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giovedì 20 ottobre 2022

PIO IX

 

IL PAPA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE


La proclamazione del dogma

Venerdì 8 dicembre 1854, fin dalle 6 di mattina fu aperta la Basilica di San Pietro, che già alle 8 era gremita di popolo. Dalla Cappella Sistina, dove erano radunati cinquantatré cardinali, quarantatré arcivescovi, novantanove vescovi convenuti da tutto il mondo, la solenne processione liturgica giunse fino all'altare papale, dove Pio IX celebrò solennemente la Santa Messa.

Al termine del canto del Vangelo in greco e in latino, il cardinale Macchi, decano del Sacro Collegio, assistito dal più anziano degli arcivescovi e vescovi latini, da un arcivescovo greco e uno armeno, si prostrò ai piedi del Pontefice domandando, in lingua latina e con voce sorprendentemente energica per i suoi 85 anni, il decreto «che avrebbe cagionato gioia in Cielo e il massimo entusiasmo sulla terra».

Dopo avere intonato il Veni Creator, il Papa si sedette sul trono e, tenendo sul capo la tiara, lesse con tono grave e voce alta la solenne definizione dogmatica: «A onore della santa e individua Trinità, a gloria cornamento della Vergine Madre di Dio, per l'esaltazione della fede cattolica, e per l'incremento della religione cristiana, con l'autorità del Signore Nostro Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo, e Nostra, dichiariamo pronunciamo e definiamo che la dottrina, la quale ritiene che la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, ed in vista dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, sia stata preservata immune da ogni macchia di colpa originale, è dottrina rivelata da Dio e perciò da credersi fermamente e costantemente da tutti fedeli» 12.

Dal momento in cui il cardinal decano fece la domanda per la promulgazione del dogma fino al Te Deum che fu cantato dopo la solenne Messa, al segno dato dal cannone in Castel Sant'Angelo, per lo spazio di un'ora, dalle undici al mezzodì, tutte le campane di Roma suonarono a festa per celebrare un giorno che, come scrive mons. Campana, «sarà fino alla fine dei secoli ricordato come uno dei giorni più gloriosi che figuri nella storia» 13 (...). «L'importanza di questo atto non può sfuggire a nessuno. Esso fu la più solenne affermazione della vitalità della Chiesa, quando l'empietà imperversante si lusingava di averla quasi distrutta» 14.

Tutti i presenti affermano che, al momento solenne, Pio IX fu investito dall'alto da un fascio di luce che ne illuminò il volto solcato di lacrime 15. Mons. Piolanti, che ha studiato le testimonianze, afferma, alla luce della sua lunga esperienza della Basilica Vaticana, che in nessun periodo dell'anno, tanto meno di dicembre, da nessuna finestra della Basilica un raggio di sole può scendere ad illuminare qualunque punto dell'abside nella quale si trovava Pio IX 16 e concorda con la spiegazione suggerita dalla Madre Giulia Filippani, delle religiose del Sacro Cuore, presente in San Pietro con la famiglia al momento della definizione, secondo cui non era possibile spiegare naturalmente lo straordinario chiarore che illuminò il volto di Pio IX e tutta l'abside: «Quella luce - essa testimonia - fu attribuita universalmente a causa soprannaturale» 17.

A una religiosa che un giorno chiese al Pontefice che cosa avesse provato nell'atto della definizione, lo stesso Pio IX così confidò i suoi sentimenti: «Quando incominciai a pubblicare il decreto dogmatico, sentivo la mia voce impotente a farsi udire alla immensa moltitudine [cinquantamila persone] che si pigiava nella Basilica Vaticana; ma quando giunsi alla formula della definizione, Iddio dette al suo Vicario tal forza e tanta soprannaturale vigoria, che ne risuonò tutta la Basilica; ed io fui tanto impressionato da tal soccorso divino che fui costretto sospendere un istante la parola per dare libero sfogo alle mie lagrime. Inoltre - soggiunse il Papa - mentre Dio proclamava il dogma per la bocca del suo Vicario, Dio stesso dette al mio spirito un conoscimento sì chiaro e sì largo della incomparabile purezza della Santissima Vergine, che inabissato nella profondità di questa conoscenza, cui nessun linguaggio potrebbe descrivere, l'anima mia restò inondata di delizie inenarrabili, di delizie che non sono terrene, né potrebbero provarsi che in Cielo. Nessuna prosperità, nessuna gioia di questo mondo potrebbe dare di quelle delizie la minima idea; ed io non temo affermare che il Vicario di Cristo ebbe bisogno di una grazia speciale, per non morire di dolcezza sotto la impressione di cotesta cognizione e di cotesto sentimento della bellezza incomparabile di Maria Immacolata» 18.

La definizione del dogma dell'Immacolata suscitò uno straordinario entusiasmo nel mondo cattolico, dimostrando quanto ancora fosse vivo il sentimento della fede in un secolo aggredito dal razionalismo e dal naturalismo. «Dopo la definizione del Concilio di Efeso intorno alla divina maternità di Maria - scrive ancora il teologo Campana - la storia non può registrare altro fatto che abbia suscitato tanto vivo entusiasmo per la Regina celeste, quanto la definizione della sua totale esenzione dalla colpa» 19. Tra i numerosissimi ricordi della solenne definizione resta la colonna dell'Immacolata in Piazza di Spagna a Roma, innalzata il 18 dicembre 1856 e benedetta da Pio IX l'8 settembre 1857.

La definizione fu accolta ovunque con entusiasmo e persino i pochi vescovi che all'inizio si erano dimostrati contrari la festeggiarono con solennità. Uno di essi, l'arcivescovo di Parigi mons. Sibour - che, come osserva Martina, «con finezza non priva di un certo umorismo» 20 era stato incaricato da Pio IX di assisterlo da vicino durante la solenne cerimonia dell'8 dicembre in San Pietro - ne celebrava la portata in toni inattesi, indicando la definizione come «una nuova fase della Chiesa in cui i legami dell'unità romana si stringono, diventano più forti e l'autorità pontificia ingrandisce, a gloria della divina gerarchia e per il successo della sua azione morale sul mondo» 21.

 Quattro anni dopo, il 25 marzo 1858, Bernadette Soubirous, la pastorella di Lourdes, così si rivolgeva, nella grotta di Massabielle, alla misteriosa Signora che ormai da tempo le appariva: «Signora, volete avere la bontà di dirmi chi siete?». La Signora inclinò il capo, sorridendo senza rispondere; per tre volte Bernadette rinnovò la domanda finché - descrive ella stessa ­ allargò le braccia verso terra, come si vede nella medaglia miracolosa. Si compose a un'aria grave, alzò gli occhi verso il cielo e nel medesimo tempo, elevando le mani e giungendole all'altezza del seno, disse: «Io sono l'Immacolata Concezione». «Sembra - commenterà un secolo dopo Pio XII - che la stessa Beata Vergine Maria abbia voluto, in maniera prodigiosa, quasi confermare, tra il plauso di tutta la Chiesa, la sentenza pronunziata dal Vicario del suo divin Figlio in terra» 22

Roberto De Mattei


lunedì 1 agosto 2022

PIO IX

 


IL PAPA DELLA IMMACOLATA CONCEZIONE

«Papa della Croce» 1 fu detto Pio IX e il «dolce peso della Croce», profetizzato al cardinale Mastai Ferretti dalla venerabile Agnese Steiner 2, fu realmente il contrassegno del suo pontificato e il fulcro della sua spiritualità. Paolo della Croce, il fondatore dei passionisti, fu il santo verso cui Pio IX sentì il maggiore trasporto e la maggiore devozione 3, e di un'altra grande mistica della Croce, santa Veronica Giuliani, il Pontefice trattenne sul suo tavolo per due anni - i primi e i più amari del suo pontificato - un volume del Diario spirituale 4.

«Verso Maria santissima è necessaria la più tenera devozione, massime ai suoi dolori» 5, aveva scritto san Paolo della Croce. Fu in quegli stessi agitati anni che Pio IX decise di affidare completamente il suo pontificato e la causa della Chiesa cattolica, con una solenne definizione dogmatica, a colei che fin dall'infanzia aveva onorato sotto il titolo di Vergine Addolorata 6.

Si racconta che, rifugiato a Gaeta, il Papa contemplasse un giorno le onde agitate del Mediterraneo, pensando alla tempesta che, proprio in quei giorni, aveva investito con tanta violenza la barca di Pietro 7. Accanto a lui era il cardinale Luigi Lambruschini 8, il fedele segretario di Stato di Gregorio XVI, che così si rivolse al Pontefice: «Beatissimo Padre, Voi non potrete guarire il mondo che col proclamare il dogma dell'Immacolata Concezione. Solo questa definizione dogmatica potrà ristabilire il senso delle verità cristiane e ritrarre le intelligenze dalle vie del naturalismo in cui si smarriscono». Pio IX tacque, ma si dice che queste parole lasciarono una grande impressione nel suo cuore. Il 2 febbraio 1849 il Pontefice, che fino dal 1° giugno dell'anno precedente aveva nominato una commissione di teologi per esaminare la possibilità e la opportunità della definizione 9, indirizzava da Gaeta a tutti i vescovi del mondo l'enciclica Ubi primum nullis 10, per conoscere il parere dell'Episcopato cattolico in merito alla definizione.

