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domenica 22 dicembre 2024

La grazia è più elevata del miracolo

 


Dell’essenza della grazia divina


1. Sarebbe però ben poca cosa il dire soltanto che la grazia sorpassa di gran lunga in elevatezza la natura: essa sorpassa anche tutto ciò che Dio ha operato in modo straordinario. Così interpreta S. Agostino (1) quella notevole promessa del Salvatore, che i fedeli avrebbero fatto miracoli ancor più grandi che Egli stesso aveva compiuto sulla terra. Il Santo dice che si potrebbe interpretare quelle parole anche così: che cioè, per esempio, S. Pietro con la sua sola ombra avrebbe guarito gl’infermi, cosa che non si dice sia avvenuta del Salvatore. Ma ancor meglio, egli continua, intenderemo, sotto questi grandi miracoli, l’opera della Redenzione per la quale i fedeli darebbero per sé e per gli altri la loro cooperazione. Poiché, anche se da noi stessi non possiamo produrre la grazia, essa però non viene in noi senza la nostra cooperazione. Similmente col nostro buon esempio, coi nostri incoraggiamenti e consigli, possiamo far sì che la grazia prenda radice nel nostro prossimo, cresca e produca buon frutto. Ciò vuol dire fare cosa più grande di quel che fece Cristo coi suoi miracoli visibili (1). 

2. Il produrre la grazia è cosa in realtà ben più sublime e gloriosa del produrre miracoli, e ciò tanto per Iddio che per gli uomini. Dio non opera ordinariamente il miracolo che per cose sensibili, restituendo ad un uomo in modo soprannaturale la salute o risuscitando alla vita un morto. Con la grazia però Egli opera nell’anima, ed in tal guisa, che Egli, non solo la risveglia da morte a vita, cioè la crea di nuovo, ma mette in essa qualcosa di più elevato di prima innalzandola al disopra della natura, piantando in essa il germe di una vita soprannaturale. Non vi è dunque per parte nostra alcuna esagerazione nell’asserire che la grazia è il più grande miracolo dell’onnipotenza di Dio1 . È più grande della creazione dal nulla delle cose naturali e non ha altro confronto che con quella ineffabile attività del Padre per la quale Egli genera suo Figlio sino dall’eternità e lo unisce, nel tempo, all’umana natura. Tanto soprannaturale, elevata e misteriosa, è la generazione di Cristo, altrettanto è soprannaturale e piena di mistero l’infusione della grazia nell’anima nostra, poiché con essa – secondo le parole di S. Leone – veniamo a partecipare alla generazione di Cristo (3). 

3. E noi – e questo è il colmo delle meraviglie – possiamo e dobbiamo cooperare alla grazia più ancora di quel che abbiano potuto cooperare i Santi ai miracoli che Dio operava per loro mezzo. I santi erano solo strumenti per i quali Dio – talvolta a loro insaputa ed anche contro il loro volere – dava al mondo le più meravigliose testimonianze della sua onnipotenza. Ma l’effetto della grazia senza il nostro concorso risulta inefficace, come lo sarebbe stata l’Incarnazione del Divin Figlio in Maria senza il di Lei consenso. I santi potevano benissimo lasciare che Dio operasse per loro tante meraviglie senza che le loro forze vi potessero influire anche menomamente. Per la grazia, però, Dio vuole che noi stessi, col suo aiuto, vi ci prepariamo, che la prendiamo dalle sue mani, che la conserviamo con ogni cura, e ci studiamo più che è possibile di farla sviluppare in noi fino alla piena sua maturità. 

