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lunedì 16 dicembre 2024

Tenace resistenza.

 


EPISTOLARIO


Padre Pio non indietreggia né si dà per vinto. Dichiara con sincerità e fermezza di non voler assolutamente venir meno all'amor di Dio e di accettare volenterosamente ogni sorta di tormenti e di tribolazioni, pur di rimanere saldo e fedele alle promesse ed assicurare la propria salvezza.  La sofferenza più atroce è causata dalla incertezza di corrispondenza alle esigenze dell'amore e della paura di dispiacere a Gesù. E' questa una idea che ritorna spesso nelle lettere.  "Di tutto ciò [=le tentazioni impure] me ne rido come cose da non curarsi, seguendo il suo consiglio. Solo però mi addolora, in certi momenti, di non esser certo se al primo assalto del nemico fui pronto a far resistenza" (17 8 1910).  "Queste tentazioni mi fanno tremare da capo a piedi di offendere Iddio" (1 10 1910; cf. anche 22 10 1910; 29-11 1910).  "Ma di niente ho paura, se non dell'offesa di Dio" (29-3 1911).  

La paura causata dalla tentazione è grande, ma è pur chiara la coscienza che ha di non aver deliberatamente accolto la suggestione diabolica. Più che del passato, teme dell'avvenire.  "Certo che ad esaminarmi presentemente preferirei la morte prima di deliberarmi ad offendere il mio caro Gesù con un solo peccato, benché lieve" (17 8 1910).  "Queste tentazioni mi fanno tremare da capo a piedi di offendere Iddio. Spero che l'avvenire sia almeno simile al passato, cioè di non rimanerne vittima" (1 10 1910; cf. anche 22 10 1910).  La coscienza poteva essere tranquilla. Ma la vittoria non era stata facile:  "Mi trovo nelle mani del demonio, che si sforza di strapparmi dalle braccia di Gesù. Quanta guerra, mio Dio, mi muove costui! In certi momenti poco manca che non mi vada via la testa per la continua violenza che debbo farmi. Quante lacrime, quanti sospiri, padre mio, indirizzo al cielo per esserne liberato. Ma non importa. Io non mi stancherò di pregare Gesù" (20 12 1910).  

Evidentemente Dio, che sottoponeva padre Pio ad una prova così intensa e crudele, non rallentava tanto la briglia al nemico da permettergli la vittoria; anzi faceva sì che la stessa prova contribuisse a bene maggiore, secondo la nota dottrina di san Paolo: "Iddio è fedele, e non permetterà che siate tentati oltre quel che potete, ma con la tentazione vi procurerà la via d'uscita, onde possiate sopportarla" (1 Cor. 10,13). L'intervento divino, sempre tempestivo ed opportuno, giungeva alle volte anche in modo visibile:  "Debbo però confessare che son contento in mezzo a queste afflizioni, poiché grandi ancora sono le dolcezze che il nostro buon Gesù mi dà a gustare quasi tutti i giorni" (1 10-1910).  "Ma pazienza! Gesù, la Mammina, l'Angioletto, san Giuseppe e il padre san Francesco sono quasi sempre con me" (18 1 1912). "In fine [dopo una notte di feroci percosse del cosaccio] venne il Pargoletto Gesù, al quale dissi di voler fare solo la sua volontà. Mi consolò e mi rinfrancò le sofferenze della notte. Oh Dio, come batteva il mio cuoricino, come ardevano le mie guance presso questo celeste Bambino!" (28 6-1912).  

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

mercoledì 30 ottobre 2024

NOTTE OSCURA

 


EPISTOLARIO


b.   Intervento diabolico.   

Satana sfrutta con le sue arti il doloroso e contrastante stato in cui viene a trovarsi l'anima abitualmente avvolta in dense tenebre, che le impediscono di contemplare la luce della rivelazione e della ragione, come pure di distinguere in concreto il bene dal male, la verità dall'errore. Con le sue ingannevoli suggestioni aumenta la confusione dello spirito e non di rado spinge l'anima verso il precipizio della disperazione. 

 

1.   Lotta continua e spietata.   L'intervento del "cosaccio", cioè del diavolo, nell'itinerario spirituale di padre Pio è un fenomeno, a prima vista sconcertante. Si tratta di un duello a morte, senza tregua e senza risparmio di colpi, tra l'anima ed il suo accanito nemico. Molteplici sono le insidie, assidui gli attacchi, atroci le tentazioni.  Il periodo di tempo contemplato dall'epistolario ci suggerisce due periodi di questa lotta. Nel primo gli assalti diabolici si camuffano, prevalentemente, sotto mentite spoglie corporali: il nemico si presenta sotto forme spaventose, incrudelisce sui sensi, agisce per così dire sul mondo esterno (1910 1916). Nel secondo periodo invece (1916 1922)   anche se non scompare del tutto questa specie d'infestazione diabolica - gli attacchi son diretti alla parte superiore dell'anima: gli assalti prendono di mira le potenze (intelletto e volontà) con lo scopo preciso di impedire l'esercizio delle virtù teologali ed il progresso nell'amore divino. Ed è soprattutto in questa seconda fase che si scopre il senso purificatore dell'intervento diabolico.  A titolo di curiosità premettiamo la lunga filza degli epiteti rivolti o usati da padre Pio per designare con scherzosa ironia e non senza un pizzico di humour il suo rivale. Ecco quelli riscontrati nella corrispondenza epistolare dal gennaio 1911 sino al settembre 1915, e che da questa data spariscono e non più compaiono: baffettone, baffone, barbablù, birbaccione, infelice, spirito maligno, cosaccio, brutto cosaccio, brutto animalaccio, triste cosaccio, brutti ceffoni, impuri spiriti, quei disgraziati, malvagio spirito, bestiaccia, maledetta bestia, apostata infame, impuri apostati, facce patibolari, fiere che ruggiscono, insidiatore maligno, principe delle tenebre.  Primo scopo da raggiungere in questa lotta spietata è quello di generar nell'anima uno stato di diffidenza e di sfiducia nella misericordia divina, nella cui intimità l'anima desiderava perpetuarsi, ormai risoluta a percorrere senza soste la via dell'unione perfetta. La fantasia è particolarmente vulnerabile, poiché i sensi non sono ancora del tutto purificati. La reazione è immediata e vigorosa, ma alle volte genera qualche incertezza sulla riuscita della difesa, prodotta più che altro dalla sincera disponibilità in cui si trova l'anima di non dispiacere minimamente al Signore. In questo periodo si soffre non tanto "per la continua violenza" che si deve fare, quanto "per la bruttezza e continuata ostilità" delle tentazioni, ma intanto Gesù non ritira le consolazioni e le dolcezze, con cui favorisce l'anima.  Spesso ritorna nelle lettere l'angoscia causata dal persistere degli attacchi diabolici: "Anche durante le ore del riposo il demonio non lascia di affliggermi l'anima in vari modi" (22 10 1910); "il nemico della nostra salute è talmente arrabbiato che non mi lascia quasi un momento in pace, guerreggiandomi in vari modi" (29 11 1910). E la previsione non era affatto lusinghiera: "In questi giorni poi il diavolo me ne fa di tutti i colori e specie, e me ne va facendo quanto più ne può. Quest'infelice raddoppierà tutti i suoi sforzi a mio danno" (29 3 1911).  Gli attacchi sono non solo continui, ma si rivelano ogni giorno più crudeli. 

Fermiamo l'attenzione su alcuni testi del 1912 1913:  "L'altra notte la passai malissimo; quel cosaccio da verso le dieci, che mi misi a letto, fino alle cinque della mattina non fece altro che picchiarmi continuamente. Molte furono le diaboliche suggestioni che mi poneva davanti alla mente, pensieri di disperazione, di sfiducia verso Dio; ma viva Gesù, poiché io mi schermii col ripetere a Gesù: vulnera tua, merita mea. Credevo proprio che fosse quella propriamente l'ultima notte di mia esistenza; o, anche non morendo, perdere la ragione. Ma sia benedetto Gesù che niente di ciò s'avverò. Alle cinque del mattino, allorché quel cosaccio andò via, un freddo s'impossessò di tutta la mia persona da farmi tremare da capo a piedi, come una canna esposta ad un impetuosissimo vento. Durò un paio d'ore. Andai del sangue per la bocca" (28 6 1912; cf. anche 18 1 1912; 5 11 1912; 18 11 1912).  "E tutt'altro che spaventarmi, mi preparai alla pugna con un beffardo sorriso sulle labbra verso costoro. Allora sì che mi si presentarono sotto le più abbominevoli forme e per farmi prevaricare incominciarono a trattarmi con guanti gialli; ma grazie al cielo, li strigliai per bene, trattandoli per quello che valgono. Ed allorché videro andare in fumo i loro sforzi, ma si avventarono addosso, mi gittarono a terra e mi bussarono forte forte, buttando per aria guanciali, libri, sedie, emettendo in pari tempo gridi disperati e pronunziando parole estremamente sporche" (18 1 1913).  

