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martedì 19 agosto 2025

Commento all‟Apocalisse

 


SUL CAPITOLO NONO DELL’APOCALISSE 

 Il quinto e sesto Angelo. 

 

§. I. 


Il quinto angelo, che suonò la tromba. 

 

Cap. IX. v. 1-12. 


I. Vers. 1. 

E il quinto angelo suonò la tromba, e vidi una stella caduta dal cielo sulla terra, e le fu data la chiave del pozzo dell‟abisso.

Questa stella che qui vien detta che cadde dal cielo sulla terra al suono del quinto angelo, è l‟Imperatore Valente, potente e massimo fautore dell‟eresia ariana, sotto di cui incominciò dapprima a fiorire e raggiungere la massima espansione, al punto che soprattutto al suo tempo si pone meritatamente questo quinto e principale e distinto suono della tromba, per gli immani malanni che cagionò alla Chiesa. Fece più lui, infatti, nel propalare l‟eresia ariana, che Ario stesso nel darla alla luce. Questo Valente, blandito dalla moglie, a sua volta caduta nei lacci dell‟eresia anche per la diabolica influenza del Patriarca di Costantinopoli Eudossio, il più scellerato di tutti gli ariani, aderì a questo funestissimo errore. Per cui, fattosi battezzare dallo stesso Eudossio, giurò a se stesso, che avrebbe perseverato nell‟empio suo dogma, per difendere il quale incrudeliva a tal segno che infestava i cattolici con l‟esiliarli e metterli in prigione, fece chiudere tutte le chiese [sub dio, sta a cielo aperto, sotto il cielo] e ordinò di strappare i monaci dell‟Egitto, i quali gli erano ostinatamente avversi, alla solitudine del deserto, costringendoli ad entrare nell‟esercito, oltre a tante altre scelleratezze di cui trattano Teodoreto e Baronio all‟anno 377. Di tutti i suoi crimini, tuttavia, quello che fu davvero il più scellerato ed esiziale, fu che, volendo i Goti accogliere la fede cristiana, su consiglio e esortazione del perverso Eudossio, inviò loro dei sacerdoti ariani. Lo stesso fece con i Vandali, i quali in seguito, per circa 150 anni, attraverso varie vicende, portarono grandi rovine in Tracia, Gallia, Spagna, Africa, Italia, Borgogna e altri luoghi, finché, l‟anno 527, sotto l‟Impero di Giustiniano, vennero sconfitti e completamente distrutti dai generali Belisario e Narsete, come si legge nel cap. 21 della Storia Ecclesiastica e in altre cronologie. Questi infatti erano popoli molto numerosi, feroci, bellicosi, rapidi, e singolarmente ingegnosi nell‟arte della guerra, come anche oggigiorno sperimentò, ahimé!, la Germania. Prosegue quindi:

 Vers. 1. E il quinto angelo suonò la tromba, questo angelo è il quinto sia in ordine alla narrazione, sia in ordine alla rivelazione. S. Giovanni, infatti, riconsidera gli effetti e i gravissimi danni che seguirono dall‟eresia ariana. Si riconosce che questo empio è Eudossio, uomo d‟animo presuntuoso e gonfio della perfidia ariana, che suonò la tromba, istigando convincendo l‟Imperatore Valente ad abbracciare l‟eresia ariana, a permettere che lo battezzasse, a vincolarsi con giuramento a perseverare nell‟errore ariano, a inviare al popolo dei Goti (allontanati i cattolici) dei preti ariani, cose che tutte ottenne per il tramite delle lusinghe della moglie del sovrano. Prosegue: E vidi una stella caduta dal cielo sulla terra, costui è l‟Imperatore Valente, che è paragonato alla stella per le esimie virtù che possedeva, se non le avesse corrotte con la peste ariana. È del pari paragonato alla stella per le insegne della dignità imperiale, nella quale sono costituiti gli Imperatori perché debbano risplendere davanti ai loro principi e ai loro popoli nella sana fede e in tutte le virtù. E vidi una stella, ossia Valente, caduta dal cielo, dalla Chiesa militante di Cristo, sulla terra, dall‟altezza e incorrotta verità della fede cattolica per la seduzione della sua malvagia moglie e di Eudossio, come già detto, cadde nell‟eresia ariana, che metaforicamente è la terra, poiché trattava di cose mondane, nei suoi errori riguardo al Figlio e allo Spirito Santo. Dice caduta al tempo passato, per la sua ostinazione e il giuramento, con cui si ripromise di perseverare in quell‟empio dogma, morendo in tale perfidia. Del pari dice caduta dal cielo sulla terra, poiché venne da Dio abbandonato, disprezzato e reso abbietto per la sua perfidia nei confronti di Cristo Signore e di tutta la SS. Trinità, come anche perché morì privo dell‟onore della sepoltura. E le fu data la chiave del pozzo dell‟abisso. La chiave indica la potestà imperiale concessagli da Dio e il permesso d‟impiegarla empiamente con il richiamare dall‟inferno ed esaltare al massimo grado l‟eresia di Ario, la quale, al contrario, Costantino il Grande, dopo che fu condannata nel Concilio di Nicea, ben impiegando il potere imperiale, aveva seppellito, gettato e chiuso nell‟inferno. E aprì il pozzo dell‟abisso: con la sua autorità imperiale spalancò da ogni parte le porte e le vie all‟eresia ariana, permettendo di diffondersi liberamente, sostenendola ovunque, sottraendo le chiese e gli episcopati ai cattolici, e dandoli agli ariani, inviando sacerdoti eretici ai Goti e ai Vandali e ad molti altri popoli. Per pozzo metaforicamente si intende la stessa eresia di Ario e per abisso l‟inferno. Come, infatti, dagli abissi marini si originano tutti i corsi d‟acqua della terra e le sorgenti che sgorgano attraverso canali sotterranei, così dall‟inferno si diffondono nel mondo tutte le eresie per mezzo di uomini empi. 

***

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 


domenica 1 giugno 2025

Commento all‟Apocalisse



§. III. 


Il terzo e il quarto angelo. 


Cap. VIII. v. 10-13. 

 

 I. Vers. 10. E il terzo angelo suonò la tromba, e cadde dal cielo una gran stella ardente come fiaccola, e cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fonti delle acque. Questo terzo angelo è l‟eretico Pelagio monaco, che ebbe come discepolo, coetaneo e seguace Celestino, anche lui monaco, al tempo degli Imperatori Arcadio e Onorio e Papa Innocenzo I, mentre s. Agostino era vescovo di Ippona. Contro del quale fu convocato, nell‟anno 416, il Concilio di Milevi, che lo condannò. Anche il Concilio di Efeso, uno dei quattro più importanti, radunatosi contro Nestorio, ribadì la condanna delle eresie di Pelagio. Questi sparse i suoi errori in Siria e in Britannia, sua patria, mentre i suoi seguaci e discepoli fecero lo stesso in altri luoghi. Costui 1° anteponendo il libero arbitrio alla grazia divina, insegnava che l‟uomo è giustificato per i propri meriti, e non per la misericordia di Dio, per mezzo di Cristo e senza merito da parte dell‟uomo, ma anzi che l‟uomo con le proprie virtù e opere naturali può acquisire agli occhi di Dio una vera e solida giustizia, e il perdono dei peccati deriva non dalla fede di Cristo, ma dai nostri sforzi. 2°. La morte di Adamo non fu dovuta al pecca-to originale, ma alla condizione della natura umana. 3°. I bambini non hanno bisogno del battesimo, in quanto privi del peccato. 4°. La vita dei giusti in questo secolo è impeccabile, poiché l‟uomo una volta divenuto giusto non può più peccare. 5°. La volontà libera dell‟uomo, una volta ricevuta la grazia del battesimo, non può più peccare. 6°. Le preghiere della Chiesa per gli infedeli e i peccato-ri, perché si convertano, o per i fedeli, perché perseverino, sono inutili, bastando per tutti questi il potere del libero arbitrio. Questo passo dunque riguarda questo eretico. E il terzo angelo suonò la tromba: Pelagio iniziò a propalare i suo nefandi deliri. E cadde dal cielo una gran stella ardente come fiaccola, Questa stella è Celestino, suo discepolo e seguace, che al suono del suo maestro cadde dalla Chiesa militante in questa eresia. È detto gran stella in quanto fu uomo di lettere, religioso, ossia un monaco, e i suoi insegnamenti avevano apparenza di verità. Per cui segue ardente come fiaccola, parole che esprimono la forza di tale eretico. Corruppe, infatti, infiammò e sedusse moltissimi con il tratto di uomo religioso e l‟apparenza della verità e santità dei suoi scritti. Dice ardente, in quanto era nemico acerrimo e ostinato avversario della grazia dello Spirito Santo. E cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fonti delle acque. I fiumi e le fonti delle acque indicano metaforicamente il Battesimo e la vita della grazia antecedente, susseguente e concomitante dello Spirito Santo che menano i giusti in questa vita mortale. E su questa terza parte cadde detto eretico, corrompendo con i suoi errori gran parte della Cristianità, che prima credeva con la Chiesa nella ve-rità del Battesimo e della grazia dello Spirito Santo. 

 Vers. 11. E il nome della stella si chiama Assenzio. Queste parole esprimono la natura di questa eresia, che ha reso agli uomini amara, odiosa e insipida la grazia dello Spirito Santo. Come, infatti, l‟acqua dolce è gradita e desiderabile agli assetati, così la grazia dello Spirito Santo è deside-rabile e bramata dai peccatori per la fede in Cristo Gesù, come del pari il Battesimo. Ma questo diavolo gettò l‟assenzio della sua nefasta eresia in queste acque, rendendole amare agli uomini, che le stimano cose da nulla, presumendo delle proprie forze e del proprio arbitrio, che è l‟assenzio della natura umana senza la grazia di Dio, soprattutto dopo il peccato originale. E la terza parte delle ac-que si tramutò in assenzio, una grande e notevole parte dei credenti nell‟efficacia del sacro battesimo e della grazia dello Spirito Santo, venne corrotta ed infetta da questa empia eresia. E molti degli uomini morirono a causa delle acque, perché eran diventate amare, col vocabolo uomini s‟intendono i prudenti e sapienti di questo mondo, che sono spiritualmente morti secondo la vita dell‟anima. A causa delle acque, i perversi dogmi riguardo la grazia e il battesimo. Perché eran diventate amare, sono divenute amare in ordine alla stima e al conto che ne fanno gli uomini, ossia contrarie alla dolcezza dello Spirito Santo, che vivifica soprannaturalmente con l‟acqua dolce della sua grazia eccitante e nutriente l‟anima assetata del peccatore. 