4. Ognuno comprende che il richiamare alla vita un’anima ferita a morte è cosa ben più grande che risuscitare un corpo. Nessuno potrà mettere in dubbio se sia più grande prodigio ravvivare la carne per una vita caduca e per il godimento di appetiti dei sensi, terreni e passeggeri, o il condurre l’anima ad una vita eterna ed al godimento di beni celesti, e tanto ad essa, come in un giorno futuro anche alla sua carne, dare una vita eterna e beata. Ma se noi vogliamo da Dio il miracolo della conservazione della nostra vita corporale, perché non desideriamo alcun miracolo per l’anima nostra, o meglio, perché non cooperiamo noi stessi ad ottenere il miracolo che ci sia restituita la vita dell’anima? Se tu sapessi di potere richiamare alla vita il tuo fratello defunto per mezzo del pentimento dei tuoi peccati, saresti tu così ostile verso Dio e tanto crudele verso tuo fratello da non volerlo fare? Eppure tu puoi con un semplicissimo atto di dolore risuscitare te stesso da morte, e neppure da quella del corpo, ma sebbene da quella dell’anima; e da una morte eterna passare ad una vita che  sarà eternamente beata. Tuttavia non vai forse procrastinando e negando a te stesso l’aiuto meraviglioso che Dio ti offre per mera sua liberalità, 

5. Puoi tu, o uomo, desiderare ed anche cooperare ad un’opera più grandiosa? Quante volte senti in te stesso questa ardente brama di compiere qualcosa di grande, di meraviglioso, per il quale gli uomini – che s’ingannano tanto facilmente e con tanto accecamento mirano stupiti tutto ciò che è singolare, tutto ciò che è follia – possano parlarne per lungo tempo! Vedi, ecco qui appunto un compito che fa stupire gli angeli del cielo, e per il quale tu puoi essere di spettacolo al mondo ed alle schiere angeliche! Lavora dunque con tutta diligenza e con tutto l’entusiasmo all’acquisto ed all’accrescimento della grazia in te stesso e nei tuoi simili; mai potrai compiere cosa più grande e meravigliosa! Oh se gli uomini sapessero la grande opera che compiono quando con una sincera contrizione dei loro peccati la rompono con la loro vita passata e ne cominciano una nuova! Sì, veramente essi compiono cosa ben più grande che se risuscitassero un uomo da morte, o se creassero un uomo dal niente. «Se Dio ti ha creato uomo» dice S. Agostino(1), «tu però – s’intende con l’aiuto di Dio – fai di te stesso un giusto, e allora avrai fatto più di quello che ha fatto Dio», cioè più di quello che Egli abbia fatto col chiamarti dal nulla alla vita naturale. 

6. Se dunque la contrizione per la quale risvegliamo l’anima da morte è già qualcosa di così grande, comprenderemo facilmente come ogni azione buona e soprannaturale, che noi possiamo compiere nello stato di grazia, non sarà meno grande e meno capace di sviluppare in noi forze meravigliose. Per ogni nuovo grado di grazia da noi guadagnato veniamo ad essere sollevati ancora di più sopra la nostra natura ed a stringere più intimamente la nostra unione con Dio. Se noi avessimo dunque un adeguato concetto del valore della grazia, se pensassimo quale forza risiede in ogni azione prodotta dalla grazia per aumentare questa in noi, se finalmente ci rendessimo conto del come è facile, coi meriti di queste azioni, aumentare la nostra beatitudine eterna, non lasceremmo allora, senza dubbio, andar perduto nemmeno un istante senza amare Dio e mostrare a Lui il nostro amore con buone opere. E ci sentiremmo altresì ricoperti di confusione e di vergogna al pensiero che per ogni nostro più piccolo sacrifizio ci lamentiamo spesso di Dio, anzi mormoriamo di Lui. Se pensassimo come aumenta la nostra dignità per un solo atto di virtù non ce ne lasceremmo sfuggire ad alcun prezzo l’occasione, per non avere poi da rimpiangere che tra centinaia d’occasioni che ci si sono offerte di sacrificarci per il Signore, ne abbiamo lasciate passare anche una sola. Noi dovremmo piuttosto gioire con l’Apostolo quando abbiamo da soffrire alcuna cosa per amore di Dio (At 5, 41). Nessuno vorrebbe essere così crudele da non risanare con gioia un malato o da non far ricco un povero, se potesse farlo con una piccola elemosina o con una breve preghiera. Ma non siamo noi forse più crudeli verso noi stessi quando non vogliamo aumentare la bellezza celestiale ed i divini tesori dell’anima nostra quando potremmo farlo ad un prezzo così minimo? Perché non cospargiamo tutte le nostre azioni con lo spirito di fede, di amore, di generosità, affinché noi con ogni azione compiuta in tal modo, acquistiamo un nuovo grado di grazia; di quella grazia che è più sublime di ogni cosa naturale creata e più grande ancora del miracolo? 