"Quei cosacci ultimamente, nel ricevere la vostra lettera prima di aprirla mi dissero di strapparla ovvero l'avessi buttata nel fuoco [...]. Risposi loro che nulla sarebbe valso a smuovermi dal mio proposito. 

Mi si scagliarono addosso come tante tigri affamate, maledicendomi e minacciandomi che me lo avrebbero fatto pagare. Padre mio, hanno mantenuto la parola! Da quel giorno mi hanno quotidianamente percosso. Ma non mi atterrisco" (1 2 1913; cf. anche 13 2 1913, 18 3 1913; 1 4 1913; 8 4 1913). 

"Ormai sono sonati ventidue giorni continui che Gesù permette a costoro [= brutti ceffoni] di sfogare la loro ira su di me. Il mio corpo, padre mio, è tutto ammaccato per le tante percosse che ha contato fino al presente per mano dei nostri nemici" (13 3 1913).  

"Ed ora, babbo mio, chi potrebbe narrarvi tutto quello che ho dovuto sostenere! Sono stato solo di notte, solo di giorno. Una guerra asprissima s'impegnò da quel giorno con quei brutti cosacci. Volevano darmi ad intendere di essere stato rigettato finalmente da Dio" (18 5 1913). 

EPISTOLARIO

venerdì 19 luglio 2024

NOTTE OSCURA

 


EPISTOLARIO


4.   Fattori prevalenti  La dolorosa vicenda della notte oscura si protrae per lungo tempo nell'itinerario spirituale di padre Pio; e presenta tutta la gamma delle purificazioni e dei tratti più significativi, che contraddistinguono questa tormentosa tappa che prepara l'unione trasformante dell'anima con Dio.  Tra i fattori determinanti di questo fenomeno mistico, occupano un posto prevalente quattro che noi denomineremo: divino, diabolico, morale, psicologico.  

   

a .   Elemento divino.   

E' Dio che, attraverso desolazioni sconvolgenti, apparenti abbandoni ed ogni sorta di dolori e sofferenze, purifica l'anima, chiamata alla divina unione, e la spoglia da qualsiasi impedimento capace di ostacolare, ritardare o rendere impossibile quella mèta umanamente irraggiungibile:  "Mio Dio, e perché scuoti e rimordi, riscuoti ancora e sconvolgi con si fatta violenza quest'annuvolata anima, quest'anima di già annientata, ed il tuo annientamento dicesi mosso, causato e voluto di tuo stesso comando e permissione?" (19 6 1918).  ""Con ripetuti colpi di salutare scalpello e con diligente ripulitura soglio preparare le pietre che dovranno entrare nella composizione dell'eterno edificio". Queste parole mi va ripetendo Gesù ogni qualvolta mi regala nuove croci" (18 1 1913).  "Ignoro quello che mi accadrà; so soltanto però una sola cosa con certezza, che il Signore non verrà mai meno nelle sue promesse. "Non temere, io ti farò soffrire, ma te ne darò anche la forza, mi va ripetendo Gesù. Desidero che l'anima tua con quotidiano ed occulto martirio sia purificata e provata; non ti spaventare se io permetto al demonio di tormentarti, al mondo di disgustarti, alle persone a te più care di affliggerti, perché niente prevarrà contro coloro che gemono sotto la croce per amor mio e che io mi sono adoperato per proteggerli". Quante volte - mi ha detto Gesù poc'anzi - mi avresti abbandonato, figlio mio, se non ti avessi crocifisso. Sotto la croce s'impara ad amare ed io non la dò a tutti, ma solo a quelle anime che mi sono più care" (13 2 1913).  

 PADRE PIO DA PIETRELCINA

venerdì 1 settembre 2023

NOTTE OSCURA

 


EPISTOLARIO 


3.  Comportamento di fronte alla prova 

Padre Pio fu in ogni momento consapevole della gravità della situazione,  venutasi a creare nella sua anima sottoposta alla dura prova e mai disperò di  superarla vittoriosamente. Il suo non fu mai un atteggiamento passivo. La chiara  visione della trascendentale importanza della tappa dell'itinerario spirituale  che percorreva, lo ispirò in ogni momento e circostanza a ricercare i mezzi più  sicuri ed efficaci suggeriti dalla grazia, dalla esperienza ed anche dai  direttori del suo spirito. Noi li abbiamo ordinati in alcuni paragrafi, scelti,  come al solito, dall'epistolario.  

a ) Ricorso alla preghiera. E' questo il mezzo dei mezzi. Padre Pio s'immerge  nella preghiera, anche dovendo superare non lievi difficoltà interne provenienti  dallo stato di prova che attraversa. Alle volte gli sembra che la sua preghiera  sia inutile, anzi respinta, ma non per questo cessa dal pregare, impegnando  anche i suoi direttori ed altre anime "care a Gesù", allo scopo di ottenere la  grazia di non soccombere.  

"Prego di continuo; ma la mia preghiera non si eleverà mai da questo basso  mondo. Il cielo, padre mio, sembrami divenuto di bronzo; una mano di ferro è  posata sulla mia testa: ella mi respinge di continuo lontano lontano" (27 2  1916, cf. anche 8 3 1916; 19 7 1918).  

"Non cessate, padre mio, di pregare e di far pregare da altre anime per me  affinché il peso del ministero e le acute afflizioni spirituali non mi  schiacciano. Sono estremamente amareggiato nell'anima. Gesù mi assista sempre"  (7 5 1921).  

"Padre mio, aiutatemi e fatemi aiutare, se non ad uscire da questo stato, almeno  che entri un raggio di luce nella mia mente, che mi faccia scorgere in qualche  modo la verità delle vostre assicurazioni ed anche un po' di refrigerio che mi  alleggerisca un po' lo strazio di questa spina conficcata nel centro del cuore,  che crudelmente me lo strazia" (6 4 1922).  

b) Conformità alla volontà divina. Un altro mezzo da contrapporre alla violenza  della prova purificatrice, che, come il primo, scaturisce da un autentico  spirito di fede, è il fiducioso abbandono alla divina provvidenza e la completa  rassegnazione ai misteriosi disegni di Dio sull'anima.  

"Io mi vado dibattendo; sospiro, piango, mi lamento, ma tutto indarno; finché  affranta dal dolore e priva di forze, la povera anima si sottopone al Signore,  dicendo: Non mea, o dolcissime Jesu, sed tua voluntas fiat" (fine gennaio 1916).   "Nello spirito soltanto si va facendo sempre più profondo il vuoto ed il  combattimento si va facendo più violento. Le tempeste succedono alle tempeste e  la tranquillità si fa sospirare, si fa attendere. Ma essendo il tutto disposto  con sapientissimo ordine e consiglio, mi sforzo coll'alta punta dello spirito di  rassegnarmi, di proferire il fiat, sebbene senza alcuna spirituale refezione"  (13 7 1916; cf. anche 13 3 1917).  

"Ma fiat, io ripeto sempre, ed altro non bramo che il compimento esatto di  questo fiat, nel modo appunto ch'egli lo richiede, generoso e forte" (19 6 1918;  cf. anche 6 7 1917; 28-12 1917; 3 5 1922).  

c) Fedeltà alle promesse. Intimamente collegata con l'assoluta uniformità al  volere divino si trova la incrollabile volontà di mantenersi fedeli a Dio, la  ferma decisione di subire mille morti piuttosto che recargli il minimo  dispiacere volontario e l'adesione della volontà alle promesse fatte, nonostante  la caligine che circonda le operazioni e rende incerto l'esito degli sforzi  compiuti:  

"Chi può, padre mio, mettere a nudo le pene superlativamente grandi del mio  spirito?! Mi sento morire in ogni istante; mi pare di vacillare in ogni momento,  eppure subirei infinite volte la morte innanzi di offendere il Signore ad occhi  aperti. Sono messo alla prova di tutto. Vivo in una perpetua notte e questa  notte non accenna affatto a ritirare le sue folte tenebre per dar luogo alla  bella aurora" (6 9 1916). 

"Mi sforzo di volerlo e di trovare un po' di sostegno e di riposo in queste  vostre assicurazioni, ma non viene né l'uno e né l'altro. Dio, non voglio, no,  disperare; non voglio, no, far torto alla vostra infinita pietà, ma sento in me,  nonostante tutti questi sforzi di confidenza, vivo, chiaro, il fosco quadro del  vostro abbandono e del vostro rigetto. Mio Dio, io confido, ma questa confidenza  è piena di tremori, e questo è che rende più amaro il mio cordoglio. Oh Dio  mio!, se potessi anche in minimo afferrare che questo stato non sia un vostro  rigetto e che io in questo non vi offenda, sarei disposto a soffrire  centuplicato questo martirio. Dio mio, Dio mio... ti prenda di me pietà! Padre  mio, aiutatemi con le vostre e con le altrui preghiere. Quanto non vorrei  sentire questa pena amarissima. Ho lasciato tutto per piacere a Dio e mille  volte avrei data la mia vita per suggellare il mio amore a lui, ed ora, o Dio,  quanto mi riesce amaro, nel sentire nell'intimo del cuore che egli è irritato  contro di me, non posso, no, trovare pace alla mia sventura" (22 2 1922; cf.  anche 3 2 1922).  