 II. Vers. 12. E il quarto angelo suonò la tromba. Questo angelo indica il quarto eresiarca, che fu Nestorio, patriarca di Costantinopoli sotto Teodosio II e Celestino Papa nell‟anno 428. contro di lui fu riunito il Concilio di Efeso, terzo dei quattro principali, che lo condannò, in quanto insegnò contro la verità della fede, che Cristo Figlio d Dio nato dalla Vergine Maria era solo di natura uma-na, e non anche Dio, e perciò la Madonna doveva essere definita solo Madre di Cristo e non Madre di Dio. Diceva anche che in Cristo vi erano due persone e due nature, l‟una divina, l‟altra umana. Contro questa setta polemizzò con vigore Eutiche al tempo del Concilio di Efeso, ma trasportato dalla sua avversione per l‟errore di Nestorio, andò tanto oltre da negare che in Cristo vi fossero, non solo due Persone, ma anche due nature, così che bollò come fautori di Nestorio coloro che sostene-vano che in Cristo vi fossero due nature, distinte tra loro e senza mescolanza divise. Eutiche giunse a tal punto di demenza da sostenere che Cristo non era nato secondo la carne da Maria Virgine, ma che il suo corpo era disceso dal cielo nel suo seno come un raggio di sole e che nello stesso istante dell‟Incarnazione la carne era stata mutata nella divinità. Così la prima eresia fu occasione per il sorgere della seconda nell‟anno 448, contro la quale fu riunito il Concilio di Calcedonia, il quarto dei principali Concili, sotto l‟Imperatore Marciano e Papa S. Leone I nel 451 d.C. Per cui si dice nel contesto: e il quarto angelo, ossia Nestorio, suonò la tromba, propalando la sua eresia sopra ricor-data. E fu percossa la terza parte del sole e la terza parte della luna, il sole indica la Divinità, la luna l‟Umanità di Cristo, che è lo sgabello dei suoi piedi. Del pari il sole è Cristo, la luna è la B.V. Maria e la Chiesa di Cristo, che furono colpiti tanto dagli errori di Nestorio, quanto dall‟eresia di Eutiche, in quanto cioè i fedeli cristiani credenti, furono sedotti e percossi colle tenebre e l‟oscurità di tali errori. E la terza parte delle stelle, le stelle designano i Vescovi, i prelati e i dottori, i quali, travolti dalle tenebre e dall‟oscurità di questi errori, abbandonarono la vera Chiesa di Cristo. Poiché, poi, costoro bestemmiarono contro il nuovo e il vecchio Testamento, contro i Profeti e gli Evangelisti, aggiunge subito: affinché la terza parte loro si oscurasse, e il giorno non rilucesse per la sua terza parte e similmente la notte, ovvero quelli che eran tenute come le principali testimonianze del nuovo Testamento (qui designato dal termine giorno) e dell‟antico (indicato dalla notte) sulla vera umanità di Cristo, sull‟Incarnazione nel seno della B.V. Maria e sull‟unica Persona, vennero oscura-te nella mente dei fedeli dalla perfidia di questi due eretici, così ché gli appropriate interpretazioni della scrittura non brillarono più nella verità. Queste quattro eresie sono come le quattro porte di tutte le eresie, poiché sia gli errori che sorsero prima, che quelli posteriori, sembrano come i pro-dromi di esse, o i loro discendenti postumi. 

 III. Vers. 13. E vidi, e udii la voce di un‟aquila volante in mezzo al cielo, che diceva a gran voce: “Guai, guai, guai agli abitanti sulla terra, per via degli altri squilli di tromba dei tre angeli che stan per suonare!”. Con queste parole si annunciano a tutto il mondo i malanni e le massime tribolazioni che accadranno al suono dei tre ultimi angeli, mali di cui in parte furono causa le eresie precedenti, in parte si origineranno da nuovi individui, come di sotto vedremo. Per cui prosegue: E vidi, e udii la voce di un‟aquila volante in mezzo al cielo, quest‟aquila è lo stesso S. Giovanni Evangelista, che volò nell‟alto del cielo della rivelazione, dove vide, cioè, il resto della storia della Chiesa di Cristo fino alla consumazione del mondo. E poiché vide che nel rimanente corso del tempo sarebbero accaduti eventi ancor più orribili dei precedenti, qui ne rende e dà testimonianza a tutta la Cristianità, affinché, quando avverranno, gli uomini di buona volontà non si scandalizzino, si disperino e cadano nell‟errore: i dardi, infatti, che si vedono arrivare in anticipo, feriscono meno gravemente. Che diceva a gran voce: indica la grandezza delle tribolazioni che accadranno in futu-ro. Per cui segue: “Guai, guai, guai agli abitanti sulla terra, per via degli altri squilli di tromba dei tre angeli che stan per suonare!”. Gli abitanti della terra sono il genere umano, misto di buoni e malvagi, i quali verranno toccati senza distinzione – come si vedrà – da questi mali. 

 Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

mercoledì 19 marzo 2025

Commento all‟Apocalisse

 


SEZIONE PRIMA  SUL CAPITOLO OTTAVO DELL’APOCALISSE 

 I quattro primi Angeli, che suonarono la tromba. 


§. II.  

I primi due angeli, che suonarono la tromba. 

Cap. VIII. v. 7-9  


I. I quattro angeli, che suonano la tromba, e a cui sono dedicati i due seguenti paragrafi, designano quattro eresiarchi che mossero una grave guerra alla Chiesa di Cristo (dopo che questa aveva sconfitto i terribili nemici giudei e pagani) riguardo alla natura della SS. Trinità, della Divinità di Cristo e dello Spirito Santo, l‟Umanità, la Persona e la Natura, la Volontà del Verbo Incarnato ecc. Questi quattro angeli indicano poi il complesso di tutti gli altri eretici che trassero origine da quei caporioni e che si fondarono sui loro errori. Sono quattro a similitudine dei quattro animali, figura degli Evangelisti, in quanto, come la verità del Vangelo è stata diffusa nelle quattro parti del mondo, così anche la zizzania delle eresie, Dio permettendolo, si è sparsa nel mondo. Il demonio, infatti, il serpente antico, è la scimmia e il padre degli eretici e dei mentitori, il quale cerca vanamente di imitare Cristo Signore per distruggere la verità rivelata. Suonar le trombe significa intimar la guerra e chiamare a battaglia, come anche promulgare e render noto qualcosa. Significato che conviene agli ultimi [pessimi] tre angeli, e più tardi ai quattro eretici, che pieni di superbia, sparsero nel mondo al loro tempo i loro falsi dogmi. Quindi dice: 

 Vers. 7. E il primo angelo dié fiato alla tromba. Si allude ad Ario, prete della città di Alessandria, che nell‟anno 315, durante l‟episcopato di Alessandro, essendo Imperatore Costantino il Grande e Sommo Pontefice Silvestro, si levò, insegnando che il Figlio di Dio è simile al Padre soltanto di nome, ma non nella sostanza. Contro tale eresia fu convocato il primo Concilio di Nicea, una dei quattro principali Concili, sottoscritto da 318 vescovi cattolici, che condannò Ario, Fotino, e Sabellio, e benché tali errori siano spuntati prima del regno di Giuliano e dei suoi successori e dell‟avvento al pontificato di S. Damaso, tuttavia, più tardi assurse a grande fama, in quanto ebbe la massima diffusione in tempi successivi e si mantenne a lungo, al punto che – come si legge nel Breviario Romano nella festa di S. Damaso l‟11 dicembre – tutta la Chiesa ne gemette, e il mondo  si accorse con stupore di essere divenuto ariano. E venne grandine e fuoco mescolato con sangue, e furon gettati sulla terra. E la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi e ogni erba verde fu arsa. Seguono le calamità, le disgrazie indicibili e i disastri che la Cristianità dovette patire a causa di tal trombettiere. E venne grandine, una grande tempesta, che vien designata volgarmente col nome di „grandine‟, e a causa della quale la Chiesa si trovò divisa, come è narrato al Cap. X della Storia Ecclesiastica. A seguito di tale sconvolgimento il volto della Chiesa  era oltremodo deturpato e sfigurato, essendo devastato, infatti, a differenza di prima in  cui i nemici erano esterni, dai propri e dai  nemici interni. L‟uno cacciava via l‟altro, ed entrambi si dicevano cattolici. Proprio della grandine è distruggere e devastare fiorentissimi pascoli, messi ubertose, vigne, fiori, alberi e frutti. Così fece l‟eresia di Ario, che distrusse e deturpò la Chiesa di Cristo che al tempo di Costantino il Grande era fiorentissima. E fuoco mescolato con sangue delle contese: ovvero che questi due flagelli, grandine e fuoco, provocarono un grande spargimento di sangue, soprattutto al tempo dell‟Imperatore Valente, che caduto in questa eresia, perseguitava i cattolici, gli uni gettandoli alle fiamme, gli altri, facendoli morire di spada, altri affliggendoli con altri generi di supplizi. E fu gettato sulla terra, in quanto questa eresia contaminò quasi tutta la terra, si propagò ovunque, durò a lungo, e fu accettata davvero da tutti. Per cui prosegue: E la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi e ogni erba verde fu arsa. Tali parole alludono alla caduta dei Cristiani nell‟eresia di Ario e la diminuzione della Chiesa. Qui S. Giovanni parla della terza parte della Cristianità, di cui un terzo sia di laici sia del popolo, fu corrotto dal fuoco dell‟eresia ariana, qui designati dal termine terra, in quanto si dedicano alle professioni mondane e al commercio. E la terza parte del ceto ecclesiastico, indicata dagli alberi, in quanto per la cognizione delle sacre scritture e delle cose celesti si elevano al di sopra degli altri ecc. e lo stesso dicasi per la vita e i costumi, in quanto a suo tempo devono dare frutti soprannaturali, e spuntino foglie e fiori di buoni esempi. S. Ilario scrive al riguardo che 105 vescovi ai suoi tempi caddero nella perfidia dell‟eresia ariana. Aggiunge significativamente E ogni erba verde. Si allude ai Goti da poco disposti a ricevere il Cristianesimo. Questi chiesero all‟Imperatore Valente che inviasse loro dei sacerdoti Cristiani, perché insegnassero loro la fede cattolica. Valente – che aveva aderito all‟arianesimo – mandò loro dei preti eretici, che corruppero i Goti con l‟eresia. Fu davvero una grande perfidia, che venne ripagata dai medesimi Goti bruciando vivo Valente, nell‟anno 378, in uno squallido tugurio. 

