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sabato 17 agosto 2024

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


Tiepidezza

La tiepidezza è lo stato di peccato veniale, lo stato, cioè, in cui si commettono volontariamente delle mancanze leggere contro la volontà di Dio, quali per es.: impazienze, menzogne senza grave danno, attacchi leggeri disordinati, leggere disubbidienze, mancanze di carità, ecc.

Come lo stato di disgrazia e di peccato mortale è dato da uno o più peccati mortali commessi e non distrutti colla contrizione e colla confessione; così lo stato di tiepidezza o di peccato veniale è dato da uno o più peccati veniali commessi e non distrutti colla contrizione, cioè col sincero dolore di avere offeso Dio.

Non è quindi tiepido chi in un momento di fragilità o di inconsiderazione commette un peccato veniale e poi subito se ne pente; ma chi:

a) volontariamente e con certa frequenza (una o più volte la settimana) cade in peccati veniali.

b) non si convince della malizia di tali peccati e non se ne pente sinceramente.

c) non si decide seriamente, neppure in confessione, di non commetterne più e non si sforza di evitarli.

1) Verso Dio. Il peccato veniale è un'offesa leggera fatta a Dio, disubbidendo alla sua legge in materia leggera. Si dice leggera non in quanto offendere Dio sia qualche volta cosa leggera; ma in quanto il peccato veniale non tende a distruggere il disegno di Dio sul mondo e su noi, bensì a ridurlo, a rallentarlo.

Dio colla sua sapienza e potenza infinita raggiungerà i suoi fini pienamente nel Corpo Mistico, nonostante la nostra tiepidezza, ma noi resteremo eternamente minorati.

Dio si indispone fortemente contro il tiepido. Il tiepido non ha una mala volontà contro Dio, ma ha una mala buona volontà: vuol servire Dio, ma senza tanto scomodarsi. È come il servitore che serve, ma fa tutto sbadatamente; come l'operaio che lavora, ma fa tutto male; come l'amico che favorisce, ma non a tempo e a luogo. Dio fa al tiepido una minaccia terribile: « O fossi almeno caldo o freddo! Ma poiché sei tiepido e non sei né caldo, né freddo ti comincerò a vomitare dalla mia bocca » (AP. 3,15).

2) Verso Gesù. La tiepidezza è la causa dell'amarezza più grande di Gesù; come egli stesso rivelò a S. Margherita Alacoque:

« Ma quello che più mi affligge è l'indifferenza di coloro che si dicono miei amici ».

Come un uomo ingiuriato e maltrattato dai suoi nemici, Gesù vorrebbe trovare tra i suoi cari sollecitudine, cure, affetto ed invece trova presso i tiepidi trascuratezza e sgarbatezza.

Una scortesia ed una parola pungente di una persona cara ci affligge sempre più di una ferita fattaci da un nemico.

3) Verso noi. La tiepidezza è una malattia: non ci toglie la vita soprannaturale, ma ce ne toglie il fiotto e la bellezza.

La bellezza del tiepido si guasta, come quella dell'ammalato, fino, nelle forme più gravi, a perdersi. Il tiepido non piace a nessuno: né a Dio, né agli uomini, né a sé stesso. Il tiepido perde, come l'ammalato, il gusto di tutto: della preghiera, della comunione, della mortificazione, del dovere. Non avendo il sostegno di un grande amore e di un grande ideale egli sente, per contrappasso, il bisogno degli svaghi, del successo, degli affetti umani; esce quanto più può da sé per occuparsi di attività esterne; cerca l'apostolato rumoroso e dal facile successo; coltiva, con sacrificio di tempo ed anche con pericolo, le amicizie.

Il tiepido perde il frutto della sua donazione a Dio; è come chi ha il tenia: per quanto mangi, si mantiene sempre magro e debole; è come un giardino colpito dalla cocciniglia; il contadino lo ha piantato, zappato, concimato, irrigato, ma il male rovina il raccolto. Non è secco e non viene tagliato, ma finché resta in quello stato fa pochi e mali frutti di vita eterna.

Il tiepido ha le virtù cristiane: le ha acquistate con sacrificio, ma le ha attaccate dal male:

la preghiera attaccata da distrazioni più o meno volontarie; la carità dalla superbia e dalla sgarbatezza; lo zelo dall'ambizione, dalla cocciutaggine, dall'incostanza; l'ubbidienza dalla trascuratezza e dalla lentezza; la purezza dagli attacchi disordinati.

I frutti di tale albero non vanno a conto: Dio li rigetta.

Non v'è niente di più infelice del tiepido: realmente si è donato a Dio e non ha i piaceri di questo mondo, né i frutti del suo sacrificio; Satana glieli va piluccando mentre egli li porta al Re dei re, come i corvi, nel sogno, al compagno di Giuseppe.

La tiepidezza dispone al peccato mortale e quindi alla dannazione.

Salvandosi, il tiepido, pur non essendosi sposato, non avrà il premio speciale dei vergini; pur avendo fatto apostolato, non avrà il premio speciale degli apostoli; pur avendo fatto carità non avrà il premio speciale dei caritatevoli; pur avendo rinunziato alla volontà propria o alle ricchezze, non avrà il premio speciale dei religiosi, ecc.

È brutto aver fatto una vita sacrificata, come quella delle anime consacrate, e poi riuscire a malapena solo a salvarsi.

Satana è riuscito a fare ai tiepidi il più brutto dei tiri: non fa perdere loro la vocazione, ma li fa sacrificare inutilmente, sicché non abbiano niente in terra e niente di speciale in cielo.

Chi si è consacrato a Dio niente deve temere di più quanto la tiepidezza, cioè quanto le ricadute volontarie nei peccati veniali e nei difetti. Meglio qualunque rimprovero, qualunque danno, qualunque mala comparsa che una menzogna, un'impazienza, una disubbidienza.

4) Verso il prossimo. La tiepidezza rende inefficace e controproducente la nostra azione sul prossimo e rallenta i nostri legami con esso.

Il cristianesimo presentato dai tiepidi è poco attivo e poco simpatico: non ha alcun elemento di presa o mordente sugli altri.

Il tiepido ha ben poco calore e ben poca grazia da spartire; è ammalato, debole, povero e non può agire, né produrre dei beni, né dividerli.

Il suo cristianesimo non è una convinzione, ma una tradizione; non è un impegno, ma un adattamento; è un misto di cerimonie noiose e di doveri monotoni e deprimenti; è un superfluo che l'uomo moderno intento al pratico, alla semplicità ed all'economia, scarta come un barocchismo spirituale. Un corpo privato dell'anima diviene un cadavere; a questo si riduce il cristianesimo del tiepido.

Il breviario, il rosario e le altre preghiere nel tiepido diventano uno stupido convenzionalismo simile alle preghiere dei mulinelli indù.

