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lunedì 9 dicembre 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

(1694-1766) 


Tentazioni demoniache e nuove vittorie – Quando ebbe terminato di travagliarlo con le creature, Dio gli diede il permesso di molestarlo con le tentazioni per accrescere maggiormente di meriti il Santo; e gli diede la libertà di tentarlo con ogni sorta di tentazione, tranne quella contro la purezza, perché Dio non volle mai che il suo purissimo servo fosse tentato in questo. Il nemico si accinse a combattere con tentazioni il fortissimo ed invincibile petto del nostro Giuseppe, e appena finiti i travagli che riceveva dalle creature, incominciò a soffrire dei travagli per mezzo delle molte e varie tentazioni. Prima il demonio si mise a tentarlo di vanagloria, mettendogli davanti la sua grande virtù, la sua bontà, la fedeltà che aveva al suo Dio, il molto che per Lui soffriva, le opere buone che faceva e il molto che aveva lasciato, per cui poteva meritarsi un gran premio e una grande ricompensa da Dio, e che al mondo non c’era nessun altro simile a lui nella bontà e nella pratica delle virtù. Il Santo fu atterrito da queste tentazioni perché, essendo umilissimo, si stimava anche un grande peccatore; per cui fece subito ricorso al suo Dio con la preghiera, perché ben conobbe che quella era una tentazione diabolica; e facendo atti contrari alla tentazione, vinse e superò il nemico, il quale incominciò a tentarlo di gola, facendogli venire voglia di gustare cibi e vivande squisite, e il Santo superò anche questa con più digiuni e mortificazioni. Lo tentò di avversione e odio contro chi l’aveva offeso e maltrattato, ma il Santo desiderava per costoro ogni bene, e pregava il suo Dio di beneficarli. Lo tentò contro la fede, persuadendolo che le cose che l’Angelo gli diceva erano tutte velleità e pazzie, ma in questo il Santo stette sempre forte, come aveva fatto in tutte le altre cose. Gli mise in mente il molto che aveva lasciato e che poteva riacquistarsi tutto, dandogli il desiderio della ricchezza. Il Santo disprezzava tutto, dicendo che gli bastava solo la grazia del suo Dio, e che con quella era pienamente contento. Il Santo fu molto battagliato, e in vari modi, però superò tutto con grande generosità, mentre aveva la grazia e l’assistenza del suo Dio. Il demonio restò abbattuto e, tutto confuso, si ritirò giurandogli però di volergli fare sempre guerra. Il Santo non temeva, perché aveva Dio dalla sua parte e diceva col santo Davide: «Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme…» (Salmo 26, 1-3). «…non temerei alcun male, perché tu sei con me» (Salmo 22, 4). E diceva questo con fiducia al suo Dio, che trovò sempre in suo aiuto. 


martedì 8 ottobre 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


Gli presentano una giovane – Il nemico trovò un altro modo di travagliarlo, assai più penoso al Santo, e fu di mettere nel cuore di alcuni, sotto il pretesto della carità e della compassione, di volere accasare il Santo Giovane, affinché potesse vivere con più comodità, e non patisse tanto nello stare lì solo e abbandonato da tutti. E di fatto alcuni, con buon zelo, si misero a persuaderlo che si accomodasse e si accasasse perché facilmente l’avrebbe trovato, essendo egli un giovane attento e lavoratore. Il Santo inorridì a queste proposte, perché aveva già consacrato a Dio, con un voto, il suo illibato candore; e non solo non ebbe mai tale pensiero, ma inorridiva al sentirne parlare e gli si ricopriva il volto di un rossore verginale, e la risposta che diede a questi, fu che non gli parlassero di accasamento, perché egli stava più che bene in quello stato. Ma non per questo desistettero dal tormentarlo su questo particolare, anzi lo forzavano con lusinghe e con pregi; perciò il Santo ne sentiva una pena molto grande, e rivolto al suo Dio, lo supplicò di volerlo aiutare e difendere da quel travaglio e liberarlo dall’importunità di quelli che, con il pretesto del bene, gli volevano far perdere il prezioso tesoro della verginità, e sovente diceva al suo Dio: «Tu, mio Dio, sai bene che ho sacrificato a te, con un voto, la mia verginità. Non permettere che io sia travagliato su questo particolare!». Dio udiva le suppliche del suo servo fedele, e differiva di esaudirlo per accrescergli maggiormente il merito. Coloro che l’importunavano avevano già trovato di accasarlo, ma trovando che il Santo Giovane era sempre più renitente, non sapevano come fare per farlo cedere alle loro persuasioni; così un giorno si accordarono di condurlo con loro a prendere le misure per fare un certo lavoro, ed in tal congiuntura fargli vedere la giovane destinata da loro per sua sposa e in quell’occasione farlo cedere e piegarsi alle loro suppliche. Chiamato dunque il Santo Giovane, con la scusa del lavoro, lo condussero in casa e gli ordinarono il lavoro. Giuseppe prese le misure del lavoro che doveva fare, e nell’andarsene lo fermarono e gli fecero vedere la giovane da loro destinata per sua sposa, e gli dissero: «Sappi, Giuseppe, che questa è la giovane che vogliamo darti per sposa; non devi contraddire, perché è ornata di virtù e di bontà…». A queste parole il Santo Giovane restò ferito dal dolore, e fuggì con grande velocità, lasciando tutti attoniti per la meraviglia ed insieme confusi, cosicché non lo molestarono più. Il Santo se ne andò subito al Tempio e qui, piangendo, supplicò il suo Dio di volerlo liberare da quella grave persecuzione, che gli si rendeva insopportabile, e Dio lo consolò promettendogli che non sarebbe più stato travagliato in questo. Il nostro afflitto Giuseppe asciugò le lacrime, e si consolò tutto per la promessa il suo Dio gli aveva fatto interiormente, e lo ringraziò del beneficio. 


Consolato dall’Angelo – La notte seguente l’Angelo gli apparve nel sonno e gli ratificò quanto Dio gli aveva promesso, e l’assicurò che il suo Dio aveva goduto molto nel vederlo così costante e fermo nella promessa fattagli di conservarsi vergine. Così il nostro Giuseppe rimase pienamente consolato, e il demonio rimase più confuso e svergognato, ma sempre più infuriato verso il Santo Giovane; e cercò altri modi per travagliarlo, ma ne restò sempre confuso. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

venerdì 30 agosto 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


Consolato da Dio – Dio consolò il suo servo, perché la notte seguente gli apparve l’Angelo e l’assicurò che in quell’occorrenza egli aveva acquistato grande merito e aveva dato molto gusto al suo Dio, e gli disse che stesse pure pronto perché il demonio l’odiava molto e lo voleva travagliare, ma che Dio l’avrebbe assistito e difeso, e che gli permetteva questo per fargli acquistare merito e provare la sua fedeltà. Il Santo restò tutto consolato per queste parole e animato a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza, perché così permetteva il suo Dio che allora fosse travagliato.  

Nuove insidie e vittorie – Il nemico infernale, vedendo che anche in questa occasione era rimasto confuso e svergognato, e che il Santo faceva spiccare di più le sue rare virtù, non si abbatté affatto, ma si infuriò di più ed andava istigando ora uno, ora un altro contro il Santo, mettendosi anche con persone di autorità per screditarlo maggiormente, ma per quanto si adoperasse con le sue frodi, ne restava sempre confuso. Una volta, fra le altre, il Santo aveva fatto un certo lavoro a una persona di credito, e quando gli portò il lavoro fatto e aspettava la sua ricompensa, al posto di ricevere la paga delle sue fatiche, ricevette cattive parole, con dirgli che il lavoro non era fatto a dovere, né di suo gusto, e che piuttosto della paga meritava un castigo; e preso il lavoro cacciò via il Santo con cattivi termini e parole ingiuriose. Il nostro Giuseppe se ne andò soffrendo con grande pazienza quei cattivi termini senza ricevere ricompensa alcuna; e siccome si trovava in grande necessità per il suo mantenimento, se ne andò addirittura al Tempio a supplicare Dio, con la solita confidenza, di volerlo provvedere in quella sua estrema necessità. Dio udì le suppliche del suo servo fedele, e ispirò quello che aveva ricevuto il lavoro a soddisfare il Santo delle sue fatiche, per il che rientrato in sé si avvide del male che aveva fatto e subito andò a cercare il Santo e lo soddisfece di quanto gli doveva, pregandolo inoltre di compatire il suo trascorso. Il Santo ricevette la sua paga come per elemosina, e ringraziò prima Dio che l’aveva provveduto in quel suo bisogno, e poi ringraziò colui che gli dava il suo dovere; così Giuseppe rimase arricchito di merito ed insieme provveduto nel suo bisogno, e costui restò molto edificato della virtù del santo Giovane. Il demonio, sempre più confuso e svergognato, gli fece molti di questi tiri, e tutti servirono per arricchire il Santo di meriti e per fargli acquistare stima presso gli uomini. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B.

domenica 4 agosto 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-13 Giuseppe fu molto travagliato per opera del demonio e le virtù che esercitò in tale occasione; come si comportò quando gli furono sottratti i divini favori e nell'aridità del suo spirito 

 

La prova – Il nostro Giuseppe godeva delle grazie e dei favori particolari che riceveva dal suo Dio, e gustava la dolcezza e la soavità del suo amore, quando Dio permise che il suo servo fosse travagliato dalle creature per opera e per istigazione del demonio, affinché il Santo facesse acquisto di maggior merito e mostrasse al suo Dio la fedeltà e l’amore anche in mezzo alle persecuzioni e ai travagli.  