 II. Vers. 8. E il secondo angelo suonò la tromba. Costui è Macedonio, Patriarca di Costantinopoli, che volle trattare dello Spirito Santo e finì col bestemmiarlo, insegnando che era una mera creatura e servo del Figlio. Apparve nell‟anno 360. Contro questo errore si tenne il Secondo Conci-lio Ecumenico, uno dei quattro principali, a Costantinopoli, che fu sottoscritto da 150 vescovi du-rante l‟Impero di Graziano e Teodosio e il Pontificato di Papa Damaso nell‟anno 381. E come una gran montagna ardente per fuoco fu gettata nel mare. Questo eresiarca e la sua eresia sono para-gonati qui ad un gran monte ardente di fuoco per la sua pessima superbia, ambizione e malizia, per cui si gonfiava e ardeva a guisa di un gran vulcano, glorificando se stesso per i suoi errori, con cui negava la comune divinità e consustanzialità col Padre allo Spirito Santo, mentre Ario in preceden-za aveva negato tali attributi al Figlio. Lo si dice ardente di fuoco, poiché, privato dell‟episcopato, bruciava e fiammeggiava d‟invidia, iracondia e livore, per cui, conducendo vita ritirata in un luogo di Costantinopoli detto i Chiostri, diede la stura, senza tener chiusa la bocca, ad ogni genere di be-stemmie contro lo Spirito Santo. Fu gettato nel mare. 1°. Qui il mare indica la SS. Trinità delle Persone e l‟unità della loro essenza divina. Come il mare, infatti, è insondabile, così e molto di più il mistero della SS. Trinità è imperscrutabile. E come dal mare si originano tutti i fiumi, le sorgenti e le acque, e tutte poi a lui tornano. Così da Dio Uno e Trino deriva ogni bene e a Lui poi fa ritorno. 2°. Il mare qui indica anche lo Spirito Santo. Come il mare vivifica e conserva in vita creature di ogni genere, che al di fuori di lui perirebbero; così il mare è lo Spirito Santo, che vivifica, dal quale tutti riceviamo la vita dell‟anima col battesimo e in lui la conserviamo e viviamo, e senza i suoi ri-voli d‟acqua (ossia la Grazia antecedente, susseguente e concomitante) tosto moriamo. 3°. Il mare è anche simbolo della Chiesa, in ragione del Battesimo. Come il mare, infatti, è il contenitore di tutte le acque, così la Chiesa è la riunione dei fedeli per il sacramento del battesimo. 4°. Indica anche il mondo che, come il mare, è scosso dalle onde delle tentazioni, è instabile e mescola in se buoni e malvagi, come il mare ha pesci buoni e cattivi. In tutte queste varie accezioni qui si dice che questa montagna fu gettata nel mare come facilmente comprenderà il lettore. E la terza parte del mare diventò sangue. 1°. Sangue sta qui per la corruzione che da questa eresia si riversò all‟esterno se-condo il suo apparire esteriore a danno dell‟onore dello Spirito Santo e anche rispettivamente della SS. Trinità e della Chiesa. 2°. Va inteso anche in senso proprio, in quanto a causa di questa eresia e di quella ariana molto sangue cristiano fu versato nel mondo, come attesta la storia ecclesiastica. 

Vers. 9. E morì la terza parte delle creature che son nel mare, ossia della Cristianità. Si di-ce che è morta in riferimento alla vita dell‟anima che consiste nella vera fede e nella carità nello Spirito Santo, essendo membri della vera Chiesa cattolica di Cristo, nella quale solo vi è la vita so-prannaturale e separandosi dalla quale per aderire all‟eresia, si trova la morte. Come infatti, i pesci, al di fuori del mare, possono stare in vita per poco, così, a maggior ragione, le anime possono vivere e salvarsi fuori della Chiesa Cattolica. La terza parte: qui il determinato va sempre inteso come in-determinato, ovvero indica un numero grande e notevole. E la terza parte delle navi andò in rovina. Gran parte dei prelati e dei parroci, che avrebbero dovuto condurre gli altri al porto della sal-vezza, erano stai corrotti dagli errori in parola. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

venerdì 31 gennaio 2025

Commento all‟Apocalisse - L‟apertura del settimo Sigillo

 


SEZIONE PRIMA  SUL CAPITOLO OTTAVO DELL’APOCALISSE 

 I quattro primi Angeli, che suonarono la tromba. 

 

§. I.  

L‟apertura del settimo Sigillo  

Cap. VIII. v. 1-6. 


I. Con l‟apertura dei sei precedenti Sigilli fu descritto il combattimento della Chiesa contro i Giudei e i pagani. Con l‟apertura del settimo Sigillo si passa invece alla descrizione della guerra tra la Chiesa e i principali eresiarchi e i loro fautori, i quali sono tutti, fino alla fine del mondo, annoverati sotto questo ultimo Sigillo. Sotto il medesimo è anche aggiunta la breve indicazione della persecuzione di qualche tiranno, come l‟Imperatore Giuliano l‟Apostata, o quella suscitata dai discendenti di Costantino Magno. Segue quindi: 

 Vers. 1. E quando ebbe aperto il settimo Sigillo, ossia quando il Signore Dio rivelò a S. Giovanni le altre persecuzione della Chiesa che avrebbe permesso accadessero fino alla fine del mondo. Si fece silenzio nel cielo per una mezz‟ora circa. Questo silenzio simboleggia la nuova tristezza, orrore e costernazione scagliata contro la Chiesa da Giuliano l‟Apostata, ma poiché, per una singolare disposizione e protezione di Dio, questo tiranno regnò per breve tempo, si dice che il silenzio si fece per una mezz‟ora circa. L‟espressione „farsi silenzio‟ si usa quando tutti inorridiscono, tremano e sono attoniti per l‟imminenza di mali grandi e nuovi, che al tempo dell‟Imperatore Giuliano colpirono improvvisamente la Chiesa di Cristo, per questo aggiunge: si fece silenzio nel cielo, ossia nella Chiesa militante. Giuliano, infatti, dopo aver professato fino ai vent‟anni la fede cristiana, e dissimulando per dieci per timore di Costanzo, fin dal primo anno di regno, ormai liberato da ogni paura, rinnegò solennemente il Cristianesimo, e fattosi iniziare con riti nefandi al Sommo pontificato pagano (di cui fa menzione il sacerdote Prudenzio nel suo inno romano) ordinò di aprire i templi degli dei, e di compiervi sacrifici. Volle poi divenire sacerdote dei misteri eleusini. Tentò inoltre di sostenere finanziariamente la ricostruzione da parte dei Giudei del tempio di Salomone distrutto da Tito. Per contro ordinò di chiudere le chiese cristiane. Proibì che il divino ufficio vi fosse solennemente celebrato, e così si fece silenzio nel cielo. Ma Dio non tollerò a lungo questo scellerato persecutore della sua Chiesa. L‟anno 363, infatti, dopo un regno di appena un anno e sei mesi, morì per una grave ferita ricevuta durante la guerra contro i Parti. Per cui dice: per una mezz‟ora circa, poiché dopo la sua morte furono aperte le Chiese cristiane e chiusi i templi degli idoli, e la religione di Cristo cominciò a prosperare sotto i suoi successori Gioviano e Valentiniano e sotto il Sommo Pontefice S. Damaso. 

 II. Vers. 2. E vidi i sette angeli che stavano al cospetto di Dio, e furono date loro sette trombe. Di questi sette Angeli e delle loro trombe si dirà più sotto. 

Vers. 3. E un altro Angelo venne e si fermò all‟altare. Questo altro Angelo è Papa S. Damaso, che vien detto „altro‟, ossia completamente opposto ai precedenti. È posto tuttavia in mezzo agli altri, poiché alcuni dei sette Angeli lo precedettero, molti, anzi, quasi tutti vennero dopo di lui, prima son detti stare al cospetto di Dio e ricevere le trombe, solo poi invece suonarle. E un altro Angelo venne, costui è proprio S. Damaso, che fu infatti scelto per salire al Papato. E si fermò all‟altare, ovvero vi fu anche confermato e stabilito. Occorre infatti sapere che, quando S. Damaso fu eletto Papa, ebbe un competitore, tale Ursicino Diacono, che gli venne preferito nella Basilica detta di Licinio, dove molti di entrambe le fazioni vi persero la vita, poiché quella elezione fu trattata più con le armi che con i suffragi. Tuttavia, dopo poco tempo, sacerdoti e popolo si accordarono e S. Damaso fu confermata legittimo Papa, mentre il suo avversario Ursicino fu confinato nella diocesi di Napoli. Per questo qui si dice: E un altro Angelo venne e si fermò all‟altare, governando cioè la Chiesa di Dio, simboleggiata dall‟altare, dove ogni giorno nel sacrificio della Messa Gesù Cristo viene immolato, comunicato e offerto in sacrificio incruento e propiziatorio al Padre celeste. Avendo un turibolo d‟oro, ovvero una grandissima devozione, sapienza e carità, cose che sono metaforicamente simboleggiate nel fumo, oro e fuoco contenuti nel turibolo, e in cui questo Papa eccelse. Approvò infatti la traduzione della Bibbia di San Girolamo, e prescrisse che nella Messa venisse recitato il Credo Costantinopolitano al posto di quello di Nicea. Sostenne i corepiscopi, edificò nuove chiese, accrebbe il fasto del culto divino, e prescrisse che in tutte le chiese i salmi fossero cantati, notte e giorno, da cori alternati, aggiungendovi alla fine sempre un Gloria al Padre. E gli furono dati molti aromi, indica i frutti della saggezza di questo Papa, ossia il grandissimo incremento del culto divino e della religione in tutta la Chiesa di Cristo, sia tra il popolo, sia tra gli ecclesiastici. E gli furono dati molti aromi, che indica l‟aumento delle preghiere dei servi di Dio che si verificò allora nella Chiesa, giusta il Salmo 140, 2: Salga la mia preghiera come incenso al tuo cospetto. Si dice che gli furono dati, nel senso che egli ne fu il promotore, avendo ottimamente istituito con la sua autorità apostolica l‟ordine del culto divino, mediante al quale incrementarono assai in tutto l‟orbe cattolico lo spirito d‟orazione e la devozione cristiana.  Perché ne impregnasse le orazioni di tutti i santi sull‟altare d‟oro che è davanti al trono di Dio. Con tali parole si indica l‟ufficio del Sommo Pontefice, ossia promuovere e conservare il culto divino da sé e per mezzo dei suoi subordinati, e indirizzare verso Dio la devozione di tutto il popolo cristiano, essendo egli il capo della Chiesa universale. Perché ne impregnasse ecc., ossia per riferire e rappresentare l‟aumento che con la sua autorità, sapienza, e apostolica devozione al culto divino nella cristianità aggiunse per la maggior glo-ria di Dio, dopo la mala morte dell‟empio tiranno Giuliano. Sull‟altare d‟oro, che è l‟umanità di Cristo, ossia dell‟Agnello che sta al cospetto del trono, e per mezzo del quale sono offerti, esauditi e resi accetti a Dio Padre tutti i nostri meriti e le nostre preci; in Lui infatti si fondano tutti i nostri meriti e le nostre preghiere, e per il Suo tramite sono da Dio Padre accettate, e senza di Lui non hanno valore alcuno, né quella compiacenza data dall‟amicizia al fine del conseguimento della vita eterna. Per cui prosegue: 

Vers. 4. E salì il fumo degli aromi, per le orazioni dei santi, dalla mano dell‟Angelo al cospetto di Dio. Fu assai ben accetto alla divina maestà questo aumento del culto sacro, che si verificò per l‟operosità, l‟industria, la sapienza e la devozione di questo Santo Papa, il quale qui è figura della Chiesa universale. 