«Ci appoggiamo soprattutto - egli scrive - sulla speranza che la Beatissima Vergine, i cui meriti la elevano sopra tutti i cori degli Angeli, fino al Trono della divinità, il cui piede potente schiacciò il capo dell'antico serpente posto tra Cristo e la Chiesa - Ella che tutta soave e piena di grazia liberò sempre il popolo cristiano da ogni sorta di gravissimi pericoli, dalle insidie e dall'assalto di tutti i nemici, salvandolo dalla rovina - vorrà col suo tempestivo e potentissimo patrocinio presso Dio riguardando compassionevole, come suole, col tenerissimo amore del suo cuore materno, anche le tristissime e luttuosissime nostre vicissitudini e acerbissime angustie e travagli, allontanare i flagelli dell'ira divina di cui siamo afflitti per causa dei nostri peccati e sederà e dissiperà le turbolentissime procelle dei mali, da cui, con incredibile dolore del nostro animo, è ovunque vessata la Chiesa e così convertirà in gioia il nostro dolore» 11.

Le risposte favorevoli dei vescovi all'enciclica furono 546 su circa 603, ossia più dei nove decimi. Confortato così dal sostegno dei vescovi e da quello di una Congregazione cardinalizia e di una Consulta teologica, appositamente costituite, nonché dal parere di una nuova commissione presieduta dal cardinale Raffaele Fornari, che redasse una Silloge degli argomenti da servire all'estensore della Bolla dommatica, il 10 dicembre 1854 Pio IX annunciò infine al Sacro Collegio, riunito in concistoro segreto, l'imminente proclamazione del dogma della Immacolata Concezione, prevista per l'8 dello stesso mese.

La Bolla risulta così l'ultimo di nove schemi successivamente elaborati attraverso le consultazioni di diverse commissioni incaricate del lavoro di preparazione. 

Roberto De Mattei


lunedì 20 dicembre 2021

PIO IX

 


Verso la morte. La grandezza di un vinto

 Un sentimento di progressiva solitudine accompagnò gli ultimi anni di vita di Pio IX. I più fedeli collaboratori scomparvero uno dopo l'altro. Il 10 luglio 1874 morì mons. de Merode, alla vigilia di ricevere il cappello cardinalizio, e il6 novembre 1876 il cardinale Antonelli, cui successe nella carica di segretario di Stato il cardinale Simeoni 81. Qualche settimana dopo, il 17 dicembre, scomparve l'ultimo stretto collaboratore di Pio IX, il cardinale Costantino Patrizi 82.

 Il 13 maggio 1877 il Pontefice compì l'ottantacinquesimo anno di età. Ai familiari che al mattino gli avevano presentato gli auguri, la sua risposta era stata: «Questo compleanno e poi più» 83. L'estate afosa ed estenuante di quell'anno concorse al declino delle sue forze.

 Il primo giugno di quell'anno, rivolgendosi ai pellegrini francesi, Pio IX ricordò loro come «il demonio è stato il primo rivoluzionario del mondo ... ma la rivoluzione finisce sempre col trionfo dell'ordine che presto o tardi risorge» 84. il 16 novembre, con il breve Dives in misericordia, proclamò Dottore della Chiesa san Francesco di Sales. il 29 dicembre tenne il suo ultimo Concistoro. Tormentato da piaghe alle gambe, mentre sente mancarsi le forze, il Papa proclama con fierezza: «Scrivono che sono stanco, sì, lo sono di tante iniquità e disordini; lo sono di vedere ogni dì la religione oltraggiata; lo sono soprattutto di vedere la gioventù pervertita in scuole senza Dio. Ma se sono stanco, non sono ancora disposto a por giù le armi, a patteggiare con l'ingiustizia, a cessare di fare il debito mio. No, grazie a Dio, per questo non sono punto stanco e spero non lo sarò mai» 85.

 Avuta notizia del peggiorare della salute del Pontefice, Vittorio Emanuele II diede ordine di approntare i preparativi per il lutto. Ma fu il re d'Italia a precedere Pio IX di un mese davanti all'ultimo tribunale. Colpito da febbre improvvisa, Vittorio Emanuele II, malgrado la sua forte fibra, morì a soli cinquantotto anni il 9 gennaio 1878 86.

 Giuntagli la notizia che il re era caduto gravemente malato, Pio IX inviò subito al sovrano il proprio confessore, mons. Marinelli, ma questi fu respinto per ordine dei ministri. Ih seguito alle insistenti richieste del moribondo, venne permesso al canonico Anzino, cappellano di Corte, di assistere Vittorio Emanuele negli ultimi momenti. Monsignor Vincenzo Vannutelli, sostituto della Segreteria di Stato, portò la notizia della morte a Pio IX che, dopo un momento di silenzio, ripeté tre volte le parole: «Sia pace all'anima sua» 87. Meno di un mese separava la scomparsa dei due protagonisti di un trentennio di lotta cruciale nella storia d'Italia.

 Le ultime settimane di vita di Pio IX furono consolate dalla presenza, accanto al suo capezzale, del cardinale Manning, lo strenuo difensore dei diritti del Papato. Egli arrivò a Roma il 2 dicembre 1877 e rimase costantemente con il Papa, fino al giorno della sua morte. «Più di una volta, in quelle cinque settimane - racconta il cardinale - potei, spero, recargli qualche momentaneo sollievo, e ringrazio Iddio che ebbi la sorte di stare accanto al Pontefice, che avevamo amato e venerato, negli ultimi giorni e negli ultimi momenti della sua grande e gloriosa vita» 88.

 Aggravatosi di giorno in giorno, Pio IX peggiorò il 7 febbraio. Fu esposto il Santissimo in tutte le chiese mentre l'anticamera pontificia andò affollandosi lungo la giornata di prelati, diplomatici e alti personaggi della Corte papale e dell'aristocrazia romana. Semiseduto sopra un letto, dai bianchissimi lini, Pio IX pregava, rivolgendo di quando in quando la parola all'uno o all'altro cardinale. Il cardinale camerlengo Pecci avvicinatosi gli disse: «Padre Santo, benedite noi tutti del Sacro Collegio, benedite tutte le Chiese». Con voce affannata ma chiara il Papa rispose: «Sì benedico tutto il Sacro Collegio, e prego Dio che vi illumini perché possiate fare una buona scelta». Poi, alzata una piccola croce di legno che portava sempre con sé e nella quale era incastonato un frammento della Santa Croce, disse: «Benedico tutto il mondo Cattolico» 89. Verso le cinque del pomeriggio il cardinale penitenziere Bilio intonò il Proficiscere. Il Papa spirò dopo avere pronunciato la parola Proficiscar, «come mirando un oggetto invisibile che gli recasse grande consolazione e dolcezza, e fu congetturato dai presenti che egli vedesse la Santissima Vergine» 90. Erano le 17,40 e le campane suonavano l'Ave Maria 91.

 San Giovanni Bosco, che si trovava a Roma, annota quel giorno: «Oggi si estingueva il sommo e incomparabile astro della Chiesa, il Pontefice Pio IX. Entro brevissimo tempo sarà certamente sugli altari» 92. Meno di ventiquattro ore dopo la morte del Pontefice, l'8 febbraio 1878, giunge la prima richiesta di beatificazione con un telegramma del Terz'Ordine francescano di Vienna 93. Il Beato Giuseppe Baldo, fondatore delle suore Figlie di San Giuseppe, tracciando l'elogio del Pontefice due mesi dopo la sua morte, così si esprime: «Fortitudo et decor indumentum eius. Pio IX ebbe gli splendori del Tabor e le agonie del Getsemani (...). Verrà un giorno che il secolo nostro prenderà il nome della festa e della magnanimità di un Pontefice straordinario, e quel Pontefice sarà Pio IX! Dirà la storia che tutto il mondo tenne gli occhi rivolti a Pio IX; dirà la forza del leone che fece tremare il mondo ed ebbe insieme l'amabilità, l'amorevolezza, la soavità di una Madre: fortitudo et decor indumentum eius» 94.

 I trentadue lunghi anni del pontificato di Pio IX sullo sfondo del dramma risorgimentale, sono illuminati anche da tre grandi gesti che ne riassumono il Magistero e l'azione pubblica. Sono il Sillabo, ossia la condanna dei principali errori che corrompono la cultura e la società moderna; il Concilio Vaticano I, con la definizione dogmatica della infallibilità del Papa, quando insegna ex cathedra le verità di fede e di morale; la definizione del dogma della Immacolata Concezione, ossia la vittoria di Maria, preannunzio della lotta e del trionfo della Chiesa sulla Rivoluzione. Tutti questi atti del pontificato di Pio IX portano la data dell'8 dicembre: 8 dicembre 1854 la definizione del dogma dell'Immacolata; 8 dicembre 1864 la promulgazione del Sillabo; 8 dicembre 1869 l'apertura del Concilio Vaticano I.

 Nel suo testamento, datato il 15 marzo 1875, Pio IX aveva scritto di voler essere sepolto nella chiesa di San Lorenzo fuori le mura, a lui sempre cara per la memoria del martire. Tre anni dopo la morte del Pontefice, il 13 luglio 1881, si volle eseguire la sua volontà trasferendone le spoglie dal deposito provvisorio di San Pietro alla Basilica di San Lorenzo. Durante la traslazione della salma, il corteo funebre fu assalito da dimostranti massonici e anticlericali che cercarono di buttare a Tevere il corpo del Pontefice. In riparazione dei violenti oltraggi subiti dal corpo e dalla memoria del Pontefice, il conte Giovanni Acquaderni concepì l'idea di elevare un grande monumento sul modesto luogo della sepoltura, nella cripta della Basilica. Questo mausoleo, raccolto e appartato, nella Roma in cui Pio IX aveva regnato sovrano ne accoglie oggi le spoglie.