Insidie del demonio: sua pazienza e mansuetudine Il demonio odiava già molto il Santo Giovane, non poteva soffrire tanta luce e tante virtù che il Santo esercitava, per cui cercava sempre nuovi modi per inquietarlo e travagliarlo e vedere di fargli perdere la virtù, a lui tanto cara, della pazienza e della mansuetudine. Dio però lo teneva sempre lontano, non permetteva che gli si avvicinasse per inquietarlo; alle volte però gli dava la libertà di travagliarlo, per maggior merito del Santo e per sua confusione. Avuto il permesso di travagliare il Santo, il demonio, questo dragone infernale, istigò alcuni vicini del Santo e mise loro nell’animo un’avversione ben grande verso lo stesso, in modo tale che non potevano vederlo; e quando il Santo Giovane usciva dalla bottega per andare al Tempio o per fare altre faccende a lui necessarie per il suo lavoro, questi si misero prima a deriderlo, e vedendo che il Santo non faceva caso a questo, si infuriarono di più, in modo che l’ingiuriavano con cattive parole senza causa alcuna, chiamandolo sciocco, ozioso e che si era indotto a stare solo perché nessuno lo voleva attorno, e che sotto la coperta delle virtù, era un triste e un finto. Il Santo non rispose mai a queste parole, ma chinando la testa si stringeva le spalle e se ne andava al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio per coloro che lo maltrattavano. Si diede il caso che fu rubata certa roba ad uno di questi suoi malevoli, e subito diedero la colpa al Santo Giovane; così armati di sdegno se ne andarono alla sua piccola bottega e gli misero tutto in scompiglio, dicendogli che tirasse fuori quel tanto che egli aveva usurpato, ingiuriandolo e minacciando di castigarlo e di accusarlo come un ladro. Il Santo stava con la sua solita serenità, e non si discolpava; solo una volta disse loro che avvertissero bene perché erano in errore, ma questi non volevano cessare di importunare il Santo e lo tacciavano di essere un ladro, e alla fine disse loro che Dio avrebbe difeso la sua causa. I maligni, vedendo la costanza e la pazienza del Santo Giovane, si ritirarono minacciandolo di volerlo accusare, se non si trovava chi avesse usurpato la loro roba, tenendo di certo che era stato lui. Il Santo Giovane era molto afflitto per vedersi così incolpato, e molto più per le offese che si facevano a Dio; perciò se ne andò al Tempio a supplicare il suo Dio di volersi degnare di difenderlo in quel travaglio. Dio non tardò molto a scoprire l’inganno, perché si trovò chi aveva usurpato la roba; così quelli che lo avevano incolpato restarono molto confusi ed insieme ammirati e meravigliati della virtù e della pazienza del Santo, e l’avversione si cambiò in stima ed affetto verso di lui, così il demonio restò confuso, e il Santo arricchito di merito presso Dio e di stima presso gli uomini. Non per questo il nemico si abbatté, ma istigò alcuni giovani licenziosi, che più volte avevano visto il Santo Giovane frequentare il Tempio e di questo ne sentivano una passione ben grande, tanto più che la sua modestia serviva a loro di una gran riprensione; così un giorno, uniti insieme, si accordarono di voler andare alla bottega del Santo, e qui prenderlo in giro ed ingiuriarlo, e di fatto lo fecero con grande impertinenza. Trovarono il Santo Giovane che lavorava e stava tutto assorto nella contemplazione delle divine perfezioni, perché lui, anche lavorando, era assorto con la mente. Essi gli domandarono alcune cose curiose e vane, ma il Santo non diede loro risposta. Questi continuavano a fargli altre domande impertinenti, e il Santo disse loro, che lo lasciassero stare in pace e che se volevano quei vani trattenimenti, andassero altrove perché egli era occupato nel suo mestiere. 

Questi incominciarono a motteggiarlo ed ingiuriarlo, dicendogli degli improperi, ai quali il Santo Giovane non rispose mai, attendendo al suo lavoro e alla contemplazione in cui stava. Uno di loro, più ardito e insolente degli altri, si avanzò a dare delle percosse al Santo, il quale altro non gli disse che: «Dio ti perdoni, fratello, perché nonostante io meriti questo per i miei peccati, tuttavia a te non ho dato motivo di fare questo contro di me». E mentre quello lo percuoteva, gli altri compagni facevano festa ed applaudivano il giovane insolente. Dopo che l’ebbero saziato di ingiurie e di percosse, se ne andarono, e il Santo rimase con la sua solita serenità e pazienza, non facendo di questo risentimento alcuno. Si rivolse però al suo Dio e lo supplicò del suo aiuto, come gli aveva promesso tante volte, dicendogli: «Dio mio, tu mi hai assicurato di assistermi e difendermi in tutte le occorrenze, e sai già che io non ho altro che te; perciò a te ricorro, perché mi aiuti e mi difenda dai miei nemici». 

***

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B.

domenica 21 aprile 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-12  Giuseppe si ritirò a vivere da solo esercitando l’arte del falegname; alcune grazie che Dio gli fece e le virtù che praticò  


Nella sua botteguccia – Appena ebbe inteso dall’Angelo la divina volontà, il nostro Giuseppe la mise subito in esecuzione; e comprato quel tanto che gli era necessario per esercitare l’arte del falegname, si ritirò in una piccola bottega, che prese in affitto vicino al Tempio. In questa piccola stanza lavorava, dormiva e prendeva il suo parco cibo; da qui non usciva mai se non per andare al Tempio e a fare quel tanto che gli era necessario per vivere. Rare volte si faceva la minestra, e per lo più il suo cibo era pane e frutta; beveva poco vino, e quello molto temperato con acqua. La sua minestra più squisita era di verdure cotte ovvero legumi, e questi, come dissi, molto di rado. Infatti il Santo Giovane condusse qui una vita molto stentata e penitente, e soffriva tutto con grande allegrezza e consolazione del suo spirito. Dio, però, non tralasciava di riempirlo di consolazioni celesti; qui se ne stava solitario, taciturno; in questa sua bottega non si vide mai gente che si trattenesse a parlare, mentre il Santo non era amico di trattenimenti inutili, e siccome era stimato da tutti povero, semplice e idiota, non vi si accostavano e così lo lasciavano vivere in pace con la sua quiete, da tutti derelitto e del tutto sconosciuto. Intanto la gente andava ad ordinargli i lavori, in quanto ci trovava il suo utile, perché il Santo prendeva quello che gli davano, rimettendosi sempre alla loro discrezione; e quando riceveva la paga delle sue fatiche, la prendeva a titolo di carità ringraziando affettuosamente chi gliela dava. Di quella paga ne tratteneva tanta quanta gli era necessaria per i suoi bisogni, il resto lo dispensava ai poveri. Così gli aveva ordinato di fare l’Angelo, ed egli con puntualità l’eseguiva. Alle volte il Santo Giovane si trovava in grande penuria e necessità, non avendo di che cibarsi, ed in tale occorrenza se ne andava al Tempio a supplicare il suo Dio di volerlo provvedere: e Dio non mancava di consolare il suo servo, ispirando al cuore ora ad una, ora ad un’altra vicina di fargli l’elemosina di verdura, frutta, minestra, pane, a seconda che egli ne aveva necessità. 

Il Santo gradiva molto questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliela inviava. Dio poi lo provvedeva mandandogli spesso da lavorare senza che egli lo andasse a cercare, perché era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe, che non si rischiava di andar cercando cosa alcuna; e poi confidava tanto nel suo Dio che avesse provveduto ai suoi bisogni, che se ne stava riposato, aspettando la divina Provvidenza, che non gli mancò mai. 

La botteguccia santuario – Il nostro Giuseppe, standosene in quella piccola officina, solo e abbandonato da tutti, si prostrava spesso a terra e si offriva tutto al suo Dio, dicendogli spesso: «Ecco, o Dio mio, io sono tutto tuo, non c’è cosa alcuna che possa separarmi da Te. Io non ho altro che Te; Tu sei tutta la mia eredità, tutto il mio sostegno; Tu la mia consolazione, Tu tutto il mio bene. Da Te solo spero aiuto e conforto, e all’infuori di Te non voglio cosa alcuna. Rinuncio a tutto ciò che può darmi il mondo, ed abbraccio volentieri la povertà, l’umiliazione, i patimenti, perché così piacerò a Te, mio Dio, unico mio Signore e Padrone assoluto di tutto me stesso». E in tal modo si andava trattenendo col suo Dio. Faceva più frequenti le visite al Tempio e si tratteneva molto a pregare, e Dio permetteva che non fosse osservato da alcuno, perché non gli fosse impedita questa consolazione.  

Vita di Maria nel Tempio – Si trovava, allora, nel Tempio la Santa fanciulla Maria, destinata ad essere la Madre del Verbo divino, le cui mirabili virtù erano ammirate da tutte le altre fanciulle del Tempio, specialmente da chi ne aveva la cura, in modo che ne correva la fama anche per la città. Ma il nostro Giuseppe non ne seppe mai cosa alcuna, perché non trattava né conversava con alcuno. Una notte, però, l’Angelo gli parlò nel sonno e gli manifestò come nel Tempio si trovasse una fanciulla, che era tanto cara al suo Dio e da Lui tanto amata e favorita sopra ogni credere, nella quale Dio tanto si compiaceva e si dilettava per le sue rare virtù e la sua mirabile purezza e santità; e che questa era Maria, figlia di Gioacchino ed Anna, da lui ben conosciuti. Gli diceva questo, perché lodasse e ringraziasse Dio delle grazie e dei favori che compartiva a lei, e perché si rallegrasse che vi fosse al mondo una creatura così degna e così cara a Dio.  

Amore vicendevole – Il Santo Giovane, svegliatosi, si alzò, e con grande giubilo del suo cuore ringraziò e lodò il suo Dio, come l’Angelo gli aveva ordinato. Si rallegrò molto della notizia avuta, e sentì nascere nel suo cuore un santo amore verso la fanciulla, in modo tale che andava più spesso al Tempio, attirato dall’affetto verso di lei; e benché mai la vide, tuttavia l’amava per le sue rare virtù. Nel Tempio si tratteneva poi a pregare e a ringraziare Dio che si fosse degnato di mandare al mondo una così santa fanciulla, nella quale Egli trovava il suo compiacimento, e lo pregava di ricolmarla sempre più delle sue grazie, e così come cresceva nell’età, l’avesse fatta crescere nelle virtù. Dio gradiva molto le preghiere del Santo, e di questo ne diede un chiaro lume anche alla fanciulla Maria, facendole conoscere le virtù del suo servo e quanto egli pregasse per lei: per cui anche lei, da allora in poi, pregava Dio per il Santo e lo supplicava di riempirlo del suo amore e della sua grazia. Dio esaudiva mirabilmente le suppliche di Maria, cosicché tanto San Giuseppe come la Santissima Vergine Maria si tenevano sempre raccomandati a Dio, nonostante non si conoscessero di vista né mai si fossero parlati, ma sapessero tutto per rivelazione divina. Maria Santissima amava il Santo Giovane, anche perché aveva una chiara intelligenza delle rare virtù di lui, e che Dio l’amava molto; e per lo spazio di quasi dieci anni godettero l’uno e l’altra il beneficio delle loro sante orazioni e si amarono santamente in Dio senza però mai vedersi né trattarsi, solo che l’Angelo alcune volte ne parlava a Giuseppe nel sonno e lo assicurava che la Santa Fanciulla pregava molto per lui, per cui ne sentiva una somma consolazione.  