"Le prove del mio spirito vanno sempre più intensificandosi. Ma viva Dio che  anche in mezzo alle prove non permette che l'anima si smarrisca. Si soffre, ma  ho la certezza che in mezzo alla sofferenza ed al buio pesto, in cui è immerso  continuamente il mio spirito, non mi viene meno la speranza" (24-7 1917; cf.  anche 31 1 1918; 17 3 1922; 20 5 1918; 20 4 1921).  

d) Incondizionata sottomissione ai direttori. Tra l'agitarsi e l'incalzare delle  onde della tribolazione, padre Pio cerca sempre il porto della salvezza  nell'obbedienza:  

"Collo spirito mi sento sempre più immerso in fittissime tenebre, che mi  riempiono l'animo di estremo spavento, ma sto però sempre rassegnato ed affidato  all'autorità" (8 2 1917; cf. anche 28 6 1917). 

"Sia fatta la sua volontà! In questa volontà e nelle dichiarazioni dell'autorità  io trovo l'unico punto di appoggio, l'unico sostegno nelle vie oscure in cui mi  trovo internato. E' vero che non ne sento per ciò nessuno esperimentale  conforto; ma mi basta per mantenermi in piedi il credere. Quanto è bello, o  dilettissimo padre, il saper vivere sotto le disposizioni del Signore! Sento da  questo rinascere sempre nuova forza per affrontare i rigori dell'inverno; sento  la persona invasa da una calma sovrumana pur restando all'oscuro di tutto, non  ostante che gli occhi dello spirito sono sempre fissi a guardare l'oggetto amato  in mezzo alle caligini" (18 3 1917; cf. anche 29 3 1918).  

"In quanto alle mie condizioni spirituali non mi sento punto cambiato. Mi sforzo  a tutto studio di stare fermo a quanto mi è stato da voi detto da parte di Gesù,  ma nessun raggio di luce scende nella mia mente ad illuminarmi, nessun  refrigerio viene a refrigerare il povero cuore arso dall'aridità continua e sempre crescente. Del resto io sto alle vostre dichiarazioni e non mi scosto un  apice dai vostri detti" (17 3 1922). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

mercoledì 8 marzo 2023

NOTTE OSCURA

 


EPISTOLARIO


2.   Descrizione 

Finora abbiamo cercato di precisare alcune note caratterizzanti la notte oscura,  con riferimento alle lettere di padre Pio. Come si è potuto constatare, esse  coincidono sostanzialmente con la dottrina degli specialisti della teologia  spirituale e con la esperienza dei mistici.  

Più difficile si presenta il compito di sintetizzare in poche righe la varietà e  la intensità dei dolori crocifiggenti, degl'incubi atroci e delle pene  sconvolgenti che affliggono lo spirito e purificano l'anima. In qualche  occasione padre Pio scrisse che il suo linguaggio non poteva essere compreso se  non da chi avesse avuto, in qualche modo, esperienza dei fenomeni da lui  descritti. Avrebbe potuto egualmente osservare che nessuna pena avrebbe trovato,  per descrivere un quadro così fosco, termini così realistici, espressivi ed  appassionati come quelli del protagonista della vicenda, benché anche lui  dovesse lamentare di non riuscire se non a dare una pallida idea dello strazio  dell'anima in questa fase di purificazione.  

Perciò anziché presentare noi un quadro approssimativo delle pene purificatrici  dell'anima preferiamo stralciare dall'epistolario alcuni brani tra i più  significativi. Li disponiamo cronologicamente per disegnare, nello stesso tempo,  le diverse tappe della notte oscura, le diverse cause e manifestazioni e il  continuo e perseverante evolversi del fenomeno mistico.  

La scelta non è facile, perché la descrizione occupa pagine e pagine  dell'epistolario, tutte assai vive e commoventi. Trascriviamo pertanto soltanto  due brani alquanto estesi; per chi volesse avere un quadro più completo del  fenomeno qui descritto legga, tra le altre, le seguenti lettere: 314, fine genn.  1916, 11 9 1916, 4 12 1916, 6 3 1917, 19 6 1918, 4 7 1918. Particolarmente  espressive le descrizioni della desolazione causata dall'abbandono di Dio, delle  sterili ricerche del sommo Bene, della cognizione sperimentale dello stato della  sua miseria morale di fronte alla santità di Dio desiderata ed intravista:  "Quare posuisti me contrarium tibi, et factus sum mihimetipsi gravis? Questo è  il grido che emette l'anima mia dal fondo della sua miseria, in cui è posta dal  suo Dio. La mia anima è posta dal Signore a marcire nel dolore. Il mio stato è  amaro, è terribile, è estremamente spaventoso. Tutto è oscurità intorno a me e  dentro me: oscurità nell'intelletto, afflizioni nella volontà, angustiato sono  nella memoria, il pensiero della sola fede mi regge in piedi; nell'intimo sono  tocco di dolore, ed in pari tempo afflitto ed ansioso di amore divino [...]. In  questo stato quello che in modo speciale più mi strugge è il vedere che non sono  degno di Dio e non lo sarò mai più, perché veggo con ogni chiarezza, con ogni  evidenza la mia bruttura; conosco pure nel più chiaro modo, che sono affatto  indegno di Dio e di qualsiasi creatura. Innanzi all'anima si vanno schierando  uno per uno tutti i mali di cui ella si rese rea davanti a Dio, e questo fa sì  che tocchi con mano che non potrà mai avere altro [...]. Compassionevolissimo  stato che mi riempie di estrema confusione! Vorrei nascondermi agli occhi di  Dio, agli sguardi di tutte le sue creature, vorrei nascondermi a me stesso,  tanta è la pena che mi cagionano le mie miserie, la mia imperfezione, la mia  povertà, che mi tengono lo spirito intero affogato nelle tenebre [...]. Il mio  patire è angosciosissimo, che solo potrebbe rassomigliarsi alle sofferenze di  colui al quale si togliesse ogni aria da respirare [...]. Invero tutto è tristezza in me e non vi è parte alcuna che non sia in alta afflizione: la parte  sensitiva è posta in un'amara e terribile aridità, le potenze tutte dell'anima  in un vuoto di tutte le loro apprensioni, che mi riempie di un estremo spavento  [...]. In certi istanti, padre mio, è sì tremenda [l'intima acerbità] che  all'anima sembra avere sotto i piedi aperto l'inferno e la dannazione eterna.  Ahimè! chi mi libererà da tanta sventura? chi mi sosterrà? chi si ricorderà  della mia povertà, dei miei eccessi, dell'assenzio e del fiele? Sopra di me, o  padre, si è confermato il furore dell'Altissimo e tutte le onde ed i flutti si  scaricarono sopra di me" (19 7 1915, degna di essere letta tutta).  

"Questo è il più raffinato martirio che la mia fralezza potesse sopportare: lo  spirito sembra che declini ogni momento ai ripetuti colpi della divina giustizia  giustamente adirata contro questa malvagia creatura, e si frange: il cuore  sembrami di essere infranto, perché non più sanguina dal sempre più  incrudelimento della costante morte spietata. Padre mio! Dio mio! ho smarrito  ogni traccia, ogni vestigia del sommo Bene, nel senso più rigoroso. Tutte le mie  affannose ricerche in cerca di questo Bene mi riescono inutili, sono lasciato  solo nella mia ricerca, solo alla mia nullità e miseria, solo alla viva immagine  di ciò che si possa, anche in cognizione sperimentale; sono solo, completamente  solo, senza cognizione alcuna della suprema bontà, all'infuori di un desiderio  forte sì, ma sterile, di amare questa suprema bontà" (27 7 1918, a padre  Benedetto. Leggerla tutta). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

venerdì 21 ottobre 2022

NOTTE OSCURA

 


NOTTE OSCURA 


1.   Nozione  

Padre Pio, che sembra smarrirsi, sconvolto dal fragore della tempesta  abbattutasi sopra il suo spirito, e non riuscire a muoversi con passo fermo senza il provvidenziale aiuto della direzione spirituale, ha idee chiarissime su  questo stato mistico. 

In una lettera indirizzata al padre Agostino, che gli chiedeva orientamenti per  due anime, che attraversavano la dura prova delle purificazioni dello spirito,  espone magistralmente il fenomeno delle purificazioni attive e passive, la  necessità, le modalità, le finalità, il comportamento dell'anima durante la  prova, ecc. Sono pagine che echeggiano la classica dottrina di san Giovanni  della Croce. La lettera, datata 19 dicembre 1913, degna di essere letta tutta,  svolge l'argomento come segue.  