Roberto De Mattei


martedì 2 novembre 2021

PIO IX

 


L'ultimo duello: Pio IX e Bismarck


 L'ultimo grande nemico che Pio IX dovette affrontare fu il principe di Bismarck, il Cavour prussiano che all'indomani della costituzione dell'Impero tedesco condusse contro la Chiesa il suo Kulturkampf mirante a staccare il cattolicesimo germanico da Roma e ad asservirlo al nascente Reich 74.

 Iniziatasi nel 1871 con il rifiuto da parte del governo di riconoscere il dogma della infallibilità pontificia, la lotta si prolungò fino al 1887, toccando il suo culmine con le cosiddette "leggi di maggio" del 1873-1875 che sottomettevano quasi tutta la vita della Chiesa e dei vescovi cattolici in Germania al controllo dello Stato. L'applicazione delle "leggi di maggio" fu caratterizzata da irruzioni di polizia nei collegi e seminari, multe ai vescovi e arresti di sacerdoti. Mentre Bismarck definiva pericoloso il dogma dell'infallibilità pontificia, asserendo che esso poneva i vescovi fuori dall'autorità dello Stato, furono incarcerati uno dopo l'altro Mieczvslaw Ledochowski, arcivescovo di Gnesna e Posnania, Matthias Eberhard, vescovo di Treviri, Paulus Melchers, arcivescovo di Colonia, Konrad Martin, vescovo di Paderborn, Johannes Bernhard Brinkmann, vescovo di Munster. Fra il 1874 e il 1878, degli undici vescovi imprigionati o destituiti dal governo, solo tre restavano in carica in Germania.

 Il 21 novembre 1873, nell'enciclica Etsi multa luctuosa 75, Pio IX denunciava le lotte sostenute dalla Chiesa a Roma, in Svizzera, in alcuni stati latino-americani come il Brasile 76, ma soprattutto in Prussia, ricordando gli attacchi ivi mossi alla Chiesa: secolarizzazione delle scuole, espulsione di vari religiosi, ostacoli alla libertà di predicazione, soppressione di alcuni seminari, appoggio ai "vecchi cattolici". il documento pontificio continuava su quest'ultimo punto scomunicando Joseph Reinkens che i dissidenti avevano eletto vescovo, facendolo consacrare da un aderente allo scisma dei giansenisti olandesi, e tutti i suoi adepti. La causa ultima del grave attacco alla Chiesa era individuata dal Papa nelle «frodi» e «macchinazioni» delle varie sette, prima di tutto la Massoneria. «Quanti tiranni tentarono di opprimere la Chiesa! - scrive Pio IX concludendo il suo documento -. Quante caldaie, quante fornaci e denti di fiere, e aguzze spade! Tuttavia non ottennero nulla. Dove sono quei nemici? Sono finiti nel silenzio e nell'oblio. E dov'è la Chiesa? Ella splende più del sole» 77.

 Il 5 febbraio 1875, Pio IX scrisse ai vescovi tedeschi proclamando nulle le "leggi di maggio" e il 15 maggio conferì la porpora a mons. Ledochowski, ancora in carcere. La risposta di Bismarck fu la "legge di privazione" o "della fame" del 2 aprile 1875 con cui vennero sospesi tutti i contributi dovuti dallo Stato alla Chiesa cattolica, mentre si dichiarava che l'assegno sarebbe stato ulteriormente pagato a quegli ecclesiastici che dichiarassero per scritto di sottomettersi alle "leggi di maggio". Un'altra legge del 31 maggio 1875 sopprimeva tutte le case religiose, ad eccezione di quelle i cui membri si dedicassero esclusivamente alle cure degli infermi.

 Malgrado le persecuzioni, nelle elezioni del Reichstag nel gennaio 1877, il Centro e i conservatori progredirono a spese dei nazional-liberali, mentre il laicato cattolico serrava le file attorno alla Bonifatiusverein e alla Gorres Gesellschaft, fondata nel 1877, centenario della nascita del grande polemista cattolico Gorres.

 Il Kulturkampf contro la Chiesa cattolica toccò, dopo la Germania, vari Stati: la Svizzera, dove venne emanata una legislazione anticlericale ispirata alle leggi prussiane di maggio; l'Austria, dove l'intervento di Francesco Giuseppe moderò il liberalismo anti-cattolico del conte Beust; l'Inghilterra, in cui sotto la guida di Enrico Edoardo Manning, creato cardinale nel 1875, i cattolici fronteggiarono con successo la propaganda anti-cattolica del governo protestante e della Chiesa anglicana.

 La lotta tra la Massoneria e i cattolici continuò a combattersi con intensità in Belgio, Olanda, Portogallo. Particolarmente dura fu la persecuzione liberal-massonica dei governi di tutta l'America Latina, con una sola eccezione, l'Ecuador di Gabriel Garda Moreno 78. Il 16 giugno 1871 Pio IX ricordava come «questa gloriosa Repubblica, sola, nel complice silenzio delle potenze europee, osava alzar la voce contro l'invasione di Roma» 79. Il 16 agosto 1875 Garda Moreno fu pugnalato sulle scale della cattedrale di Quito. Egli portava al collo una corona del Rosario a cui era appesa una medaglia con impressa da un lato l'effigie del Papa Pio IX e dall' altra quella del Concilio Vaticano 80. Gli storici non esitano a vedere nel suo assassinio la mano della Massoneria e dello stesso Bismarck.

Roberto De Mattei


mercoledì 22 settembre 2021

PIO IX

 


Le ultime denunce della Rivoluzione

 L'8 novembre 1870 la polizia italiana procedette all'occupazione del Quirinale con l'aiuto di un fabbro ferraio. Fu necessario un grimaldello per scardinare i battenti della grande porta della sala degli Svizzeri chiusi e sigillati. Vittorio Emanuele arrivò il penultimo giorno dell'anno accolto dalla fanfara reale. Il 23 gennaio 1871 si insediò al Quirinale l'erede al trono Umberto, principe di Piemonte, con la moglie Margherita e con il bambino, il futuro Vittorio Emanuele III 55. L'occupazione della grande reggia del Quirinale non fu foriera di lieti eventi per i Savoia. Vittorio Emanuele lasciò per l'ultima volta la residenza dove aveva passato la sua infanzia dopo la sconfitta della seconda guerra mondiale. Il padre Umberto I fu vittima, il 29 luglio 1900, di una mano omicida; il figlio Umberto II subì nel giugno 1946, dopo un discusso referendum, l'esilio.

 Il 13 maggio 1871 uscì sulla «Gazzetta Ufficiale» del Regno la legge delle Guarentigie, in diciannove articoli, che regolavano unilateralmente le relazioni tra Stato e Chiesa nella nuova Italia, «per garantire anche con franchigie territoriali, l'indipendenza del Sommo Pontefice ed il libero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede». Lo Stato Pontificio era soppresso. Al Papa venivano riconosciuti il rango e i privilegi di un sovrano in Italia, una dotazione annua di 3.225.000 lire e il "godimento", non la proprietà, dei Palazzi Vaticani. Lo Stato manteneva il diritto per la nomina dei vescovi, lasciando insoluto il problema della proprietà ecclesiastica. 

Pio IX, con l'enciclica Ubi nos 56 del 15 maggio, rifiutò la legge respingendo la dotazione annua assegnatagli e continuando ad affidarsi per le proprie necessità all'obolo di san Pietro, costituito dalle offerte volontarie dei cattolici di tutto il mondo: «Noi dichiariamo - proclama solennemente il Papa - che mai potremo in alcun modo ammettere o accettare quelle garanzie, ossia guarentigie, escogitate dal Governo Subalpino, qualunque sia il loro dispositivo, né altri patti, qualunque sia il loro contenuto e comunque siano stati ratificati.(…) Infatti ad ognuno deve risultare chiaro che necessariamente, qualora il Romano Pontefice fosse soggetto al potere di un altro Principe, né fosse dotato di più ampio e supremo potere nell'ordine politico, non potrebbe per ciò che riguarda la sua persona e gli atti del ministero apostolico, sottrarsi all'arbitrio del Principe dominante, il quale potrebbe anche diventare eretico o persecutore della Chiesa, o trovarsi in guerra o in stato di guerra contro altri Principi».

 «Certamente - continua il Pontefice - questa stessa concessione di garanzie di cui parliamo non è forse, di per sé, evidentissima prova che a Noi fu data una divina autorità di promulgare leggi concernenti l'ordine morale e religioso; che a Noi, designati in tutto il mondo come interpreti del diritto naturale e divino, verrebbero imposte delle leggi, e per di più leggi che si riferiscono al governo della Chiesa universale, il cui diritto di conservazione e di esecuzione non sarebbe altro che la volontà prescritta e stabilita dal potere laico?». «Nel riflettere e considerare tali questioni - conclude il Pontefice - Noi siamo costretti a confermare nuovamente e dichiarare con insistenza (…) che il potere temporale della Santa Sede è stato concesso al Romano Pontefice per singolare volontà della Divina Provvidenza e che esso è necessario affinché lo stesso Pontefice Romano, mai soggetto a nessun Principe o a un potere civile, possa esercitare la suprema potestà di pascere e governare in piena libertà tutto il gregge del Signore con l'autorità conferitagli dallo stesso Cristo Signore su tutta la Chiesa» 57.

