Il Beato Pio X, del Padre Girolamo DAL GAL Ofm c.
CANCELLIERE VESCOVILE
Mons. Sarto era Cancelliere Vescovile, ma di una Curia dove il Vescovo, per le sue precarie condizioni di salute, non poteva esercitare la sua antica attività; dove il Vicario Generale era oramai vecchio ed malaticcio e dove l'unico Coadiuvatore di Curia era quasi sempre ammalato.
Gli affari della Diocesi - eccettuata la corrispondenza privata del Vescovo - erano tutti nelle sue mani. Ed erano in buone mani, perché a Mons. Sarto nulla sfuggiva.
“Era un incanto - affermava chi più volte lo aveva veduto al suo tavolo di lavoro - osservarlo nel suo stanzone a piano terra del Palazzo Vescovile nei giorni e nelle ore di maggiore affluenza, specialmente nel Martedì, in cui i Parroci e i Cappellani della Diocesi, cogliendo l'occasione del grande mercato cittadino, andavano in Curia.
"Con il capo leggermente inclinato e con una inimitabile espressione di mitezza accoglieva tutti, ascoltava tutti con il medesimo umore, con semplicità e naturalezza, con lo stesso vigile e costante controllo di sé. Poche parole sommesse.... risposte pronte, conciliative, tranquillizzanti che ispiravano fiducia e confidenza .... misure spicce e risolute .... un largo sorriso che gli veniva dal cuore .... e quei Reverendi se ne andavano tranquilli e contenti” 218.
Si sarebbe pensato che in tutta la sua vita non avesse fatto altro che il Cancelliere di Curia.
L'intuizione pronta delle cose che egli aveva, la rapida percezione dei mezzi più efficaci, il giudizio sicuro e l'inarrivabile sua accortezza ed abilità sorprendevano tutti. Tutti ne erano meravigliati, tutti lo portavano in palma di mano e tutti avevano di lui “un concetto come di un uomo senza eccezione” 219, “animato da una rettitudine addirittura ammirabile” 220.
Ma più di ogni altro il Vescovo, Mons. Federico Zinelli, il quale, soddisfatto di non essersi ingannato nello scegliere nel Parroco di Salzano il suo Cancelliere, non cessava dal ripetere di “non avere mai conosciuto un Cancelliere così assiduo, così laborioso, così pronto, così abile e così destro nel trattare con ogni ordine di persone e nel risolvere i casi più delicati e le più complicate difficoltà, come Mons. Sarto” 221.
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Per i sacerdoti era tutto premure, tutto cuore. Si prestava del suo meglio per loro, portava e raccomandava al Vescovo i loro desideri, i loro bisogni. Li favoriva in tutti i modi, ma, rigido custode del loro onore e del loro prestigio nell'adempimento del dovere e nel dare buon esempio, quando la forza delle circostanze lo obbligava a richiami o ad ammonizioni, una nube di mestizia gli scendeva sulla fronte, si faceva serio in volto e quel suo occhio, rivelatore di dolcezza, diventava severo. Allora era la sua fermezza che parlava, era la sua indomita volontà che si imponeva.
E guai se qualche prete avesse osato erigersi a censore del Vescovo, di cui egli - come di tutti i Vescovi - aveva un culto profondo! Era inflessibile perché nessuna cosa provocava in lui un giusto sdegno come un prete che non obbedisse ai propri Superiori o che non si diportasse da prete 222.
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Una volta un suo intimo amico lo interessò per il miglioramento delle condizioni di un Cappellano. Mons. Sarto accolse la raccomandazione con la benevolenza dell'amicizia. Ma quando l'incauto patrocinatore ritornò per sapere che cosa fosse avvenuto della sua raccomandazione, il Servo di Dio, guardandolo fisso, gli disse:
- Oh! sei qua tu, avvocato delle cause perse? Già il Cappellano da te raccomandato .... Ma non sai? ... - e gli fece intendere quanto bastava per persuaderlo che quel Cappellano non era da raccomandarsi.
- Povero uomo! ... - sfuggì all'amico.
- Povero uomo davvero! - riprese con tono energico Mons. Sarto - e non soltanto povero, ma pazzo e disgraziato .... Pregare per lui, sì!... aiutarlo, fare per lui di nascosto quanto esige la carità, sì.... ma pubblicamente, ufficialmente, no: non è giustizia, sarebbe scandalo. Taci e non parlarne più né al Vescovo, né a me 223.
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Ma non erano soltanto preti che Mons. Sarto riceveva nel suo stanzone di Cancelliere. Non erano soltanto cose curiali che egli trattava.
Erano anche poveri, diseredati dalla Fortuna, miserabili affranti dalle traversie della vita che andavano a lui per confidargli segrete angustie, sofferenze, miserie, situazioni pericolanti, casi pietosi. Ed egli aveva per tutti una dolce parola di fede, di serena speranza e di coraggio cristiano, mentre a tutti apriva il suo cuore e la sua mano con una larghezza così generosa che a Treviso si diceva ad una voce che il Beneficio Canonicale di Mons. Sarto “non era suo ma dei poveri” 224; mentre tutti riconoscevano quanto fosse bene intesa e bene ordinata la sua carità, perché, non venendo mai meno alla giustizia ed ai sacri doveri della pietà filiale, alla mamma dilettissima ed alle sorelle che continuavano a lavorare nella loro umile casetta di Riese “non faceva mancare mai il necessario, modesto sì, ma sufficiente” 225.
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E quanta delicatezza, quanta comprensione nel soccorrere personalmente per un sentimento di carità coloro che altri avrebbero dovuto soccorrere per dovere di giustizia!
Un povero tipografo che aveva un credito con la Curia Vescovile, era alla disperazione. I suoi affari andavano male e gli scadeva d'urgenza una cambiale di 4.000 lire. Gli mancavano mille lire per arrivare alla cifra voluta. Si rivolse al Cassiere della Curia, ma questi, temporeggiando, gli diede soltanto parole. Non vi era tempo da perdere: una dilazione sarebbe stata la sua rovina. Pallido e come fuori di sé, si presentò a Mons. Sarto, esponendogli con le lagrime agli occhi la dolorosa situazione.
Il pietoso Cancelliere si raccolse un momento, come pensando. Poi, guardando con occhi di compassione il povero tipografo, gli disse:
- Coraggio, il Signore c'è per tutti, anche per i poveretti e non abbandona mai chi in lui confida. Io, come sempre, non ho un centesimo, ma ben volentieri vi verrò in aiuto.
E, continuando a rivolgergli parole di conforto, si ritirò in una stanza vicina. Aprì e chiuse cassetti, scatole, pacchetti di tela, involti e buste, levando da tutte del danaro e ponendovi in ognuna un biglietto per memoria.
“Muto e commosso - così raccontava lo sventurato tipografo - con il cuore gonfio di riconoscenza, io seguivo ogni movimento del pietoso Monsignore. "Finalmente, mi si avvicina, e, porgendomi il danaro che mi occorreva, tutto lieto e contento, esclamò:
- “Ecco i mille franchi che vi mancano: il Signore vi benedica e pregate per me” 226.
Così il Cancelliere Vescovile di Treviso, intendeva la carità: sacrificando se stesso fino a ridursi a vestire poveramente e più ancora a vendere qualcuno dei suoi magri campicelli di Riese per aiutare tutti e soccorrere tutti 227. Chi poteva non volergli bene?