7. L’infusione, l’acquisto e l’aumento della grazia è perciò un prodigio di un ordine più elevato, più grande ancora del miracolo. E perché allora risveglia così poco la nostra ammirazione? Solo perché non è visibile ai nostri occhi corporali, né afferrabile ai nostri sensi ottusi, perché non è come gli altri miracoli, raro ed eccezionale, ma invece procede conforme ad una legge generale e ben regolata. Ma appunto queste circostanze dovrebbero renderla ancora più pregevole agli occhi nostri. La distribuzione delle grazie non è visibile poiché essa è un prodigio che si passa nell’interno dell’anima, a noi nascosto, e perché non possiamo vedere Dio col quale veniamo ad unire per mezzo di essa. Questo appunto mostra l’elevatezza di quella grazia che al nostro spirito, così immerso nel mondo sensibile, resta così difficile di afferrare nella sua vera grandezza. Più un oggetto richiede fatica a penetrarlo e più è facile per noi il persuaderci che esso è profondo ed elevato da meritare le nostre indagini ed i nostri sforzi. Per questo appunto ci attirano misteri del mondo sidereo, per questo sacrifichiamo il nostro tempo e la nostra vita ad investigare le leggi della natura, e per questo ancora l’incomprensibilità di Dio e dell’eternità ci riempie di riverenza e di santo terrore. Come Dio non sarebbe il Dio infinitamente grande, se noi potessimo vederlo coi nostri occhi, così anche la grazia, se fosse facilmente comprensibile, non saprebbe attrarre tanta venerazione e tanto stupore. La grazia ci viene data inoltre secondo una legge comune e regolare. Ciò pure sta a dimostrare l’onnipotenza e l’amore infinito di Dio poiché ci palesa quanto Dio sia liberale, quanto potente e ingegnoso nel suo amore, mentre Egli in questa grande opera non dà a misura, come negli altri miracoli, né in circostanze straordinarie, né servendosi di uno solo dei suoi grandi servi per operarli, ma invece la lega alle nostre azioni le più comuni e lascia che si nasconda nel ciclo della nostra quotidiana attività. Gran Dio! e dovremmo noi apprezzare meno il tuo dono, dovendo tanto più apprezzare Te che sei il donatore? E dovremmo tener meno conto del tuo dono che ci porgi sempre e con tanta facilità, come se Tu ce lo donassi in più scarsa misura e più di rado? Se tu concedessi la tua grazia ad un solo individuo, e anche questa per una sola volta, quanto non faremmo tutti conto di questa grazia! Come ci sarebbe impossibile il concepire come quell’uomo che è stato così beneficato per quella grazia, possa essere disposto a rinunziare al possesso di quel bene così unico! Oh no, benignissimo Iddio! la tua liberalità sconfinata ci deve appunto incitare a ricordarci sempre di Te e ad impiegare tutte le nostre energie per conservare e tenere in alta stima il Tuo dono, o Datore amantissimo!

M.J. SCHEEBEN

 

mercoledì 18 settembre 2024

Come devesi stimare la grazia, essendo essa infinitamente al disopra di ogni cosa creata

 


Dell’essenza della grazia divina


1. Daremo principio col dire ciò che rispetto alla grazia è la minima cosa, cioè che essa è infinitamente più elevata di ogni cosa creata. 