 La tensione tra Chiesa e Stato non diminuì negli anni successivi. Nel 1872 Vittorio Emanuele firmò una legge che prevedeva l'espulsione di tutti i religiosi e le religiose dai loro conventi: vennero confiscate 476 case e disperse 12.669 persone. Messo a conoscenza del provvedimento, in un'epistola del 16 giugno 187258, il Pontefice respinse l'ipocrisia delle richieste di "conciliazione" con il governo usurpatore con queste parole: «A nulla giova proclamare la libertà del Nostro Pastorale Ministero, quando tutta la legislazione, anche in punti importantissimi, come sono i Sacramenti, si trova in aperta opposizione con in principi fondamentali e le leggi universali della Chiesa. A nulla giova riconoscere per legge l'autorità del Supremo Gerarca quando non si riconosce l'effetto degli atti da Lui emanati: quando gli stessi vescovi da Lui eletti non sono legalmente riconosciuti e loro si proibisce con ingiustizia senza pari di usufruire del legittimo patrimonio delle loro chiese e finanche di entrare nelle loro case episcopali» 59.

 Nel 1873 furono soppresse, in tutte le università, le facoltà di teologia, e i seminari furono sottoposti al controllo governativo. L'anno successivo la legislazione esistente sulla soppressione degli ordini religiosi e la confisca delle loro proprietà fu estesa anche a Roma; il Colosseo fu sconsacrato a simboleggiare la sovranità laica su Roma, i preti furono costretti a prestare servizio militare.

 Pio IX, secondo l'attenta ricostruzione di Fiorella Bartoccini, non era isolato dal suo popolo, ma informatissimo di quanto avveniva in quella che chiamava «la capitale del disordine» 60. «Non era vero quindi quanto scriveva nel suo Diario Gregorovius, che il Papa viveva quasi dimenticato nella sua stessa Roma, che stava come un mito in Vaticano: gran parte della popolazione, superato un primo momento d'incerto timore, rispose per alcuni anni con una significativa e massiccia adesione, sollecitata e spontanea al tempo stesso» 61.

 A Roma, nelle chiese, si pregava contro le leggi ecclesiastiche del nuovo Stato e al 20 settembre si contrapponeva come festa annuale il 12 aprile, che commemorava il ritorno a Roma di Pio IX dopo la tempesta repubblicana del '49. Fu solo una minoranza la parte dell'aristocrazia che aderì al nuovo regime e alla nuova corte. La maggior parte delle famiglie nobili romane accolse gli appelli di Pio IX e mantenne la vita semplice e austera che l'aveva sempre contraddistinta 62. Fu solo sotto Leone XIII che l'atmosfera cambiò e la vita dell'aristocrazia, tratteggiata dalle cronache di D'Annunzio, divenne mondana e lussuosa.

 La classe sociale che anche sotto il pontificato successivo serbò maggior fedeltà allo spirito e alla memoria di Pio IX fu la borghesia romana, colpita dall'unificazione nell'identità della propria funzione e, spesso, nelle sue stesse risorse economiche. Anche quando il Vaticano si adattò, osserva Fiorella Bartoccini, essa «continuò a mantenere in alcuni clan familiari e sociali, isole di chiusura e di resistenza» al nuovo regime 63.

 Nell'udienza concessa il 29 maggio 1876 ai rappresentanti delle 24 città della Lega Lombarda, Pio IX rivolse un discorso di capitale importanza che potrebbe essere definito, come ha sottolineato Antonio Monti 64, Il Risorgimento italiano giudicato da Pio IX. Pio IX ricorda in quel discorso le origini dei moti che sconvolsero l'ordine politico e sociale della Restaurazione: «Sorge allora una setta, nera di nome e più nera di fatti, e si sparse nel bel paese, penetrando adagio in molti luoghi (la Carboneria). Più tardi un'altra ne compare che volle chiamarsi giovane: ma per verità era vecchia nella malizia e nelle iniquità. A queste due altre ancora ne vennero dietro, ma tutte alla fine portarono le loro acque torbide e dannose alla vostra palude massonica». Questi agitatori e gli illusi da essi guadagnati, riuscirono al «trionfo del disordine e alla vittoria della più perfida rivoluzione».

 Nel marzo 1876 Minghetti fu sconfitto in Parlamento e il re affidò l'incarico ad Agostino Depretis, che avrebbe presieduto otto governi nei dieci anni successivi, all'insegna del "trasformismo". Pio IX paragonò la Destra e la Sinistra rispettivamente al colera e al terremoto 65. «Né eletti, né elettori»: la formula che don Margotti aveva coniato fin dal 1857 si tradusse nel dovere dell'astensione e nell'invito ad un'opera di organizzazione metodica e capillare della società 66. Il movimento cattolico in Italia, a partire dal 1874, si raccolse attorno all'Opera dei Congressi, impiegando tutte le sue forze nella costruzione di una fitta rete di opere sociali ed economiche fiorenti attorno alle parrocchie 67.

 Da allora fino alla morte, Pio IX rinnoverà continuamente le sue proteste contro la violenza subita, ribadendo che il principato temporale del Pontefice costituisce la condizione necessaria per il libero esercizio della sua autorità spirituale e che la "questione romana" non è una questione politica, legata al problema della indipendenza e della unità italiana, ma una questione eminentemente religiosa, perché riguarda la libertà del capo della Chiesa universale, nell'esercizio del suo sacro ministero 68.

 Scopo della «sacrilega invasione», ripete ancora Pio IX nell'allocuzione concistoriale del 12 marzo 1877, non è infatti «tanto la conquista del nostro Stato, quanto il pravo disegno di distruggere più facilmente, mediante la soppressione del nostro dominio temporale, tutte le istituzioni della Chiesa, annientare l'autorità della Santa Sede, abbattere il supremo potere del vicario di Gesù Cristo, a noi, benché immeritevoli, confidato» 69.

 In Francia la guerra franco-prussiana era terminata con la disfatta napoleonica e la rivoluzione socialista della Comune di Parigi 70. Mentre le truppe regolari domavano la rivolta, i ribelli reagirono fucilando numerosi ecclesiastici tenuti in ostaggio, tra cui lo stesso arcivescovo Darboy, uno degli esponenti della minoranza anti-infallibilista al Concilio, unito da una tragica sorte ai suoi predecessori: mons. Affre, ucciso davanti alle barricate del giugno 1848 e mons. Sibour, assassinato da un energumeno nel 1857 71.

 Anche in Francia si sviluppò un movimento di reazione, equivalente all'Opera dei Congressi. Le manifestazioni popolari promosse da associazioni laicali e religiose, come la congregazione degli Assunzionisti, fondata dal padre d'Alzon, portarono alla costruzione del Santuario di Montmartre, riparazione della Francia poenitens et devota, agli oltraggi della Rivoluzione 72.

 Le elezioni del 20 febbraio 1876 e quelle dell'ottobre 1877 dettero una schiacciante maggioranza ai repubblicani. All'estrema sinistra il giovane Clemenceau proclamava: «Il clero deve imparare che bisogna rendere a Cesare quel che appartiene a Cesare ... e che tutto appartiene a Cesare» 73.

Roberto De Mattei


giovedì 12 agosto 2021

PIO IX

 


Prigioniero in Vaticano

 Se nel 1848 la Rivoluzione italiana si era presentata a Roma con il volto della violenza e dell'anarchia, nel 1870, dopo l'atto di forza, si presentò sotto l'aspetto della moderazione e della legalità. Garibaldi e Mazzini, i due protagonisti più violenti della Rivoluzione italiana, non avevano partecipato a questo evento. L'8 settembre Pio IX non fu costretto ad abbandonare la città di Roma, come al tempo della Repubblica Romana. Tuttavia egli, che nel 1860 aveva dichiarato che «il Papa a Roma non può essere che sovrano o prigioniero», decise di considerarsi prigioniero in Vaticano fino al giorno della restituzione del suo dominio temporale 53.

 Il 1° novembre, il Papa pubblicò l'enciclica Respicientes 54 contenente le censure canoniche inflitte a tutti i responsabili dell'occupazione dello Stato Pontificio. Dopo aver considerato gli atti che il governo subalpino, «seguendo i consigli di perdizione delle sètte, aveva compiuti contro ogni diritto, con la violenza e con le armi», Pio IX tocca il cuore della "questione romana". Egli ricorda come già altre volte avesse esposto, in varie allocuzioni, «la storia della guerra nefanda», fatta dal governo piemontese alla Sede apostolica, le antiche ingiurie fino dal 1850, le offese continuate, «sia coll'infrangere la fede da solenni convenzioni obbligata alla Sede apostolica, sia col negare impudentissimamente l'inviolabile diritto di quelle nel tempo medesimo che dicevasi voler trattare nuovi patti» e fare nuove convenzioni. «Da quei documenti i posteri verranno a conoscere con quali arti e con quanto scaltre e indegne macchinazioni quel governo sia arrivato ad opprimere la giustizia e la santità della Sede apostolica, e quali fossero da parte del Papa le cure nel reprimere l'audacia ogni giorno crescente e nel rivendicare la causa della Chiesa».