Suo voto di verginità – Una volta l’Angelo gli disse come la fanciulla Maria si era dedicata tutta a Dio e aveva consacrato a Dio. con un voto, la sua verginità, e che di questo il suo Dio ne aveva goduto molto. Sentendo questo, il Santo si invaghì di imitarla e di consacrare anche lui con un voto a Dio la sua purezza, ma siccome questa era cosa nuova non più intesa, il Santo era perplesso se doveva fare così e se a Dio fosse stato gradito che l’avesse fatto; perciò se ne andò al Tempio per supplicare Dio di manifestargli la sua volontà in questo particolare, e dopo molte suppliche, Dio si degnò manifestargli la sua volontà parlandogli interiormente. Gli disse che gli avrebbe fatto una cosa molto gradita se gli avesse consacrato la sua verginità con un voto, e l’assicurò del suo aiuto e della sua grazia particolare per poterlo osservare perfettamente. Il nostro Giuseppe si consolò molto nel sentire la voce del suo Dio che gli parlò al cuore e gli manifestò quel tanto di cui egli lo pregava, e subito ancora egli fece voto di verginità perpetua, e nel farlo il suo cuore fu riempito di un grande giubilo e di un’allegrezza inesplicabile, che Dio gli fece sentire per assicurarlo maggiormente del gradimento che aveva del voto da lui fatto. Fu anche elevato in altissima contemplazione e poi in dolcissima estasi nella quale Dio gli manifestò i molti pregi della nobile virtù della purezza, per la quale il Santo ne restò sempre più invaghito, e molto consolato per il voto fatto; e rese affettuose grazie a Dio che gliel’aveva ispirato e che si fosse degnato di accettare il voto con tanto gradimento. Così se ne tornò alla sua piccola bottega tutto consolato ed allegro; e la notte l’Angelo gli parlò di nuovo e l’assicurò di come Dio aveva sommamente gradito il voto da lui fatto ad imitazione della Santa Fanciulla Maria.  

Comune desiderio del Messia – Gli disse anche come la Santa Fanciulla si struggeva tutta del desiderio della venuta del Messia e che ne porgeva continue e calde suppliche al suo Dio; che a Dio erano molto gradite le sue suppliche e che senza dubbio si sarebbe accelerata la venuta del Messia al mondo per le preghiere della santa fanciulla, e che anche lui l’avesse imitata in questo, per rendersi sempre più gradito al suo Dio. Il Santo, svegliatosi, si alzò subito e si mise a supplicare il suo Dio con più fervore che non facesse prima, affinché si fosse degnato di inviare presto al mondo il Messia promesso, e dopo se ne andò al Tempio e qui si mise di nuovo a pregare Dio per la suddetta venuta. Dopo una lunga preghiera lo spirito di Giuseppe fu elevato in altissima contemplazione, dove gli furono manifestati molti segreti divini circa le qualità e le virtù che avrebbe avuto il Messia quando avrebbe dimorato fra gli uomini; così il Santo rimase molto più acceso del desiderio di questa venuta, bramando ardentemente di conoscerlo e di trattare con lui. Si riconosceva però indegno di questo favore per la sua grande umiltà, ma confidava molto nella bontà di Dio, che già sperimentava tanto propizia verso di sé.  

Angelo di Paradiso – Con queste grazie che Dio faceva al Santo, e per le preghiere che la Santa Fanciulla Maria faceva per lui, arrivò ad uno stato di vita, che non sembrava più una creatura terrena, ma un Angelo di Paradiso. La sua mente sempre assorta in Dio, il suo amore verso Dio, sempre più ardente, il desiderio di dare gusto a Dio in tutte le sue operazioni era molto acceso, e per lo più stava estatico e tutto assorto in Dio, passando i giorni interi in continua elevazione di mente, e buona parte della notte, scordandosi di prendere il cibo, mentre per lo più si sentiva sazio per il gusto che aveva di trattare e di trattenersi col suo Dio; e spesso replicava: «Oh, Dio mio! e come dispensi a me, creatura miserabile, tante grazie e favori? Come è grande la tua bontà verso di me! Come sei generoso! Quanto sei fedele nelle tue promesse! Che cosa farò io per te, mio Dio? Come potrò esserti riconoscente per tante grazie? Per ora non ti posso offrire altro che tutto me stesso e la mia servitù, che di buon cuore tutto a te sacrifico, e fa’ di me ciò che a te piace, mentre io sono prontissimo a sacrificarmi e spendermi tutto nel tuo servizio».  

Zelo della gloria di Dio – Il Santo Giovane ardeva anche di un vivo desiderio di fare molto per la gloria del suo Dio, ma si riconosceva insufficiente, e di questo ne sentiva pena, perché gli sembrava di non potere effettuare il suo desiderio. Ma una notte l’Angelo gli parlò e gli disse come sarebbe venuto il tempo in cui egli avrebbe appagato il suo buon desiderio, perché avrebbe operato molto per il suo Dio e si sarebbe molto affaticato. Inteso questo, Giuseppe diede in eccessi per la consolazione, per cui aspettava con desiderio che arrivasse quel tempo, che chiamava tempo per lui felice. E di fatto così fu, mentre sostenne molte fatiche per conservare la vita al Verbo Incarnato, che alimentò con il lavoro delle sue mani; e nonostante allora non sapesse in che cosa si sarebbe impiegato per il suo Dio, tuttavia ne godeva molto e lo chiamava tempo per lui felice; tanto era grande il desiderio che il Santo aveva di spendersi tutto per il servizio del suo Dio.  

Abbandono in Dio – Viveva poi con una semplicità più che grande, e non ricercò mai cosa alcuna delle promesse che l’Angelo gli aveva fatto, e che non gli dichiarava mai, ed il Santo non si curò mai di saperle aspettandole con una santa indifferenza; solo si applicava a pregare Dio di dargli quel tanto che gli aveva fatto promettere dall’Angelo, e questo lo faceva perché sapeva che Dio voleva essere pregato. Infatti, il nostro Giuseppe, in tutto e per tutto, si rendeva gradito e accetto al suo Dio, dandogli gusto in tutte le sue operazioni, non discostandosi mai dal suo santo volere, riconoscendo con somma gratitudine i benefici che riceveva da Dio, mostrandoglisi grato, ringraziandolo continuamente e offrendogli tutto se stesso senza alcuna riserva.

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


martedì 19 marzo 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-11 Giuseppe partì da Nazaret ed andò ad abitare a Gerusalemme 


Lascia Nazareth – Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del giorno, e fatto un piccolo fardello di pochi panni per suo servizio si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo assistere in quel viaggio. «Ecco, – disse il Santo Giovane, – o Dio mio, che lascio la patria, e povero e mendicante me ne vengo a Gerusalemme per adempire qui la tua divina volontà. Quanto più mi vedo povero, tanto più sono contento, perché così piace a Te, e dato che qui nella mia patria sono stato oltraggiato confatti e con parole, e sono stato spogliato dei beni di fortuna, ti supplico di non castigarli, ma perdona loro tutti gli affronti che mi hanno fatto, perché io di buon cuore perdono a tutti, e per tutti desidero ogni bene. E se nella città dove io ora vengo ad abitare, piacerà a Te che io sia trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti, sono prontissimo a soffrire tutto per adempire la tua divina volontà. Ti prego perciò, di non abbandonarmi, perché avendo Te in mio aiuto e favore, non temo di cosa alcuna. Ti prego pertanto di darmi ora la tua paterna benedizione; che questa mi difenda nel cammino: mi regga la tua destra onnipotente, mentre io mi pongo tutto nelle tue braccia paterne ed amorose». Detto questo, si levò dall’orazione tutto allegro, avendolo Dio assicurato della sua benedizione, e preso il suo piccolo fardello, partì da Nazareth prima del giorno e si mise in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno lo vedesse. Il Santo andava per il viaggio solo, lodando e benedicendo il suo Dio e recitando vari salmi di Davide con grande allegrezza del suo spirito, e spesso replicava: «Ecco, o mio Dio, che vengo ad adempire la tua divina volontà ed il desiderio che ho sempre avuto di abitare a Gerusalemme, per poter frequentare il Tempio». E a misura che si inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il desiderio di arrivare presto, e lì nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo sacrificarsi a Lui. Si divulgò poi per Nazareth la notizia che Giuseppe era partito; non ci fu alcuno che ne ricercasse o ne andasse in traccia, anzi molti si rallegrarono di questo, perché pensavano di godersi in pace quel tanto che gli avevano usurpato; e così, dimenticato da tutti, non si fece più menzione di lui nella sua patria, pagandolo tutti d’ingratitudine.  Il Santo Giovane lo riseppe, e ne godette molto, «perché, – diceva lui, – così mi lasciano vivere in pace e stare con la mia quiete».  

A Gerusalemme – Arrivato a Gerusalemme il nostro Giuseppe se ne andò addirittura al Tempio, e qui, adorato il suo Dio, gli si offrì tutto di nuovo, lo ringraziò della cura e dell’assistenza che gli aveva fatto nel viaggio e lo pregò di manifestargli la sua volontà. Qui Dio gli parlò di nuovo interiormente, ordinandogli quel tanto che doveva fare; e siccome il Santo era stanco per il viaggio fatto, partì per andare a riposarsi un po’. Domandando la benedizione a Dio, uscì tutto lieto dal Tempio, e andò in un albergo a riposarsi e cibarsi secondo il bisogno. Nel sonno poi l’Angelo gli parlò di nuovo, e gli confermò quel tanto che Dio gli aveva detto interiormente, e gli ordinò che di quel denaro che aveva portato, ne avesse dato due parti al Tempio, e della terza parte se ne fosse servito, metà per sé in quei primi giorni, e l’altra metà l’avesse dispensata ai poveri; e così fece. La mattina alzatosi per tempo, e fatte le sue solite orazioni, se ne andò al Tempio, e diede il denaro in elemosina al Tempio con suo grande gusto, e qui si mise a pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva fatto nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto ad obbedire ad ogni minimo cenno che gli venisse manifestato dall’Angelo. Trattenutosi un po’ in orazione, partì dal Tempio, ed incominciò a fare dell’elemosina ai poveri, ed in breve tempo dispensò tutto quello che doveva, secondo l’ordine avuto. 