Il cristianesimo che attrae è il cristianesimo puro; quello dei cristiani integrali, siano preti o uomini di stato, scienziati o operai; è il cristianesimo eroico dei pionieri della sociologia cattolica, delle fervorose suore di carità, degli zelanti missionari, dei santi.

2. Rimedio alla tiepidezza

Il rimedio alla tiepidezza è la contrizione, cioè il pentimento dei propri peccati perché sono offesa a Dio.

Come non si esce dallo stato di disgrazia neppure colla confessione se non si detestano i peccati mortali e non si propone seriamente di evitarli; così non si esce dallo stato di tiepidezza neppure colla confessione se non si detestano sinceramente i peccati veniali e non si propone seriamente di evitarli. Il cristiano fervoroso evita sempre il peccato veniale ed i difetti volontari. Se vi cade se ne pente subito; non vive mai in pace con essi, ma sempre li combatte. La caduta è per lui sorgente di rammarico per l'offesa fatta a Dio ed è sprone a diventare più raccolto e più virtuoso per riparare il male fatto.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


giovedì 25 gennaio 2024

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


VI. Zelo

Mentre il regno di Dio è impegnato in un sanguinoso combattimento contro il regno di Satana, e Cristo, coperto ancora delle sue cinque ferite, marcia in testa al suo esercito fedele, svegliando i sonnolenti ed invitando tutti alla lotta; mentre si va profilando sempre più certa, vicina e grandiosa la vittoria universale e finale del regno di Dio; mentre le anime, mietute da Satana, vanno precipitando in gran numero all'inferno, il cristiano generoso sente vergogna dell'inutilità della sua vita, si sente affascinato dal più bello ideale del mondo, quello dell'apostolato, e si vota a Cristo.

Come si può sopportare di vedere il Santissimo, il bellissimo, il buonissimo divino Maestro trascurato, profanato, ingiuriato, perseguitato?

Come non fremere vedendo il trionfo della bassezza, della bestialità, della perfidia, dell'ingiustizia, del dolore, del male?

Come ci si può divertire dinanzi a dei condannati a morte? Come si può camminare e dormire in pace quando, vicino a noi, altri camminano verso l'inferno e dormono sul ciglio di esso? Come si possono spendere soldi inutilmente quando essi potrebbero servire per tante opere di bene: Missioni, Clero indigeno, Vocazioni ecclesiastiche, poveri, buona stampa, opere parrocchiali?

Gli uomini scherzano colla morte eterna. Raccontano, scrivono romanzi e storielle o li girano in film, simili a un comico che riunisce e diverte uno stuolo di condannati a morte, ignari del loro destino.

Il cristiano fervoroso la rompe con questa farsa e con tutte le convenzioni e presenta ai peccatori, senza tanti preamboli, la loro bruttissima situazione per salvarli. Per lui non esiste l'arte per l'arte, l'industria per l'industria, il divertimento per il divertimento ma tutto è un mezzo per l'apostolato; egli non ha pace e non dà pace; si placa solo nella preghiera, nell'azione e nel sacrificio.

a) Preghiera. Il cristiano fervoroso prega quotidianamente per la Chiesa universale. Non perde tempo, perché sa che esso è prezioso e gli può servire a salvare tante anime. Nelle sue labbra e nel suo cuore c'è sempre l'atto incessante d'amore e l'anelito all'avvento di Gesù: « Vieni, Signore Gesù! »

b) Sacrificio. Crescendo l'amore alle anime, cresce il desiderio del sacrificio. Pian piano la vita del cristiano fervoroso comincia a divenire una Via Crucis: sono malattie, ostacoli d'ogni genere nelle opere, persecuzioni. Quando la croce di Dio è più leggera il fervoroso l'appesantisce con penitenze, mortificazioni, lavori sfibranti.

c) Azione. L’operaio del Signore confida in lui e lo prega per l'avvento del suo regno come se tutto dipendesse da lui; però progetta e lavora come se tutto dipendesse solo da sé. Dio non fa quello che l'uomo può fare e non opera finché può operare l'uomo. Quando poi l'uomo non può far più nulla egli interviene.

L'operaio non sta a sperare e ad aspettare che faccia Iddio, ma fa subito quanto può fare da sé. Quando ha fatto tutto ciò che poteva, ha il diritto di sperare e di pregare che Iddio faccia il resto; non prima.

L'operaio non se ne sta mai colle mani in mano: il suo zelo è molteplice: una ne fa e cento ne pensa. Non si limita a un genere e a un campo di lavoro, sia una parrocchia, un paese o una provincia, arriva fin dove può arrivare; s'interessa di tutto ciò di cui può interessarsi, badando però a portare a termine le cose iniziate, senza lasciarle a metà. Quando molte cose possono abbracciarsi tanto meglio; quando ciò non è possibile, bisogna contentarsi di farne poche pur di completarle.

Solo allora l'operaio è contento la sera: quando vede che ha lavorato tutto il giorno per il regno di Dio e ne è stanco.

Per i grandi c'è l'apostolato di linea; per i piccoli c'è l'apostolato spicciolo: campagna del precetto pasquale, diffusione dei 9 venerdì, dei 5 sabati, della buona stampa, catechismo, conferenze, ecc.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


lunedì 3 luglio 2023

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


V Carità

In questa 2a età, l'amore al prossimo cresce come un albero rigoglioso.

Si comincia a sentire l'amore a tutto quanto c'è sulla faccia della terra, ad eccezione che al peccato, a somiglianza di Dio che nulla odia di quanto ha creato.

Bisogna vedere in ciascuna persona al di là della sua scorza, il più delle volte inappetente o addirittura repellente, ciò che interiormente è o potrà divenire, a somiglianza di Dio che ama gli uomini, quasi sempre in peccato, non per quello che sono, ma per quello che potranno divenire.

Bisogna amare tutti, compatire e aiutare tutti, pregare per tutti, spegnendo ogni antipatia. Nessuno deve essere morto nel cuore nostro; altri potranno essere nostri nemici, ma noi non dobbiamo essere nemici a nessuno.

Un bisogno potente di soccorrere tutti ci deve spingere: « La carità di Cristo ci spinge » (2 Cor. 5,14).

Bisogna che di tutti ci interessiamo, o personalmente o per mezzo della S. Vincenzo: di poveri, di ammalati, di orfani, di carcerati, di disoccupati, ecc., avendo sempre per massima di fare da noi, senza importunare altri, tutto quello che è possibile fare.

L'ideale della carità è di entrare in una congregazione religiosa di carità o di apostolato e di farne le opere pur restando nel secolo. In questa 2a età la carità va prendendo il suo pieno sviluppo e giunge alla vigilia della maturazione, che verrà poi nella 3a età.