 Il Papa ripercorre quindi le fasi delle «annessioni» dei suoi Stati, dal 1859 in poi; la ribellione provocata nelle Romagne, l'esercito pontificio distrutto a Castelfidardo, l'occupazione delle Marche e dell'Umbria, dove si disse «voler restituire i principi di ordine morale, mentre invece di fatto si promosse dovunque la diffusione ed il culto d'ogni falsa dottrina, dovunque si sciolsero le redini alle passioni ed all'empietà».

 Accenna quindi alle proposte di inique conciliazioni con gli usurpatori, «per le quali si tentava di indurlo a tradire turpemente il suo dovere»; ricorda gli assalti del 1867, quando «orde di uomini perdutissimi sostenuti da aiuti del medesimo governo irruppero nei confini pontifici e contro Roma»; rievoca i pericoli, i timori, la prodigiosa salvezza, la fedeltà e devozione sempre dai fedeli «mostrata con insigni significazioni e con opere di cristiana carità»; finalmente l'occasione presa dal governo di Firenze d'invadere lo Stato della Chiesa e i fatti seguiti.

 Dopo avere ricordato quanto accadde il 20 settembre e nei giorni che seguirono, Pio IX, confermando tutte le encicliche, allocuzioni, brevi e proteste solenni del suo pontificato, dichiara «essere sua mente, proposito e volontà di ritenere e trasmettere ai suoi successori tutti i dominii e diritti della Santa Sede interi, intatti e inviolati; e qualunque usurpazione, tanto fatta allora quanto per lo addietro essere ingiusta, violenta, nulla ed irrita; e tutti gli atti dei ribelli e degli invasori sia quelli fatti fino allora, sia quelli che si faranno in seguito per assodare in qualsiasi modo la predetta usurpazione, essere da lui rescissi, cassati, abrogati, dichiarando inoltre dinanzi a Dio ed a tutto il mondo cattolico versare egli in tale cattività, che non poteva esercitare speditamente e liberamente e con sicurezza la sua pastorale autorità». Aggiunge che, «memore dell'ufficio suo e del solenne giuramento dal quale era obbligato non assentirebbe mai, né mai presterebbe assenso a qualunque conciliazione, la quale in qualsivoglia maniera distrugga o diminuisca i suoi diritti, che sono diritti di Dio e della Santa Sede: e professava essere veramente pronto coll'aiuto della grazia divina e nella sua grave età a bere fino all'ultima goccia per la Chiesa di Cristo quel calice che Cristo stesso per primo erasi degnato bere per la Chiesa; né commetterebbe giammai la debolezza di aderire alle inique domande che gli si porgevano, o di secondarle». Ammonisce infine che, «siccome ammonimenti, domande e proteste erano state vane, così per l'autorità dell'onnipotente Iddio, de' santi apostoli Pietro e Paolo, e sua, dichiarava ai vescovi e per mezzo loro a tutta la Chiesa, che tutti, anche posti in qualunque dignità, fosse pur degna di specialissima menzione, coloro che aveano commesso la invasione di qualunque provincia dello Stato della Chiesa e di Roma; e la occupazione, usurpazione, od altri atti di simil genere, e i loro mandanti, fautori, aiutanti, consiglieri aderenti, od altri qualunque procuranti o per se medesimi operanti le predette, cose, sotto qualsiasi pretesto e in qualunque modo, erano incorsi nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene inflitte dai sacri canoni, dalle apostoliche costituzioni, dai decreti dei concili generali e specialmente di quello di Trento (sess. 22 c., II de Reform.) giusta la forma e tenore espresso nella lettera del 26 marzo 1860». 

Roberto De Mattei


sabato 3 luglio 2021

PIO IX

 


La conquista militare di Roma

 La guerra franco-prussiana del 1870 dissolse il sogno imperiale di Napoleone III e realizzò quello, altrettanto fugace di Bismarck. Grazie alla sua rapida e schiacciante vittoria sull'esercito francese, il "cancelliere di ferro" non solo portò a termine l'unificazione tedesca, creando il Secondo Reich, ma contribuì a compiere, con la Conquista piemontese di Roma, la "Rivoluzione italiana", lasciata incompiuta dal conte di Cavour.

 Gli avvenimenti precipitano nell'estate del 1870 37. Il 27 luglio l'ambasciatore francese a Roma Bonneville comunica al cardinale Antonelli la notizia della prossima partenza delle truppe francesi. «Fra noi - commenta il giorno stesso d'Ideville - temo che questo vile abbandono del Papa porti disgrazia alle nostre armi» 38.

 Il 2 settembre 1870, con la notizia della disfatta di Sédan risuonano per le strade di Parigi le grida di «Vive la République!» 39. «Se nel 1859 l'imperatore si fosse occupato della Francia invece di occuparsi dei suoi amici d'Italia - commenta desolato d'Ideville concludendo le sue memorie - non saremmo al punto che siamo, né voi, né loro; ma, ahimè, avevamo abbandonato i nostri destini nelle mani di un carbonara che ha regnato per la maggior gloria dell'Italia e della Prussia» 40. Una settimana dopo la sconfitta francese il ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, smentendo quanto il 22 luglio aveva assicurato a Napoleone III, notifica alle potenze estere la imminente occupazione dello Stato della Chiesa da parte delle truppe italiane 41.

 Il giorno 8 settembre, Vittorio Emanuele II invia presso Pio IX il conte Gustavo Ponza di San Martino per offrire al Pontefice la "protezione" delle sue truppe. In una lettera che rappresenta un capolavoro di ipocrisia, il sovrano italiano scrive al Papa che, al fine di impedire le violenze che potrebbero essere promosse dal «partito della rivoluzione cosmopolita», egli vede «da indeclinabile necessità per la sicurezza dell'Italia e della Santa Sede che le mie truppe già poste ai confini s'inoltrino ad occupare quelle posizioni che saranno indispensabili per la sicurezza della Vostra Santità e pel mantenimento dell'ordine».

 Leggendo la lettera, Pio IX reagisce con energia e, rivolgendosi al conte Ponza, esclama: «Razza di vipere, sepolcri imbiancati! (...) Ecco dove la rivoluzione ha fatto scendere un re di Casa Savoia! (...) Senz'essere né profeta, né figlio di profeta, vi dico che a Roma non vi resterete» 42.

 Il Papa scrive quindi immediatamente a Vittorio Emanuele: «Dal conte Ponza di San Martino mi fu consegnata una lettera che V.M. ha voluto dirigermi, ma che non è degna di un Figlio affettuoso, che si gloria professare la fede cattolica e si pregia di lealtà regia. Non entro nei dettagli della lettera stessa per non rinnovare il dolore che la prima lettura mi ha cagionato. Benedico Dio che ha permesso a V.M. di ricolmare di amarezza l'ultimo periodo della mia vita. Del resto lo non posso ammettere certe richieste, né conformarmi a certi principi contenuti nella sua lettera. Nuovamente invoco Dio e rimetto nelle Sue mani la mia causa, che è tutta sua. Lo prego a concedere molte grazie alla M.V., liberarla dai pericoli e dispensarle le misericordie di cui abbisogna. Dal Vaticano, 11 settembre 1870. Pius PP. IX» 43.

 Nel pomeriggio di quel giorno Pio IX si reca sulla piazza di Termini per inaugurare davanti a una folla calorosa il nuovo Acquedotto dell'Acqua Marcia. I presenti lo descrivono calmo e sorridente, senza traccia sul viso del subbuglio che doveva agitargli il cuore 44.

 Senza attendere la risposta del Papa, il Consiglio dei Ministri, il 10 settembre, delibera che il giorno successivo le truppe italiane, sotto il comando del generale Raffaele Cadorna, inizino l'occupazione dello Stato Pontificio. Le forze italiane, contano circa 60.000 uomini contro un totale di 13.000 effettivi dell'esercito pontificio. L'8 settembre il Lanza aveva spedito al prefetto di Caserta e al prefetto di Cagliari due telegrammi per raccomandare massima sorveglianza per Mazzini incarcerato a Gaeta e per Garibaldi quasi esule a Caprera.

 Il 18 settembre, domenica, la giornata è bellissima. Le porte di Roma sono chiuse e il popolo, non potendo andare nelle osterie di campagna, passeggia sulle alture del Gianicolo, per vedere i sessantamila italiani accampati attorno alle mura della città. È evidente la difficoltà per il piccolo esercito pontificio di difendere il vasto perimetro delle mura di Roma. Ufficiali e soldati del Papa fregiano la di0sa di una piccola croce capovolta in lana rossa, la Croce di San Pietro, a somiglianza delle medaglie commemorative fatte coniare da Pio IX per la battaglia di Castelfidardo.

 Il 19 settembre Pio IX manifesta al generale Kanzler le sue decisioni con una lettera in cui scrive: «Signor Generale, ora che si va a consumare un gran sacrilegio, e la più enorme ingiustizia, e la truppa di un Re Cattolico, senza provocazione, anzi senza nemmeno l'apparenza di qualunque motivo, cinge di assedio la capitale dell'Orbe Cattolico, sento in primo luogo il bisogno di ringraziare Lei, sig. Generale, e tutte le nostre truppe della generosa condotta finora tenuta, dell'affezione mostrata alla Santa Sede e della volontà di consacrarsi interamente alla difesa di questa Metropoli. Siano queste parole un documento solenne che certifica la disciplina, la lealtà ed il valore della truppa al servizio di questa Santa Sede. In quanto poi alla durata della difesa sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta atta a constatare la violenza, e nulla più: cioè di aprire trattative per la resa appena aperta la breccia. In un momento in cui l'Europa intera deplora le vittime numerosissime, conseguenza di una guerra fra due grandi Nazioni, non si dica mai che il Vicario di Gesù Cristo quantunque ingiustamente assalito, abbia ad acconsentire ad un grande spargimento di sangue. La Causa Nostra è di Dio, e Noi mettiamo tutta nelle Sue mani la nostra difesa» 45.

