole, e tacere quello che fa più al proposito, e dire che le cose vanno bene, non andando così, ma molto male? Tutto è superfluo e buttato via se egli non vuole e non desidera davvero la sua perfezione. 
 In questo luogo, viene ben a proposito quel che rispose S. Tommaso d'Aquino. Domandandogli una volta una sua sorella, come si sarebbe potuta salvare, le rispose il Santo: «volendo tu» (Hist. Praedic. l. 3, c. 37). Se tu vorrai, ti salverai: e se tu vorrai, farai profitto: e se vorrai, sarai perfetto. Qui batte il punto, che tu voglia, e lo desideri davvero, e ti esca dal cuore; ché Dio dal canto suo sta molto pronto per accorrere a noi: e se non v'è questo, tutto quello di più che possono fare i Superiori, sarà perduto. Tu sei quegli che hai da pigliare a petto il tuo profitto; perché questo è il negozio tuo, e a te importa, e non ad altri, e per questo sei entrato nella religione. E stia pur persuaso ognuno, che quel giorno che allenterà in questo e si dimenticherà di se stesso e di quel che concerne il suo profitto, e non userà diligenza per far bene i suoi esercizi spirituali, e non avrà un vivo ed acceso desiderio di profittare e d'andare innanzi nella virtù e di mortificarsi in quelle cose, nelle quali sa che ha necessità di mortificazione; quel giorno stesso, dico, il suo negozio andrà in rovina. E perciò il nostro S. Padre nel principio delle Costituzioni e delle Regole ci propone e mette questo per fondamento: «La legge interna della carità e dell'amore, che lo Spirito Santo suole scrivere ed imprimere nei cuori, è quella che ci ha da conservare, governare e promuovere nel suo santo servizio» (In prooem. Const. et Summ. reg. l; Epit. 351). Questo fuoco d'amore di Dio e questo desiderio del suo maggior onore e maggior gloria è quello che ci deve andare del continuo sollecitando, per avanzarci e far progresso nella virtù. 
 Quando davvero è nel cuore questo desiderio, esso fa che usiamo diligenza e sollecitudine per conseguire quel che desideriamo; perché la nostra inclinazione è molto industriosa per cercare e trovare quello che desidera, né le mancano mai mezzi per arrivarvi: e perciò disse il Savio, che il principio per acquistar la sapienza è il vero e sviscerato desiderio di essa (Sap. 6, 18). 

ALFONSO RODRIGUEZ 

venerdì 1 maggio 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Del desiderio ed affezione che dobbiamo avere alla virtù e alla perfezione 


Facilita la vita religiosa. 

Questa è la differenza che si vede, fra le cose che si muovono con moti violenti, e quelle che si muovono con moti naturali: ché quelle che si muovono con moti violenti, siccome ciò procede da una certa forza ed impulso esteriore, che loro viene impresso da altri, quanto più vanno innanzi, tanto più si vanno allentando e infiacchendo nel loro moto; come quando si getta un sasso in alto: ma quando le cose si muovono con moto intrinseco e naturale, come quando il sasso va verso il suo centro, avviene il contrario; perché quanto più vanno, tanto più facilmente e celermente si muovono. Or questa è anche la differenza che corre fra quelli che fanno le cose per timore della penitenza e della riprensione, o perché sono osservati, o per altri umani riguardi, e quelli che si muovono per amore e per puro desiderio di piacere a Dio e d'acquistar la virtù. Nei primi quella cosa non dura, se non fin tanto che dura la riprensione, e fino a che sta sopra la persona che opera; e poi subito va declinando. Come riferisce S. Gregorio di quella sua zia Gordiana, che riprendendola le altre due sorelle sue, Tarsilla ed Emiliana, della leggerezza dei suoi costumi e del non procedere colla gravità conveniente all'abito religioso che portava, ella, mentre durava la riprensione, mostrava gravità nel volto e di pigliar la cosa in buona parte; ma subito, passata l'ora della riprensione e del castigo, perdeva quella finta gravità e spendeva il tempo in parole leggiere e in divertirsi in compagnia delle zitelle secolari, che stavano nel monastero (S. GREG. Hom. 38 in Evang. n. 15). Era come l'arco teso con una corda forte, che, allentandosi questa, esso anche s'allenta e ritorna al suo primo essere. Siccome quella affettata gravità non le usciva dal cuore, ma era cosa violenta, così non poteva durare. 

ALFONSO RODRIGUEZ 

giovedì 16 aprile 2020

ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



Del desiderio ed affezione che dobbiamo avere alla virtù e alla perfezione . 


Sostegno del nostro fervore. 

È tanto importante e necessaria cosa, per far profitto, che sia in noi questo desiderio, il quale esca dal cuore e ci tiri dietro a sé, senza che abbiamo bisogno d'andar in ciò dietro a noi stessi, che di colui che non l'avrà, molto poco si potrà sperare. Pigliamo per esempio un religioso, e ciascuno potrà applicare a se stesso questa dottrina secondò lo stato suo. È buona e necessaria nella religione la cura e la vigilanza dei Superiori sopra i sudditi, ed anche vi è bisogno della riprensione e delle penitenze: ma non può la persona fidarsi molto di colui che si muove per questo a far le cose; perché questo al più sarà cagione, che per qualche tempo, quando se gli sta addosso, cammini bene; ma se ciò non gli viene di dentro dal cuore e dal vero desiderio del suo profitto, non accade farne molto conto, perché non potrà durar molto a lungo. 

ALFONSO RODRIGUEZ