Padre Ildebrando A. Santangelo


lunedì 5 dicembre 2022

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


Purezza

La purezza è un fiore che deve fiorire in ogni età della vita spirituale. Tuttavia nella seconda età essa è molto più smagliante e profumata: è frutto di maggiore vigilanza, di maggiore generosità e di maggiore delicatezza.

a) Maggiore vigilanza. Quand'anche fossimo giunti fino alle soglie del Paradiso, resta nel corpo e nel cuore nostro un'attrazione al piacere e all'amore umano che in qualunque momento di distrazione ci farebbe precipitare nel peccato. Ho visto cadere vecchi sulla soglia della morte: chi si mette nel pericolo in esso cade; il cristiano fervoroso vigila perché il suo cuore non si attacchi naturalmente a nessuna creatura, controlla i suoi affetti perché siano tutti santi, tronca ogni occasione di peccato, e di perdita della Grazia e dell'Amicizia di Dio.

b) Maggiore generosità. Questa si manifesta col voto di castità, che è la maggior prova di amore. Mentre infatti nel fidanzamento si preferisce una persona ad un'altra, col voto di castità le si sacrificano tutte per Uno che resterà sempre invisibile.

Nella vita comune esiste e vien praticato da tanti un voto di castità matrimoniale che, pur essendo molto meno meritorio di quello di castità perfetta, ha tuttavia anch'esso la sua perfezione.

c) Maggiore delicatezza. Questa si manifesta:

1) Nel parlare, mai triviale, leggero o equivoco. Non si fanno, né si vogliono sentire discorsi cattivi, allusioni o parole volgari. Non si ride, né si sorride alle banali barzellette. Non bisogna vergognarsi di arrossire dinanzi al male.

2) Nel guardare, sempre modesto per le strade, nei locali pubblici ed anche su sé stesso. II nostro occhio non deve essere mai sensuale: vi si deve leggere sempre la purezza. Il nostro volto deve essere sempre pudico e modesto. Tutta la nostra persona deve essere il profumo di Cristo.

3) Nel comportamento sempre serio, mai sbarazzino, per quanto senza malizia.

Nel trattare col prossimo bisogna essere sempre riservati, gentili e gravi. Tale gravità deve spiccare sempre.

Un domestico di S. Francesco di Sales narra di aver spiato a lungo dalla serratura il santo nella sua cella, e di averlo visto sempre colla stessa gravità che aveva in società e sempre composto come se fosse osservato da qualcuno.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


giovedì 1 settembre 2022

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


IV Obbedienza


1. Pazíenza

La pazienza è quella virtù morale che induce la volontà ad accettare quanto dispiace alla natura.

Pazienza viene da patire. Senza disposizione a patire non v'è pazienza.

La pazienza è proporzionata alla quantità delle sofferenze.

« È una virtù »; e quindi atto di forza, di violenza. Si credono forti quanti scattano dinanzi all'insulto e alle contrarietà; sono invece deboli, come i bimbi che strillano appena li pungono. Forti sono solo quelli che si dominano e si frenano.

« È una virtù morale ». Risiede quindi nella volontà illuminata dall'intelligenza. Per essere pazienti bisogna avere coscienza del dolore, dell'ingiustizia, dell'insulto, del male. Non è quindi paziente chi non ha ragione, come l'animale, o chi non ne ha l'uso, come chi è piccolo e stupido e pazzo e chi non capisce e non avverte e dorme.

« Che induce la volontà ad accettare quanto le dispiace ».

Tutto quello che dispiace è l'oggetto della pazienza, mentre tutto quello che piace è oggetto della temperanza.

Tanti dicono che sarebbero buoni, pazienti, giusti se nessuno li insultasse né li provocasse, se non capitassero loro cose stolte, se non dovessero vedere e patire delle ingiustizie.

Fanno ridere. Essi non sono né buoni, né pazienti, né giusti; né potranno mai esserlo.

La bontà consiste nel vincere il male col bene, non nel farsi vincere dal male; la pazienza consiste precisamente nel sopportare le cose stolte; la giustizia consiste non nel non vedere e non patire delle ingiustizie, ma nel non farle.

Infinite son le cose che ci dispiacciono:

a) I peccati nostri e degli altri. Dobbiamo odiarli, ma sopportarli. Dobbiamo evitarli sempre e farli evitare; ma quando abbiamo avuto la sventura di commetterli dobbiamo chinare il capo, rassegnarci alla nostra miseria, umiliarci e, dopo aver chiesto perdono e aiuto al Signore, ricominciare da capo la nostra ascesi, una, cento, mille volte. La prima pazienza è con noi stessi. S. Francesco di Sales diceva: « Anch'io ho i miei difetti, ma non faccio mai pace con essi ».

E quando altri li hanno commessi o hanno semplicemente commesso degli sbagli e dei danni materiali non dobbiamo scattare con aspri rimproveri o, peggio, con delle sfuriate, col pretesto di voler correggere; in realtà noi sfogheremmo la nostra bile e non otterremmo nessun bene.

b) Le ingiustizie. Le ingiustizie sono i mali che non meritiamo: una precedenza di altri, una falsa interpretazione di una nostra azione, una mormorazione, una calunnia, un insulto, una percossa, ecc.

La maggior parte degli uomini rispondono a tono all'ingiustizia, reagiscono scattando e ricambiando, stimmatizzano nelle conversazioni i malefici, ecc. hanno diritto a far questo: la risposta non è ingiuria; ma, facendo così, decadono dal campo soprannaturale in quello naturale e spesso si mettono allo stesso livello di quelli che operano l'ingiustizia.

I santi non reagiscono. « A chi ti percuote in una guancia, ha detto Gesù, porgi l'altra guancia » (Lc. 6,29).

Un esempio mirabile di pazienza lo diede S. Filippo Neri nel sopportare le persone moleste. Officiò, il santo, per molto tempo una Chiesa i cui sacristi erano due aguzzini: non erano mai pronti, non erano mai utili; spesso, appena uscita Messa spegnevano le candele dell'altare o pigliavano il messale e scappavano via lasciando il santo in asso, spessissimo ancora lo insultavano villanamente. Il santo non volle mai licenziarli per avere occasione di esercitare la pazienza. Un giorno mentre uno di essi maltrattava il santo, l'altro, giunto di buon umore, fu preso da tanta indignazione contro il collega che lo assalì e se lo mise sotto i piedi per strozzarlo; e lo avrebbe finito se il paziente santo non glielo avesse tolto di sotto.

c) I dolori. I dolori sono il maggior banco di prova della pazienza. Aveva Dio, per provare la fedeltà di Giobbe, acconsentito a Satana di fare a lui tutto il male che avesse voluto. E Satana in un giorno distrusse tutta la fortuna di Giobbe: gl'incendiò gl'immensi granai e le case, gli fece depredare l'innumerevole bestiame e le ricchezze, gli fece ammazzare tutti i dieci figli. E Giobbe restò fedele a Dio e all'annunzio di ogni nuova sventura ripeté: « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore così è avvenuto. Sia benedetto il nome del Signore » (Job. 1,20).