 La sera stessa, mentre giunge la notizia che il giorno seguente sarebbe avvenuto l'attacco, Pio IX, percorrendo per l'ultima volta le vie di Roma, si reca a San Giovanni in Laterano, sale in ginocchio la Scala Santa e, giunto in cima, con voce rotta dal pianto implora: «A te, mio Dio, mio Salvatore, a te mi rivolgo, servo dei servi, e indegnissimo tuo Vicario: ti supplico per il sangue sparso per questo luogo, di cui lo sono il dispensatore supremo, e ti prego per i tuoi tormenti e per il sacrificio che hai fatto montando volontariamente questa scala di obbrobrio per offrirti in olocausto per un popolo che t'insultava, per il quale andavi a morire sopra un tronco infame: abbi pietà del tuo popolo, della Chiesa, tua amatissima sposa. Sospendi lo sdegno, la tua giusta collera. Non permettere ai tuoi nemici di venire a profanare la tua dimora. Perdona al mio popolo, che è pure tuo! E se un olocausto è necessario, se è necessaria una vittima, eccomi o Signore: non ho vissuto abbastanza? Pietà, mio Dio, pietà ti prego; ma qualunque cosa avvenga, sia sempre fatta la tua volontà» 46.

 Alle 5,15 del 20 settembre 1870, l'osservatorio di Santa Maria Maggiore avverte il ministero della Guerra che le batterie nemiche hanno aperto il fuoco contro Porta Pia che, per la sua posizione, costituisce il punto più vulnerabile della città 47. Il Papa, in previsione degli avvenimenti, ha da qualche giorno invitato gli ambasciatori e i ministri delle Corti straniere a volersi recare da lui ai primi colpi di cannone. Fin dalle sei e mezza del mattino, tutti i diplomatici sono riuniti in Vaticano dove assistono alla Messa privata del Pontefice, celebrata tra il rombo delle cannonate e gli scoppi delle granate. Dopo la Messa vengono serviti cioccolata e gelati; Pio IX rimasto a pregare nel suo oratorio, rientra nella Sala del Trono verso le nove. Mentre si intrattiene con il Corpo Diplomatico, riunito attorno a lui come nei lontani giorni del novembre 1848, giunge il cardinale Antonelli con un dispaccio in mano: è la notizia che una breccia è aperta nelle mura della Villa Bonaparte a sinistra di Porta Pia 48. «Il Rubicone è passato: Fiat voluntas tua in coelo et in terra» mormora Pio IX. Poi rivolgendosi ai diplomatici: «Signori io do l'ordine di capitolare: a che difendersi più oltre! Abbandonato da tutti, dovrei tosto o tardi soccombere, ed io non debbo far versare sangue inutilmente. Voi mi siete testimoni, Signori, che lo straniero non entra qui che con la forza» 49. L'ordine agli zuavi, che chiedono di combattere a oltranza, è quello di limitare la resistenza a quel tanto che è necessario per dimostrare al mondo che il Papa non rinuncia ai suoi diritti ma cede alla violenza.

 Lungo le mura che cingono la Città Eterna, nell'interminabile pausa di silenzio che precede l'attacco, si leva in quel momento l'ultimo cantico di fedeltà degli zuavi:

«Flottez au vent, triomphantes bannières
GIoire à vous tous, chevaliers de Saint Pierre!» 50.

 Mentre il fumo si dirada, il capitano Berger ne intona una strofa in piedi sulle macerie della breccia di Porta Pia, tenendo la spada per la lama, con l'impugnatura rivolta al Cielo, come ad offrire a Dio l'estremo sacrificio: quello di una resistenza ad oltranza mancata. Già la bandiera bianca sventola sulla cupola di San Pietro.

 La Rivoluzione risorgimentale è compiuta. «In questo momento che scrivo - annota Francesco De Sanctis, interrompendo la stesura della sua Storia della letteratura italiana -le campane suonano a distesa e annunziano l'entrata degli italiani a Roma. Il potere temporale crolla. E si grida il viva all'unità d'Italia. Sia gloria a Machiavelli» 51.

 Al mattino del 21 settembre 1870, le milizie pontificie, dopo aver passato l'intera notte sotto il porticato di San Pietro, si raccolgono sotto le finestre del Vaticano. Il colonnello canadese Allet, fatto formare il quadrato, fa presentare per l'ultima volta le armi al grido di «Viva Pio IX, Papa-Re!». Il 9 ottobre Roma e il suo territorio vengono annessi al Regno d'Italia per decreto reale 52

Roberto De Mattei


lunedì 15 marzo 2021

PIO IX

 


L'opera del vero "giacobino": Cavour 

La caduta della fortezza di Gaeta, il 13 febbraio 1861, segna l'epilogo della invasione del Regno delle Due Sicilie. Il 26 febbraio Garibaldi "cede" l'Italia meridionale a Vittorio Emanuele II. Il 17 marzo 1861, la «Gazzetta Ufficiale» di Torino, in un decreto di un solo articolo annunzia che: «Il Re Vittorio Emanuele assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d'Italia».

Il Re d'Italia sarà Sovrano «per grazia di Dio e per volontà della Nazione» e sarà Secondo e non Primo, come avrebbero voluto i parlamentari più progressisti, nel tentativo di trovare un compromesso tra la Rivoluzione e la legittimità.

Assumendo, in quello stesso mese, la responsabilità del primo ministero dell'Istruzione dell'Italia unita, Francesco De Sanctis traccia, il 13 aprile alla Camera, il programma di cui, come è stato avvertito, la storia italiana postunitaria sembra rappresentare, fino ai nostri giorni, il puntuale svolgimento 106. Da Francesco De Sanctis a Giovanni Gentile, fino ad Antonio Gramsci, collegando momenti politici diversi, si svolge un'identica linea culturale, contenuta in nuce in tutte le sue potenzialità, nella Rivoluzione risorgimentale. Machiavelli, per questo filone di pensiero, è il "Lutero italiano" 107, e di Machiavelli il conte di Cavour è illegittimo erede nel XIX secolo.

Cavour, più ancora di Mazzini, è il vero "giacobino" d'Italia; se infatti si approfondisce la questione, osserva Gramsci, «appare che per molti riguardi la differenza fra molti uomini del Partito d'Azione e i moderati era più di "temperamento" che di carattere organicamente politico» 108. Il "realismo" cavouriano sta alla «astrattezza» mazziniana come la «guerra di posizione» di Lenin sta alla «guerra manovrata» di Trotzki 109: «Insistere nello svolgimento del concetto che, mentre Cavour era consapevole del suo compito in quanto era consapevole criticamente del compito di Mazzini, Mazzini, per la scarsa o nulla consapevolezza del compito di Cavour, era in realtà anche poco consapevole del suo proprio compito» 110.

Se, dunque, il progetto rivoluzionario ha il suo esordio "profetico" nel messianismo di Giuseppe Mazzini e di Vincenzo Gioberti e la sua prefigurazione nella Repubblica Romana, esso deve la sua realizzazione all'opera di Cavour, esplicitandosi, a pochi giorni di distanza dalla promulgazione del Regno d'Italia, nella enunciazione da parte del conte piemontese della formula «libera Chiesa in libero Stato» e nel suo solenne impegno pubblico a fare di Roma la capitale del nuovo Stato unitario 111.

Scrivendo il 22 ottobre di quello stesso 1862 a Pedros V di Portogallo, genero di Vittorio Emanuele II, Pio IX esprime questo giudizio sulla Rivoluzione italiana: «Questo rovescio di principii, questa studiata perdita del senso morale e del retto giudizio è quello che affligge il mio cuore più assai della perdita dello Stato della Chiesa. (...) Guai (...) a coloro che, stringendo la mano potente con tutti gli uomini della rivoluzione, hanno aperto la strada a costoro per poter commettere impunemente ogni genere di iniquità. Dio li osserva dal trono della sua giustizia, e io non posso fare altro che pregare per loro, affinché ottengano il lume necessario per vedere a tempo l'enorme abisso nel quale vanno a precipitare» 112

Roberto De Mattei


giovedì 14 gennaio 2021

PIO IX

 


Verso l'unità d'Italia

«Non potrò fare la guerra, se non avrò una giustificazione agli occhi dell'Europa». Sono le prime parole rivolte da Napoleone III a Cavour al momento della conclusione dell'alleanza di Plombières 81. Gli espedienti e le messe in scena di ogni genere, ideati per provocare il casus belli; non furono necessari 82: bastò l'irritazione austriaca per i preparativi di guerra piemontesi. L'ultimatum inviato dall'Austria al Piemonte fu respinto e il 26 aprile 1859 si aprirono le ostilità fra il Regno di Sardegna e la Francia da un lato e l'Austria dall'altro.