Garzone di un falegname – Poi si mise a cercare una persona che gli facesse provvisione del vitto necessario e che facesse l’arte di falegname, affinché gliela insegnasse. Non stentò molto a trovarlo, disponendo Dio che il suo servo trovasse subito il modo di effettuare l’ordine avuto; e si incontrò con una persona timorata. Si accordò con questa di dargli la paga sufficiente, e il nostro Giuseppe si mise ad imparare l’arte che gli riuscì molto facile, non sentendo la fatica, perché l’amore con  cui adempiva la divina volontà, gli faceva sembrare tutto facile e gustoso; e quantunque stesse applicato ad imparare l’arte, non tralasciò però mai i suoi soliti esercizi di preghiera e recita dei salmi.  

Sua sottomissione – Il santo Giovane stava con grande umiltà e sottomissione soggetto in tutto e per tutto al padrone, gli obbediva con grande puntualità ed esattezza, per la quale e per le sue rare virtù era molto amato dal padrone, ed il nostro Giuseppe lo rimirava ed ossequiava come un suo superiore, e non parlò mai della sua nascita, delle sue facoltà né di altra cosa. La sua lingua non proferiva altre parole che quelle che erano veramente necessarie, tutto attento ad imparare l’arte non divertendosi mai; e quando voleva andare al Tempio, ne domandava il permesso al padrone, e se egli glielo dava, vi andava, se no, obbediva prontamente privandosi di quella pia soddisfazione.  

Sue eroiche virtù – Qui il nostro Giuseppe fece mostra delle sue eroiche virtù, perché ne ebbe molte occasioni. Era spesso preso in giro dalle persone oziose e vagabonde, che gli dicevano che tanto era stato ad imparare l’arte e che fino ad allora aveva fatto il vagabondo, e lo schernivano. Il Santo Giovane chinava la testa e non rispondeva parola alcuna, e quando vi si trovava presente il padrone, che li riprendeva e li scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo pregava di lasciarli stare, perché a lui non davano né fastidio né pena. Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli occhi per guardare cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non sapeva quello che ci fosse di curioso in città, né che cosa si facesse. Non fece altra strada, che dalla bottega al Tempio e dal Tempio alla bottega, e nella bottega vi stava, non come un giovane che pagava la sua dozzina, ma come un fattorino, servendo in tutto e per tutto al padrone negli uffici più bassi. Il suo padrone si accorse come il Santo Giovane faceva delle elemosine ai poveri, e un giorno gli parlò esortandolo a tener da conto, perché anche lui era povero e aveva bisogno; per cui il Santo gli rispose: «Lasciate che faccia l’elemosina ai poveri, perché per me c’è Dio che ci penserà e provvederà ai miei bisogni»; di questo il padrone restò molto edificato. Il nostro Giuseppe provava poi un gusto inspiegabile nell’esercitare l’arte e nello stare così soggetto, godendo di essere povero, vile e abietto agli occhi degli uomini; e di questo ne godeva perché l’Angelo gli diceva come queste virtù erano care a Dio, e che chi le praticava era molto amato da Dio. Tanto bastò perché il nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e le praticasse con tutto l’impegno. Il nostro Giuseppe era allora dell’età di vent’anni, ed era cresciuto molto nelle virtù e nell’amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava mai da Dio, unico oggetto del suo amore; e molto spesso, nell’atto stesso che lavorava, restava estatico per la contemplazione delle divine perfezioni, delle quali ne ebbe una grande intelligenza.  Erano poi frequenti i digiuni e le vigilie, stando spesso le notti in preghiera assorto in Dio. Continuò ancora ad usare la sua solita carità verso i moribondi, e poiché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con le continue orazioni, raccomandandoli caldamente a Dio. Il nostro Giuseppe passò qualche anno in questo tenore di vita, avendo già imparato l’arte. Aspettava che l’Angelo gli manifestasse la volontà divina, e se doveva ritirarsi a stare da solo, oppure continuare a stare nella bottega del padrone, quando il padrone si ammalò, e colpito da una malattia mortale, terminò la vita felicemente. 

Morte del padrone – Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità ed amore come se fosse stato il suo proprio padre; fece molte suppliche a Dio per la sua salvezza eterna, e Dio esaudì le preghiere fervorose del suo Giuseppe. Rimasto in libertà, Giuseppe se ne andò al Tempio a pregare e a supplicare il suo Dio affinché gli avesse manifestato la sua volontà ed in che modo volesse essere servito da lui. In questa orazione ebbe un grande lume e fu molto confortato con una consolazione interiore. La notte seguente l’Angelo gli parlò nel sonno, e gli manifestò quel tanto che doveva fare per adempire la volontà divina; cioè che si fosse ritirato a vivere da solo e che, comprando quel tanto che era necessario per esercitare la sua arte, avesse continuato a vivere in povertà; e così fece, rimanendo molto consolato per l’avviso datogli dall’Angelo, e svegliatosi subito, si alzò e si prostrò a terra a lodare e ringraziare Dio dell’avviso che gli aveva dato. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

lunedì 11 marzo 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-10 Morte dei genitori di san Giuseppe ed i travagli che egli soffrì 


Assiste la madre morente – Quando il nostro Giuseppe arrivò all’età di diciotto anni, piacque al Signore, di togliere dal mondo i suoi genitori. Prima sua madre, la quale ammalatasi gravemente, ebbe una lunga e penosa infermità, volendo Dio, con questo, purificarla da tutte le sue mancanze per poterla poi mandare al Limbo. Dio le fece questa grazia per le suppliche che continuamente gli porgeva il figlio, e cioè, che si degnasse di mandare i suoi genitori a riposare nel seno di Abramo. Fu mirabile l’assistenza e la servitù che il nostro Giuseppe fece a sua madre, consolandola e confortandola nei suoi dolori, e porgendo continue suppliche a Dio affinché le avesse dato pazienza nella sua penosa infermità. Il Santo Giovane vegliava le notti intere, in parte assistendo la madre, e in parte pregando per lei; e siccome le aveva sempre mostrato una somma gratitudine per quello che aveva ricevuto da lei, in quest’ultimo istante della sua vita gliela mostrò in un modo singolarissimo, non abbandonandola mai, e non stancandosi mai di servirla ed assisterla con amore veramente filiale e santo. L’assistenza del figlio era di molta consolazione all’inferma, e continuamente lo benediceva e pregava Dio di ricolmarlo delle sue benedizioni.  

Alla fine della sua vita, Giuseppe si prostrò inginocchiato davanti a lei, e la supplicò di benedirlo e di perdonargli tutto quello in cui l’avesse disgustata. La buona madre lo benedisse, e lo esortò a non tralasciare il modo in cui egli aveva vissuto fino ad allora, e a crescere sempre più nell’amore e nel servizio del suo Dio; lo ringraziò dell’assistenza e della servitù prestatale, e lo stesso fece il figlio verso di lei. Le disse anche che morisse volentieri perché egli sperava di certo che la sua anima sarebbe andata al Limbo, fra i Santi Padri.  

La madre si consolò molto per le parole che le disse il figlio, e supplicò Dio affinché lo benedicesse, e confermasse con la sua benedizione, quella che lei gli aveva dato; e Dio per mostrare che esaudiva la sua domanda, le fece vedere una chiarissima luce risplendere sul volto di Giuseppe, della quale restò molto consolata, e unita al figlio, rese grazie a Dio del favore mostratole.  Poi l’inferma si aggravò molto, e quando entrò in agonia, il figlio non la lasciò mai, assistendola fino all’ultimo respiro con grande generosità e fortezza d’animo; e non solo assisteva la madre, ma confortava anche suo padre, che era molto afflitto per la perdita di una così buona compagna.  

Prega e consola il padre – Morta la madre, il nostro Giuseppe si trattenne a consolare un po’ suo padre, e poi si ritirò nella sua stanza a dare sfogo al dolore col solito tributo delle lacrime, poi si mise in preghiera supplicando il suo Dio di volerlo consolare in tanta sua afflizione. In questa preghiera Dio non mancò di consolarlo, facendogli sentire la voce interiore che gli diceva che erano stati adempiti i suoi desideri e le sue giuste domande circa sua madre; per cui, tutto consolato il Santo Giovane, rese grazie a Dio, poi uscito dalla sua stanza, andò di nuovo a consolare suo padre, che si consolò e confortò molto per le parole che gli disse il figlio. 

Sua conformità al volere di Dio – La notte seguente mentre Giuseppe dormiva, l’Angelo gli parlò e gli disse che sua madre si trovava già al Limbo, e che in breve sarebbe rimasto privo anche di suo padre, perciò che si uniformasse alla volontà divina, e che non avesse alcun timore, perché Dio lo avrebbe sempre protetto e difeso in tutte le sue vie. Il Santo restò molto consolato per la notizia avuta della sua buona madre, ma insieme afflitto per dover perdere anche il padre. Si uniformò però alla volontà divina, e si animò a soffrire i molti travagli che gli sovrastavano per la perdita del padre, dando fede a quanto l’Angelo gli aveva detto, e cioè che Dio l’avrebbe sempre protetto in tutte le sue vie. L’umanità, peraltro, sentiva al vivo tutto quello che prevedeva dover soffrire, ma lo spirito si mostrò prontissimo a soffrire tutto e a ricevere tutto con pazienza ed allegrezza dalle mani di Dio. Essendo rimasto il nostro Giuseppe privo della madre, e vedendo suo padre in grande afflizione, l’andava confortando continuamente, e non l’abbandonò mai in questa sua afflizione, facendo le parti di buon figlio verso l’amato genitore. 