Vers. 5. E l‟angelo prese il turibolo e lo riempì col fuoco dell‟altare e lo gettò sulla terra, e seguirono tuoni e voci e lampi e gran terremoto. Segue la descrizione di un‟altra grande e buona opera che avvenne durante il pontificato di questo Papa, ossia il Concilio Ecumenico di Costantinopoli, nel quale centocinquanta Padri definirono la vera natura divina dello Spirito Santo contro le eresie dell‟empio Macedonio e di altri che negavano la sua divinità, come Ario in precedenza aveva negato quella di Cristo. E l‟angelo, ossia S. Damaso prese il turibolo dell‟anatema, che è il Concilio Ecumenico, dove i cuori e le volontà di tutti i Padri sentono all‟unanimità e sono moralmente un cuore solo, come è rappresentato dal turibolo sopra citato. E lo riempì col fuoco dell‟altare, della divinità dello Spirito Santo, che viene designato dal fuoco. Qui dice che lo riempì col fuoco dell‟altare, perché col consenso universale di tutta la Chiesa, di cui è simbolo l‟altare, il Pontefice, in quanto capo supremo e giudice nelle controversie di fede, dichiarò questa verità sulla vera natura divina dello Spirito Santo. E lo gettò sulla terra, lo rese pubblicò e promulgò in tutto il mondo contro Macedonio e i suoi seguaci, definendo con un pronunciamento infallibile che lo Spirito Santo è veramente Dio. E seguirono tuoni, scomuniche, e voci, dichiarazioni di fede sullo Spirito Santo, e lampi, le pene comminate agli scomunicati se avessero ancora pensato o insegnato diversamente da quanto solennemente definito; e gran terremoto, un grande turbamento e commozione riguardo a tali cose. E lo gettò sulla terra, contro gli eretici Macedoniani, i quali avevano dello Spirito Santo una concezione terrena e svilita. E seguirono tuoni, le sante predicazioni sulla vera natura dello Spirito Santo. E voci di lode divina su di Lui. E lampi, gli splendidi miracoli che avvennero per suo mezzo. Così i cuori degli uomini furono mossi a ben intendere la natura dello Spirito Santo. 

Vers. 6. E i sette angeli che avevano le sette trombe s‟accinsero a suonar le trombe. Chi e quali siano questi sette angeli sarà spiegato nel paragrafo seguente. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

domenica 10 novembre 2024

Commento all‟Apocalisse

 


§. II. 

La consolazione della Chiesa trionfante di Cristo  

sulle persecuzioni e le vittorie che i SS. Martiri riportarono su di esse. 


Cap. VII. v. 9-17. 


I. Vers. 9. Dopo questo vidi una gran folla, che nessuno poteva contare, di tutte le genti, e tribù e popoli e lingue, che stavano di faccia la trono e di faccia all‟agnello, rivestiti di bianche vesti, e con palme nelle loro mani. Le parole sopra riportate esprimono e rivelano la beatissima condizione di tutti i SS. Martiri nella Chiesa trionfante, i quali al tempo di Diocleziano e dei prece-denti persecutori, attraverso varie e differenti morti e tribolazioni, passarono alla vita immortale. Questa visione è di consolazione e conforto a tutti gli altri soldati di Cristo, che fino alla fine del mondo, patiranno nella Chiesa militante per la fede, l‟onore e la giustizia del Signore Dio. Dopo questo, ovvero seguendo l‟ordine della rivelazione, vidi una gran folla, di Martiri e Santi di Dio, che nei primi trecento anni dopo la Passione di Cristo, passarono alla gloria celeste. Che nessuno poteva contare: si pone un numero infinito, per indicare la sterminata moltitudine dei SS. Martiri che passarono in quei trecento anni alla vita eterna. Di tutte le genti, e tribù e popoli e lingue: que-sti quattro vocaboli significano che uomini di ogni popolo, di ogni parte del mondo, passarono co-me detto alla vita eterna, in quanto nessun uomo è escluso dalla gloria celeste. Che stavano di fac-cia la trono: quest‟espressione indica la condizione dei santi, che è la chiara visione di Dio, il ripo-so e l‟eterna stabilità. Si dice poi che stavano di faccia la trono, per indicare il riposo da ogni fatica nella visione beatifica di Dio. E di faccia all‟Agnello, questo denota il gaudio dei beati per la visio-ne dell‟umanità di Cristo, che godranno in eterno. Come infatti i beati si ricreeranno internamente della visione della divinità, così esternamente di quella dell‟Umanità di Cristo. Rivestiti di bianche vesti, queste indicano la gloria, il premio e le speciali aureole in ordine ai differenti meriti e ai di-versi combattimenti. Per cui subito aggiunge: e con palme nelle loro mani, a significare la perfetta vittoria, la quale in questa vita non si può ottenere, poiché l‟uomo, per quanto santo, deve conti-nuamente combattere. Da ciò si ricava quindi che qui si sta davvero descrivendo la condizione della Chiesa trionfante in cielo. 

 Vers. 10. E gridavano a gran voce. Denotano queste parole l‟ufficio dei beati di Dio, e esprimono nel contempo la veemenza e il massimo affetto del loro amor divino, per cui impulso lo-dano e glorificano Dio e l‟Agnello per la loro salvezza di cui sono sicuri per tutta l‟eternità, dicen-do: La salvezza al nostro Dio, ch‟è seduto sul trono, e all‟Agnello, ovvero salute e felicità, e ogni altro gaudio, derivano da Dio e dall‟Agnello. 

II. Vers. 11. E tutti gli Angeli stavano ritti intorno al trono e dei vecchi e dei quattro animali, e caddero bocconi davanti al trono e adorarono Dio. Segue l‟applauso di tutti i SS. Angeli per la salvezza dei SS. Martiri di Dio. E tutti gli Angeli erano pronti ad eseguire ogni ordine di Dio. Intorno al trono e dei vecchi e dei quattro animali: qui ricorda che l‟ordine dei SS. Angeli che si trova nella Chiesa trionfante consta di tre Gerarchie e di nove Cori. Intorno al trono e dei vecchi, ossia i Profeti e gli Apostoli; e dei quattro animali, ovvero gli Evangelisti e di Dottori, i quali sono continuamente occupati a servire il loro creatore, il che è indicato dal verbo: stare. E caddero boc-coni davanti al trono e adorarono Dio. Queste parole indicano la perfettissima sottomissione, rive-renza, umiltà e culto, con cui gli Spiriti angelici adorano per tutta l‟eternità Gesù Cristo, vero Dio e Uomo, tributandogli ogni lode e onore per la loro condizione beata, e ringraziandolo per il trionfo dei Martiri. Dicendo: Amen.  

Vers. 12. La benedizione e la gloria e la sapienza e il ringraziamento e l‟onore e la poten-za e la forza al nostro Dio per i secoli dei secoli. Amen. Tributano al nostro Dio la potenza, la be-nedizione, la lode, e la gloria, la glorificazione del suo nome, e la sapienza (in quanto forma eterna) e il ringraziamento per tutte le patite tribolazioni per le quali i SS. Martiri conquistarono la somma gloria. L‟onore nelle pubbliche chiese e sugli altari, che dopo l‟ultima persecuzione, erano erette ovunque nel mondo. E la potenza, l‟effetto della potenza di Dio, e i miracoli che avvennero in te-stimonianza della fede. E la forza, ossia la capacità di resistere, per la quale tollerò i tiranni e i persecutori della Chiesa. Ma anche indica la meravigliosa costanza dei SS. Martiri, la cui quasi infinita moltitudine d‟entrambi i sessi sconfisse tutti i tormenti del mondo e si guadagnò il regno dei cieli. Al nostro Dio: i SS. Angeli attestano e dichiarano che tutto ciò bisogna attribuirlo al Signore Iddio, in quanto unica sorgente e infinito mare di tutti i beni, per cui chiudono la loro acclmazione con l‟espressione Amen, ovvero, „così sia‟, „così sia‟, che esprime il loro ardente desiderio. 

III. Vers. 13. E prese la parola uno dei vecchi, dicendomi: Questi che indossano le bian-che vesti, chi sono e da dove sono venuti? Questa domanda viene posta a questo punto in modo as-sai sapiente riguardo alle persone, ossia chi siano e come siano giunte alla condizione tanto beata, allaa consolazione, e al gaudio e alla speranza certa dei giusti in tutte le avversità che per permesso di Dio accade che dobbiamo patire da parte degli empi, così da comprendere che per i giusti non si tratta di un eccidio, di un danno irreparabile o di una fine ignominiosa, ma del transito ad una con-dizione cui appartiene ogni gloria e ogni bene. Nel libro della Sapienza, al cap. 3, 1-3, si legge al ri-guardo: Ma le anime dei giusti son nella mano di Dio, e non li toccherà tormento di morte. Sembra-ron morire agli occhi degli stolti, e si reputò disgrazia la loro scomparsa, e il loro partirsi da noi uno sfacelo, ma essi son nella pace. Anche gli empi il giorno del giudizio finale saranno costretti, ma troppo tardi, e per loro eterno scorno, ad ammettere e deplorare la medesima cosa. Allora sta-ranno i giusti con grande sicurezza in faccia a coloro  che li oppressero e depredarono le loro fati-che. Al vederli gli empi saranno agitati da tremenda paura. Diranno dentro di sé presi da penti-mento, e sospirando per l’angoscia dell’animo: Questi son coloro che facemmo un tempo oggetto di risa e d’obbrobrioso motteggio, noi insensati. La vita loro stimavamo una pazzia e senza onore la loro fine. Eccoli invece annoverati tra i figli di Dio e tra i santi è il loro retaggio (Sap., 5, 1-5). E prese la parola uno dei vecchi, dicendomi: Costui è S. Pietro, detto uno dei vecchi, ossia il primo dei Prelati della Chiesa, come sopra già dicemmo. Questi che indossano le bianche vesti, chi sono e da dove sono venuti? Questa domanda non serve ad apprendere qualcosa, quanto intende istruire noi. Segue infatti l‟umile risposta di S. Giovanni, che ci insegna il modo con cui dobbiamo imparare i divini misteri celesti. 