La notte oscura è uno stato "invidiabile, perché tutto, concorre a disporre ed a  preparare il cuore a ricevere in se stesso la forma vera dello spirito, che  altro non costituisce che l'unione d'amore". L'anima si convincerà che, non  ostante la violenza della prova cui è sottoposta, possiede l'amicizia di Dio,  pensando che è sempre disposta a dedicarsi interamente a lui e ad operare  esclusivamente per la sua gloria e onore. Né si deve impressionare perché non  sente più la dolcezza e soavità che una volta sperimentava nel divino servizio,  essendo questa "una accidentalità" che Dio "toglie all'anima di già fortificata  nello spirito". Dio vuole sposarsi con l'anima in fede e l'anima si deve  preparare "a questo celeste connubio" camminando in pura fede.  

Non potrà mai assurgere alla divina unione se prima non è purificata da ogni  imperfezione attuale e abituale, e ciò "s'ottiene con la purga dello spirito,  colla quale Iddio con una luce altissima penetra tutta l'anima, intimamente la  trafigge e tutta la rinnova". Questa luce investe l'anima "in modo penale e  desolante", causandole "afflizioni estreme e pene interiori di morte". L'anima  non riesce a comprendere questa divina operazione per due motivi: uno proviene  dalla natura della luce investitrice e l'altro dalla capacità stessa dell'anima.  Da una parte, quella luce sorpassa "siffattamente la capacità dell'anima, da  essere causa piuttosto di tenebre e di tormento, che di luce"; dall'altra, la  capacità dell'anima è così limitata, che lo splendore abbagliante della luce  diventa penoso, afflittivo ed invece di consolarla la riempie  "di pene grandi nell'appetito sensitivo, e di gravi angustie e pene orrende  nelle potenze spirituali".  

La traiettoria del fenomeno è la seguente: sul principio la divina luce investe  le anime, ancora indisposte, in modo purgativo; quando sono state purgate, le  investe illuminandole ed innalzandole alla vista ed all'unione perfetta con Dio.  "Quindi - conclude padre Pio - si rallegrino nel Signore dell'alta dignità a cui  le va innalzando e confidino pienamente nello stesso Signore, come faceva il santo Giobbe che posto anch'egli da Dio in tale stato, sperava di veder la luce  dopo le tenebre".  

La teoria qui esposta con tanta chiarezza, in seguito sarà arricchita con la  personale esperienza. 

Con non meno chiarezza di concetti e sodezza di principi spiega a padre  Benedetto (4 maggio 1914) il fenomeno che ormai si andava sviluppando nella sua  anima. Meritano di esser trascritti almeno alcuni squarci, perché sono come  l'inquadratura delle molteplici manifestazioni che si leggeranno per esteso  nell'epistolario:  

"Che debbo dirvi della povera anima mia?! Ahimè, che troppo infedele è stata col  suo Dio! [...]. Ci sono dei momenti nei quali nel cielo dell'anima mia si  addensano nubi sì oscure e tenebrose, da non lasciare passare neanche debolmente  un raggio di luce. E' l'alta notte per l'anima. L'anima viene posta in  afflizioni estreme e pene interiori di morte. La divina bontà viene  rappresentata all'anima in tal modo, da non poter la poverina godere di tanta  bontà con possedimento di amore [...]; l'anima posta in questo stato anela a  Dio, fonte di ogni bene, e solo con un profluvio di lacrime palesa la pena delle  sue brame.  

Tutto l'inferno allora si riversa con i suoi ruggiti cavernosi su di lei; tutta  la vita, passata e presente, è spavento per essa [...]. Non è tutto ancora;  l'anima stessa sembra che si sia votata a congiurare contro se stessa servendosi  a tal fine della fantasia e della immaginazione. I belli giorni passati col  dolcissimo Gesù spariscono del tutto dalla mente [...]. 

Tale stato non dura a lungo in una istessa intensità e né potrebbe, a mio  credere, durar più a lungo senza che l'anima uscisse dal corpo. Quello che non  si agita punto in questa estrema prova è l'alta punta dello spirito [...].  

E' una prova di fuoco, mio carissimo padre, questa, del tutto differente però  dal fuoco di questo basso mondo. Tra questi due fuochi vi è però questo di  somigliante, cioè che ambedue questi fuochi distruggono e consumano tutto ciò  che si oppone al conseguimento del loro fine. Difatti, uscita che è l'anima da  questa prova di fuoco, si rende sempre sgravata maggiormente dalle vesti  dell'uomo vecchio" (cf. anche 20 4 1914). 

Evidentemente queste linee fondamentali si arricchirono successivamente con  altri fenomeni ed altre manifestazioni caratteristiche del periodo di  purificazione.  

Per fortuna padre Pio, durante questo delicato periodo della sua ascesa  spirituale, trovò in padre Benedetto una guida dalle idee molto chiare su questo  fenomeno e che sapeva esprimerle con vigore ed esattezza, ricordandogli  opportunamente nei momenti più critici della prova i principi dei maestri della  vita spirituale per orientarlo, incoraggiarlo e sostenerlo nella lotta voluta da  Dio per altissimi fini:  

"Checché dica e faccia il tentatore, Dio va attuando in te il suo mirabile fine,  qual'è di completare la tua piena trasfigurazione in lui. Non credere ai  sussurri e alle ombre avverse del nemico e tieni ferma la verità contenuta in  questa dichiarazione che fo in piena autorità e sicurezza di coscienza. Temere  di perderti tra le braccia della bontà divina è più curioso del timore del  bambino stretto fra le braccia materne. Bandisci qualunque dubbio o ansia, che,  del resto, sono permessi dalla carità infinita per lo stesso fine suaccennato"  (padre Benedetto a padre Pio, 8 4 1918, cf. anche 7 6 1918).  

"Non temete che non vi abbandonerò, come neppure vi abbandona Iddio. Temete di  perdervi e di aver già perduto Iddio e domandate a me ov'egli si trovi! E' in  voi e voi siete in lui. Voi siete simile al viandante che chiuso nella cabina  della nave, non vede né la nave né avverte il movimento di essa. Solo è scosso  dal suo tremore e impaurito teme là là di naufragare e di calare a picco  nell'abisso del mare. Ma in verità quantunque non veda è nella nave, e sebbene  gli sembra di star fermo si muove e percorre vari chilometri all'ora. Teme di  affondare e che le scosse del movimento siano avvisi di perdizione imminente,  mentre la nave galleggia e trema appunto perché rompe l'acqua e si avanza. A lui  che si lamenta di star fermo e che va cercando la nave in cui salvarsi, si può  rispondere: quando per un momento uscirai all'aperto fuori della cabina, vedrai  che sei nella nave, che la nave galleggia e cammina velocissima, e trema per  virtù della sua stessa forza con cui affronta i flutti e li fende. 

Non temete, no, di naufragare e neppur chiedete dov'è il Signore, perché in lui  e sulle sue braccia non si è soggetti a iattura di sorta [...]. So bene che  aderite all'ubbidienza e alla direzione e che vi pare di non aderire, ma...  pare, e il parere non è l'essere. Le assicurazioni annegano nella furia delle  ansie e dei tormenti perché colui che è onnipotente sa distruggere la luce e le  impressioni del conforto appunto perché l'anima deve stare in tormento e dopo la  stilla del miele, deve continuare a sorbire il calice del Getsemani. Consolatevi  e non temete" (padre Benedetto a padre Pio, 22 6 1918). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 


mercoledì 3 agosto 2022

Quello che io intendo con ogni verità e chiarezza si è che il mio cuore ama grandemente assai più di quello che l'intelletto conosce.

 


Chiudiamo questa ormai lunga rassegna dei principali elementi costitutivi e  caratteristici della vita d'unione con la certezza assoluta che ha l'anima unita  a Dio. Il demonio non può falsificare o adulterare questa unione, anzi nemmeno  la conosce, perché in questo stato Dio e l'anima formano come un tutt'uno e il  diavolo non le si può nemmeno avvicinare. E' questo un fenomeno in qualche modo  paradossale e sconcertante nella condotta dell'anima. La certezza così chiara ed  evidente della presenza di Dio, sentita in una maniera ineffabile, e delle  realtà delle divine operazioni, non rende tranquilla l'anima nel lungo e  doloroso periodo delle purificazioni passive. Ma non vi è contraddizione, come  risulterà meglio da quanto si dirà altrove in questa stessa introduzione:   "Quello che io intendo con ogni verità e chiarezza si è che il mio cuore ama  grandemente assai più di quello che l'intelletto conosce. Di questo solo son  certo e nessun dubbio intorno a questo mai si è affacciato alla mente, e non  credo di mentire asserendo di non essere giammai stato tentato intorno a questo.  Io son tanto certo che la mia volontà ama questo tenerissimo Sposo, che dopo la  sacra Scrittura di nessun'altra cosa son tanto certo quanto di questo" (24 10  1913).  