«Il cielo e la terra passeranno, secondo la parola di Gesù Cristo», dice S. Agostino, «ma la salute e le prerogative degli eletti resteranno; poiché i cieli sono solo opera di Dio, ma la grazia è la di Lui immagine» (1). S. Tommaso (2) insegna nello stesso senso, affermando che è cosa più grande il ricondurre un peccatore nello stato di grazia che creare il cielo e la terra. 

Il creare difatti si limita a dare l’esistenza a cose mutabili e temporanee. Ma la grandezza del ritorno del peccatore alla grazia sta nel fatto che questa lo rimette in condizione di partecipare eternamente alla immutabile natura divina. Nella creazione delle cose visibili Dio costruisce una casa, e quando dà all’uomo la natura ragionevole Egli popola questa casa di sudditi e di servi. Ma quando Dio dà all’uomo la sua grazia, Egli lo attira a sé, lo adotta per suo figlio e gli dona la sua stessa eterna vita. 

In una parola la grazia è un bene del tutto soprannaturale, cioè un bene che non possiede alcuna natura creata e nemmeno la suppone, poiché contiene in sé unicamente la natura di Dio. 2. 

Questa affermazione che la grazia, secondo la sua essenza, è congiunta con la natura divina e quindi a Dio solo è naturale, deve intendersi letteralmente. Perciò i più illustri dottori della chiesa (3) spiegano come Dio, nonostante la sua onnipotenza, non poteva creare alcuna essenza di tale perfezione ed elevatezza senza che la grazia non le fosse già propria per natura o che almeno la grazia fosse corrispondente e conforme alla sua natura, poiché se supponiamo una simile creatura, dobbiamo anche convenire che questa sua essenza non differisce più da quella di Dio (4). 

Va quindi d’accordo ciò che la S. Chiesa ha così spesso (5) dichiarato con tanta chiarezza, che né l’uomo; né del resto alcuna creatura, porta nella propria natura il minimo germe della grazia, e che, come spesso nota S. Agostino (6) la natura sta nello stesso rapporto alla grazia come la materia all’anima, che è il principio della sua vita. La materia, per sé stessa inanimata, non può dare a se stessa la vita, ma deve riceverla da un altro essere vivente. Così anche la creatura ragionevole non possiede di per sé la grazia e non può mai acquistarla con la propria attività o con i propri meriti (1). Solo Dio può dargliela per pura sua bontà ed in virtù della sua onnipotenza. 

Come dunque deve esser grande questa Bontà che tanto innalza le forze ed i meriti di ogni creatura ragionevole, compresi gli angeli (2) i più elevati. 3. 

Anzi possiamo dire che la grazia sorpassa, come Dio stesso, tutte le cose naturali. Essa non è altro che quel lume celestiale che dagli abissi della Divinità si riversa sopra le creature ragionevoli. E come la luce non è il sole stesso, ma è legata indivisibilmente ad esso, così non possiamo noi pure pensare che il lume della fede che si riversa su di noi possa venir separato da Dio. 

E infatti, secondo la parola stessa del Salvatore, lo stesso Dio, Uno e Trino, penetra con la grazia nel nostro cuore e vi resta finché nel cuore rimane la grazia (Gv 14, 23). Ora la luce che irradia dal sole è assai più perfetta ed efficace di ogni cosa terrena e perciò in stato di dare ad essa vita ed accrescimento. Quindi è che il sole che domina su tutta la terra è con questa legata nel modo il più intimo. Così è – in grado infinitamente più elevato – della grazia. La nostra natura è la terra che riceve i raggi del Sole divino ed è da questo così trasfigurata da divenire essa stessa divina. Ma poiché Dio, che noi veniamo a possedere per la grazia, è infinitamente più perfetto di tutti i soli e di tutte quante le cose, così la grazia è più preziosa di ogni bene creato. 