Al letto del padre morente – Non passò molto tempo, che il padre di Giuseppe cadde malato di una malattia mortale, e siccome il nostro Giuseppe era molto indebolito di forze corporali per i travagli e i patimenti sofferti nella penosa infermità della madre, sentì molta pena e si raccomandò molto a Dio affinché l’avesse assistito con la sua grazia, e dato la forza e lo spirito per poter assistere suo padre nella sua ultima infermità. Dio lo consolò accrescendogli le forze, ed egli si impiegò tutto ad assistere suo padre; non l’abbandonò mai giorno e notte, servendolo ed assistendolo con grande carità ed amore, animandolo a soffrire con pazienza i dolori e le angustie che suole apportare il male, che fu sofferto dall’infermo con grande generosità e pazienza; e solo gli portava afflizione il pensiero che aveva per il suo figliolo, e che rimanendo solo e abbandonato, avrebbe dovuto soffrire grandi travagli. Ma il figlio lo consolava, dicendogli che morisse pure tranquillo e che non pensasse a lui, perché sperava che Dio l’avrebbe protetto e aiutato in tutti i suoi bisogni; e così l’infermo si acquietava, e si confidava tutto in Dio, sicurissimo che avrebbe avuto tutta la cura del suo Giuseppe, perché conosceva che l’amava molto. Lasciò poi il figlio erede di tutte le sue facoltà, affinché se ne fosse servito come a lui fosse piaciuto, perché già sapeva che il figlio le avrebbe bene impiegate; e come buon padre, gli ricordò molte cose, raccomandandogli il timore e l’amore di Dio e l’amore verso il suo prossimo. Giuseppe stava ad ascoltare le parole di suo padre con grande umiltà e sottomissione, e dopo lo ringraziò di quanto gli aveva detto, e gli promise di fare quel tanto che gli diceva per il suo bene e per la gloria del suo Dio. Di questo il padre rimaneva sempre più consolato, e diceva al figlio: «Figlio mio, io muoio contento, perché vedo che tu sei bene impiegato nell’esercizio delle virtù e che ami e temi Dio, ed anche perché ti lascio erede di molti beni con i quali ti puoi mantenere nel tuo stato e puoi fare delle elemosine secondo il vostro desiderio. Ti raccomando perciò la mia anima; sia tua cura impetrarmi da Dio la remissione dei miei peccati trascorsi e la grazia di andare in un luogo di salvezza; non ti scordare mai di me e di tua madre, perché hai già conosciuto quanto ti abbiamo amato, e la cura particolare che abbiamo avuto di te. Ora, altro non mi resta, che darti la mia paterna benedizione e supplicare il nostro Dio che la confermi con le sue benedizioni ti ricolmi sempre più delle sue grazie». A queste parole, l’umile Giuseppe si prostrò a terra, e domandando la benedizione a suo padre, e molto più al suo Dio, ricevette la benedizione dal padre e da Dio insieme; poi con le lacrime agli occhi ringraziò il padre di tutto il bene che gli aveva fatto, della buona educazione, dei buoni esempi che gli aveva dato, e gli domandò perdono di tutto quello che aveva fatto contro il suo volere e di quanto l’avesse potuto disgustare. Ma suo padre, non avendo ricevuto mai alcun disgusto dal figlio, anzi avendone ricevuto piuttosto gusto e consolazione, gli disse che non aveva di che perdonargli, perché mai l’aveva disgustato; ma il santo Figliolo, non contento di questo, non si volle alzare da terra se prima il padre non gli avesse assicurato il perdono. Il padre per compiacerlo e per non privarlo di quella soddisfazione, gli disse che lo perdonava di tutto di buon cuore; di questo il figlio rimase molto contento e soddisfatto, e fece al padre affettuosi ringraziamenti. Poi gli domandò il permesso di dare ai poveri e al Tempio le facoltà che gli lasciava, e suo padre mise il tutto in sua libertà, affinché ne disponesse come a lui fosse piaciuto, e come fosse stato di volontà di Dio. Tutto contento di ciò, Giuseppe ringraziò di nuovo il padre e l’assicurò che lui non si sarebbe scordato né della madre, né del padre, che perciò andasse pure sicuro e quieto.  

Ultima assistenza – L’infermo si andava aggravando, e Giuseppe accresceva la servitù e l’assistenza, e molto più le preghiere e le suppliche al suo Dio per la salvezza eterna del suo buon padre, e Dio gliene diede una stabile sicurezza; rallegratosi di ciò, il Santo ne rendeva continue grazie a Dio. Poi, il nostro Giuseppe si offrì a Dio, e lo supplicò di volersi degnare di far soffrire alla sua propria persona quel tanto che conveniva soffrire a suo padre, in sconto di quei debiti che avesse contratto con la divina giustizia, affinché l’anima di suo padre fosse andata addirittura al Limbo dei Santi Padri. Dio l’esaudì, per cui il nostro Giuseppe soffrì per più ore gravissimi dolori, con grande rassegnazione, godendo di scontare con questo, le pene dovute a suo padre; perciò ne ringraziava Dio affettuosamente, e rimanendo molto più sicuro, che il suo genitore sarebbe andato a riposare, dopo la morte, con la sua anima nel seno di Abramo, alzando le mani al cielo con giubilo di cuore, lodava e ringraziava la divina bontà.  

Morte del padre – Arrivato agli ultimi estremi della vita, il padre fu assistito dal figlio con grande carità ed amore, animandolo sempre ed esortandolo a confidare nella bontà e misericordia del suo Dio e ad andare allegro, mentre era certo che sarebbe andato in un luogo sicuro. Il moribondo ebbe molta consolazione per l’assistenza del figlio, e morì con grande rassegnazione e sicurezza della sua salvezza eterna. Quando l’infermo spirò, il nostro Giuseppe si ritirò a pagare alla natura il solito tributo delle lacrime, e ne aveva ben ragione, mentre restava privo di un padre tanto a lui benefico ed amorevole, e che gli aveva dato una così buona educazione. Dato che ebbe qualche sfogo al dolore, si mise genuflesso al cospetto del suo Dio, e qui con lacrime lo supplicò del suo aiuto dicendogli: «Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe! Dio mio! Ecco che sono rimasto privo del padre e della madre, che a Te è già piaciuto levare dalle miserie di questa fragile vita. Ora io ti supplico di volerti degnare di ricevermi tutto sotto la tua protezione, mentre io di nuovo tutto a Te mi dono e sacrifico. Io sono sempre stato protetto e difeso da Te e sono sempre stato tuo schiavo, ma ora di nuovo a Te mi dedico, e ti supplico di avere di me tutta la cura e sopra di me tutto il dominio. Ora io non sono soggetto ad altri che a Te. Dio mio! fammi dunque la grazia che anch’io possa dirti col Real Profeta: Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto (Salmo 26, 10). Da ora innanzi Tu sarai mio Padre, il mio protettore, mia madre e tutto il mio sostegno e rifugio; fa’ di me e di ciò che mi appartiene quello che ti piace, e si adempia in me la tua divina volontà in tutte le cose; fammela intendere, perché io sono prontissimo ad eseguirla in tutto e per tutto». Mentre Giuseppe diceva questo al suo Dio, restò molto consolato, mentre Dio gli fece udire la sua voce interiore, e gli disse che stesse pur sicuro perché Lui aveva udito la sua preghiera, e che sarebbe stato sempre protetto e rimirato da lui con paterno amore. Il nostro Giuseppe rese grazie a Dio per il sublime favore che gli faceva e, tutto consolato, si levò dall’orazione. 

Prove penose e sua pazienza – Il Santo Giovane passò poi molti travagli perché, conoscendo tutti la sua bontà, ognuno si faceva lecito di togliergli chi una cosa, chi un’altra, e specialmente le persone di servizio di casa prendevano la roba e quello che a loro piaceva. Giuseppe si accorgeva di tutto, e non faceva altro risentimento, solo che ammonirli di non fare quelle offese a Dio, e a non aggravare la propria anima, ma siccome il Santo era di sua natura piacevole, benigno e caritatevole, non lo stimavano, e abusavano della sua bontà. Giuseppe, vedendo che non desistevano dal danneggiarlo, affinché non offendessero Dio, si decise di dare loro licenza e di donare loro quel tanto che si erano usurpati, e così fece. Da ciò presero motivo di oltraggiarlo con parole ingiuriose: e siccome il demonio li istigava molto per sfogare la sua rabbia contro il Santo, faceva sì che fosse maltrattato ed offeso da quelli stessi che lui aveva tanto beneficato. Il Santo soffrì con grande pazienza tutte le ingiurie senza affatto alterarsi. Gli furono anche tolti i beni dai parenti del padre, con la condizione di volere Giuseppe in casa loro, ma il Santo lasciò loro tutto in pace, e non volle mai accordarsi di andare a stare con i parenti, perché aveva già stabilito di andare ad abitare a Gerusalemme per poter frequentare il Tempio; questi si adirarono molto contro il Santo Giovane, e non potendolo rimuovere dal suo proposito con le lusinghe, lo fecero con le minacce. Molte volte fu maltrattato e offeso da loro con fatti e con parole, e il Santo soffriva tutto con ilarità di spirito, e non si vide mai adirato o inquieto. Tanto si inoltrarono, che spogliarono il Santo Giovane di tutte le sue molte facoltà; e trovandosi in questa afflizione si rivolse al suo Dio domandandogli aiuto in tanta sua necessità, e che si fosse degnato di manifestargli la sua volontà e che cosa doveva fare. Dio non tardò a consolarlo, mentre nella notte l’Angelo gli parlò nel sonno, e gli disse che avesse venduto quello che gli era rimasto, e che ne avesse dato in parte ai poveri, e in parte ne avesse portata ad offrire al Tempio; e che per sé si fosse lasciata poca porzione, perché Dio lo voleva povero; che fosse andato ad abitare a Gerusalemme e qui avesse imparato l’arte del falegname per guadagnarsi il vitto quotidiano e che in tal modo fosse vissuto fin tanto che Dio avesse voluto disporre altro di lui; che si fosse conservato vergine come già aveva promesso prima a Dio e che fosse vissuto lontano più che poteva dal commercio degli uomini, affinché il suo candore e la sua innocenza non avessero patito detrimento alcuno, e che stesse certo che Dio l’avrebbe sempre protetto e difeso e ricolmato delle sue benedizioni. Tanto disse l’Angelo a Giuseppe, e tanto bastò perché Giuseppe eseguisse il tutto con prontezza.  Vendette tutto quello che gli era rimasto, e nel fare questo dovette soffrire grandi rimproveri e persecuzioni. Non era padrone di uscire di casa, che chiunque lo vedeva, lo prendeva in giro e lo maltrattava, dicendogli dissipatore delle paterne sostanze, e che tutto sprecava; chiamandolo chi insensato e pazzo, chi uomo da niente, e chi vagabondo ed ozioso; infatti ognuno si permetteva di maltrattarlo. Il Santo Giovane soffriva il tutto con grande pazienza senza mai rispondere ad alcuno; e nonostante si potesse giustamente lamentare dei suoi congiunti che l’avevano spogliato delle sue facoltà, non lo fece mai; ma soffrì tutto con silenzio e pazienza. Avendo poi venduto quello che gli era rimasto, per eseguire quel tanto che l’Angelo gli aveva detto, e saputosi questo dai suoi congiunti, costoro presero il Santo Giovane, lo percossero malamente e lo maltrattarono come dissipatore della roba a loro dovuta. Il nostro Giuseppe soffrì le ingiurie e le percosse con grande tolleranza, e non fece di questo risentimento alcuno, ma prostrato in orazione davanti al suo Dio, lo supplicò di volersi degnare di difenderlo e liberarlo dalle mani dei suoi avversari, così come aveva liberato il santo Davide dalle mani dei suoi nemici e tanti altri, che la sua bontà aveva protetto e difeso. 