Dio allora lodò Giobbe, ma Satana rispose: « Pelle per pelle! Tutto ciò che ha l'uomo lo dà in cambio della sua vita! Tu invece prova a stendere la tua mano e a toccarlo nelle ossa e nella carne e allora vedrai che egli in faccia ti benedirà » (cioè ti maledirà) (Job. 2,4).

E Giobbe fu colpito dalla lebbra; ma restò ancora fedele a Dio, dando così la prova suprema della sua pazienza e del suo amore a Dio.

Alle volte l'anima nostra si carica per intero per le ingiustizie, per le provocazioni, per i dolori acuti e ininterrotti, e tende a scoppiare e a scaricarsi come fa una nube temporalesca coi fulmini; e basta allora una scintilla per farla esplodere, e scintille ne vengono tante e ci si contiene sino alla fine: questo è l'eroismo della pazienza.

Allora la forza della nostra anima è immensamente superiore a quella del tuono e del fulmine, allora ci si avvicina alla santità.

La pazienza è il segno e la prova della perfezione raggiunta. Un giorno fu chiesto a S. Tommaso: « Da dove si conosce la perfezione di un cristiano? » « Dalla pazienza », rispose il santo. Poca pazienza, poca perfezione; molta pazienza, molta perfezione. Non ci son nervi che tengano. I nervi li abbiamo tutti: mentre i fervorosi li dominano, i mediocri si fanno da essi dominare; così come i deboli si fanno trascinare dal cavallo, i forti lo frenano.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


giovedì 28 aprile 2022

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


IV Obbedienza

Nella seconda età il desiderio di far sempre la volontà di Dio spinge a sacrificare a Dio completamente la propria volontà così da vivere sempre di obbedienza.

Non c'è cosa più cara della propria libertà e non c'è cosa più meritoria del sacrificio di essa. Tre sono le libertà principali:

libertà di volere, libertà di godere, libertà di disporre.

Si sacrificano tali libertà con i voti di povertà, castità ed obbedienza.

Non è completo il nostro sacrificio a Dio senza questi tre voti o, per lo meno, senza l'osservanza di essi se anche non vengano fatti. Per questo i cristiani fervorosi li fanno nella seconda età.

1) Non viene soppressa, ma perfezionata l'osservanza dei doveri generali cioè dei dieci comandamenti, dei cinque precetti e dei doveri del proprio stato.

Il prete diventa più zelante per le anime, più attento nell'amministrazione dei sacramenti e nella celebrazione della Messa;

la suora di carità più caritatevole nella cura degli ammalati;

l'impiegato più coscienzioso e più laborioso;

l'uomo di legge più giusto; ecc.

Si vanno ricercando più attentamente i propri difetti per correggerli.

Non ci si offende verso chi ce li fa rilevare, anzi si è loro grati.

S. Giovanni Berchmans pregava insistentemente i suoi compagni a fargli rilevare i suoi difetti e prometteva molte preghiere a chi gliene avesse fatto notare qualcuno.

Non spinge più il timore del peccato mortale e dei castighi di Dio, ma il desiderio di non volere minimamente offendere Dio.

2) Si sceglie lo stato più perfetto, cioè duello religioso. Il cristiano fervoroso cerca, se gli è possibile, di entrare in un ordine o in un Istituto religioso.

 Se non gli è più possibile e si convince di poter fare bene nella società restando nello stato secolare, si fa un programma preciso di vita cristiana ed emette privatamente i voti, sforzandosi quindi di viverli almeno nello spirito.

3) Ci si adatta allo stato già scelto o impostoci. Quando non siamo più padroni del nostro destino, o per non poter più ritornare sui nostri passi o perché su di noi c'è una volontà superiore che non ci rende liberi di far quel che vogliamo, non resta che cercare la nostra santificazione nello stato in cui ci troviamo.

Satana ci vuol far perdere la perfezione possibile a noi, suggerendoci ideali grandiosi e impossibili, circostanze irreali (se fossi lì o in quello stato, ecc.) e progetti ipotetici.

Bada a perfezionarti nello stato in cui ti trovi; con quei parenti forse irritabili o insopportabili, con quello stato di salute che non ti permette di fare quell'apostolato o quelle penitenze che vorresti fare e forse non te ne permette affatto, con quella povertà che non ti permette di fare grandi iniziative.

Quando ti sarà possibile fare di più farai di più; quando ti sarà possibile scegliere stato e circostanze migliori le sceglierai.

Quando non ti è possibile fare altro, almeno per il momento, è indice che Dio vuole che tu compia il tuo lavoro in quello stato e in quelle circostanze.

Salute, incomprensioni, maltrattamenti, strettezze, occupazioni sono da Dio disposti per la nostra santificazione.

4) Si cerca di far bene ciò che si fa. L'imperativo dei santi è: « Fa' bene quel che fai ». A tal fine bisogna applicare:

a) L’attenzione materiale. Chi fa male le sue azioni non può offrirle a Dio.

La sua offerta in tal caso sarebbe simile a quella di Caino che, invece della benevolenza attirò la maledizione di Dio.

b) L'attenzione spirituale, facendo tutto per amor di Dio.

Lavora non per il denaro, la comparsa o altro, ma per Iddio; studia non per la promozione, per il diploma, ma per Iddio; mangia non per il gusto, ma per Iddio; riposa per lo stesso motivo, ecc.

Poche volte abbiamo nella vita occasione di fare grandi cose, ma abbiamo sempre l'opportunità di farne delle piccole. L'arte non sta nel far cose piccole o grandi, ma nel farle bene. La bravura o l'imperizia possono spiccare sia nelle cose grandi, che nelle piccole, sia nel fare un palazzo che nel fare una miniatura. I rozzi badano alla mole, i civili all'arte.

Dio che è il sommo artista ed il sommo giudice d'arte non bada alle mansioni da noi occupate sulla terra, né alla mole delle opere da noi fatte, ma alla perfezione con cui le abbiamo fatte.

In una vita fatta di piccole cose (per es.: lavori di casa, impiego, catechismo, cura d'anime) ci può essere la stessa perfezione che nel fare grandi opere, grandi predicazioni o nel governare una diocesi o tutta la Chiesa.

Il più oscuro operaio del Signore può avere la gloria del più grande Papa e più ancora, se ama e serve meglio il Signore. Questa è la verità più consolante della fede.