«Essa è», ci dice la Sapienza, «meglio che tutte le cose più preziose, e tutte le gioie più care non le stanno a paragone» (Pr 8, 11). 4. 

Alziamo dunque lo sguardo a questi tesori e giudichiamo quanto essi siano degni di stima. Per quanto possiamo essere ricchi di beni naturali, in potere e dignità, nella scienza e nell’arte, tutte  queste ricchezze spariscono, di fronte alla grazia, come un granellino di polvere a confronto di un prezioso diamante. E siamo pur poveri quanto si vuole, con la sola grazia di Dio veniamo ad essere più ricchi di tutti i monarchi della terra; noi possediamo il meglio che Dio stesso possa darci nella sua infinita liberalità. 5. 

Come dobbiamo essere grati a Dio! Noi lo ringraziamo di averci tratti dal nulla e dato l’esistenza, che Egli, come canta il Salmista (Sal 8, 8), tutto ha messo sotto i nostri piedi, le pecore ed i buoi, gli uccelli del cielo ed i pesci del mare, e dobbiamo perciò esclamare con lo stesso Salmista: «Cos’è l’uomo che Tu ti ricordi di lui, e il figlio dell’uomo perché Tu di lui ti prenda cura?» (Sal 8, 5). 

Ma quanto più dovremmo ringraziarlo per il tesoro soprannaturale della grazia, e conservare questa con ogni cura! 

Dice perciò il dotto Cardinale Cajetani che non dovremmo mai perdere di vista il valore della grazia per non dimenticare la severità dei castighi che ci aspettano se disprezziamo questi beni immensi che il Signore ci offre gratuitamente e con sì tenero amore. Ci sta preparato un castigo analogo a quello toccato a quegli uomini nel Vangelo che, invitati dal re alla sua cena, per un meschino guadagno e per un miserabile piacere non vollero andarvi. 6. 

Ma la incommensurabile grandezza della grazia deve spronarci all’esercizio fervoroso delle virtù poiché in tal modo la grazia aumenterà in noi. Anche se tu niente perdi della grazia, ma poi non ti curi troppo d’ascoltare una S. Messa anche nei giorni feriali, tralasci volontariamente una preghiera o un’opportunità di compiere un’opera di misericordia, sei negligente nell’esercizio dell’umiltà e della mortificazione: ecco già un danno rilevante per te il non aumentare il capitale quando potresti farlo con tanta facilità. Ed il più piccolo grado di grazia ha più valore di tutti i beni del mondo! 

Se un avaro con un digiuno di un giorno o con un’opera buona potesse guadagnare una flotta di navi cariche dei tesori dell’India, chi potrebbe impedirglielo o trovare da ridire? E lo tratterrebbe forse il pensiero della piccola fatica dell’opera buona, o l’apprensione di danneggiare la salute con quel piccolo digiuno? Ma quanti pretesti troviamo noi nella nostra stoltezza, come esageriamo le minime difficoltà mentre nel caso nostro si tratta d’un guadagno sicuro la cui minima parte sorpassa mille Indie e mille mondi! Perché ce ne stiamo oziosi con le mani in grembo e non vogliamo spargere nemmeno una goccia di sudore per lavorare un campo su cui è sparsa una semenza d’oro? Ma che dico, sudore! Oh, come spesso il Signore non ne richiede da noi una sola gocciolina! E che forse esigerà le nostre lacrime? No, un solo sospiro sopra i nostri peccati gli basta, un forte proposito, un pio desiderio, l’intenzione soprannaturale con la quale eleviamo a Dio le nostre quotidiane fatiche, i nostri sacrifici, la sola parola «Gesù» con la quale esprimiamo il nostro amore od imploriamo il suo aiuto, ecco tutto! E chi non ripeterebbe con gioia mille volte al giorno questo santo nome se potesse con questo guadagnare tante casse piene d’oro! E ciò non è certamente da mettersi a confronto con quello che possiamo aspettarci da Dio! 