Vers. 14. Ed io gli dissi: Tu, Signor mio, lo sai. Segue subito l‟istruzione sulla verità eterna. E lui mi disse: Questi son quelli che vengono dalla gran tribolazione, ossia questi sono coloro che in questo mondo furono oggetto del disprezzo degli uomini, e patirono la ruota, il fuoco, le bestie feroci, la spada, il carcere e l‟esilio, e uscirono di vita col martirio al tempo di Diocleziano e di Massimiano e dei tiranni che li precedettero, poiché allora vi fu la gran tribolazione. E han lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell‟Agnello. Con queste parole si indica l‟aumento della gloria dell‟anima, che è l‟aureola del martirio, che ottennero testimoniando la fede in Gesù Cristo. Il sangue dei Martiri infatti si dice moralmente il sangue di Cristo, nel senso che è il sangue dei suoi membri, nei quali si dice che ha patito la persecuzione, come in Atti, al cap. 9, 4: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Del pari si dice che han lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell‟Agnello, perché ogni merito e morte dei Santi si fonda sulla morte e nel Sangue dell‟Agnello Gesù Cristo, e s‟innestano come i tralci nella vite e come il frutto nell‟albero e come le spighe nel seme. 

Vers. 15. Perciò sono davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio, e colui che siede sul suo trono abiterà sopra di essi. Segue la condegna e piena ricompensa delle tri-bolazioni indicata dall‟uso della particella perciò. Sono qui specificate otto tipi di retribuzioni, che corrispondono agli otto difficili gradi delle virtù e della vittoria attraverso di cui i cristiani devono salire per giungere al Regno di Dio. Ciò aveva promesso Cristo in S. Matteo al cap. 5 ai suoi solda-ti. Otto è infatti il numero con cui s‟indica l‟insieme e la pienezza di ogni bene, come vedremo. 

IV. Il primo grado è la povertà in spirito armato della quale il cristiano deve essere pronto a perdere ogni bene temporale piuttosto che rinnegare la fede e distribuirlo ai poveri durante la perse-cuzione, come fece S. Lorenzo e tutti i SS. Martiri i cui beni erano insidiati dal tiranno, e a cui è promesso il Regno dei cieli, che è la personale ed individuale stabilità eterna. Per cui si dice: perciò sono davanti al trono di Dio, ossia posti nell‟eterna stabilità, guardando Dio faccia a faccia, come Egli è.  

Il secondo grado è la mansuetudine, di cui rivestiti i SS. Martiri di Dio sostennero il giogo e la tirannia dei Re della terra ad imitazione di Cristo loro Signore, condotti al macello come Agnelli, senza aprir bocca e così vinsero il male col bene, ai quali sta promesso il possesso della terra, ossia la libertà completa e il possesso eterno del sommo bene, nel quale regneranno con Cristo Gesù loro capo nei secoli dei secoli, poiché servire Dio, è regnare. Per cui segue: e lo servono giorno e notte nel suo tempio, nel riposo eterno, nella libertà e felicità senza timore, nella lode del loro creatore per tutta l‟eternità, come attesta il Salmo 83, 5: Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore: Ti loderanno sempre. Il tempio simboleggia infatti il cielo empireo, il palazzo dell‟eterno Re, il ta-bernacolo incorruttibile, nel quale Dio abiterà con gli uomini e i suoi SS. Angeli come vedremo al cap. 21. 

Il terzo grado è il pianto dei giusti, per cui gemono e piangono nelle avversità, incertezze, agitazioni, cattive tentazioni ed altre numerose calamità e disgrazie di questo mondo. Anche a loro è promessa una consolazione piena, e una perfetta felicità, che consiste nell‟essere con Cristo e regna-re con lui, giustissimo, santissimo e potentissimo Monarca, la cui bontà, potenza e regno non cessa-rà in eterno. E colui che siede sul suo trono abiterà sopra di essi, e non serviranno più un Re terre-no, né gli saranno sottomessi, né più si cambierà la loro condizione nei secoli dei secoli, poiché Cri-sto Signore, Re dei Re e Signore dei Signori, sarà il loro Re, il cui giogo è soave e il peso lieve. Sarà loro Signore per tutta l‟eternità e non potranno più essergli sottratti. 

Il quarto grado è lo zelo della giustizia, a cui è promessa la piena sazietà di ogni desiderio e di ogni bene. I giusti uomini di Dio infatti vedendo che in questo mondo sono commessi tanti mali, il povero, l‟orfano e la vedova sono oppressi, gli empi predominano sui giusti, i che i consigli degli stolti sono ascoltati e quelli dei saggi disprezzati, che tanti beni sono impediti, che nella gran parte degli uomini non si trova né giustizia, né verità, né timor di Dio, né carità, né sincerità, si affliggono nello spirito, come consunti da una sorta di fame e sete che non si può alleviare. Per loro sollievo quindi aggiunge:  

Vers. 16. Non avran più fame né sete, né li colpirà il sole né ardore alcuno. Saranno satol-li di ogni cosa, essendo i loro desideri conosciuti per decreto della divina volontà. Salmo 16, 15: Ma io nella giustizia mi presenterò la tuo cospetto, mi sazierò all’apparir della tua gloria. Non avranno più fame e sete, del pari, non dovendo più sottostare per tutta l‟eternità alle necessità corporali. 

Il quinto grado è l‟essere misericordioso in questo mondo, amare i poveri, i miseri, gli afflit-ti, gli orfani, le vedove e aiutare gli indigenti, mostrarsi verso tutti affabile, mansueto, amabile e compassionevole nella carità di Cristo. A loro è promessa la misericordia di Dio, per la quale meri-teranno di scampare dalle pene eterne e di essere sicuri da ogni altro travaglio per i secoli dei secoli. Per cui si aggiunge: né li colpirà il sole, ossia la giustizia di Gesù Cristo, sole di giustizia. Questa infatti brucerà e tormenterà nell‟inferno per i secoli dei secoli soltanto gli empi, i tiranni e gli immi-sericordi; né ardore alcuno, nessun‟altra tribolazione fra quelle che numerose accadono nel secolo presente, potrà investirli e colpirli in eterno. 

Il settimo grado è la vita santa, immacolata, casta, sobria, e pia in quasto mondo, a cui sta promessa la visione di Dio nell‟altro. Nel regno dei Cieli infatti non entrerà nulla di immondo. 

Vers. 17. Perché l‟Agnello che è in mezzo al trono, li reggerà: l‟Agnello indica l‟Umanità di Cristo, nella quale e per mezzo della quale i beati vedranno per tutta l‟eternità la risplendente di-vinità come una fiaccola che brilla in una lampada. In mezzo al trono: ossia in Cielo, dove Gesù Cristo si mostrerà a tutti i santi visibile e glorioso. Dice poi: l‟Agnello li reggerà, poiché l‟Umanità di Cristo è il mezzo della visione beatifica tra la divinità e la creatura, come sono tutti i beati; poi, perché tutti i beati saranno retti e dipenderanno assolutamente dal cenno della infallibile e buona volontà di Cristo, che mai permetterà loro di più errare e peccare per tutta l‟eternità, ma, completa-mente immersi e uniti al loro creatore mediante la direzione dell‟Umanità di Cristo, rimarranno per tutta l‟eternità in una quiete ineffabile. Per cui poi non potranno mai più perdere la visione beatifica, in quanto non vi sarà niente altro che potranno ancora desiderare o di cui potrebbero essere saziati. 

Il settimo grado è una certa libertà e santa pace dei giusti sulla terra, in forza di cui tengono loro soggette e sottomesse le passioni, e sanno dominare i loro affetti. Per cui in ogni calamità, e sventura, e nelle angustie rimangono incrollabili e mantengono sempre la pace e la tranquillità inte-riore, avendola come testimone della loro buona coscienza davanti al Signore loro Dio. A costoro è promessa la filiazione di Dio, per cui ogni desiderio dei Santi è pienamente e perfettamente saziato, poiché non vi è niente di più grande che si possa desiderare, niente di più degno, cui tendere; niente di più dolce, di cui godere, e niente di più ammirabile che possa loro accadere. Per cui segue: e li guiderà alle fonti delle acque di vita, ovvero all‟immortalità e alla soddisfazione di tutti i beni, di tutte le cose desiderabili, che si possono avere o desiderare. Per cui si dice al plurale alle fonti delle acque di vita. Di conseguenza questa pienezza e filiazione divina si acquisirà pienamente dopo la resurrezione universale dei corpi, quando saremo simili a Cristo e saremo chiamati figli di Dio, e vedremo il Signore nostro Dio, come egli è, faccia a faccia. 

L‟ottavo grado infine è quella della pazienza delle avversità, della prigione, della perdita dei beni temporali, o della morte stessa per la giustizia o la fede nel Signore Gesù Cristo, nella pazienza e nell‟umiltà. Di costoro si parla qui infine, quando dice: E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, ossia non avranno più alcun motivo per patire, ma una piena e perfetta consolazione. E quan-to fu la misura nel calice della passione, altrettanto sarà quello della consolazione. Così nessuno lì si dorrà delle avversità e dei mali subiti, poiché godrà per sempre dei beni eterni, che quelle disgrazie gli avranno meritato. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 

mercoledì 17 luglio 2024

Commento all‟Apocalisse - La consolazione della Chiesa militante e di quella trionfante dopo aver patito le persecuzioni.

 


Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 


SUL CAPITOLO SETTIMO DELL’APOCALISSE 


I. Vers. 1. Dopo questo vidi quattro Angeli, ritti ai quattro angoli della terra, che trattene-vano i quattro venti della terra, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su albero al-cuno. Dopo aver descritto la durezza della persecuzione di Diocleziano, segue la consalazione mas-sima, che avvenne alla Chiesa di Dio al tempo di Costantino Magno, figlio di S. Elena. Questo capi-tolo consta di due parti. Nella prima viene descritta la consolazione che toccò alla Chiesa militante:  

Vers. 2. E vidi un altro Angelo che veniva su da levante, che aveva il sigillo del Dio viven-te ecc. Nella seconda invece ci si riferisce alla Chiesa trionfante in cielo: Vers. 9. Dopo questo vidi una gran folla.  

 

§. I. 

 

La consolazione e la liberazione della Chiesa militante dal giogo e dalle persecuzioni dei tiranni. 

 

Cap. VII. v. 1-8. 

 

 I. Vers. 1. Dopo questo vidi quattro Angeli, ritti ai quattro angoli della terra, che trattene-vano i quattro venti della terra, perché non soffiassero sulla terra, né sul mare, né su albero al-cuno. Con queste parole si accenna ad una breve continuazione delle persecuzioni ad opera di quat-tro Imperatori nelle quattro parti dell‟Impero, ossia Galerio, Massenzio, Massimino e Licinio. Per questo dice: Dopo questo, ossia dopo la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, i quali depose-ro le insegne dell‟Impero. Vidi quattro Angeli, i citati quattro Imperatori e persecutori della Chiesa, ritti, che dominavano, ai quattro angoli della terra, le quattro parti dell‟Impero Romano, che si estendeva per gran parte del mondo conosciuto. Che trattenevano i quattro venti della terra, per-ché non soffiassero, impedivano a tutti i Dottori della Chiesa di predicare il Vangelo e la parola di Dio. Di questo vento si legge nel Cantico dei cantici, al cap. 4, 16: Levati, o Aquilone! Vieni, o Au-stro. Spira nel mio giardino e ne esalino gli aromi. Come infatti la terra è fecondata dai venti, così l‟orto della Chiesa militante sulla terra è fecondato dal soffio della predicazione. Né sul mare, né su albero alcuno. Qui si prende quello che contiene per il contenuto. Alcuni cristiani infatti abitavano i deserti, altri sulle isole, altri nelle foreste, per timore della persecuzione. Il nome dei luoghi designa qui i loro abitatori. 