"A dire il vero, l'anima pur sentendo queste pene più terribili della stessa  morte, non vorrebbe che cessassero mai. E' un mistero che non so comprenderlo e  molto meno darlo ad intendere; eppure lo spirito è certo di tutto ciò che in lui  passa e come il tutto in lui si svolge. Ha un'idea, o meglio, egli vede tutto e  con chiarissima intelligenza, e solo perché in questo basso mondo non trova  oggetto alcuno a cui poterlo anche pallidamente assimilarlo, gli riesce  d'assoluta impossibilità di manifestare ciò che in lui si passa" (16 2 1915; cf.  anche 1 11 1913).

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

venerdì 24 dicembre 2021

Sia dessa croce anche per noi sempre il letto del nostro riposo, la scuola di perfezione, l'amata nostra eredità.

 


Con quanto si è detto nel paragrafo precedente si collegano le brame  insaziabili di grandi sofferenze. Con esse l'anima desidera ripagare in qualche  modo i dolori del Dio crocifisso e cooperare con lui alla salvezza delle anime.  Il dolore redentore è una delle componenti della missione di padre Pio  affidatagli da Dio. Ed egli è pienamente consapevole che la sua vita deve essere  una via crucis, e desidera percorrere generosamente questa via dolorosa  abbracciato alla croce, dalla quale non vuol discostarsi mai e sulla quale vuol  morire:  

"So che soffrite di non avermi vicino per aiutarmi; ma godete, padre mio, perché  sono contento più che mai nel soffrire, e se non ascoltassi che la voce del  cuore, chiederei a Gesù che mi desse tutte le tristezze degli uomini; ma io non  lo fo, perché temo di essere troppo egoista, bramando per me la parte migliore:  il dolore. Nel dolore Gesù è più vicino; egli guarda, è lui che viene a  mendicare pene, lacrime...; ei ne ha bisogno per le anime" (2 4 1912).  

"Soffro e soffro assai, ma grazie al buon Gesù, sento ancora un altro po' di  forza; e di che cosa non è capace la creatura aiutata da Gesù? Io non bramo  punto di essere alleggerita la croce, poiché soffrire con Gesù mi è caro; nel  contemplare la croce sulle spalle di Gesù mi sento sempre più fortificato ed  esulto di una santa gioia. Sento però nel mio cuore il grave bisogno di gridare  sempre più forte a Gesù col dottore della grazia: Da quod iubes, et iube quod  vis [...]. Non dimenticate che sono egoista in fatto di sofferenze; voglio  soffrire solo e che, mentre sono impaziente di andarmene con Gesù, mi  rimprovererei se cercassi anche per un'ora sola di essere lasciato senza croce,  o peggio ancora se altri entrassero in mezzo a rapirmela" (20 9 1912; cf. anche  6 5 1913).  

"Quanto è dolce, padre, il nome di croce! Qui appié della croce di Gesù le anime  si rivestono di luce, s'infiammano di amore; qui mettono le ali per elevarsi ai  voli più eccelsi. Sia dessa croce anche per noi sempre il letto del nostro  riposo, la scuola di perfezione, l'amata nostra eredità. A tal fine badiamo di  non separare la croce dall'amore a Gesù: altrimenti quella senza di questo  diverrebbe un peso insopportabile alla nostra debolezza. La Vergine Addolorata  ci ottenga dal suo santissimo Figliuolo di farci penetrare sempre più nel  mistero della croce ed inebriarci con lei dei patimenti di Gesù. La più certa  prova dell'amore consiste nel patire per l'amato, e dopo che il Figliuolo di Dio  pati per puro amore tanti dolori, non resta alcun dubbio che la croce portata  per lui diviene amabile quanto l'amore" (1 7 1915; cf. anche 8 11 1916; 15 12  1917; 6 3 1917; 15 8 1917). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

domenica 5 dicembre 2021

Lo so e comprendo che è poco, ma questo so fare; questo sono capace di fare ed è il tutto di ciò che io sono capace di fare"

 


"Mi dite che io ho minacciato di pensare soltanto a me. Non so se e quando  l'abbia detto e con chi l'ho detto. Ad ogni modo se pur l'abbia detto, tengo a  dirvi, padre mio, che non è stato detto nel senso da voi inteso. Il mio agire lo  prova. Ho lavorato, voglio lavorare; ho pregato, voglio pregare; ho vegliato,  voglio vegliare; ho pianto e voglio piangere sempre per i miei fratelli di  esilio. Lo so e comprendo che è poco, ma questo so fare; questo sono capace di  fare ed è il tutto di ciò che io sono capace di fare" (23 10 1921). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

giovedì 4 novembre 2021

"Vorrei volare per invitare tutti di amare Gesù, di amare Maria"

 


EPISTOLARIO


7.   Un altro aspetto caratteristico dello stato mistico è il doloroso  contrasto, vivamente sentito, tra le insaziabili ansie e le ardentissime brame  di possedere e lodare il Dio conosciuto e amato, e la constatazione che molti  uomini non solo non lo conoscono né lo amano, ma lo ignorano o lo disprezzano e  offendono. L'anima, divorata dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo, ne  sente una pena profonda e vorrebbe compiere ogni sforzo possibile, affinché Dio  fosse amato da tutti e tutti fossero salvi. L'amore di Dio e lo zelo per le  anime sono i due poli d'attrazione:  

"Quanto poi soffro, padre, nel vedere che Gesù non solo non viene curato dagli  uomini, ma quello che è peggio, anche insultato e più di tutto con quelle  orrende bestemmie. Vorrei morire o almeno divenir sordo, anziché sentire tanti  insulti che gli uomini fanno a Dio. Signore, fatemi morire anziché trovarmi  presente a coloro nell'atto che vi offendono" (2 9-1911).  

"Mi sento acceso da si vivo ed ardente desiderio di piacere a Dio, e compreso da  sì forte timore di cadere in qualsivoglia più piccola imperfezione, che vorrei  fuggire il commercio delle creature tutte nel mentre che un altro desiderio  sorge nel mio cuore come gigante ed è quello di volermi trovare in mezzo a tutte  le genti per proclamare ad alta voce chi sia questo gran Dio delle misericordie"  (lett. 130).  

"Padre mio, se potessi volare, vorrei parlare forte a tutti, vorrei gridare con  quanta voce terrei in gola: Amate Gesù, ché è degno di amore. Ma, ahimè! padre  mio, il mio spirito è ancora fortemente legato a questo corpo, molti sono i  peccati che impediscono a quest'anima di volare ed andarsene in ... [sic]" (28 6  1912).  

"Vorrei volare per invitare tutti di amare Gesù, di amare Maria" (6 5 1913).  

"Per l'anima infiammata di divina carità il sovvenir alle necessità del prossimo  è una febbre che la va lentamente consumando. Darebbe mille volte la vita se  potesse far si che un'anima sola desse una lode di più al Signore. Anch'io sento  che questa febbre mi va divorando" (8 9 1913; cf. anche 20 4 1914; 11 3 1915; 10  8 1917; 7 11 1919; 20 11 1921). 

"Cosa dirvi del mio spirito? Mi vedo posto nell'estrema desolazione. Sono solo a  portare il peso di tutti, ed il pensiero di non poter apportare quel sollievo di  spirito a coloro che Gesù mi manda: il pensiero di vedere tante anime che  vertiginosamente si vogliono giustificare nel male a dispetto del sommo Bene mi  affligge, mi tortura, mi martirizza, mi logora il cervello e mi dilania il  cuore" (8 10 1920).  

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

 


venerdì 24 settembre 2021

Oh! quanto è insopportabile, padre mio, il dolore sofferto lontano dalla croce;

 


EPISTOLARIO

Il timore filiale di Dio contemplato così da vicino e la paura di  offenderlo, di dispiacergli e di essergli infedele e ingrato, dopo aver gustato  deliziosamente l'incontro con lui, accendono vieppiù il desiderio di sciogliere  i lacci che legano l'anima all'esilio e le impediscono di spiccare il volo verso  la patria.  

Padre Pio, come si documenterà quando tratteremo della notte oscura dello  spirito, ha frasi scultoree ed indovinate per descrivere questo stato d'animo.  Qui si riportano soltanto due brani, a mo' d'esempio, per vedere l'effetto  doloroso di quei sentimenti, cioè del filiale timore e della paura di offendere  Iddio:  

"Cosa dirvi dello stato attuale del mio spirito? La terribile crisi accennatavi  nell'altra mia si va sempre più ingrandendo. Attualmente poi l'anima è posta in  un cerchio di ferro. Teme da una parte di offendere quasi in tutte le cose Iddio  e questo le cagiona tanto terrore che solo può essere paragonato alle pene dei  dannati. Padre, non crediate che in questa mia asserzione vi sia dell'esagerato,  la cosa la sta proprio così. Il Signore mi fece proprio provare tutte le pene  che soffrono laggiù i dannati. Ma ciò che da un'altra parte più mi tormenta si è  che in questo periodo sento ingigantirsi nell'anima mia il desiderio di amare  Iddio e di corrispondere ai suoi benefici" (11 3 1915)  

"Viva Gesù, che così vuole, contro ogni mio demerito, farmi entrare a parte dei  suoi dolori! Oh! quanto è insopportabile, padre mio, il dolore sofferto lontano  dalla croce; ma come addiviene soave e soffribile se si soffre non lontano dalla  croce di Gesù! Tutto per l'anima riesce facile, pur sentendosi oppressa ed  inebbriata da ogni sorta di patimenti; e se non vi fosse in fondo, in fondo a  quest'anima quel sacro timore di poter cadere e disgustare il divino sposo, ella  sentirebbe di stare in paradiso, tanta è la dolcezza che apporta a lei si fatto  modo di soffrire" (20 5 1915).