Oh, se queste meraviglie, questi tesori della grazia potessero imprimersi così profondamente nei nostri cuori che noi potessimo sempre dire a noi stessi, con la più viva e profonda convinzione: È proprio vero che niente vi è che possa compararsi in valore alla grazia divina, non vi è davvero niente che meriti ogni nostro sforzo come la conservazione e l’aumento della grazia! Non vi è niente di così facile a conservare ed aumentare di quel che sorpassa in valore ogni altro bene, cioè la grazia soprannaturale e divina!

M.J. SCHEEBEN

mercoledì 5 giugno 2024

Come è deplorevole la poca stima della grazia che si fa dagli uomini

 


Dell’essenza della grazia divina

 

1. La grazia di Dio è un raggio della divina Bellezza che dal cielo si riversa nell’anima nostra e ne penetra le più recondite profondità di una luce così ineffabile che l’occhio stesso di Dio ne è rapito ed il suo Cuore infiammato di amore. Di più la grazia conferisce all’anima una tale dignità che questa viene accolta da Dio come sua figlia e sposa e sollevata al di sopra di ogni confine della natura, sino al Cielo, affinché, essendo conforme al Figlio Divino per la nascita, partecipi alla sua santa vita e poi come Lui possa ricevere in eredità il regno delle magnificenze divine. 

2. Ma mentre la nostra lingua va pronunziando, direi quasi ad ogni parola, una nuova meraviglia, il nostro intelletto non è capace di seguirla. E come potremmo noi arrivare a comprendere questi beni celesti così sublimi se gli stessi spiriti beati che già ne gustano le delizie appena possono intenderli nella pienezza del loro valore. Essi pure, riguardando il trono della divina misericordia, compresi della più profonda venerazione, non possono che restare stupiti per tale eccesso di grazia e benignità per parte di Dio. 

Ma più ancora essi stupiscono della nostra stoltezza, la quale apprezza così poco la grazia divina, la ricerca con tanta negligenza e la trascura con incredibile leggerezza. Quando noi dall’alto trono di dignità celeste a cui ci ha sollevato la grazia, cadiamo, per il peccato, nel profondo abisso in cui caddero gli spiriti ribelli, essi piangono per la nostra immensa sventura. 

3. L’angelo della scuola c’insegna (1) che il mondo intero con tutto ciò che esso contiene ha meno valore agli occhi di Dio della grazia divina in una sola creatura ragionevole. Anzi S. Agostino (1) afferma che il firmamento stesso (s’intende nella sua magnificenza naturale) non può esserle comparato. Perciò l’uomo dovrebbe essere più grato a Dio per la più piccola particella di grazia che se ricevesse la perfezione naturale degli spiriti più sublimi e gli fosse dato pieno dominio ed ampia potestà come re del firmamento e di tutti gli astri. E quanto più varrà dunque la grazia di tutti i beni di questa terra! 

Ed invece, sia per la stoltezza, sia per indegno disprezzo delle cose di Dio, la grazia è messa al di sotto delle cose più comuni e che niente valgono, e ciò, non solo con grande indifferenza, ma come per giuoco! Sempre vi sono uomini che rigettano questa pienezza di beni, che pospongono Dio stesso al nemico dell’anima loro, e questo per non privarsi di uno sguardo inverecondo su di un oggetto lurido, per non rinunziare a dei piaceri volgari, indegni dell’uomo; uomini che, leggeri come Esaù, cedono una eredità, vasta come il mondo intero, per un miserabile piacere di un istante! 

4. «Stupitevi, o cieli, di questo fatto», grida il Profeta, «e voi porte della sua terra rattristatevene!» (Ger 2, 12). Chi sarebbe tanto stolto e temerario da voler sacrificare il mondo intero al suo palato ed ai suoi capricci se sapesse che per un breve piacere peccaminoso che si permetta, il sole sparirà, le stelle cadranno dal cielo e tutti gli elementi si solleveranno a grande scompiglio? Ma cos’è mai la rovina del mondo a confronto della perdita della grazia? Quanti pochi si curano d’impedire in se stessi ed in altri questo male reale, e quanti meno ancora si trovano che veramente deplorino tale sventura! 