 II. Vers. 2. E vidi un altro Angelo che veniva su da levante. Qui si descrive la repressione dei citati quattro tiranni per opera dell‟Imperatore Costantino Magno nell‟anno 312. Un altro Ange-lo, ossia del tutto avverso ai precedenti, appunto Costantino il Grande, che veniva su da levante, che veniva all‟Impero Romano per ordine di Cristo, sole di giustizia, per dar pace alla Chiesa. Quando infatti, a Roma, Massenzio, dopo aver fatto uccidere Severo, cominciò a comportarsi da ti-ranno, i nobili romani chiesero soccorso a Costantino, figlio di Costanzo Cloro, che stava in Gallia, perché liberasse l‟urbe dal malgoverno di quello. Che aveva il segno del Dio vivente, ossia il segno di Cristo. La Storia Ecclesiastica, al cap. 9, tramanda infatti che Costantino che muoveva verso Roma per attaccare Massenzio, e spesso meditava sulla strategia da tenersi, implorando la vittoria al Dio del cielo, benché non fosse stato ancora battezzato, vide il segno della Croce risplendere nel cielo, e pieno di stupore per l‟insolita visione, vide presenti gli Angeli che dicevano: In questo se-gno vincerai. Sicuro della futura vittoria allora fece dipingere sui vessilli militari il segno della cro-ce che aveva visto, e così procedendo contro Massenzio ottenne una vittoria completa e un trionfo. 

Vers. 3. E gridò a gran voce ai quattro Angeli, cui era stato dato di danneggiar la terra e il mare, dicendo: Non danneggiate la terra, né il mare, né le piante, fino a che non abbiamo se-gnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio. Queste parole descrivono la fortezza e la profonda pietà di Costantino Magno verso la religione cristiana. E gridò a gran voce ai quattro Angeli, ossia ai citati quattro persecutori, e ai loro subalterni sparsi nelle quattro parti dell‟Impero, ai quali gridò con i suoi pii editti, con i quali ordinò che fossero chiusi i templi degli idoli e che tutte le popola-zioni dell‟Impero, rigettato il paganesimo, abbracciasse la religione cristiana, e comandò che ovun-que fossero costruite delle chiese, e fece edificare egli stesso a Roma la Chiesa del Laterano e mol-tissime in altri luoghi completò e ornò con spese immense, vietò di sacrificare agli idoli, di trarre vaticini, di costruire statue, di compiere sacrifici occulti, di non contaminare le città coi sanguinari giochi di gladiatori, di non venerare il fiume dell‟Egitto con uomini effeminati, e perciò fece in mo-do che il genere degli androgeni in quanto impudico fosse tolto di mezzo. Ai governatori delle pro-vince diede ordine di considerare la domenica giorno festivo, e quelli dedicati ai Santi Martiri (cfr. Storia Eccl. Lib. 4, De vita Constantini). Destinò una tassa, dall‟importo fissato, tratta dai tributi che le singole città versavano nell‟erario, per destinarla alle Chiese e ai chierici di ogni luogo, ordi-nando che quell‟atto di generosità divenisse una certa e perpetua legge. Concesse ai Vescovi la fa-coltà d‟appello nelle cause civili, rendendo le loro sentenze superiori a quelle dei giudici laici. I me-desimi Vescovi ebbero riconosciuta la facoltà di giudicare in via esclusiva il Clero; concesse ovun-que ai sacerdoti l‟immunità dei luoghi, favorì la letteratura e le biblioteche, e ne dotò i professori con molti privilegi, immunità, stipendi e onorari. Per questo qui si dice, che gridò a gran voce: Non danneggiate la terra, né il mare, né le piante, ossia smettete di impedire e distruggere la fede e la religione di Cristo, nei deserti, nelle isole e nei luoghi silvestri. Il che ottenne  impedendo ai quattro tiranni e i loro satelliti di nuocere ai cristiani. Massenzio, infatti, fu sconfitto ed ucciso. Lo stesso accadde a Licinio, che incrudelì ferocemente contro i cristiani ad Alessandria ed in Egitto. Gli altri due, infine, dissuase con un suo ordine. Pertanto, quanto maggiormente in precedenza il nome della Chiesa di Cristo fu disprezzato e umiliato, tanto più, a partire dal tempo di Costantino Magno, che regnò piamente e con gran potenza per 33 anni, fu in onore, esaltato e confortato. Fino a che non abbiamo segnato sulle loro fronti i servi del nostro Dio: queste parole significano la pubblica pra-tica del Battesimo, che Costantino, con ordini e esempi, introdusse in tutto l‟Impero. Egli stesso in-fatti lo onorò, facendosi battezzare da Papa S. Silvestro, ed esaltò la Chiesa e i suoi ministri in tutto l‟Impero. Edificò chiese magnifiche. Promulgò ed ordinò il battesimo e il pubblico esercizio della religione cattolica, screditando e bandendo l‟ immoralità, la menzogna e la disonestà dell‟idolatria. Si ha poi da sapere che l‟espressione fino a che va intesa in modo, per così dire, infinito e non fini-to, come se si dicesse: costui non si pentì fin che fisse, ossia non si pentì mai, poiché una volta mor-to non ebbe modo alcuno di mutar idea.  

Vers. 4. Ed udii il numero dei segnati centoquarantaquattromila segnati da tutte le tribù dei figli d‟Israele. Segue il frutto della predetta repressione, ossia il moltiplicarsi di coloro che cre-dettero in Cristo durante l‟Impero di Costantino. Ed udii (con l‟immaginazione e in ispirito) il nu-mero dei segnati, ovvero dei battezzati e dei credenti, centoquarantaquattromila: è un numero de-terminato per uno indeterminato, come spesso avviene nel linguaggio biblico. Moltissimi, infatti, nelle diverse parti  dell‟Impero si fecero battezzare in quel tempo. Segnati da tutte le tribù dei figli d‟Israele: il nome Israele indica tutti i popoli rigenerati dal battesimo di Cristo, come predisse Osea, al cap. 2, 24: E dirò a Non-popolo mio, tu sei il mio popolo. Anche Isaia lo predice al cap. 44, 3-4: Spanderò lo spirito mio sopra la tua semenza, e la mia benedizione sopra i tuoi germi, e ger-mineranno. E ancora (v. 5): Questi dirà: Del Signore sono io. Quello si denominerà da Giacobbe. Altri scriverà sulla tua mano: Al Signore, e col nome d’Israele vorrà essere chiamato. Il che s‟intende dei popoli pagani che si convertiranno a Cristo. Lo stesso dice l‟Apostolo al cap. 2 della Lettera ai Romani: Non è dunque vero Giudeo quello che appare, ne è vera circoncisione quella che è palese nella carne, ma il Giudeo è quello che è tale entro di sé, ossia per la fede di Cristo e per la circoncisione del cuore bello spirito.  

Vers. 5-9: Dalla tribù di Giuda dodicimila segnati, dalla tribù di Ruben dodicimila segnati ecc. Conseguentemente le dodici tribù d‟Israele significano qui alla lettera i dodici Apostoli del Nuovo Testamento, che corrispondono e sono paragonati ai dodici Patriarchi dell‟Antico. Come in-fatti da questi, figli di Giacobbe, derivarono tutti gli Israeliti secondo la carne, così per mezzo degli Apostoli discendono da Gesù Cristo tutti i fedeli in ispirito e secondo la promessa. E come al posto della tribù di Dan, da cui si dice discenderà l‟Anticristo, qui si mette quella di Giuseppe, così il po-sto del traditore Giuda lo ottenne l‟apostolo San Mattia. 


giovedì 31 agosto 2023

Commento all‟Apocalisse - L‟apertura del sesto sigillo.

 


§. III.

L‟apertura del sesto sigillo. 
 