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

lunedì 23 agosto 2021

l'Anima riconosce e manifesta volentieri che tutto è pura grazia di Dio

 


EPISTOLARIO

Le grazie di predilezioni, che ininterrottamente si riversano sull'anima,  sviluppano in essa un senso profondo di gratitudine e di umiltà. Ad una maggiore  e più limpida conoscenza di Dio, che suscita sentimenti di lode e di  ammirazione, corrisponde una visione sempre più chiara e penetrante del proprio  io, con tutte le sue limitatezze e indegnità. Quindi, anziché attribuire a sé  qualche merito o compiacersi di questo stato, l'anima riconosce e manifesta  volentieri che tutto è pura grazia di Dio, il quale si è compiaciuto, nonostante  la indegnità della creatura, di elevarla a sé e renderla oggetto di tanto amore  e di tanta benevolenza:  

"Io riconosco benissimo di non aver in me niente che sia stato capace di  attirare gli sguardi di questo nostro dolcissimo Gesù. La sola sua bontà ha  colmato l'anima mia di tanti beni" (14 10 1912; cf. anche 3 12 1912).  

"Ahimè! che sono inutile a tutto. Il Signore prenda compassione di me e mi renda  capace d'adoprarmi, da che tanto mi ama, anch'io a gloria sua" (26 6 1913).  

"Per lo innanzi provavo confusione che altri sapessero quello che il Signore  opera in me, ma da alcun tempo in qua non la sento più questa confusione, perché  vedo che non per questi favori io son migliore, vedendomi anzi peggiore e che  poco profitto io fo con tutte queste grazie. Tal è il concetto che ho di me, che  non so se vi siano altri peggiori" (1 11 1913).  

"Iddio poi si va sempre più ingrandendo all'occhio della mia mente e lo veggo  sempre nel cielo dell'anima mia, che si va circondando di densa nebbia. Lo sento  vicino e pur lo veggo lontano lontano. Ed al crescere di queste brame Dio si fa  più intimo a me e lo sento, ma pure queste brame me lo fanno vedere sempre più  lontano. Dio mio! che cosa strana!" (16 7-1917).  

"La mia mostruosità apparisce ributtante ai miei occhi istessi, come a quelli di  Dio purezza e di ogni uomo; io mi aborro e mi odio, specialmente dal non saperne  il modo come uscire da questa mostruosità, Padre! sono indegno di proferire  questo nome e dirigere a voi la mia povera parola. Sono ridotto al punto da  sembrarmi che la tentazione di disperazione di me stesso si sia già incorporata  e che io già disperi" (13 11 1918; cf. anche 17 10 1918).  

PADRE PIO DA PIETRELCINA

domenica 11 luglio 2021

A mano a mano che s'intensificano gli intimi rapporti con Dio, l'anima rimane come inabissata ed assorbita in se stessa.

 


EPISTOLARIO

A mano a mano che s'intensificano gli intimi rapporti con Dio, l'anima  rimane come inabissata ed assorbita in se stessa. Le riesce difficile e doloroso  comunicare con le creature; vorrebbe isolarsi e trattenersi soltanto con  l'ospite divino; perfino il soddisfare i più elementari bisogni della natura è  per lei causa di sofferenza, sembrandole un perditempo: 

"Tali desideri consumano l'anima interiormente perché comprende, per una  chiarissima luce che Iddio le dà, di non poter rendere a Dio quel servigio che  vorrebbe. Tutto poi va a finire nelle delizie di cui Iddio viene ad inondar  l'anima. Mi dà il più delle volte gran pena il trattare con altri, eccetto  quelle persone alle quali si parla di Dio e della preziosità dell'anima. Per  questo appunto amo assai la solitudine. Spesso spesso provo gran travaglio nel  sovvenire alle necessità della vita: il mangiare, cioè, il bere, il dormire; e  mi ci assoggetto come un condannato, solo perché Iddio lo vuole [...]. Le  conversazioni se si prolungano per passatempo, non potendo alle volte  allontanarmene, debbo farmi violenza grandissima per rimanervi, dandomi queste  una gran pena" (1 11 1913; cf. anche 24 3 1914). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

venerdì 7 maggio 2021

"Quanta terribile cosa è il patire nell'anima!...

 


EPISTOLARIO

Le vivissime luci che l'anima riceve su Dio e i suoi misteri, invadono le  potenze e vi si imprimono in modo indelebile, senza che si riesca a spiegarle  adeguatamente agli altri. L'anima ne soffre e, senza potersi padroneggiare,  prorompe in lamenti, gemiti, grida d'amore, salti di gioia, canti di lode, ecc.  E' l'inebriamento amoroso.  

"Quanta terribile cosa è il patire nell'anima!... Mi confondo per non trovare  termini adatti a bene esprimermi. Altre volte mi accade, anche stando occupato  in cose indifferenti, che ad una semplice parola che sento di Dio, o che mi  torni improvvisamente alla mente, mi tocca in modo sì vivo, che sono portato  fuori di me stesso, ed allora il Signore vuole farmi la grazia di scoprirmi  alcuni segreti che mi rimangono sì impressi nel fondo dell'anima che non se ne  possono più cancellare, sebbene non tutti questi segreti posso esprimerli,  mancandomi i termini il più delle volte per ciò farlo; ed anche di quei medesimi  che in certo modo riesco ad esprimerli, perdono tanto del loro splendore, che mi  fa quasi a me stesso compassione e ribrezzo" (lett. 130; cf. anche 24 7 1918; 17  10 1918; 26 3 1914).  

"Ma allorquando mi veggo incapace di sostenere il peso di quest'amore infinito;  di restringerlo tutto nella piccolezza della mia esistenza, mi sento riempito di terrore che forse dovrò lasciarlo per l'incapacità di poterlo contenere  nell'angusta casetta del mio cuore. Questo pensiero, che del resto non è  infondato (misuro le mie forze che sono limitatissime, incapaci ed impotenti a  tener per sempre stretto stretto questo Amante divino), mi tortura, mi affligge  e sento schiantarmi il cuore dal petto. Padre mio, non posso sopravvivere a  questo dolore: nel rincalzo di esso mi sento annichilito, mi sento venir meno  alla vita e non saprei dirvi se vivo oppure no in questi momenti. Sono fuori di  me. Un misto di dolore e di dolcezza si contrastano contemporaneamente e  riducono l'anima in un dolce e amaro deliquio. Gli amplessi del Diletto, che  allora si succedono a grande profusione e direi quasi senza posa e senza misura  e risparmi, non valgono ad estinguere in lei l'acuto martirio di sentirsi  incapace a portare il peso di un amore infinito. Ed è proprio in questi periodi,  che sono quasi continui, che l'anima proferisce frasi verso di questo Amante  divino che mi fa orrore a proferirle quando sono in me stesso" (12 1 1919; cf.  anche 29 1 1919). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

giovedì 1 aprile 2021

Aumentava sempre più in me la fiducia in Dio; mi sentivo sempre più attratto verso Gesù;


 EPISTOLARIO

Le sempre nuove e più meravigliose scoperte che l'anima, alla luce di  questa intima contemplazione, va facendo di Dio, dei suoi misteri e dei suoi  attributi, la riempiono d'ammirazione profonda e d'incontenibile gioia, d'una  felicità di paradiso e la inondano di una "quasi continua indigestione di  consolazioni".  

Ci sono, è vero, parentesi dolorose, ma l'anima non le rimpiange come abbandoni  di Dio, ma come "scherzi d'amore", "squisitezza del suo finissimo amore". Le  gioie e le consolazioni non escludono il dolore, ma lo rendono tollerabile,  desiderabile e amabile. Amore e dolore seguono una via parallela; l'uno e  l'altro esercitano un'azione congiunta di purificazione e di trasformazione:

"Gesù non lascia di tratto in tratto di raddolcire le mie sofferenze in altro  modo, cioè col parlarmi al cuore. Oh si, padre mio, quanto è buono Gesù con me!  Oh che preziosi momenti sono questi; è una felicità che non so a che  paragonarla; è una felicità che quasi solo nelle afflizioni il Signore mi dà a  gustare. In questi momenti, più che mai, nel mondo tutto mi annoia e mi pesa;  niente desiderio fuorché amare e soffrire. Si, padre mio, anche in mezzo a tante  sofferenze, sono felice perché sembrami di sentire il mio cuore palpitare con  quello di Gesù. Ora s'immagini quanta consolazione deve infondere in un cuore il  sapere di possedere, quasi con certezza, Gesù [...]. E' anche vero che Gesù  spesso spesso si nasconde, ma che importa, io cercherò col suo aiuto di stargli  sempre intorno, avendomi lei assicurato che non sono abbandoni, ma scherzi di  amore. Oh! quanto bramerei in questi momenti aver qualcuno che mi aiutasse a  temperare le ansietà e le fiamme da cui il mio cuore è agitato" (4 9 1910; cf.  anche 29 11 1910; 20 12 1910).  