Ci fa orrore un terremoto che distrugge una città, una pestilenza che faccia strage di uomini e di animali. Eppure avvengono cose ancora più terribili, che si ripetono migliaia di volte al giorno e noi vi assistiamo senza commuoverci, con occhio asciutto, mentre tante e tante creature umane perdono nel modo più miserando la grazia di Dio e disprezzano stupidamente l’opportunità di riacquistarla. 

La devastazione della Santa Città riempì il Profeta Geremia di un dolore inconsolabile, l’improvvisa rovina della fortuna di Giobbe tenne i suoi amici per sette giorni in muto cordoglio. E qui dovremmo invero piangere e dolerci senza tregua e senza fine: il nostro dolore non arriverà mai ad esprimere, nemmeno in parte, la sventura che a noi tocca quando devastiamo, per il peccato, il celeste giardino dell’anima nostra, quando rigettiamo da noi lo splendore della natura divina, la regina delle virtù – che è la divina carità col suo celestiale corteo, – i doni dello Spirito Santo, anzi lo stesso Divino Paraclito, l’amicizia di Dio, il diritto alla sua ricca eredità, il frutto dei nostri meriti, in una parola quando allontaniamo da noi Dio e tutto il paradiso! 

5. All’anima che perde la grazia può applicarsi con ragione quella «Lamentazione» che Geremia canta su Gerusalemme: «Come ha ricoperto il Signore di tenebre la figlia di Sion nel suo furore; Egli gettò dal cielo in terra l’inclita Israele, non ricordò lo sgabello dei suoi piedi nel dì del suo furore. Il Signore inabissò nella rovina senza remissione ogni più bel soggiorno di Giacobbe» (Lam 2, 1-2). Ma chi considera nel suo cuore questa immensa sventura, chi ne piange, chi v’è che questo lutto trattenga dal commettere nuovi peccati? E qui tornano a proposito le parole dello stesso Profeta: «Tutta desolata dalla devastazione è la terra perché nessuno riflette dentro del suo cuore» (Ger 12,11). Con ragione ascriviamo il triste destino del popolo ebreo al ben meritato adempimento della parola: «La vostra casa vi sarà lasciata deserta» (Lc 13, 35). A dir vero noi non ci portiamo meglio di quegli israeliti che il Signore, dopo averli liberati dalla schiavitù d’Egitto e condotti attraverso quegli aridi deserti, voleva introdurre in una terra dove scorreva latte e miele. Essi disprezzarono il dono immeritato ed inestimabile che Dio loro offriva, si disgustarono della manna che il Signore donava loro lungo il viaggio e rimpiangevano le pentole piene di carne, dell’Egitto. La terra promessa non era altro che un’immagine del cielo che il Signore ha promesso ai suoi eletti, e la manna era un simbolo della grazia che deve nutrirci ed infonderci nuovo vigore nel nostro cammino verso il cielo. Se «Dio levò la sua mano contro di loro, giurando di abbatterli nel deserto» perché «disprezzarono la terra desiderabile» (Sal 105, 24. 26), quanto più caro costerà a noi il poco conto che facciamo del cielo e della grazia, se già il disprezzo della figura venne castigato così severamente! 

6. Questa poca stima da parte nostra ha una doppia origine. Da un lato noi stimiamo troppo le cose transitorie di quaggiù o mettiamo ogni nostra speranza di successo nella nostra attività e nelle nostre viste terrene; dall’altro abbiamo una conoscenza troppo superficiale dei beni celesti. Dobbiamo cercare perciò, per mezzo di una seria meditazione, di eliminare questi nostri errori e deficienze. 