Cap. VI. v. 12-17 

I. Vers. 12. E vidi quand‟ebbe aperto il sesto sigillo, ed ecco seguì un gran terremoto, e il sole diventò nero come una tonaca di cilicio, e tutta la luna diventò come sangue. Con l‟apertura del sesto sigillo vien descritta la decima ed ultima persecuzione contro la Chiesa di Cristo, scatenata nell‟anno 303 da Diocleziano e dal suo collega Massimiano. Essa viene posta sotto uno speciale sigillo a causa della sua straordinaria crudeltà e durata, e poiché fu l‟ultima. Durò infatti per quasi dodici anni, finché Costantino Magno, sconfitto Massenzio, giunse all‟Impero. Di questa persecuzione scrisse Sulpizio: A causa dello scatenarsi di questa tempesta quasi tutto il mondo fu inondato del sacro Sangue dei Martiri. Allora si cercava il martirio con una morte gloriosa molto più avidamente, di quanto oggi si aspiri all’Episcopato con prava ambizione. Il mondo non fu mai spossato dalle guerre, né mai conquistammo più grande trionfo, di quello che ottenemmo con dieci anni di stragi. Per quel che riguarda il numero di coloro che persero la vita durante così lunghi anni, se si deduce il numero totale da quello di un solo mese, allora tale cifra appare immensa. Nel Liber Pontificalis, infatti, si tramanda che in un solo messe ne fossero martirizzati 17.000. Si consideri poi che nei mesi futuri ci si accanì ancor maggiormente contro i cristiani, poiché furono pubblicati altri editti che incrudelirono la persecuzione. Si narra pure che nel solo Egitto, durante il regno di Diocleziano, siano stati uccisi in 144.000, mentre 72.000 fedeli vennero cacciati in esilio. Nelle altre province la strage non fu minore, a parte quelle che governava Costanzo Cloro, padre di Costantino Magno, il quale, benché non fosse cristiano, si comportò con gran mitezza nei confronti dei fedeli. Nessuno poteva comprare o vendere se prima non offriva incenso davanti alle statue di idoli collocate ovunque qua è là. Era posti presso i quartieri, le fontane e i villaggi degli appositi funzionari i quali davano il permesso di attingere acqua o di macinare solo a coloro che avevano sacrificato agli idoli. Cfr. Baronio. Tra le varie forme di persecuzione gravissima fu quella che costringeva i fedeli a bruciare i libri cristiani o a consegnarli. Quelli che, terrorizzati dall‟atrocità delle pene, consegnavano i volumi che possedevano, erano considerati traditori: il loro numero fu enorme. Ma altrettanto grande fu quello di coloro che preferirono una morte tra atroci tormenti, piuttosto che consegnare i libri, la cui commemorazione si fa nella Chiesa Roma il giorno 2 gennaio: A Roma si commemora moltissimi Santi Martiri, i quali, disprezzando l’editto dell’Imperatore Diocleziano che ordinava di consegnare i Santi Codici, preferirono consegnare i corpi al carnefice, piuttosto che dare ai cani le cose sante. Molti si rifugiarono presso i barbari, pur avendoli catturati, li quali li trattarono benevolmente, permettendo loro di praticare il culto cristiano, come si può vedere nel‟editto di Costantino, citato da Eusebio nella Vita Constantini, al lib. II, cap. 15. Avendo gli Imperatori stabilito di voler sradicare del tutto la religione cristiana, decisero di iniziare dall‟esercito, in modo che non vi fosse alcun cristiano armato che potesse opporsi quando gli editti pubblicati in tutto l‟Impero cominciassero ad essere messi in pratica. L‟intera Legione Tebea, col suo comandante S. Maurizio, fu decapitata dai pretoriani. Nella notte di Natale vennero arsi vivi nelle chiese 20.000 fedeli. Patirono il martirio il Papa S. Marcellino, S. Sebastiano, Serena, moglie di Diocleziano, S. Luciano, S. Vincenzo, S. Cristoforo, S. Biagio, S. Gervasio, S. Protasio, i SS. Cosma e Damiano, S. Quirino, S. Gorgonio, S. Agnese, S. Lucia, S. Pantaleone, S. Bonifacio, S. Metodio, S. Clemente, S. Agrano, S. Eufemia, S. Giorgio, S. Barbara, e moltissimi altri. Tutte le chiese, in ogni parte del mondo, furono distrutte dalle fondamenta. Tutti i membri degli ordini cristiani furono trucidati, in modo che non vi fosse più in alcuna provincia alcun segno della cristianità. Nel giorno di Pasqua, ossia della Resurrezione del Signore, si comandò che tutti i cristiani fossero uccisi e le chiese devastate. Le vergini cristiane dovevano essere violate, e costrette a rimaner chiuse nei lupanari. Così scrisse al riguardo S. Basilio, nel suo Elogio della Verginità: Mentre incrudeliva l’immane persecuzione, delle Vergini che avevano scelto di rimaner fedeli al loro Sposo, consegnate agli empi torturatori, mantennero inviolato il loro corpo. La grazia di lui teneva lontani gli assalti alla loro purezza e custodiva intatti i loro corpi. Ad Augusta S. Afra, un tempo pubblica meretrice, Ilaria, madre delle fanciulle, Digna, Eupomia e Eutropia, tutta la sua servitù, con molti altri fedeli di ambo i sessi, convertiti alla fede di Cristo, vi subirono il martirio, conquistando la corona immortale. Per cui rettamente il testo prosegue: 
 
Vers. 12. E vidi, quand‟ebbe aperto il sesto sigillo, ed ecco seguì un gran terremoto. Per terremoto s‟intende un grandissimo perturbamento, uno sconvolgimento, uno sconquasso, una devastazione del Regno di Cristo sulla terra, poiché in tutto in territorio dell‟Impero Romano a seguito degli editti e dei decreti di Diocleziano e Massimiano, i magistrati e i potenti furono sollecitati ad uccidere e distruggere il popolo cristiano. E il sole diventò nero come una tonaca di cilicio. Il sole simboleggia Cristo, che è il sole di giustizia e la luce della verità. Qui viene denigrato, in quanto al suo onore e anche nei suoi membri, i quali erano accusati d‟essere dei maghi e degli stregoni, per il fatto di essere stati ammaestrati da Cristo per mezzo degli Apostoli e degli altri suoi discepoli. Così i pagani, denigravano il nome di Cristo. E tutta la luna diventò come sangue. La luna rappresenta la Chiesa, che come la luna riceve la luce dal sole, così essa riceve la luce della verità da Cristo, sole di giustizia. Inoltre la Chiesa, come la luna, cresce e decresce a seconda dei tempi, e sotto la tirannide di Diocleziano e di Massimiano divenne completamente rossa per il sangue dei Martiri. In ogni parte della terra infatti i cristiani erano ammazzati in massa come le bestie, come sopra spiegammo. 

Vers. 13. E le stelle del cielo caddero sulla terra, come il fico butta i suoi fichi verdi, quand‟è scosso da gran vento. Queste stelle sono alcune personalità eminenti del Regno di Cristo, le quali piegati dal timore della morte e dei tormenti, caddero nell‟idolatria, come Papa S. Marcellino e molti altri, il quale però ricondotto a pentimento patì con fortezza il martirio per Cristo. Per la ferocia della persecuzione cessò pure il Papato Romano per sette anni e sei mesi. Come il fico butta i suoi fichi verdi. I cristiani sono paragonati ai frutti del fico per la loro debolezza. Come infatti i frutti del fico, appena spuntati sono ancora immaturi, e cadono facilmente se squassati da un gran vento, così allora i Cristiani non ben radicati nell‟amore di Cristo, e non maturati nella pazienza, investiti dal turbine di quella tempestosa bufera contro la Chiesa, caddero e apostatarono. 

Vers. 14. E il cielo si ritirò come un volume ch‟è arrotolato. Il cielo simboleggia il Regno e la Chiesa di Cristo, che fu disperso dalla bufera di questa furiosa persecuzione ai quattro venti, come le pagine di un libro che sia stato completamente scompaginato. A Roma infatti cessò l‟Episcopato della Sede Apostolica, i cristiani furono dispersi, altri si nascosero nelle grotte, sui monti, nei luoghi e nelle regioni deserte. Altri fuggirono presso i barbari. I SS. codici poi, come dicemmo, da cui i cristiani traevano la dottrina, per ordine dell‟Imperatore erano bruciati, dispersi, e distrutti. E ogni montagna e isola furono smosse dai loro posti. Si prende qui quel che contiene per il contenuto. Fu tanta la furia di questa persecuzione che addirittura i cristiani che si rifugiavano in monti e isole quasi inaccessibili, erano perseguiti con diligenza (cosa che non accadeva in precedenza) per essere condotti al supplizio ed essere tolti di mezzo. Questi due Imperatori si adoperarono con ogni sforzo per sradicare tutta la cristianità, come dicemmo. Inoltre dice: E ogni montagna e isola furono smosse dai loro posti, appunto per la furibonda guerra scatenata da Diocleziano e Massimiano, con la quale sottomisero all‟Impero Romano quasi tutti i regni, principati, isole e nazioni, e luoghi fortificati  in oriente e in occidente, i cui confini estesero ad est fin quasi all‟India, a sud fino all‟Etiopia, nel nord fino alle barbare e fiere popolazioni dei Sarmati, a ovest fino a Boulogne e all‟oceano Atlantico. Per cui aggiunge:
 
Vers. 15. E i Re della terra e i principi e i capitani e i ricchi e i potenti e ogni schiavo o libero si nascosero nelle spelonche e nelle rocce dei monti.  

Vers. 16. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono e dall‟ira dell‟agnello. 

Vers. 17. Perché è venuto il gran giorno dell‟ira loro, e chi mai può reggersi ritto? Queste parole indicano l‟angustia della tirannide di quei tempi, in cui tutti i cristiani eran costretti, poiché, come s‟è detto, essi non erano al sicuro, né nelle isole delle genti, né nelle fortezze, né nei deserti monti, né presso i barbari, dove erano riparati, nascondendosi addirittura nelle grotte o tra le rupi alpestri. Quei tiranni, infatti, fecero in modo di occupare, conquistare, distruggere, assoggettare tutti quei luoghi. E i Re della terra e i principi e i capitani e i ricchi e i forti e ogni schiavo o libero. Sono indicati sette generi di uomini forti per esprimere la crudeltà della persecuzione: nessuno ne era immune, come nelle altre persecuzioni, che di solito colpivano solo i vescovi, i predicatori e chi vi si opponeva, mentre questa incrudelì contro tutti. I Re inoltre indicano il Sommo Pastore della Chiesa e i Patriarchi, i principi sono i vescovi, i capitani gli altri prelati, i ricchi l‟aristocrazia, i forti sono i soldati cristiani; i servi sono i fedeli che fuggiti presso i barbari e da  questi catturati, i liberi quei cristiani che rimasero in potere dell‟Impero Romano. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono. Queste parole esprimono il desi- derio di morire per l‟eccessiva afflizione, in cui si trovarono i cristiani, timorosi di essere inseguiti, catturati, traditi e condotti a morte dopo lunghi patimenti, anche se in moltissimi si erano rifugiati, come estremo riparo, nelle grotte e tra le rupi montane. Per questo desideravano la morte e di essere sepolti dalle montagne, per non essere indotti dalla violenza delle torture a rinnegare Cristo, come a moltissimi era accaduto. E dicono ai monti e alle rocce: Cadete su di noi e nascondeteci dalla faccia di colui che siede sul trono, ossia dall‟immane, orribile e crudelissima persecuzione di Diocleziano e Massimiano, che allora sedevano sul trono dell‟Impero Romano. E dall‟ira dell‟agnello, di Cristo, che i fedeli ritenevano fosse adirato contro la sua Chiesa, avendo permesso così grandi mali e di tale durata. Credevano pure che Diocleziano fosse l‟Anticristo, e che incombesse il giorno del giudizio finale, e l‟ultima sterminio della Chiesa e del Regno di Cristo sulla terra. Tale appariva allora la Cristianità. Perché è venuto il gran giorno dell‟ira loro, il tempo dell‟ultima persecuzione, come descritto da Cristo in S. Matteo al cap. 24. Gran giorno è detto per la crudeltà del tiranno e per il permesso di Dio, perché quella tribolazione superò tutte le precedenti, e tutti i permessi di Dio, che son designati metaforicamente dall‟espressione ira dell‟agnello, perché egli flagellerà i suoi e ogni cosa come fosse adirato per purgarci dai peccati e aumentare la gloria e il premio celesti qui sulla terra a tempo debito per sua bontà, non volendo punirli eternamente con gli empi nella geenna di fuoco e nelle fiamme eterne dell‟inferno.    
E chi mai può reggersi ritto? Parla la fragilità umana e l‟umana pusillanimità al considerare tanto grande carneficina, che esprime pure la difficoltà della vittoria sul tiranno, come dimostra la caduta di Papa S. Marcellino. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser 


lunedì 10 aprile 2023

Commento all‟Apocalisse

 


§. II. 
 
L‟apertura del quinto sigillo. 
 