Sconfitte il 4 giugno dai francesi a Magenta, il 12 le guarnigioni austriache si ritirarono da Bologna ad Ancona. L'8 giugno, Napoleone III e Vittorio Emanuele entrarono a Milano mentre l'avversario si ritirava nel quadrilatero. Pochi giorni dopo a San Martino fu combattuta l'ultima battaglia dell'esercito di Sua Maestà Sarda, secondo le regole dell'antica etichetta militare 83.

Anche lo stile di guerra del "Vecchio Piemonte" sarebbe presto mutato.

Mentre in Lombardia si iniziava a combattere, gli agenti di Cavour inseriti nella Società Nazionale fomentavano l'esplosione di moti nel granducato di Toscana, nei ducati di Parma e di Modena e nelle Legazioni pontificie. All'indomani della dichiarazione di guerra, il 27 aprile, il Granduca lascia Firenze; la duchessa di Parma abbandona i suoi Stati il 9 giugno; il Duca di Modena l'11 giugno. Il giorno seguente, il 12 giugno, non appena il presidio austriaco ha lasciato la città, si solleva Bologna. Le provincie insorte chiedono l'annessione al Piemonte 84. Non è questa però l'Italia che Napoleone aveva presentato a Plombières. L'imperatore avverte che il processo rivoluzionario innescato da Cavour sfugge al suo controllo e decide di chiudere la partita con l'armistizio di Villafranca dell'8-11 luglio 1859.

 Napoleone e l'imperatore d'Austria stabilirono la creazione di una Confederazione italiana con a capo il Papa, di cui l'Austria, grazie al possesso di Venezia sarebbe stato membro. Il Re di Sardegna avrebbe ottenuto la Lombardia e gli altri sovrani sarebbero stati restaurati sui loro troni. Vittorio Emanuele accettò l'armistizio senza consultare Cavour. Alessandro d'Assia annota nel suo Diario che «viene inoltre stabilito che il Re Vittorio Emanuele deve rompere con la Rivoluzione e congedare Cavour: Napoleone consente» 85. I mesi che seguirono possono essere considerati un vero e proprio tornante nella storia del Risorgimento italiano. Cavour vede negli accordi di Villafranca il fallimento della sua politica. Si precipita dal sovrano con cui ha un colloquio tempestoso. «Si calmi, si calmi - esclama a un certo punto Vittorio Emanuele - si ricordi che io sono il re». «Gli italiani - ribatte paonazzo Cavour - conoscono soprattutto me; io sono il vero re» 86. Costretto alle dimissioni, il conte si ritira in campagna dove legge e annota Il Principe di Machiavelli, mentre Vittorio Emanuele II ha formato un "gabinetto debole" sotto la direzione del generale Alfonso La Marmora.

Il trattato di pace, firmato a Zurigo il 10 novembre 1859, prevede che un congresso europeo avrebbe provveduto alla risoluzione dei problemi italiani. Gli accordi stravolgono i progetti di Cavour, perché stabiliscono la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna tramite la Francia, ma non del Veneto che resta austriaco; si prevede inoltre la creazione di una Confederazione italiana sotto la presidenza onoraria del Papa che conserva i propri Stati. La Confederazione oltre al Regno delle Due Sicilie, dovrebbe comprendere il Granducato di Toscana e i ducati di Modena e di Parma che tornano sotto i rispettivi principi 87.

Tutta l'opera di Cavour è tesa a questo punto a rendere di fatto inapplicabili gli accordi di pace. Se Napoleone III spera ancora nella fondazione di un regno dell'Italia settentrionale gravitante nell'orbita francese, il fine di Cavour resta quello dell'unificazione sotto lo scettro dei Savoia attuata attraverso la destabilizzazione dei legittimi sovrani e la distruzione del potere temporale del Pontefice. Le sue manovre non contrastano solo i programmi dell'Austria e della Francia, ma anche quelli della parte più radicale del movimento rivoluzionario, per la quale l'unità e l'indipendenza italiana non sono che un mezzo: il fine resta quello della repubblicanizzazione e dalla laicizzazione della penisola. Non è un caso che le terre da "liberare" siano solo quelle appartenenti allo Stato Pontificio e all' Austria cattolica e conservatrice e non quelle appartenenti alle potenze "liberali", Francia e Inghilterra, che sostengono la Rivoluzione 88.

L'apparizione il 22 dicembre 1859 dell'opuscolo Le Pape et le congrès, redatto dal visconte de La Gueronnière, ma ispirato dallo stesso Napoleone III, che ripropone la mutilazione dello Stato della Chiesa, determina tuttavia la definitiva rottura delle trattative e il fallimento del progetto di congresso internazionale che dovrebbe tenersi a Parigi 89. il 16 gennaio 1860 Vittorio Emanuele riaffida la presidenza del Consiglio a Cavour che ha di fronte a sé gli ultimi diciotto mesi, quelli decisivi, della sua vita. John Daniel, il ministro americano a Torino, lo descrive in quei giorni come un uomo «volterriano in filosofia e totalmente privo di scrupoli anche nelle parole e nelle azioni: un fatto in cui non si deve vedere una colpa, perché diversamente egli sarebbe completamente inidoneo a - e incapace di - governare una popolazione italiana» 90.

Cavour conclude a questo punto con Napoleone III la definitiva cessione alla Francia di Nizza e della Savoia in cambio dell'annessione dell'Italia centrale al Regno di Sardegna 91. L'annessione viene sancita da "plebisciti", l'11 e il 12 marzo 1860 in Emilia, in Toscana, a Modena e Reggio, a Parma e Piacenza. Il voto era pubblico e nessuno si stupì se in certe zone il numero dei suffragi a favore dell'annessione superò quello degli iscritti nelle liste elettorali. Un osservatore inglese seguì le operazioni elettorali a Pisa, e le qualificò un'«assurda farsa». «Ma lo scopo - osserva Mack Smith - non era tanto di accertare la volontà del popolo, quanto di esibire una schiacciante, incontrovertibile maggioranza» 92. «In realtà - osserva a sua volta Montanelli - i sistemi a cui si era dovuti ricorrere dimostravano che le masse italiane, le quali si erano sempre rifiutate di fare l'Italia, trovavano qualche difficoltà perfino ad accettarla» 93.

Il 20 giugno 1859 Pio IX aveva esposto in Concistoro le sue preoccupazioni per vedere «innalzati i vessilli della ribellione, tolto di mezzo illegittimo governo pontificio, invocata la dittatura del Re di Sardegna 94, e aveva chiamato i sovrani europei a difesa del dominio temporale del papato, affermando che «i nemici della Chiesa Romana, qualora questa fosse spogliata del suo patrimonio, potrebbero deprimere e abbattere la dignità e la maestà della Sede Apostolica e del Romano Pontefice, e più liberamente arrecare grandissimo danno e muovere asperrima guerra alla santissima Religione, e abbattere dalle fondamenta questa Religione, se fosse possibile» 95. Il 26 marzo 1860 il Papa lancia la scomunica maggiore contro tutti coloro che, in qualunque modo, abbiano cooperato all'usurpazione dei suoi domini, ribadendo, con la lettera apostolica Cum catholica ecclesia, la necessità del principato civile del pontefice 96. «Vengono meno le parole - afferma - per riprovare un così grande delitto che racchiude in sé molti misfatti di estrema gravità. Viene perpetrato infatti un grave sacrilegio, che comporta nello stesso tempo l'usurpazione degli altrui diritti contro ogni legge umana e divina, il sovvertimento di ogni ragione di giustizia e il pieno sradicamento delle basi di ogni Potere civile e di tutta la Società umana» 97.

Un sacerdote belga generoso e combattivo, Francesco Saverio de Merode 98, già soldato nella guerra di Algeria, nel gennaio 1860 convince Pio IX a chiamare a raccolta i cattolici da tutta Europa per formare un esercito in difesa dello Stato Pontificio. Pio IX, malgrado la resistenza del cardinale Antonelli, nomina mons. de Merode pro­ministro delle Armi, affidandogli l'incarico di organizzare il nuovo esercito. Al suo appello in difesa dello Stato della Chiesa accorrono volontari da tutta Europa. Comandante in capo delle forze pontificie è nominato il generale de La Moricière 99, veterano delle guerre del Nord Africa, che affida al capitano Atanasio de Charette 100 il comando del nuovo battaglione di Tiragliatori franco­belgi che poi assumeranno il nome di "zuavi pontifici" 101.

Il 5 maggio Garibaldi, divenuto maggiore generale dell'esercito sardo, con l'assenso segreto di Vittorio Emanuele e di Cavour si imbarca a Quarto alla testa dei "Mille" per invadere il Regno delle Due Sicilie. Si tratta di un'operazione militare contraria alle norme del diritto internazionale, finanziata e sorretta dal Regno Sardo, dall'Inghilterra e dalla Massoneria internazionale 102, con l'obiettivo di sovvertire le legittime istituzioni di uno Stato sovrano e indipendente.