Consolato da Dio – Stando così afflitto, Dio non tardò a consolare il suo fedelissimo servo, e gli parlò interiormente assicurandolo della sua protezione e del suo aiuto, ed animandolo a soffrire con pazienza quel travaglio, perché gliene avrebbe data un’abbondante ricompensa. Giuseppe rimase molto consolato per le promesse del suo Dio, e animato a soffrire molto più quando gli fosse occorso; ma Dio non permise che fosse più molestato e travagliato, avendo per allora sperimentato abbastanza la sua fedeltà e la sua grande pazienza. Per cui tutti lo lasciarono in pace, ed il santo Giovane. quando ebbe venduto tutto e raccolto il denaro insieme, ne fece un’offerta a Dio supplicandolo di ricevere quell’offerta, e che per se stesso non voleva cosa alcuna se così a Lui fosse piaciuto. La notte l’Angelo gli parlò di nuovo, e gli disse che partisse subito dalla sua patria e se ne andasse a Gerusalemme, che qui giunto al Tempio gli avrebbe detto di nuovo quello che doveva fare; e la mattina subito parti. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 

domenica 25 febbraio 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE - Altre virtù che praticò san Giuseppe e suoi progressi nella sapienza

 


Altre virtù che praticò san Giuseppe e suoi progressi nella sapienza  


Sua crescita – Il nostro Giuseppe mentre cresceva in età, cresceva anche mirabilmente nella pratica delle virtù e avanzava molto nell’amore verso Dio, così come anche nello studio delle Scritture e soprattutto dei Salmi di Davide, che imparò quasi tutti a memoria per il continuo ripeterli.  

Sua purezza e contemplazione – Il Santo continuò nel tenore di vita che finora abbiamo detto per lo spazio di quindici anni, conservando sempre intatto il suo candore e la sua innocenza, non avendo mai disgustato il suo Dio, non solo con la colpa grave, ma neppure con quella leggera volontaria, mettendo tutto il suo studio nel fuggire anche ogni minima ombra di peccato, standogli sempre a cuore l’ammonimento dello Spirito Santo che colui che disprezza le piccole cose, cade nelle gravi. Perciò in questo il nostro Giuseppe fu accuratissimo, tenendo in gran conto le cose leggere, custodendo con grande rigore tutti i suoi sentimenti ed in particolare gli occhi, con i quali non fissò mai in volto nessuno, soprattutto di sesso diverso, sapendo come Davide ed altri erano caduti per essere stati curiosi nel guardare quello che si deve fuggire; e quanto più egli si mortificava nei suoi sentimenti, per essere fedele al suo Dio, tanto più riceveva grazia da Dio, e tanto più cresceva in lui l’amore verso il suo Dio, unico oggetto del suo amore e di tutti i suoi desideri. Quando alle volte desiderava guardare qualche cosa che apportava piacere alla vista, ma poi pena al cuore per la colpa che facilmente si contrae, il nostro Giuseppe alzava subito gli occhi al cielo e qui si dilettava entrando con la mente a contemplare le bellezze increate del suo Dio e così restava tutto consolato. Praticava spesso questo esercizio, ora contemplando un attributo divino ed ora un altro, per mezzo del quale veniva a perdere tutto il gusto delle cose create e si accendeva in lui sempre più l’amore di Dio ed il gusto che sentiva nel dilettarsi e trattenersi con Lui solo.  

Suo santo timore – Il Santo Giovane sapeva molto bene che i suoi genitori lo amavano molto e perciò spesso se ne doleva con il suo Dio perché temeva che l’amore che portavano a lui, diminuisse in loro l’amore di Dio. Non mancava di dire loro, quando gli si presentava l’occasione, che stessero ben attenti, perché l’amore si doveva tutto a Dio; che egli gradiva il loro affetto, ma che temeva che essendo troppo sensibile, potesse in qualche modo disgustare il suo Dio, il quale si deve amare sopra tutte le cose ed al quale si deve donare tutto l’amore. I suoi genitori restavano molto edificati per queste parole, e procuravano di staccarsi dal troppo amore che portavano al figlio, e consacrarlo tutto a Dio, così come il figlio andava loro insinuando. Il nostro Giuseppe sentiva molta consolazione per questo e ne rendeva grazie a Dio, il quale si degnava di fargli la grazia che i consigli che egli dava ai suoi genitori fossero appresi bene.  

Sua vita edificante – Fuggiva poi con ogni studio di apparire virtuoso e sapiente, e non si mise mai a discutere con alcuno, sebbene fosse molto dotto nella legge di Mosè e tutti lo stimavano idiota e di poco intendimento; di questo ne godeva molto, amando di essere disprezzato e non stimato da nessuno. Non voleva poi sentire mai parlare di quello che si faceva per la città, nemico di storie, e diceva che questo gli toglieva l’applicazione che doveva avere, sia al suo Dio come anche allo studio, per cui in casa sua, quando egli era presente, non si parlava mai di cose curiose, né di quello che si faceva per il paese. Infatti viveva mortificato in tutto, non permettendo mai ai suoi sensi una minima soddisfazione, che avesse potuto in qualche modo renderlo meno gradito al suo Dio.  

Giuseppe andava praticando queste virtù per la luce che Dio gli comunicava nella preghiera, facendogli conoscere chiaramente quel tanto che doveva operare per dargli gusto, ed egli non tralasciò mai di fare tutto quello che sapeva essere di gusto a Dio. Dio lo aveva poi dotato di un modo mirabile per consolare gli afflitti; infatti si esercitava in questo, e quando si incontrava a parlare con qualche persona travagliata ed afflitta, la consolava con le sue parole in modo tale che quella rimaneva, se non del tutto, almeno molto alleggerita dalla sua afflizione.  

Giuseppe non mancava di porgere calde suppliche al suo Dio, perché consolasse coloro con i quali aveva trattato. Si divulgò per il Paese la fama di come il Santo Giovane aveva maniere tanto soavi per consolare coloro che si trovavano nelle angustie, che spesso molti andavano a casa sua per sentirlo parlare e per consolarsi; ed il Santo Giovane li consolava con le sue dolci maniere e li animava a soffrire il travaglio, dicendo a tutti che si raccomandassero a Dio, e che da Dio sperassero ogni consolazione ed ogni bene, perché Egli glielo poteva dare cortesemente. Poi li esortava a pregare Dio che si degnasse di accelerare il tempo delle sue misericordie col mandare al mondo il Messia promesso nella Legge, perché questo sarebbe stato di consolazione a tutti. Quando poi c’era qualche persona afflitta per la povertà, che non aveva di che vivere, ricorreva a lui con tutta confidenza, sapendo quanto grande fosse la sua carità, ed egli con grande sottomissione, supplicava i suoi genitori di soccorrere il prossimo bisognoso, ed essi lo facevano prontamente, compiacendo in tutto il figlio.
  
Spesso suo padre gli dava dei soldi, affinché sovvenisse i poveri bisognosi con le sue proprie mani; il figlio lo faceva con grande gusto, godendo nel soccorrere il suo prossimo e diceva loro: «Riconoscete questo bene da Dio, perché Egli lo dà a me perché io ne faccia parte a voi, perciò tanto voi quanto io dobbiamo ringraziare il nostro Dio che ci benefica».  

E così nel fare la carità fuggiva ogni stima, chiamandosi anch’egli povero e beneficato da Dio, perché beneficasse il suo prossimo. Così procurava anche che tutti riconoscessero il bene da Dio, dando a Dio tutta la gloria e i ringraziamenti. Il nostro Giuseppe era perciò molto amato da coloro che egli beneficava ed essi lo lodavano per la città; questo fu occasione di invidia per alcuni cattivi, che lo perseguitavano e sparlavano molto del Santo Giovane, dicendo che egli faceva di tutto per farsi lodare e stimare e il demonio si serviva di loro per mettere in discredito la virtù del Santo Giovane. Questo fu riferito a Giuseppe, che godette molto di essere screditato e che si parlasse male di lui, solo gli dispiacevano le offese al suo Dio e perciò lo pregava di illuminarli affinché la sua bontà non fosse offesa da quelle persone, e le raccomandava caldamente a Dio.
  
Quando il Santo si incontrava con coloro che lo biasimavano, si mostrava loro molto cortese e affabile e, se gli capitava l’occasione di entrarvi in discorso, diceva loro: «State attenti a non offendere Dio, perché se offendete me, poco importa». E alcuni di quelli che gli volevano male, restarono affezionati al Santo per la dolcezza delle sue parole e per il modo con cui egli li trattava, quando si umiliava e si sottometteva davanti a tutti, riconoscendo tutti migliori di lui e di maggior virtù, parlando a tutti con grande rispetto e sottomissione in modo che i cuori più duri restavano inteneriti dalle sue parole e dalle sue dolci maniere, e si notava bene come il Santo trattava con Dio nella preghiera, e che il suo cuore era ripieno dello spirito di Dio.  

Sua fede – Il nostro Giuseppe fu dotato anche di una grande fede, in modo che mai dubitò delle promesse che Dio gli aveva fatto per mezzo dell’Angelo, che gli parlava nel sonno, e sebbene vedesse che le promesse tardavano molto, non vacillò mai, ma rimase sempre costante nel credere che tutto si sarebbe eseguito perfettamente, imitando il Patriarca Abramo nella fede, e le parole che gli diceva l’Angelo erano ritenute da lui certe, aspettando le promesse che gli aveva fatto, e non tralasciando mai di supplicare il suo Dio perché lo consolasse nel dargli quello che l’Angelo gli aveva promesso.  