Cap. VI. v. 9-11


Vers. 9.  E quand‟ebbe aperto il quinto sigillo vidi sotto l‟altare le anime di coloro ch‟erano stati sgozzati a motivo della parola di Dio e della testimonianza che avevan reso. 
Vers. 10. E gridarono a gran voce dicendo: Sino a quando, o Signore, o santo e verace, non giudichi tu e vendichi il sangue nostro su quei che abitano la terra? 
Vers. 11. E fu data loro a ciascuno una veste bianca, e fu detto loro che stessero quieti ancor per breve tempo, fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. 
Dall‟apertura del quinto sigillo segue la continuazione delle persecuzioni contro i Cristiani, che dal regno dell‟Imperatore Traiano durarono fino a Diocleaziano per duecento anni. Nell‟anno 98 infatti arrivò all‟Impero M. Ulpio Traiano, di nazione spagnola, che scatenò la terza persecuzione contro la Chiesa di Cristo. Ritenendo di esser giunto al potere grazie a Giove, di cui era devotissimo, ed essendo per il resto superstiziosissimo nel culto idolatrico, impose al Senato che la religione dei padri ossia l‟antico paganesimo dovesse essere mantenuto. Allora infatti i cristiani si moltiplicavano in ogni luogo, disprezzavano gli idoli, i resti delle vittime sacrificate non trovavano chi le comprasse, moltissimi oracoli allora smettevano di proferire le loro profezie, come attestano Giovenale e Plutarco. Tutto ciò offrì il pretesto di scatenare la terza persecuzione contro i cristiani. Sotto Adriano e Antonino Pio per un po‟ la Chiesa ebbe quiete, poiché questi due sovrani non emisero alcun pubblico editto contro i cristiani. Nell‟anno 161, divenuto Imperatore Marco Aurelio Antonino, si scatenò la bufera della quarta persecuzione contro la Chiesa di Cristo, in cui perirono Policarpo, Giustino e altri moltissimi cristiani. Sotto Commodo Elio Antonino, Pertinace, e Tito Giuliano la Chiesa ebbe di nuovo pace. Nell‟anno 193 però giunse al soglio imperiale Settimio Severo, che mosse la quinta persecuzione generale contro i cristiani, nella quale perse la vita S. Ireneo, e che fu talmente crudele che molti pensarono si trattasse dell‟Anticristo. Antonio Bassiano Caracalla, Macrino, Eliogabalo e Marco Aurelio Severo non intentarono nulla contro la Chiesa. Nell‟anno 235 giunse al potere Giulio Massimino, autore della sesta persecuzione, per la sua pesante invidia – così almeno si dice – verso la famiglia di Alessandro Severo, molti membri della quale si erano convertiti. Nell‟anno del Signore 249 Decio, nemico implacabile dei cristiani, scatenò la settima persecuzione, la quale fu da Dio permessa per la rilassata disciplina dei fedeli, come attesta con dovizia S. Cipriano, che ne fu testimone oculare, nella sua opera sui Lapsi: Vennero i tormenti, ma tormenti senza fine della tortura, senza esito della condanna, senza il sollievo della morte, tormenti che non permettono di conquistare facilmente la corona immortale, ma tormentano tanto quanto basti per far apostatare, a meno che per degnazione di Dio il malcapitato non la consegua perché vien meno tra le torture, conquistando così la gloria del Paradiso, non perché il supplizio sia terminato, ma perché è morto troppo presto. S. Gregorio Nisseno scrive a sua volta nel Taumaturgo: L’unico affare e l’unico impegno, sia dei privati cittadini che degli uomini che rivestano cariche pubbliche, è quello di aggredire e punire i fedeli. Le minacce verbali erano non solo terribili, ma, accompagnate dal tremendo apparato dei supplizi, provocavano stordimento, e, prima che giungesse alle vie di fatto, incutevano terrore alle persone. Escogitavano la spada, e il fuoco, e le bestie feroci, e le fosse e gli strumenti di tortura atti a straziare le membra, e sedie di ferro arroventate, e letti di legno, su cui erano distesi, per essere dilaniati con orribili uncini, quelli che persistevano nella fede, ed altri numerosi espedienti per tormentare in vario modo i corpi. L’unica preoccupazione di coloro che avevano questo potere era quello di non esser superati nella crudeltà da altri. Gli uni dunque de- nunciavano, altri giudicavano, altri ricercavano quelli che fuggivano, altri, sotto pretesto di pietà e religione, ma in vero coll’unico intento d’impadronirsi dei beni dei cristiani, li tormentavano. Fin qui il Nisseno. Moltissimi allora abbandonarono la patria per rifugiarsi sui monti o nei deserti. Tra i quali vi fu S. Paolo Eremita, che fu il primo anacoreta. Durante questa persecuzione molti rinnegarono la fede, e ciò in duplice modo: alcuni infatti sacrificarono pubblicamente agli Dei, altri non rinnegavano la fede, ma ricevevano un libello o certificato dai magistrati che li dispensava dal sacrificare pubblicamente agli idoli. Nell‟anno 254 Licinio Valeriano, divenuto Cesare, su consiglio di un mago egiziano scatenò l‟ottava persecuzione contro la Chiesa. Vittima illustre ne fu S. Cipriano, Vescovo di Cartagine. Essa fu talmente crudele che Dionisio d‟Alessandria, come riferisce Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica (l., 7, cap. 9), ritenne che fossero compiuti in Valeriano gli ultimi infelicissimi tempi dell‟Anticristo, previsti da S. Giovanni nell‟Apocalisse. Nell‟anno 262 Gallieno scatenò la nona persecuzione. Tuttavia, spaventato per le numerosi stragi, mentre ancora infuriava, ne ordinò l‟attenuazione. L‟anno 272 Valerio Aureliano decise però di portarla a compimento. Benché vi siano stati molti Imperatori che regnarono tra gli uni e gli altri di quelli citati, ai cui tempi patirono il martirio molti cristiani, costoro vengono citati in modo  speciale come persecutori della Chiesa, perché o emisero e rinnovarono i decreti che intimavano la persecuzione, cosa che no si può dire per gli altri. Pallido dunque era il volto della Chiesa, sommersa per trecento anni continui del sangue dei martiri. Fu questa un davvero straordinario permesso da parte di Dio contro i suoi amici e la sua Chiesa tanto amata. Per cui segue il grido e l‟ammirazione dei Santi di Dio sotto l‟altare, come vedremo. 
Vers. 9. E quand‟ebbe aperto il quinto sigillo, permettendo le citate persecuzioni, che furono quasi senza interruzione vidi (coll‟immaginazione ed in ispirito) sotto l‟altare delle anime di coloro ch‟erano stati sgozzati, ovvero i Martiri uccisi, nl senso che ivi stavano i loro corpi, allo stesso modo per cui in Esodo, cap. 1, vers. 5: Tutte le anime discendenti da Giacobbe, dove „anime‟ sta per uomini. Al tempo do questi Imperatori non vi erano Chiese o altari stabili, ma si erigevano altari di legno in luoghi nascosti, e soprattutto nelle cripte dei Martiri, per cui si dice che il Veggente vide sotto l‟altare le anime di coloro ch‟erano stati sgozzati, a motivo della parola di Dio, in riferimento ai Dottori della Chiesa che subirono il martirio a causa della predicazione della Parola di Dio,  e della testimonianza che avevan reso, in riferimento ai semplici fedeli, che erano uccisi perché non volevano rinnegare Cristo, ma piuttosto lo confessavano pubblicamente e affermavano che credevano in Lui. 
Vers. 10. E gridarono a gran voce: si tratta di un grido di natura morale (come nella Genesi al cap. 4, 10: La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra) che a seguito dello spargimento di sangue innocente tanto più grida al Signore Iddio, quanto maggiore fu la crudele e duratura persecuzione degli empi e l‟autorità che la ordinò, allora davvero efferata e interminabile. Per cui aggiunge: Sino a quando, o Signore,  quanto a lungo, O Signore, tu permetti, o santo e verace, ti che sei giusto e sai e vedi la malizia degli empi incrudelire contro gli innocenti. Queste parole contengono un‟ammirata considerazione della volontà di Dio, che permise che la sua diletta Chiesa fos- se inondata per trecento anni del sangue  di tante miglia di Martiri, e che gli empi prevalessero. Da quest‟epoca dei Santi anche noi dobbiamo imparare a patire almeno un poco per il Nome di Gesù, perché la misura della dilezione divina non sempre consiste nelle consolazioni e nella prosperità, ma spesso in molte tribolazioni, persecuzioni e oltraggi da parte degli uomini sulla terra. Sino a quando, o Signore, o santo e verace, non giudichi tu e vendichi il sangue nostro su quei che abi- tano la terra? ovvero dei tiranni e dei loro ministri che dominano sulla terra. 
Vers. 11. E fu data loro a ciascuno una veste bianca: la veste bianca simboleggia la gloria dell‟anima che a ciascun martire e all‟anima dei santi vien concessa secondo il merito. Perciò ag- giunge: a ciascuno, per indicare il grado del premio e della gloria di ciascuno. E fu detto loro che stessero quieti ancor per breve tempo, fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro. Dio con queste parole consola blandamente la Chiesa, di cui sono qui tipo e figura i Santi Martiri di Dio, i quali invocano e supplicano l‟intervento della divina giustizia, e promette la pace di cui la Chiesa godrà al tempo di Costantino Magno. E fu detto loro, ossia ricevettero il responso divino, 1) riguardo alla Chiesa militante, affinché si rassegnassero nella pazienza, sottomettendosi alla volontà divina, cui piacque dall‟eternità permettere questi mali a maggior gloria dei suoi servi. Ancor per breve tempo, ossia fino all‟ultima persecuzione, che fu di tutte la più feroce, iniziata da Diocleziano e Massimiano, come vedremo. Fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro, ossia finché non si compia il numero dei SS. Martiri rimanenti, che son detti conservi, in quanto tutto servirono assieme Cristo, e fratelli nella carità, che è in Gesù Cristo. Che dovevano es- sere uccisi, appunto durante l‟ultima persecuzione al tempo di Diocleziano, come loro, uccisi come nelle precedenti persecuzioni. 2) Per quel che riguarda la Chiesa trionfante, fu detto loro che stesse- ro quieti coi loro corpi nelle tombe ancor per breve tempo, ossia fino al giorno ultimo del Giudizio, che paragonato all‟eternità è davvero un breve tempo, come si legge nella 1° Lettera di S. Giovanni, al cap. 2: Figlioli, è l’ultima ora, allora infatti questi risorgeranno coi i corpi gloriosi, e avranno quindi una seconda stola, che è la gloria del corpo. Fino a che fosse completo il numero dei loro conservi e dei loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro, fino alla fine del mondo a motivo del nome di Cristo, che come loro saranno uccisi. 

Venerabile Servo di Dio Bartolomeo Holzhauser