Le truppe piemontesi dal canto loro, senza dichiarazione di guerra, invadono le Marche e l'Umbria. Il comandante piemontese, Cialdini, emana un proclama in cui definisce l'esercito pontificio una banda di assassini, mercenari e codardi, pur mostrando egli stesso, come ricorda Mack Smith, scarsi scrupoli, quanto all'impiego di mezzi terroristici 103. Il 18 settembre 1860, il generale La Moricière muove verso Ancona e sulle alture di Castelfidardo affronta in campo aperto il nemico. In una dura battaglia il piccolo esercito pontificio è sopraffatto dalla preponderanza militare piemontese. Il colonnello de Pimodan 104 cade alla testa dei suoi soldati che, caricando alla baionetta, costringono i sardi a retrocedere verso le cime del colle. Gli studiosi di storia militare affermano che, grazie all'abilità strategica e al valore dimostrato nella battaglia, i pontifici avrebbero facilmente vinto se avessero meglio sfruttato il successo, senza permettere ai nemici l'afflusso dei rinforzi che avrebbero capovolto la situazione 105. Ancona capitola il giorno 29, dopo un violento bombardamento navale proseguito anche dopo la resa. A sud intanto, attaccato alle spalle e stretto tra due eserciti, il re Francesco II deve ritirarsi su Capua e poi su Gaeta, dopo aver invano tentato di forzare le linee garibaldine sul Volturno. 

Roberto De Mattei


lunedì 9 novembre 2020

PIO IX

 


La Rivoluzione italiana nel quadro internazionale 

L'approvazione della legge antiecclesiastica rappresentò una fase decisiva della Rivoluzione italiana: essa inserì il Regno di Sardegna tra le nazioni "civili" e permise a Cavour di raccogliere i primi frutti della sua politica sul piano internazionale.

In Francia, il 2 dicembre 1851, Luigi Bonaparte assumeva il titolo di "Imperatore dei francesi" con il nome di Napoleone III 67, presentandosi come il restauratore dell'ordine. Nei suoi scritti e nell'azione politica che lo aveva portato alla presidenza della Repubblica e poi al trono francese, egli sognava di poter ribaltare l'ordinamento del Congresso di Vienna del 1815, realizzatosi sulle rovine dell'impero napoleonico, per instaurare, come il suo illustre avo, una "repubblica coronata", e restituire alla Francia il ruolo di guida dell'Europa.

La sua ideologia rivoluzionaria era tuttavia temperata dalla forte influenza della moglie Eugenia de Montijo, cattolica convinta, e dagli interessi politici che non gli permettevano di ignorare l'appoggio determinante dei cattolici al governo. Nei primi anni dell'Impero napoleonico, Pio IX vide in Napoleone III la possibilità di un'inversione di rotta sul cammino della Rivoluzione e lo invitò caldamente a costituire il baluardo della Santa Sede come era nella tradizione dei re francesi, sperando che il suo avvento al trono potesse costituire un elemento di ordine e di tranquillità in Europa.

L'atteggiamento politico di Napoleone III, all'insegna della doppiezza, non accontentò di fatto né i cattolici né le forze rivoluzionarie che nel 1858, con l'attentato di Felice Orsini, vollero ricordare all'Imperatore gli impegni assunti con esse fin dalla sua giovinezza di carbonaro 68.

Nel gennaio 1855, alla vigilia dell'intervento piemontese in Crimea 69, Cavour sottoscrisse con la Francia e l'Inghilterra un trattato che univa i tre governi non solo contro la Russia, ma contro lo Stato Pontificio e contro i governi legittimi della penisola. In novembre, Cavour accompagnò il re in una visita a Parigi e a Londra. Nei suoi incontri con i sovrani e gli uomini politici di maggior rilievo, descrisse gli Stati Pontifici come pessimamente governati ed ebbe cura di far circolare presso i protestanti inglesi storie allarmanti circa le persecuzioni e le torture di cui si rendeva responsabile l'Inquisizione pontificia 70.

Tentando di sfruttare l'anticattolicesimo dominante in Gran Bretagna, Cavour valorizzò inoltre la presenza dei protestanti valdesi nel Regno di Sardegna e stabilì una stretta alleanza con lord Shaftesbury, leader dell'ala "evangelica" della Chiesa anglicana 71. L'anno successivo però, nel Congresso di Parigi, la Francia e l'Inghilterra stipularono un trattato segreto con l'Austria mirante a garantire lo status quo in Europa che mise Cavour in difficoltà. Solaro della Margarita, che era stato contrario all'iniziativa di dichiarare guerra all'Austria, poteva sostenere ora in Parlamento che se l'esercito in Crimea si era battuto valorosamente, a Parigi una diplomazia inetta aveva mancato di fare la sua parte 72.

L'idea della guerra all'Austria costituiva un perno della politica di Cavour e uno dei punti su cui egli aveva il totale accordo del sovrano. Decise, per accelerare i tempi, di giocare la carta dell'azione rivoluzionaria. Nel 1856 il primo ministro piemontese creò la Società nazionale 73, emanazione del governo, per coordinare l'azione rivoluzionaria in vista del prossimi rivolgimenti. Giuseppe Garibaldi, che in quegli anni era tornato marinaio sulle rotte dell'America e dell'Asia, rientrò in Piemonte, passando per Londra, ed ebbe con Cavour un incontro in cui fu discussa l'idea di una futura guerra 74. La formula «Italia e Vittorio Emanuele» venne accettata dal Nizzardo come l'unica valida per accelerare la Rivoluzione: «Se sorgesse una società del demonio che combattesse dispotismo e preti - egli dichiarava - mi arruolerei nelle sue fila» 75.

Nel 1857 ebbero luogo le elezioni generali in Piemonte. Cavour non ottenne a Torino che una modesta maggioranza, e si trovò ad essere l'unico membro del gabinetto ad essere eletto al primo turno, mentre i due ministri di centro-sinistra, Giovanni Lanza e Urbano Rattazzi, furono costretti al ballottaggio. Nel suo insieme la coalizione centrista perse un terzo dei suoi seggi mentre la destra ne guadagnava cinquanta, ottenendo quasi il quaranta per cento. Solaro della Margarita, il leader dell'opposizione a Cavour, fu eletto al primo turno in quattro seggi diversi e vinse la gara di ballottaggio in altri tre. Cavour mostrò anche in quest'occasione la sua spregiudicatezza. Quando la Camera si riunì, un deputato su quattro si vide contestare la validità della sua elezione: tra questi, nove ecclesiastici giudicati "tecnicamente ineleggibili" attraverso quella che Denis Mack Smith definisce «una palese operazione di manipolazione retrospettiva della legge elettorale» 76.

La sessione parlamentare del 1858 si presentava come la più difficile dell'ultimo decennio mentre sul piano internazionale, il tentato assassinio di Napoleone da parte di Felice Orsini, il 14 gennaio 1858, sembrava rendere problematici i rapporti con la Francia. Nella primavera però, attraverso il suo emissario a Parigi Costantino Nigra, Cavour venne a sapere che Napoleone sarebbe stato disposto alla guerra contro l'Austria se il Piemonte fosse riuscito a fabbricare un pretesto valido. Il 20 luglio, a Plombières, una piccola stazione postale nei Vosgi, Cavour e Napoleone si incontrarono segretamente per discutere sulle modalità di una guerra all'Austria e sul pretesto per coinvolgerla 77.

 Napoleone si impegnava a permettere, dopo la vittoria, la creazione di un regno nell'Italia settentrionale comprendente Piemonte, Liguria, Sardegna, Lombardia, Veneto e Legazioni. Il Piemonte si obbligava da parte sua a cedere alla Francia la Savoia e Nizza. Negli accordi fu contrattata non solo la cessione alla Francia di territori che rappresentavano la culla della dinastia sabauda, ma anche l'avvenire della sedicenne primogenita di Vittorio Emanuele II, Clotilde, che aspirava al chiostro e che, in nome della ragion di Stato, fu data in moglie al principe Napoleone Girolamo Bonaparte, noto per le sue idee volterriane e i costumi dissoluti 78.

In una lettera dell'8 aprile 1859 al fratello, conte Gabriele Mastai, che abitava nelle Marche, Pio IX traccia un quadro lucido e disincantato della situazione politica internazionale alla vigilia dei grandi rivolgimenti degli anni 1859-1860. «Le cose del Mondo - egli scrive - proseguono al solito. I Potenti della terra sono divenuti adulatori della rivoluzione, diventata ormai la potenza più grande del mondo. Oggi li odi sono contro l'Austria la quale forse non può reggere sul piede dispendioso di guerre come ora si mantiene. Si cerca la caduta dell'attuale Ministero per condurre l'Inghilterra a separarsi dall'Austria, e così isolata, farla cadere come corpo morto cade.               

Intanto la Francia si mette in misura, e ciò per influire attivamente in Italia. La Toscana; o sia gli uomini che chiedono di unirsi al Piemonte. Cavour è stato protetto a Parigi dalla Pulizia per non essere fischiato. Il re di Napoli seguita ad essere infermo. Da tutto questo preparativo di confusione cosa ne verrà? Quello che Dio vuole. Dio vi benedica tutti» 79.

Il testo di questa lettera è sufficiente per incrinare il cliché di un Papa "santo", ma poco versato nella politica. Pio IX si dimostra esattamente informato dei risvolti della politica internazionale e pur non conoscendo ancora gli accordi di Plombières, intuisce la creazione di un nuovo patto di ferro tra Cavour «protetto a Parigi dalla Pulizia» e l'Imperatore che si prepara a «influire» attivamente in Italia. La conclusione della lettera ci dà la chiave per comprendere lo stato d'animo con cui affronterà gli eventi tempestosi del decennio successivo: «Quel che Dio vuole». «La mia fiducia l'ho posta nella Croce» rispondeva il Papa in quello stesso '59 al generale de Goyon, il comandante del presidio francese a Roma che lo invitava ad avere fede nelle promesse di Napoleone III 80

Roberto De Mattei