Aridità e pene – Il nostro Giuseppe camminava con tanta prosperità nella via dei comandamenti divini e, sentiva nella sua anima la consolazione divina, quando Dio volle provare la sua fedeltà sottraendogli la sua luce divina e la sua consolazione interiore, privandolo anche dell’aiuto speciale che aveva dall’Angelo, non facendoglielo più sentire; il Santo Giovane, quindi, si trovò in grandi afflizioni ed angustie. Non tralasciò però i suoi soliti esercizi di pietà ed anzi, accrebbe le preghiere e i digiuni con le continue suppliche al suo Dio, temendo molto di averlo disgustato. Passava le notti intere in preghiera supplicando il suo Dio di degnarsi di manifestargli, per mezzo dell’Angelo, la causa dell’abbandono che provava e in che cosa lo avesse disgustato per poterne fare la dovuta penitenza, poiché egli non era consapevole del motivo per cui il suo Dio si fosse ritirato da lui.  

Il Santo Giovane rimase per alcuni mesi in questo travaglio, soffrendolo con grande fortezza e con la speranza certa che Dio non avrebbe lasciato di consolarlo in tanta afflizione; e quanto più si vedeva solo e abbandonato, tanto più crescevano in lui la fede e la confidenza in Dio e più si stringeva a Lui con l’orazione e con l’uniformità alla sua santa volontà. Diceva spesso a Dio, che meritava quella privazione per la cattiva corrispondenza che gli faceva e per le molte offese, umiliandosi sempre più e riconoscendosi peccatore. Dio permise anche che il demonio, in questo tempo, tormentasse molto il Santo con varie tentazioni, soprattutto di diffidenza, ma in questo rimase sempre forte, confidando sempre di più nella grande bontà del suo Dio.  

Consolazioni – Il nostro Giuseppe aveva sofferto con grande pazienza e rassegnazione l’abbandono e aveva superato generosamente tutte le tentazioni e gli assalti del nemico infernale, mostrandosi in tutto e per tutto fedelissimo al suo Dio, che si compiacque di consolarlo e di ricompensare la sua fedeltà.  

Una notte stando in orazione afflitto più del solito, udì la voce interiore del suo amato Dio che lo confortò, dicendogli che Lui lo amava molto e che non lo aveva mai abbandonato, ma che era stato sempre in suo aiuto per mezzo della sua grazia divina. Il Santo restò molto consolato nell’udire questa voce che fu accompagnata anche da una mirabile dolcezza e soavità e la sua mente fu anche illuminata; per cui colmo di giubilo pianse per la dolcezza e si impiegò tutto nel lodare e ringraziare il suo Dio che si era degnato di consolarlo in questo modo e ricondurlo allo stato di prima.  

Passato un po’ di tempo in atti di ringraziamento e in dolci colloqui con Dio, prese un po’ di riposo e l’Angelo gli parlò nel sonno, assicurandolo che nel tempo della sua sofferenza aveva dato molto gusto a Dio nel mostrarsi in tutto fedele, così come nelle tentazioni; Dio aveva permesso questo per provare la sua fedeltà ed il suo amore, e non perché fosse stato da lui disgustato, come temeva. Il Santo Giovane destatosi si trovò molto contento per le parole dell’Angelo e, benché non lo vedesse né lo sentisse quando era sveglio, tuttavia ogni volta che gli parlava lo supplicava di fare i dovuti ringraziamenti a Dio da parte sua, perché egli si riconosceva insufficiente nel ringraziarlo come doveva e l’Angelo non mancava di adempire quel tanto che gli veniva ordinato da Giuseppe.  

Santi fervori – Il Santo, tornato allo stato di consolazione e quiete del suo spirito, perché la luce divina era tornata nella sua anima, non si saziava di lodare e magnificare la bontà del suo Dio e con chi incontrava parlava delle divine grandezze e perfezioni, accendendosi sempre più nel divino amore. La fiamma che gli ardeva nel cuore traspariva anche nel volto, che appariva tutto acceso, con gli occhi sfavillanti e apportava grande meraviglia a chi lo guardava e molto più ai suoi genitori che ne sentivano una grande consolazione e compunzione, e spesso discorrevano fra di loro della felice sorte che gli era toccata, avendo Dio dato loro un tale figlio.  

Nascita di Maria – Il giorno che venne al mondo la Santissima Vergine Maria, destinata ad essere Madre del Verbo divino e sposa di Giuseppe, il suo Angelo gli parlò nel sonno e gli disse di ringraziare Dio di un beneficio singolarissimo che aveva fatto a tutto il mondo, ma specialmente a lui. Non gli manifestò però che cosa fosse e il Santo non andò investigando, ma si destò subito e si mise in orazione, ringraziando Dio del beneficio fatto al mondo e a lui in particolare, come gli aveva imposto l’Angelo. Nel fare quest’atto di ringraziamento provò un’insolita dolcezza ed allegrezza mai provata prima; perciò andò in dolcissima estasi, nella quale gli furono rivelati molti misteri circa la venuta del Messia promesso e della sua divina Madre. Il Santo restò molto consolato ed acceso ancora di più del desiderio che aveva della venuta del Messia al mondo e perciò rinforzò le suppliche con maggiore insistenza, e si struggeva tutto in questi desideri, dando con questo molto gusto a Dio che voleva essere pregato con grande insistenza perché mandasse al mondo il Messia promesso nella Legge. Infatti il nostro Dio richiede dagli uomini molte suppliche per concedere grazie tanto grandi e sublimi; ed in questo il nostro Giuseppe assecondava la volontà divina. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


venerdì 5 gennaio 2024

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


Affetto e compassione particolare di Giuseppe per i moribondi; e come procurava di trovarsi ad assisterli all'ultima loro agonia  

 

Sua compassione per i moribondi – Oltre ai molti doni che Dio si compiacque di dare al nostro Giuseppe, uno singolare fu quello verso i poveri moribondi. Era tanta la compassione che egli ne aveva, che aveva quiete quando sapeva che qualcuno si trovava in questo stato, perché il Santo capiva bene quanto grandi siano i pericoli che si incontrano in quegli ultimi momenti di vita e come i demoni allora fanno ogni sforzo per guadagnare e condurre le anime alle pene eterne. Una volta fu avvisato nel sonno dal suo angelo, che gli manifestò il pericolo grande in cui si trovano i moribondi, e la necessità che hanno di essere aiutati in quell’ultimo conflitto; e mentre l’Angelo gli manifestava tutto questo, Dio infuse nel suo cuore una compassione ed una carità ben grande verso i moribondi. Fece questo con somma provvidenza, perché, avendolo Dio destinato come avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse in quest’opera di tanta carità, e gli diede un grande amore e una grande compassione verso gli agonizzanti, facendogli anche intendere i grandi bisogni che essi hanno in quegli ultimi momenti, dai quali dipende un’eternità, o di eterna beatitudine, o di eterna infelicità e miseria. Per questo, il nostro Giuseppe, acceso di un vivo desiderio di giovare ai moribondi, si struggeva tutto quando sapeva che qualcuno si trovava in agonia, e stava ore intere in ginocchio a supplicare il suo Dio per il felice passaggio di quell’anima, perché andasse a riposarsi nel seno di Abramo.  

Sua assistenza – Quando sapeva questo, non c’era per lui né cibo, né riposo, ma era tutto applicato a supplicare Dio per i bisogni del moribondo, e quando aveva la fortuna di trovarsi presente, non lo lasciava mai fin quando non era giunto al termine della vita, animandolo a confidare nella divina misericordia e a superare gli assalti dei nemici infernali. I moribondi provavano un grande conforto per l’assistenza del Santo e i demoni restavano molto abbattuti per le preghiere che faceva; e Dio gli concesse questa grazia che tutti coloro a cui il Santo si trovava presente alla loro morte non perissero, ma andassero, in parte al Limbo e in parte in Purgatorio. Il Santo lo conosceva con grande chiarezza, e di questo si consolava molto e ne rendeva grazie a Dio.  

Sforzi del demonio – Il demonio si infuriò molto per quest’ufficio di grande carità che il Santo praticava, ed una notte, fra le altre, che aveva perso un’anima per l’assistenza del Santo, gli apparve con un aspetto spaventoso e orribile e lo minacciò di volerlo precipitare, se non avesse desistito da un tale ufficio. Il Santo si intimorì nel vedere quell’orribilissimo mostro e fece ricorso a Dio domandandogli il suo aiuto; per questa preghiera il dragone infernale scomparve e il nostro Giuseppe restò in orazione, dove udì la voce del suo Dio che l’animava a non temere, ma a continuare a fare la carità ai moribondi, di cui egli ne aveva un sommo compiacimento. Il Santo, animato e tutto consolato dalla voce interiore, si infiammò molto di più di carità verso i moribondi, e continuava ad aiutarli con le sue ferventi orazioni, e si stimava felice colui che poteva averlo presente alla sua morte. Infatti era felice non solo perché era liberato dagli assalti furiosi dei nemici infernali, ma perché la sua anima, per le preghiere del Santo, andava in un luogo di salvezza.  

Persecuzioni dei malvagi – Anche per questa carità, che il nostro Giuseppe esercitava, passò molti travagli e persecuzioni da parte di gente malvagia e istigata dal demonio, ma non per questo desistette mai dal fare quest’ufficio tanto gradito a Dio e tanto utile al prossimo, e spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo. Una volta, fra le altre, quando il Santo Giovane era molto afflitto per le persecuzioni, l’Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte del suo Dio che stesse di buon animo e che continuasse a fare quell’opera di grande carità, perché Lui gli prometteva di fargli una grazia grande e specialissima alla sua morte. Non gli manifestò che grazia fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di morire in mezzo a Gesù e Maria, con la loro amorosa assistenza. Giuseppe, animato dall’avviso dell’Angelo, continuò l’opera di carità, e non desistette mai, per quanto gli fosse impedito o per una parte o per l’altra, perché il demonio si affaticava molto per distoglierlo, ma non gli riuscì mai poiché il Santo Giovane era animato e fortificato dalla grazia divina e quando si trattava di fare qualcosa che fosse gradita al suo Dio, si impegnava tutto e non c’era chi lo potesse distogliere dall’opera intrapresa per gloria di Dio e profitto del suo prossimo.  