Se c'è una condizione di privilegio è quella di soffrire di più, di stancarsi di più nel lavoro, di amare di più. Come Iddio ha impiegato e fatto risplendere tutta la sua sapienza e potenza nelle stelle; come negli atomi, nel baobab come nel fiorellino, nell'elefante come nel moscerino; così noi dobbiamo impiegare tutta la nostra diligenza ed il nostro amore nel fare qualunque cosa, sicché tutto da noi proceda perfetto.

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ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


giovedì 11 novembre 2021

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


Preghiera

In questa seconda età si comincia ad avere il desiderio di Dio. Non si vuol più condurre una vita vuota, dispersa e caotica.

Il tempo diventa tutto un cammino verso Dio, cioè un'elevazione a Dio.

Non spinge più alla preghiera solo il bisogno, ma anche il desiderio vero di riposare in Dio-Amore.

I divertimenti mondani cominciano a perdere la loro attrattiva; comincia a piacere il raccoglimento, la permanenza in Chiesa dinanzi al SS. Sacramento, la meditazione, la lettura spirituale, le giaculatorie.

Dopo visite inutili, spettacoli e divertimenti ci si sente vuoti, scontenti e ci si vuole immergere nella preghiera e nella meditazione per rinfrancare l'anima. Si cerca seriamente di non perdere il tempo. Si ha vero orrore del peccato. Se per disgrazia si cade in peccato mortale lo si piange a lungo amaramente come S. Pietro; si bada diligentemente ad evitare il peccato veniale un po' per timore del purgatorio, un po' per reale desiderio di non offendere minimamente Dio.

Si vogliono compiere puntualmente tutti i propri doveri verso Dio; si bada ad adorarlo come si deve, a ringraziarlo, a lodarlo, ad amarlo sopra ogni cosa, a pregarlo per i bisogni nostri e della Chiesa.

Si stabilisce una regola di vita e si divide la giornata in una parte consacrata interamente a Dio ed in un'altra dedicata al compimento dei propri doveri.

 

1. Pratiche di pietà della seconda età

a) Preghiera del mattino. Appena sveglio dirigi a Gesù i tuoi primi atti d'amore; quindi ringrazia il Signore della buona notte e del nuovo giorno; offri te stesso e le cose tue al Cuor di Gesù e a Maria SS. recitando una formula adatta; ottima quella dell'apostolato della preghiera.

b) Meditazione. Falla giornalmente. La tua meditazione sia un'introduzione alla preghiera, un mezzo per raccoglierti e per estirpare i tuoi difetti. Quanto sia importante a tal fine la meditazione lo dice S. Alfonso: « Comunione e peccato possono stare insieme, meditazione e peccato no ».

c) Messa. Non lasciare nessun giorno la S. Messa e comunione. Nella Messa unisciti al sacrificio e alla missione di Gesù. La Messa sia il principio del tuo sacrificio quotidiano.

d) Rosario. Recitane ogni giorno almeno cinque poste, possibilmente tutte le 20.

e) Vita Eucaristica. Gesù ha voluto fissare in permanenza la sua dimora fra gli uomini nel Tabernacolo. Ivi si trova ad attendere alla sua missione redentrice sino alla fine del mondo.

Se vuoi trovarlo non lo cercare nel passato dei tempi; non interrogare le strade e le città della Terra Santa; non lo cercare nel sepolcro come le pie donne. Non cercare un vivente tra i morti. Gesù è risorto, non è li; ti aspetta nel Tabernacolo.

1) La gioia di Gesù è di stare assieme a coloro che ama. La sua delizia è di stare coi figli degli uomini. Gli uomini sono la sua gioia ed il suo tormento, come la sposa per lo sposo, secondo la loro fedeltà o infedeltà, la loro salute o infermità spirituale.

Egli guarda te in particolare e ti segue dovunque vai; per lui non ci sono distanze, né muri. Egli pensa sempre a te e vuole che tu pure pensi a lui.

Quando ti vede delicato di coscienza, ai suoi occhi sei veramente bello ed affascinante. Quando dalla casa, dal lavoro, dalla strada volgi a lui il pensiero e lo sguardo; quando ti sbrighi presto dalle tue faccende per andare a lui e te ne stai presso di lui a pregarlo, o solo a guardarlo con amore, egli è felice; egli ti guarda con infinito amore ed è tutto tuo.

Gesù ormai non può stare senza di noi; è come una donna la quale finché non ha figli sta contenta senza di essi, ma quando li ha avuti non può stare più senza di essi.

Quando tu gli stai vicino gli fai dimenticare le pene inflittegli dai peccatori. Un tuo atto d'amore ripara mille bestemmie, come egli ha rivelato a Suor Consolata Betrone.

Un cuore acceso d'amore consola e ripara Gesù per un'intera parrocchia indifferente. Quando sei libero, quando non ti resta altro da fare per salvare la tua parrocchia ed il tuo popolo, dopo aver tutto tentato invano, va' a gettarti ai piedi del Tabernacolo ed ivi, pregando e piangendo, trascorri il resto dei tuoi giorni.

2) La gioia di Gesù è di poter far del bene a coloro che ama. Che cosa desidera e a che cosa attende Gesù nel Tabernacolo?

Al compimento della tua perfezione. Quanto più gli stai vicino, tanto più egli ha tempo di lavorarti.

Per questo egli è restato nel tabernacolo esponendosi all'abbandono, all'ingratitudine, ai sacrilegi, all'universale indifferenza e irriverenza per essere a noi luce, conforto, calore.

Quando la tua anima è oppressa da dolori, da disastri familiari, da disinganni non stare a lamentarti cogli amici, a gemere o a imprecare contro gli uomini o contro la tua mala sorte: ma va' a raccontare tutto a Gesù e ad offrirgli le tue pene, perché le metta nel calice delle pene sue e dell'umanità e le offra al Padre in sacrificio di lode e d'espiazione.

Quando la tua anima è assalita dalla tempesta: tentazioni d'impurità, di incredulità, di disperazione, va' a gettarti ai piedi di Gesù, come S. Pietro nella barca che stava affondando, e gridagli che ti salvi; infallibilmente Gesù allora si alzerà e calmerà la tempesta.

Come nell'acqua torbida, in un recipiente, il fango e la polvere pian piano precipitano, e l'acqua diventa chiara; così, quando ci mettiamo a lungo avanti Gesù Eucaristico, ogni fango ed ogni turbamento precipitano e l'anima ritorna serena.

Non ci può essere tempo migliore, dopo quello della sofferenza, del tempo passato presso il Tabernacolo. Lo insegnò Gesù stesso quando Marta si lamentò perché Maria se ne stava ai suoi piedi: « Marta, Marta, sei molto indaffarata e ti affatichi in troppe cose; Maria ha scelto la miglior parte » (Lc. 10,4).