La nostra stima per i beni eterni crescerà a misura che allontaneremo da noi, nella giusta misura, la stima delle cose temporali, specialmente del mondo e dei suoi beni. Poiché, appunto dall’esagerato attaccamento alle cose terrene proviene la cecità per quelle spirituali; e dalla falsa fiducia nel mondo e dalla ingiusta stima delle sue imprese, nasce il disgusto e la nausea di ciò che è eterno (1). 

Al contrario dobbiamo studiarci seriamente d’imparare meglio a conoscere la grazia divina. Ma non potremo farlo se non meditando costantemente la divina verità, e più ancora con la fedeltà ai lumi ed agli incitamenti che da esse provengono. Allora rimarremo così presi dalla sovrana bellezza dei suoi tesori, che esamineremo con più riflessione tutto ciò che è terreno, e quando la grazia penetrerà il nostro intelletto nella sua vera essenza esclameremo senza dubbio con S. Ignazio: «O come mi nausea la terra quando io rimiro il cielo!» (2).

 – E Oh sì, impariamo davvero ad ammirare e stimare la grazia! Poiché chi è «rapito dalle bellezze della grazia», dice S. Giovanni Crisostomo, «la conserverà con somma cura, come fedele custode» (3). 

7. Principiamo dunque, con l’aiuto di Dio, «le lodi delle meraviglie della sua grazia» (4). Ma Tu, grande e clementissimo Iddio, Padre dei lumi e di misericordia «da cui proviene ogni dono perfetto» (Gc 1, 17), poiché «ci hai eletti, nei decreti del tuo volere, in Gesù Cristo fin dalla fondazione del mondo, ad essere santi ed irreprensibili nel tuo cospetto, per amore» (Ef 1, 4. 6), dai a noi lo Spirito di Sapienza e di Rivelazione, rischiara gli occhi del nostro cuore, affinché conosciamo «qual è la speranza della vocazione a cui ci hai chiamati e quanto ricca sia la gloria della sua eredità fra i santi» (Ef 1, 17-18). Dammi lume e vigore affinché la mia parola non rechi alcun danno al dono ineffabile della tua grazia per la quale Tu accogli gli uomini nella tua regale famiglia. 

Gesù Cristo nostro Salvatore, Figlio del Dio vivente, per quel tuo Sangue divino col quale hai ricomprato noi, povere tue creature, concedimi che io possa esporre a coloro che Tu hai redento con questo tuo Prezioso Sangue – restituendogli la grazia perduta – il valore incalcolabile di questo dono per il quale Tu non hai creduto eccessivo lo sborsare un prezzo così inaudito. 

E Tu, o dolcissimo Spirito Santo, pegno e sigillo del divino amore, Tu ospite santificatore delle anime nostre, per il quale viene infusa nel nostro cuore la divina grazia, per i cui sette doni essa viene alimentata, che mai doni la grazia senza dare Te stesso, Tu, o Santo Spirito, insegnaci cosa sia questa divina grazia e come essa debba essere preziosa agli occhi nostri. 

Santissima Madre di Dio, e perciò anche Madre della divina grazia, fai ch’io possa rivelare agli uomini che per la grazia sono divenuti figli di Dio, e perciò anche figli tuoi, i tesori della grazia per i quali tu sacrificasti volenterosa il tuo Divin Figlio. 

Santi Angeli, Spiriti beati che siete ripieni e trasfigurati dagli ardori di questa grazia divina, e voi anime sante che già siete passate da questo luogo d’esilio agli amplessi del Padre Celeste per gustare i frutti della grazia e sperimentarne la dolcezza, assistetemi con le vostre preghiere affinché nessuna nube d’errore o di passione venga ad oscurare il mio sguardo o quello dei miei lettori, ed il Sole della grazia possa risplendere con più fulgore e chiarezza sopra di noi per illuminare e per risvegliare nei nostri cuori un acceso desiderio ed un amore inesauribile.

M.J. SCHEEBEN