"Ho osservato da vari giorni in qua una gioia spirituale da non potersi  spiegare. La causa di ciò l'ignoro. Non sento più quelle tante difficoltà che  sentivo una volta nel rassegnarmi ai divini voleri. Anzi respingo le calunniose  insidie del tentatore con una facilità tale, da non sentirne né noia né  stanchezza" (10 8 1911; cf. anche 13 1 1912; 16 3 1912; 25 3 1912).  

"Questa notte scorsa poi l'ho passata tutta intiera con Gesù appassionato. Ho  sofferto anche assai; ma in un modo ben diverso da quello della notte  precedente. Questo è stato un dolore che non mi ha fatto male alcuno; aumentava  sempre più in me la fiducia in Dio; mi sentivo sempre più attratto verso Gesù;  senza nessun fuoco vicino, mi sentivo internamente tutto bruciare; senza lacci  addosso, mi sentivo a Gesù stretto e legato; da mille fiamme mi sentivo  bruciare, che mi facevano vivere e mi facevano morire. Quindi soffrivo, vivevo e  morivo continuamente. Padre mio, se potessi volare, vorrei parlare forte, a  tutti vorrei gridare con quanta voce terrei in gola: amate Gesù che è degno di  amore" (28 6 1912).  

"In questi giorni tanto solenni per me, perché feste del celeste Bambino, spesso  sono stato preso da quegli eccessi d'amore divino, che tanto fanno languire il  mio povero cuore. Compreso tutto della degnazione di Gesù verso di me, gli ho  rivolto la solita preghiera con più confidenza: Oh Gesù, potessi amarti, potessi  patire quanto vorrei e farti contento e riparare in un certo modo alle  ingratitudini degli uomini verso di te!" (29 12 1912; cf. anche 17 10 1915; 14  10 1917; 29 1 1919). 

"L'anima mia da più tempo si trova immersa giorno e notte nell'alta notte dello  spirito [...]. Addio le delizie delle quali l'aveva inebriata il suo Signore!  Dov'è quel gusto di cui ella godeva dell'adorabile divina presenza?" (lett.  314).  

"In questo stato per la povera anima tutto è tormento. La poverina è posta di  continuo in una contemplazione tormentosissima in cui Dio, con mirabile notizia,  facendosi a lei vedere lontano, le sveglia un dolore sì acuto da ridurla alle  agonie di morte" (9 5 1915; cf. anche 6 9 1916). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

mercoledì 3 marzo 2021

EPISTOLARIO - Non appena mi pongo a pregare, subito sento che l'anima incomincia a raccogliersi in una pace e tranquillità da non potersi esprimere colle parole.

 


ELEMENTI COSTITUTIVI ED INTEGRATIVI DELLA VITA D'UNIONE 

Tenendo sempre presente gli insegnamenti dei maestri della teologia spirituale,  offriamo una rassegna dei principali elementi costitutivi ed integrativi della  vita mistica documentandoli con le parole stesse di padre Pio, stralciate dal  suo epistolario.  

A scanso di equivoci, va ricordato che padre Pio non scrive un trattato  dottrinale; descrive soltanto stati d'animo, esperienze personali vissute. Così  si spiega che spesso un medesimo testo, da noi citato, potrebbe contenere  sfumature diverse, riferibili ad uno o ad altro elemento; o propone esperienze  diverse e fenomeni concomitanti, applicabili ad uno o ad altro grado della scala  mistica, secondo la maggiore o minor rilevanza dei medesimi. Il tecnico e il  versato in teologia mistica li classificherà secondo il proprio posto, allorché si accingerà a proporre una esposizione sistematica dell'argomento, lavoro  questo che esula dal nostro compito.  

1.   Ciò che in maniera determinante caratterizza lo stato mistico è la presenza  infusa soprannaturale di Dio nell'anima. Il dinamismo umano e lo sforzo delle  potenze e dei sensi è sostituito dall'impulso divino, che opera dall'interno nel  centro dell'anima. Gli effetti meravigliosi di questa presenza straordinaria e  operativa non possono facilmente tradursi in parole. E' tale la intensità  degl'intimi rapporti con Dio, che le operazioni delle potenze si rendono sempre  più difficili e l'anima quasi abbandona i sensi. Quindi l'atto contemplativo  dura poco. Si raggiunge il limite dell'estasi:  

"La maniera ordinaria della mia orazione è questa. Non appena mi pongo a  pregare, subito sento che l'anima incomincia a raccogliersi in una pace e  tranquillità da non potersi esprimere colle parole. I sensi restano sospesi  [...]. Da qui capirete che poche sono le volte che riesco a discorrere  coll'intelletto [...]. Questo stato di cose vanno sempre più intensificandosi,  che se non ne muoio è un miracolo del Signore. Quando poi piace al celeste Sposo  delle anime por termine a questo martirio, mi manda in un subito una siffatta  devozione di spirito da non potere in modo alcuno resistere. Mi trovo in un  istante del tutto mutato, arricchito di grazie soprannaturali e talmente ripieno  di fortezza da sfidare tutto il regno di satana. Quello che so dire di questa  orazione si è che l'anima sembrami che si perda tutta in Dio, e che essa  profitti in tali momenti più di quello che potrebbe fare in molti anni di  esercizio con tutti i suoi sforzi [...]. Quello che valgo a dirne intorno a  questo, senza tema di sbagliare, si è che in nulla io vi concorro [...]. Tutto  questo nasce non da qualche considerazione, ma da una fiamma interna, e da un  amore tanto eccessivo che se Iddio non mi venisse in aiuto a breve andare ne  sarei consumato [...]. Spesso spesso provo gran travaglio nel sovvenire alle  necessità della vita: il mangiare, cioè, il bere, il dormire; e mi ci assoggetto  come un condannato, solo perché Iddio lo vuole [...]. Da che il Signore mi va  facendo queste cose mi sento tutto mutato da non riconoscermi più da quello che  ero per lo innanzi" (1 11 1913). 

"Mi chiedete poi, tra l'altro, conto della mia anima ed a me duole il non  sapermi esprimere trattandosi adesso di cose assai alte e secrete. I vocaboli  mancano per poter ritrarre anche debolmente quello che in questo stato si passa  tra l'anima e Dio. Sono cose quelle che si vanno operando presentemente così  secrete e così intime, che chi non ne ha fatto un'esperienza in se stesso non  potrà mai e poi mai formarsene una pallida idea. Quello che l'anima riceve in  questo stato lo riceve in un modo ben diverso da quello d'una volta. Adesso è  Dio stesso quello che immediatamente agisce ed opera nel centro dell'anima senza  del ministero dei sensi sia interni che esterni. E' un'operazione insomma questa  sì alta, sì secreta e sì dolce, che è nascosta ad ogni umana creatura, non  escluse quelle stesse angeliche intelligenze ribelli" (9 2 1914; cf. anche 26 2  1914).  

"Aspiro alla luce e questa luce non viene mai; e se alle volte pure si vede  qualche tenue raggio, il che avviene troppo di raro, è desso proprio che  riaccende nell'animo le brame le più disperate di rivedere risplendere il sole;  e queste brame sono si forti e violente, che spessissimo mi fanno languire e  spasimare di amore per Iddio e mi vedo sul punto di andare in deliquio. Tutto  questo io lo sento senza che lo voglia e senza fare nessun sforzo per ottenere  questo. Il più delle volte mi avviene tutto questo fuori della preghiera ed  anche quando sono occupato in azioni indifferenti" (16 7 1917; cf. anche 12 1  1919). 

PADRE PIO DA PIETRELCINA 

sabato 14 novembre 2020

EPISTOLARIO - ATTEGGIAMENTO DI PADRE PIO DI FRONTE ALLE VIE STRAORDINARIE

 


Anzitutto una premessa. Padre Pio mai cercò o si compiacque di muoversi nelle  alte sfere della vita mistica. Vi fu attratto come tutti gli autentici mistici,  dal soffio dello Spirito Santo e vi aderì con generosa e costante fedeltà.  Volentieri riconosceva che il meraviglioso mondo dei suoi rapporti personali con  Dio uno e trino non era tanto una conquista dell'attività umana, quanto un dono  della predilezione divina. Egli si rendeva perfettamente conto delle vie  straordinarie attraverso le quali Dio andava realizzando i suoi disegni amorosi  su di lui, avrebbe però preferito "la strada ordinaria a tutte le altre anime",  pur di raggiungere la perfezione "dell'amore sostanziale":  

"Sapete, padre, io non do nessuna importanza a questo stato mio straordinario: e  per questo non cesso di dire a Gesù che mi conduca per quella strada ordinaria a  tutte le altre anime, ben conoscendo che la via, per la quale la divina  misericordia  

mi sta conducendo, non si conviene alla mia anima, avvezza a cibi ancora assai  materiali. Quello che dico al Signore si è che vado trovando l'opera,  l'emendazione della vita, la mia risurrezione spirituale, l'amore vero  sostanziale, la sincera conversione di tutto me stesso a lui" (7 4 1915). 