Preghiere e lacrime per i moribondi – Alle volte veniva avvisato dal suo Angelo della necessità che qualche moribondo aveva delle sue orazioni, e il Santo si svegliava e si metteva subito in orazione, pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel povero agonizzante, e non si levava dalla preghiera fino a quando Dio non lo assicurava del suo aiuto. Molte volle gli veniva manifestato dall’Angelo come fosse molto grande il numero di coloro che perivano eternamente; di questo il Santo Giovane si rattristava tanto che passava tutto quel giorno in amarissimo pianto e si addolorava che non potesse trovarsi presente alla morte di tutti per poterli aiutare a morire bene. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla dura schiavitù di Lucifero e le riscattasse per mezzo della Redenzione. Quando poi era così afflitto e piangente, e i suoi genitori gli chiedevano qual era la causa del suo pianto, rispondeva con tutta franchezza e con grande umiltà: «Piango la perdita irreparabile di tante anime che il nostro Dio ha creato per condurle all’eterno riposo, ma esse, per loro colpa, si perdono. Il demonio ha un grande dominio sul genere umano e perciò preghiamo Dio perché si degni di mandare presto il Messia, affinché gli tolga il dominio e le forze, e le anime siano libere dalla tirannia di questo superbo dragone». Diceva questo con grande sentimento e compassione in modo tale che anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia e si applicavano a porgere calde suppliche a Dio perché si fosse degnato di mandare presto il Messia promesso. Molte volte ancora impetrò da Dio la salvezza dei peccatori ostinati, che erano in procinto di perdersi, e il Santo si poneva in orazione supplicando Dio di restituire loro la salute affinché si fossero ravveduti dai loro errori e si fossero poi salvati. Per ottenere questa grazia impiegava giorni interi nella preghiera, accompagnandola anche con il digiuno. Perciò capitava rare volte che il Santo non ottenesse la grazia che domandava, e tutto quello che faceva era nascosto agli occhi degli uomini e manifesto solo al suo Dio.  

Premiato da Dio – Quanto poi fossero gradite a Dio le preghiere del nostro Giuseppe e la carità che esercitava verso i moribondi, lui stesso ne era testimone mentre Dio non tralasciava di esaudirlo e molto spesso di consolarlo con le divine consolazioni, facendo godere al suo spirito, molto spesso, la soavità e la sua dolcezza in modo tale, che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva con il santo Re Davide: «Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre», (Salmo 72, 25). E ripieno della consolazione divina stava giorni interi senza cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello spirito di Dio, non sapeva né parlare, né pensare ad altro che al suo Dio, l’amore del quale tutto lo riempiva ed occupava. 

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B. 


martedì 7 novembre 2023

VITA DI SAN GIUSEPPE

 


1-07 Come Giuseppe fu molto travagliato per opera del demonio e la sofferenza che patì in tutti quei travagli e in quelle persecuzioni 


Insidie del demonio e sua pazienza – Il comune nemico fremeva di rabbia nel vedere le virtù mirabili che risplendevano nel nostro Giuseppe, e che con il suo esempio eccitava molti alla pratica delle virtù. Perciò, acceso di furore contro il santo Giovane, e non sapendo come fare per farlo cadere in atti di sdegno e d’impazienza, e per distoglierlo dal suo fervore nel servizio e nell’amore al suo Dio, si mise ad istigare alcuni malevoli mettendo nel loro cuore una grande avversione ed odio verso il Santo, perché le sue azioni virtuose servivano loro di grande rimprovero e confusione. Si accordarono perciò insieme che, quando si sarebbero incontrati con lui, l’avrebbero preso in giro e deriso, dicendogli anche delle parole ingiuriose, come infatti fecero. Il nostro Giuseppe si incontrò con questi giovani immorali, che andavano appositamente sulle sue tracce, e incominciarono a prenderlo in giro e a deriderlo. Essendo solo, il Santo chinò la testa e rivolto col cuore a Dio incominciò a supplicarlo perché avesse dato a lui la grazia di soffrire, e agli altri la luce per conoscere i loro errori. Questi, vedendo che Giuseppe non teneva conto dei loro scherni, si misero a maltrattarlo con le parole, chiamandolo sciocco, senza spirito, vile e pauroso, e che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo viaggio con tutta tranquillità e quelli lo seguivano con grande spavalderia, dicendogli sempre delle parole pungenti ed offensive. Il Santo Giovane trovandosi nella perplessità se doveva rispondere perché si calmassero, oppure tacere e soffrire tutto con pazienza, si sentì suggerire interiormente di soffrire e tacere perché così avrebbe dato molto gusto al suo Dio. Tanto bastò perché si decidesse di soffrire, anche con allegrezza, quella persecuzione, senza mai parlare; di questo quei giovani restarono confusi ed il demonio abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finché alla fine, stanchi di continuare ad offenderlo, lo lasciarono. Questa persecuzione, però, durò molto tempo, in modo tale che, quando Giuseppe usciva di casa per qualche affare, che suo padre gli ordinava, era sempre pronto a soffrire i cattivi incontri. Il Santo di questo non si dolse mai con nessuno, nemmeno con i suoi genitori, stando sempre con il volto sereno e gioviale. Suo padre fu però avvisato della persecuzione che il figlio soffriva, e ricercò se questo fosse vero, volendone fare il dovuto risentimento; Giuseppe gli rispose con tutta serenità, che lui piuttosto godeva in queste cose e lo pregava di tacere perché era sicuro che, soffrendo questo con pazienza, dava gusto al suo Dio, e poi soggiungeva: «Tu sai, padre mio, come hanno sofferto volentieri le ingiurie i nostri Patriarchi e Profeti; come il Re Davide soffrì di essere perseguitato ed ingiuriato; e noi sappiamo che questi erano gli amici e i favoriti del nostro Dio, dunque dobbiamo imitarli poiché Dio ce ne manda l’occasione». Suo padre rimaneva molto edificato di questo, e compiaceva il figlio lasciandogli soffrire i travagli senza farne alcun risentimento. 

Prova penosa – Il demonio, vedendo come, non solo non poteva acquistare nessuna cosa con il Santo Giovane, ma che ne restava sempre confuso e svergognato, tentò altre vie per turbargli la pace del cuore e per farlo cadere nell’impazienza. Istigò una donna che, per la sua vita poco buona, vedeva malvolentieri il Santo e andava spesso dalla madre di Giuseppe a parlare male del figlio, cioè che era biasimato e deriso da tutti, che non era buono a niente, che con il tempo avrebbe consumato tutto il suo avere, essendo molto facile nel dare l’elemosina a chiunque gliela domandava, e che molti poveri, essendosi accorti di questo, lo seguivano quando usciva di casa. Sebbene la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e conoscesse bene di che tempra fosse il figlio, per il continuo parlare della donna e per divina permissione, si turbò e molte volte fece delle aspre riprensioni al figlio, che le soffriva con grande pazienza senza scusarsi, e nonostante sapesse da dove veniva il tutto, non se ne risentì mai; solo una volta disse alla madre con tutta sottomissione, che si informasse bene di quello che le veniva riferito, perché avrebbe appurato che non era vero ma che erano tutte opere del comune nemico per inquietarla e turbare la loro pace. La madre si prevalse delle parole del figlio, ed avvedutasi della frode del nemico, cacciò dalla sua casa quella donna, che in vari modi tentava di introdurvi la guerra.

  Tentazioni e vittorie – Il demonio, vedendosi confuso, non desistette dall’impresa, ma trovò un altro stratagemma per inquietare e turbare il Santo, e, con il permesso di Dio, incominciò a tentarlo di vanagloria con varie suggestioni circa la vita che conduceva, del tutto irreprensibile, così agli occhi di Dio come a quelli degli uomini. Il Santo inorridiva a queste suggestioni e si raccomandava a Dio umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura miserabile e peccatore. Mosse anche alcuni a lodarlo in sua presenza e a magnificare le sue virtù, ma il nostro Giuseppe ne sentiva una grande confusione, dicendo sempre: «Io sono una creatura miserabile: lodiamo il nostro Dio, perché Egli è degno di lode. Egli è perfettissimo in tutte le sue opere divine. Egli solo è degno di essere lodato ed esaltato». Fu tentato dal nemico in tutti i modi, solo contro la purezza non gli fu mai permesso di poterlo fare e di questo il demonio ne fremeva, e non mancava di trovare il modo perché il Santo avesse almeno inteso dire qualche parola contraria a questa nobile virtù, ma siccome il Santo aveva una somma innocenza e semplicità non fu mai da lui né capita, né appresa. Trovandosi il santo Giovane in questi conflitti di tentazioni e suggestioni, si raccomandava al suo Dio con più ferventi orazioni; e una volta fu ammonito nel sonno dall’Angelo, perché all’orazione aggiungesse anche il digiuno, e lo fece con grande vigore digiunando spesso ed affliggendo la carne, che non trovò mai ribelle allo spirito e con questo fracassava la testa al nemico infernale, restando sempre, lui vittorioso, ed il nemico scornato; ma nonostante per breve tempo desistesse di travagliarlo, non lasciò però, di tanto in tanto, di molestarlo con i suoi inganni.  

Biasimi e sua mansuetudine – La vita ritirata e solitaria che il Santo conduceva era poi molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano a casa sua alcuni giovani come lui per condurlo a divertirsi, ma il nostro Giuseppe si scusava sempre con belle maniere dicendo che il suo divertimento era studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita dei Patriarchi e dei Profeti per poterli poi imitare nelle loro virtù, poiché essi erano stati graditi al suo Dio e da Lui molto amati e favoriti, ed esortava anche loro a fare così. Non mancò chi prendesse in considerazione le sue parole e procurasse di imitarlo, perché Giuseppe glielo suggeriva con tanto modo e grazia che le sue parole penetravano i loro cuori e dopo che aveva dato questi salutari consigli e queste buone esortazioni, si ritirava a supplicare e pregare Dio affinché essi non avessero mancato di fare quel tanto che lui aveva loro suggerito, e lo pregava di dare loro all’istante i suoi aiuti particolari e la grazia per poterlo fare. Dio non mancava di esaudire le sue preghiere, e quando il Santo Giovane sentiva dire che coloro per i quali pregava mettevano in pratica i suoi consigli, si rallegrava molto e ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Non mancò però chi lo biasimasse e prendesse i suoi consigli in malo modo; si doleva di questo, incolpando se stesso, pensando che questo avveniva perché lui era un peccatore e che non meritava che altri si prevalessero delle sue esortazioni. In tal caso si ritirava a piangere e pregava il suo Dio di usare la sua misericordia verso chi si faceva beffe dei suoi consigli e che non guardasse i suoi demeriti, ma il merito grande che Egli aveva di essere lodato e servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e far loro conoscere le verità da Lui manifestate: Dio si compiaceva molto di questo e non lasciava che le sue suppliche andassero a vuoto, mentre il più delle volte costoro si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe per ascoltare di nuovo le sue esortazioni che poi eseguivano fedelmente, e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.  

Serva di Dio  Maria Cecilia Baij O.S.B.