Come gli animali generalmente pigliano il colore della terra o dei vegetali sui quali vivono (es.: grilli, farfalle, afidi), così gli uomini pigliano le qualità di ciò di cui vivono: gli avari diventano duri come l'oro, i lussuriosi sensuali ed egoisti come gli animali, gli amanti di Gesù euricaristico diventano dolci e delicati come Gesù.

Per questo i santi stanno a lungo davanti al tabernacolo: le ore libere dalle occupazioni e spesso le notti intere. Tanti santi avevano quasi il domicilio in Chiesa.

f) Lettura spirituale. La lettura spirituale ha una capitale importanza nella seconda età: essa è il mezzo ordinario di cui Dio si serve per comunicare le sue ispirazioni. La maggior parte dei santi hanno ricevuto lo stimolo alla conversione e alla perseveranza nel fervore dalle buone letture.

Iddio ha voluto l'invenzione della stampa per la formazione dei suoi santi e per la diffusione del suo regno.

Bisogna però che i libri siano ben fatti perché facciano profitto. Tante opere ascetiche o agiografiche sciatte, prive di contenuto, mirabolanti o ampollose sono controproducenti: fanno venire la noia della buona lettura e della stessa vita spirituale.

Non c'è peggio che affidare una buona causa a un cattivo avvocato.

Ho spesso incontrato delle persone indisposte o prevenute contro la stampa cattolica e contro le cose spirituali per aver conosciuto la nostra peggiore stampa. Bisogna scegliere i libri buoni per sostanza e per forma. I libri più efficaci sono le vite dei santi, perché niente trascina quanto l'esempio; ma è pure necessario avere un bagaglio ascettico.

g) Preghiere della sera. Sono la cristiana conclusione della giornata. Non debbono essere rimandate al sonno; meglio anticiparle anche di un'ora.

Fa' quindi l'esame di coscienza, chiedi perdono del mal fatto. Andando a letto seguita a pregare anche solo mentalmente, finché ti addormenti e tutta la notte ti sarà computata come una preghiera.

h) Lavoro. Le occupazioni variano, ma l'intenzione deve essere sempre la stessa: tutto per amor di Dio.

Durante la rivoluzione francese, un prete aveva l'abitudine di dir sempre: « Per il buon Dio », sia confessando, sia andando dagli ammalati, sia mangiando, ecc. Scoperto e portato alla ghigliottina, gli fu chiesto dal boia se avesse qualcosa da dire. Il buon prete disse le ultime parole: « Anche questo per il buon Dio ». E fu decapitato.

Così scorra la tua vita.

Durante il lavoro, specialmente se è materiale, ripeti sempre delle giaculatorie. La tua giornata diventi una preghiera continua.

E quando verrà l'ora della tua morte ripeti per l'ultima volta: « Anche questa, o Signore, per amor tuo ».

i) Confessione. Spesso il tenore della vita spirituale dipende dal confessore, almeno quando non c'è un direttore spirituale santo. Molti abbandonano la vita spirituale o ne perdono i meriti per avere un confessore privo di vita interiore: quelli che il demonio ed il mondo non hanno potuto perdere, spesso vengono perduti da un confessore troppo umano. Chiedi a Dio un confessore santo e dotto, o almeno un direttore spirituale dal quale di tanto in tanto possa pigliare una buona direzione.

Vi son pochi santi perché vi sono pochi santi confessori e direttori spirituali. Una delle opere più grandi e più efficaci per la gloria di Dio è la direzione delle anime; chi ne ha la possibilità non può fare cosa più grande nella sua vita che divenire un direttore spirituale.

La confessione va fatta ogni otto giorni o almeno ogni quindici. Nell'esame preventivo alla confessione bisogna evitare due eccessi: di non pensare a niente o di pensar troppo.

È necessario fare un esame di coscienza, ma non è necessario farlo a lungo, nella vana ricerca di peccati che non esistono. Bastano per l'esame pochi minuti; se nulla affiora è segno che la grazia di Dio è stata più forte della nostra miseria e ci ha preservato da cadute.

Invece allora di crucciarsi per non saper trovare nulla di male, bisogna dar gloria a Dio della grazia che ci ha usata e pregarlo di voler continuare ad assisterci.

Una donna che si tormentava l'anima a pensar sempre i suoi peccati passati, i possibili non detti, le eventuali circostanze taciute e rifaceva sempre le sue confessioni, un giorno, finita la sua interminabile accusa si sentì dire dal confessore: « Ancora c'è qualche cosa ».

« No, rispose la donna, credo non ci sia nulla ».

« Sì, rispose il confessore, c'è ancora qualche cosa: c'è la tua mancanza di fiducia nella mia misericordia che mi offende sopra ogni altra cosa ».

E scomparve. Era Gesù.

Non si deve sempre rivangare il passato, specie dopo avere fatta la confessione generale. La confessione deve essere breve e semplice. Gesù vuole il pentimento ed il proposito di non ricadere.

l) Confessione spirituale. Per confessione spirituale s'intende l'esame di coscienza e l'accusa fatta a Dio stesso con cuore contrito, domandandogli perdono e promettendogli sinceramente di non voler ricadere. Tale confessione si deve fare ogni sera durante le preghiere della sera; ma è bene farla diverse volte al giorno, impiegando anche solo qualche minuto. È il mezzo per tenerci sempre sotto controllo, per riparare immediatamente le cadute fatte e non restare una sola ora in stato di tiepidezza. È un mezzo anche per evitare eventuali altre cadute sia perché così i propositi son sempre freschi, sia perché un esame non deve finire senza uno sguardo preventivo sulle possibili future cadute allo scopo di evitarle.

m) Raccoglimento. Raccogliere significa raccattare, e riunire ciò che è disperso. E’ bene raccogliere le cose proprie: i frutti del proprio giardino, le carte del proprio ufficio, i membri della propria famiglia ecc. Ma quello che soprattutto importa è raccogliere se stesso.

Purtroppo la vita ci sottopone ad una continua dispersione. Disperdiamo energia nel lavoro, intelligenza negli affari, amore nelle creature.

Da mane a sera non facciamo che disperdere frammenti del nostro corpo e della nostra anima, parti del nostro io. Spesso non ne possiamo più di questa continua dispersione e, malgrado l'impegno che richiedono le nostre attività, viviamo intimamente scontenti.

Né contenti possiamo essere perché non siamo contenuti in noi, non siamo interi in noi, né interi col nostro Amore, ma ne siamo fuori e lontani in parte o in tutto.

Quando la dispersione è grande avvertiamo un grande senso di stanchezza e di vuoto. Una cosa sola allora è necessaria: raccogliersi, cioè ritirare il proprio corpo e le proprie energie dalle attività, i propri pensieri dalle cose terrene, il proprio cuore dalle creature e rientrare interi, soli in luogo deserto (nella solitudine della Chiesa o della casa o della campagna), ove nessuno pigli o distragga qualche parte di noi.