Inoltre consigliava i suoi stessi direttori ad essere molto cauti nel dirigere  le anime loro affidate riguardo ad eventuali fenomeni straordinari. Il 25 agosto  1915 scrive a padre Agostino:  

"Quello che io voglio dirvi si è di stare molto accorto nella direzione di  anime, specie di diverso sesso, e non dare loro a divedere di dare molta  importanza in ciò che spetta fenomeni estraordinari, salvo quando si hanno prove  chiarissime in mano, che il confutarle costituirebbe quasi una specie  d'infedeltà".

Un altro importante rilievo da tener presente: padre Pio non parla volentieri né  di propria iniziativa dei doni mistici. Anzi li occulta perfino ai suoi  direttori, finché attraverso le loro insinuazioni e i loro ordini precisi non  intravede la volontà divina. Ma anche in questi casi lo fa con la massima  discrezione e riservatezza, sia per la difficoltà intrinseca di descrivere "le  altissime comunicazioni", sia perché avrebbe preferito che quelle misteriose  relazioni rimanessero nell'ambito di secretezza e di intimità in cui si  attuavano, cioè tra Dio e l'anima:  

"Nel caso di non poterle scrivere lo stato del mio interno, a causa della vista,  ella mi dice di servirmi di qualche persona di fiducia per quindi  manifestarglielo; ora la supplico, babbo mio, di non obbligarmi a tanto, perché  non posso manifestarlo a nessuna persona di qui [...]. Il dovere quindi di non  poter sfogare il mio interno con un padre generoso che mi offrì la sua mano  protettrice e si degnò chiamarmi suo figlio, mi priva dell'unico conforto" (13 1  1912).  

"L'anima posta dal Signore in tal stato, arricchita di tante celesti cognizioni  dovrebbe essere loquace; eppure no, essa è divenuta quasi muta. Non saprei se  questo sia un fenomeno che si avvera in me solo" (26 3 1914).  

"Padre, preferisco in questo punto il silenzio, perché vedo chiaramente che ciò  che ho detto e potrei dire non corrisponde se non assai pallidamente a ciò che  in me si passa. Ci credete, padre? Mi fa quasi rabbia il non potere e non sapere  manifestare tutto il mio interno. Sia fatta la divina volontà" (11 3 1915)   "Vorrei, vorrei parlarvi, ma che vale il parlare senza intenderci? E' meglio uno  stretto silenzio, che un mal parlare" (27 2 1916).  

E quando, superando tali difficoltà, doveva aprire la sua anima, sperimentava  una reale ripugnanza e la violenza interiore traspare dall'espressione:   "Perdonatemi poi se non dò risposta a quelle interrogazioni che mi avete fatte  coll'ultima vostra. A dirvi il vero, sento una grande ripugnanza nello scrivere  quelle cose. Non si potrebbe, o padre, pel presente soprassedere di dare a  queste vostre dimande un riscontro? Del resto vi ho esposto questa mia debole  ragione, ma se voi non la trovate sufficiente e volete proprio che il tutto  affidassi alla scrittura, non sapendo cosa farne, a me non mi rimane se non  ubbidire" (4 10 1915).  

"Eccovi manifestato, alla meglio che mi è stato possibile, l'origine di questo  nuovo stato. Mio Dio!, non vi so dire, padre, la resistenza e la violenza che ho  dovuto fare in manifestarvi queste cose; ve l'ho manifestate a viva forza, in  virtù della santa ubbidienza, che vuole che nulla debbo far passare sotto  silenzio. Ho dovuto faticare molto ancora nello strapparmi dalle unghie di  satana, e ci peno ora in sentirne la sua rivendicazione: esso m'inocula  continuamente il suo veleno, ed in balia di sue forze non è possibile  indovinarne l'uscita, quando ogni via è chiusa e niuno spiraglio indica la  sfuggita"  

(19 6 1918). 

 

E' molto significativo, a questo riguardo, il modo come venne a conoscersi il  prodigio della stigmatizzazione.  

Da più di un anno padre Pio aveva notato nelle mani 

e nei piedi i primi sintomi delle stimmate; ma, vinto dalla "maledetta  vergogna", non aveva fatto nemmeno un accenno al direttore, finché l'8 settembre  1911, non senza farsi "grande violenza", si decise a parlarne in questi termini:   "Ieri sera poi mi è successo una cosa che io non so né spiegare e né  comprendere. In mezzo alla palma delle mani è apparso un po' di rosso quasi  quanto la forma di un centesimo, accompagnato anche da un forte ed acuto dolore  in mezzo a quel po' di rosso. Questo dolore era più sensibile in mezzo alla mano  sinistra, tanto che dura ancora. Anche sotto i piedi avverto un po' di dolore.   Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un  pezzo che più non si ripeteva. Non s'inquieti però se adesso per la prima volta  glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna.  Anche adesso se sapesse quanta violenza ho dovuto farmi per dirglielo!" (8 9  1911). 

Ciò si ripete in ben più vaste proporzioni, quando la stigmatizzazione divenne  un fenomeno visibile e permanente, il 20 settembre 1918. Padre Paolino da  Casacalenda, che era superiore di San Giovanni Rotondo e godeva della stima e fiducia di padre Pio, racconta: "Non seppi nei primi giorni il tempo preciso  della stigmatizzazione del Padre. E su questo non c'è da meravigliare, perché il  padre Pio non parlava mai di se stesso, per cui non sentì il bisogno, neppure in  questa circostanza così solenne della sua vita, di dirmi qualche cosa al  riguardo. Egli anzi faceva tutto il possibile per occultare il dono di Dio" 2.   Venuto poi a conoscenza del fatto ed accertatosi della sua oggettiva realtà,  dopo una decina di giorni padre Paolino, verso i primi di ottobre, lo comunicò a  padre Benedetto, invitandolo a recarsi d'urgenza a San Giovanni Rotondo. Ma  

il direttore non ci andò; e padre Pio che dal 6 settembre non aveva scritto a  nessuno, il 17 ottobre indirizzava una lettera a padre Benedetto, non accennando  al dono ricevuto, ma soltanto vagamente ad una "pioggia di sangue":  

"Deh, padre mio, venite in mio aiuto, per carità! Tutto il mio interno piove  sangue e più volte l'occhio è costretto a rassegnarsi a vederlo scorrere anche  al di fuori. Deh, cessi da me questo strazio, questa condanna, questa  umiliazione, questa confusione! Non mi regge l'animo a potere e a saper  resistere" (17 10 1918).  

Padre Benedetto, già informato dal padre Paolino, risponde il 19, chiedendogli  un resoconto dell'accaduto. Dunque ormai era inevitabile; bisognava parlarne  esplicitamente. Ma anche allora si rileva, da una parte, il non dare eccessiva  importanza al fatto e, dall'altra, la schiettezza, la semplicità e quasi  noncuranza con cui brevemente informa il direttore dell'impressione delle  stimmate.  

Nella prima parte della lettera, trascurando ciò che doveva essere lo scopo  principale della risposta alla domanda rivoltagli, si intrattiene a calmare la  coscienza agitata del direttore, e lo fa con calore e unzione. Poi passa a  rispondere a quanto era stato chiesto, iniziando la breve relazione con queste  parole:  

"Cosa dirvi a riguardo di ciò che mi dimandate del come sia avvenuta la mia  crocifissione? Mio Dio, che confusione e che umiliazione io provo nel dover  manifestare ciò che tu hai operato in questa tua meschina creatura!" (22 10  1918).  

Anche dopo il fatto straordinario delle stimmate, padre Pio continua la tattica  di sempre: parlare il meno possibile di propria iniziativa dei meravigliosi  fenomeni che si verificano nella sua anima. Padre Benedetto lo rimprovera  dolcemente e per spingerlo ad essere più sollecito e più ampio nei resoconti di  coscienza, gli rivolge quest'amabile minaccia:  

"Tu poi sai narrarmi le pene dell'amore e non ti sazieresti mai dal  raccontarmele, e taci spesso e quasi sempre l'amore penoso e l'amore delle pene  con tutto l'amore che produce l'uno e le altre e le dolcezze amorose che tu godi  e per cui piangi. Quando tu ti sarai intrattenuto a dirmi positivamente e  distintamente le dolcezze dell'amore, allora io risponderò direttamente e  partitamente al grido delle tue pene" (16 11 1918).  

PADRE PIO DA PIETRELCINA