Bisogna ritirarsi innanzi a Dio, ché altrimenti il senso di stanchezza o di scontento aumenta e ci getta violentemente o nella disperazione, o nuovamente nel vortice dell'attività, del peccato, del vuoto.

Bisogna rientrare soli, senza farci accompagnare da nessuna creatura, da nessuna preoccupazione. Bisogna dimenticare tutto e metterci interamente dinanzi a Dio, meditando e pregando, come un accumulatore scarico a contatto dell'energia elettrica per essere ricaricato.

Allora tutta l'anima colle sue facoltà sarà in noi, Iddio la riempirà interamente e in noi si ristabilirà la pienezza della vita e della gioia.

Quanto tempo bisogna stare in tale ritiro? Tutto il tempo che è necessario per reintegrarci e ripigliare pieno possesso di noi e di Dio; tutto il tempo necessario, quindi, per rivedere dove e perché avevamo lasciati brandelli di anima e di cuore, quando e perché non siamo stati interi colla nostra volontà, ma abbiamo peccato e trasgredito i propositi; tutto il tempo necessario per saziare l'anima nostra di Dio, per ripigliare la fiducia in Dio, la sicurezza di noi, la pace piena. Il consuntivo del bene e del male, i propositi e la confessione concludono il ritiro.

A questo raccoglimento è necessario dedicare qualche tempo al giorno, qualche giorno al mese, qualche mese all'anno, anche con ritorni alla vita per i nostri più stretti doveri. È questo il passeggio e la villeggiatura dell'uomo di Dio.

Tutte le altre attività passano in secondo ordine, perché nessuno può sostituire la gloria che dobbiamo a Dio, la vita che dobbiamo a noi, come nessuno può sostituirci nei pasti e nel sonno.

Il ritiro bisogna che produca un raccoglimento non solo momentaneo, ma permanente. Bisogna quindi uscire padroni dei propri pensieri e della propria volontà. Bisogna sublimare da ogni cosa il proprio pensiero e da ogni creatura il proprio cuore a Dio.

Bisogna conservare sempre il freno alla lingua, il controllo alle azioni, imbrigliandosi il meno possibile nelle cure mondane, parlando il meno possibile delle cose vane, non scattando mai né dinanzi all'offesa, né dinanzi all'ingiustizia, né dinanzi alla seduzione.

Bisogna essere interi dove si opera, come i saggi, come gli Angeli, come Dio stesso.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


lunedì 18 ottobre 2021

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


IL TEMPO

Il tempo è il susseguirsi del prima e del poi, cioè il divenire delle creature. In esso si fabbrica il nostro essere. Ultimato l'essere, comincia l'eternità, ossia la stabilità o la vita piena del medesimo.

Come di ogni albero Dio crea il seme, e ne destina la qualità ed il massimo sviluppo, che raggiungerà in pieno solo se si trova nelle circostanze più favorevoli di terra, di umidità e di calore; così di ogni uomo Dio crea il seme, sia naturale che soprannaturale e contemporaneamente ne destina la misura massima di sviluppo, di bellezza e di perfezione.

Tale sviluppo, bellezza e perfezione l'uomo poi raggiungerà sia in natura che nella soprannatura solo crescendo nelle circostanze più favorevoli.

Quando lo sviluppo si arresta in tutto o in parte l'uomo non raggiunge tutta la sua perfezione; se la deficienza è molta egli resta minorato.

Il completo sviluppo naturale l'uomo lo raggiunge quando non è turbato da malattie o disgrazie o fatiche eccessive e si nutre sempre adeguatamente; il completo sviluppo soprannaturale lo raggiunge vivendo sempre in grazia di Dio e compiendo per tutta la vita tutto il bene possibile.

Dio dà all'uomo di buona volontà il tempo necessario per raggiungere tutta la sua perfezione; non fa restare a metà per mancanza di tempo la perfezione di un santo.

Il tempo è il dono più prezioso di Dio; qualsiasi altro dono materiale, sia pure della terra intera e di tutti i piaceri possibili in terra, sarebbe nulla rispetto al dono del tempo.

Mentre infatti i doni materiali non aggiungono nulla al nostro essere e colla morte si debbono lasciare, il tempo invece ci dà la possibilità di divenire per tutta l'eternità più belli, più sensibili, più intelligenti e più potenti. Queste qualità ci renderanno più capaci di possedere l'infinito Iddio ed il Corpo Mistico di Gesù, più amanti, più amati e più felici per l'eternità.

Se qualcuno ti offrisse un miliardo di lire o un minuto di tempo, tu senza la minima perplessità dovresti scegliere il minuto, perché il miliardo nulla aggiunge a te stesso e colla morte devi lasciarlo, mentre nel minuto puoi accrescere sensibilmente te stesso con atti soprannaturali.

Non c'è persona più stolta di colui che perde il tempo.

 

Il tempo e noi

Il tempo ci è dato per la formazione del nostro essere.

Possiamo crescere in su come l'albero, in giù come le radici o non crescere affatto e restare in letargo. Nel primo caso cresciamo verso il Paradiso, nel secondo verso l'inferno, nel terzo restiamo senza infamia e senza lodo ma non sfuggiamo per questo alla condanna, come non la sfuggì il servo infedele che andò a nascondere il talento ricevuto invece di trafficarlo.

La crescita in su vien data dal buon uso del tempo, la crescita in giù dal mal uso del tempo, il letargo dallo spreco del tempo.

 

1) Spreco del tempo: letargo. - Il tempo si spreca tutte le volte che si vive in stato di peccato mortale perché allora non si guadagna merito da nessuna opera buona, e tutte le volte che non si dirige a Dio la propria attività.

I santi desiderano un altro minuto di vita terrestre per accrescere la gloria di Dio e la loro felicità; i dannati desiderano un minuto di tempo per potersi pentire e salvare; gli stolti sprecano giorni, mesi ed anni in mille cose inutili: costoro sono come dei miserabili che muoiono di fame inseguendo tutto il giorno delle farfalle, mentre vanno continuamente calpestando diamanti.

Quando non si vive e non si opera per Iddio il tempo è perduto.

Molti vivono soprannaturalmente solo alcune ore al giorno - il tempo della Messa e delle altre preghiere -; moltissimi altri solo cinque minuti al giorno - il tempo di qualche preghierina mattina e sera -, moltissimi ancora niente addirittura. Sommando il tempo vissuto soprannaturalmente tanti, dopo una lunga vita si trovano ad esser vissuti solo alcuni anni, altri alcuni mesi, altri alcuni giorni, altri qualche ora, l'ora della morte in cui si sono convertiti.

Quanto più si è vissuti soprannaturalmente tanto più ci si è sviluppati e tanto più si sarà felici. La maggior parte degli uomini hanno in cielo la felicità dei bimbi.

 

2) Cattivo uso del tempo: crescita a rovescio. - Ci sono al mondo degli sventurati la cui crescita è solo crescita di malanni e di dolori. Possiamo dire che crescono a rovescio: il loro occhio va diventando sempre più sensibile ed insofferente alla luce, il loro stomaco sempre più irritabile, i loro organi sempre più dolenti, i loro nervi sempre più tormentosi, fino al punto che la loro vita diventa un inferno. A costoro assomigliano i peccatori che vivono sempre peccando: ad ogni peccato si accresce la loro sensibilità e la loro capacità fisica e psichica di soffrire, e la loro vita si riduce ad una continua crescita a rovescio, verso l'inferno e verso un'eternità sempre più tormentata.

Iddio, che premia ogni nuovo atto soprannaturale castiga ogni nuovo peccato con un aumento di tormenti eterni e deve per forza far così perché è giustizia infinita.

 

3) Buon uso del tempo: crescita. - La felicità e l'infelicità eterna innanzi tutto stanno in noi, nella nostra costituzione, come nella vita naturale la salute e la malattia, la serenità e la disperazione.

È questo il motivo per cui, pur operando nello stesso luogo, l'angelo è beato, il demonio è tormentato; l'uno gode delle creature, l'altro ne soffre, l'uno sperimenta la bellezza di Dio, l'altro la sua giustizia.

La felicità sorgerà dalla nostra armonia e perfezione, l'infelicità dalla nostra disarmonia ed imperfezione.

L'unica cosa che importa e per cui siamo al mondo è di crescere in su, cioè in perfezione.

Vivi sempre in grazia; impiega sempre bene il tuo tempo; fa sempre qualche cosa: prega, lavora e leggi. I ritagli di tempo impiegali in giaculatorie e nella recita di Ave Maria.

Mai il demonio ti trovi ozioso. Invece che riposare nell'ozio, riposa cambiando occupazione: dopo un lavoro mentale, un lavoro materiale e viceversa; dopo un lavoro impegnativo, un lavoro molto leggero.

Accorcia le visite e le chiacchiere, elimina le letture inutili.

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO


lunedì 30 agosto 2021

L'UOMO E LE SUE TRE ETA’

 


SECONDA ETA’


Caratteristiche

In questa seconda età si ama Dio per sé stesso e per noi. Lo si ama, cioè, per essere felici, ma felici in lui. Questo desiderio della nostra felicità non solo non è immorale, ma neppure è imperfetto e egoista.

Così non è egoista, anzi è un ottimo sposo, colui che ama la sposa, cerca di non dispiacerla mai, le è fedele e vuole essere felice con lei. Sarebbe cattivo se la offendesse; sarebbe egoista se pensasse solo a sé, ai suoi piaceri e divertimenti, senza curarsi dei desideri e delle sofferenze della sposa.

In questa seconda età comincia l'amore perfetto verso Dio; si comincia a cercare decisamente di piacergli, di dargli gloria e a desiderare il Paradiso per quello che veramente è, cioè l'amore ed il godimento eterno di Dio e del Corpo Mistico di Gesù.

I. UMILTA’: NASCONDIMENTO

Volendo crescere nella perfezione è necessario progredire nella verità, ossia nella conoscenza di noi. Si comincia ora a capire che noi siamo proprio nulla, anzi peggio del nulla, perché il nulla non pecca e noi pecchiamo.

Ci andiamo accorgendo quanto siamo deboli, quanto facilmente cadiamo in peccati veniali, quanta propensione abbiamo per il peccato mortale: andiamo sempre più scorgendo in noi rigurgiti di sensualità, tentazioni, irritazioni, insincerità, disobbedienza e insipienze di comando, mancanze di carità, di retta intenzione, superbia, indifferenza alla gloria di Dio e al bene del prossimo, ecc.

Molte volte sono vere mancanze, ma il più spesso sono moti: in ogni caso ci fanno constatare quale abisso di miseria noi siamo e ci fanno sinceramente dispiacere quando altri manifestano un più alto concetto di noi.

Con ragione De Mestre disse: « Il cuore di un galantuomo è un abisso di mostruosità ».

Cominciamo parimenti a conoscere meglio le nostre buone qualità: desiderio di bene, onestà e amore verso Dio e il prossimo, ripugnanza al male, ecc.; ci accorgiamo però quanto esse dipendano da naturale inclinazione, buona educazione ricevuta, ambiente frequentato, ispirazione, ecc.

Questo riconoscimento della miseria nostra e di tutte le cose umane di contro all'unica realtà dell'essenza di Dio e dei valori soprannaturali genera in noi:

a) Basso, cioè giusto concetto dello stato nostro. - Sarebbe un'insigne stoltezza insuperbirci. Infatti perché insuperbirci? Per i nostri peccati? Per le nostre virtù? E che meraviglia c'è se ne abbiamo qualcuna, dopo che siamo stati innestati in Gesù! La meraviglia sarebbe che l'innesto non facesse frutto. Allora sarebbe tagliato, come il fico sterile, e gettato nel fuoco.

Invece di fermarci a considerare le nostre virtù, piccole, difettose e misere rispetto a quelle dei santi, dobbiamo preferire di considerare la nostra miseria. « Chi crede di stare in piedi, ci avverte S. Paolo, veda di non cadere » (1 Cor. 10,12).

Non c'è peccato che fa un uomo, che non possa fare un altro uomo. Chi presume delle sue forze è prossimo a cadere come S. Pietro. L'umiltà scongiura i pericoli. Infatti Dio preserva dalle cadute coloro che a lui ricorrono per essere preservati.

b) Ripugnanza a riflettere su di noi perché il bene che andiamo facendo è da Dio. È quanto mai pericoloso riflettere sul filo del nostro discorso, sulla bontà di una nostra preghiera e azione e contemporaneamente compiacercene. Simile sguardo ci fa venire le vertigini, ci toglie il sostegno di Dio e ci fa affondare come S. Pietro sulle acque.

c) Rettitudine d'intenzione. - Non c'è cosa più stolta che pregare, far opere di carità, di penitenza e d'apostolato per farsi ammirare; non si ha nulla dagli uomini, né da Dio.

Almeno gli stolti che fanno altri peccati hanno qualche cosa: i lussuriosi hanno i piaceri della carne, i golosi quelli del palato, gli avari hanno i denari, ecc. I superbi, invece, non hanno nulla, proprio nulla; parole di lode che si perdono al vento, sguardi sterili di ammirazione, ricordo che svanisce subito. Quand'anche si lascia un nome celebre a che vale?

Che se ne fanno le anime di Cicerone, di Omero, di Virgilio, di Tacito del ricordo degli studenti? Che se ne fanno le anime di Augusto, di Dante, di Goethe delle loro statue?

Il sapiente fa tutto per Dio che tutto vede e di tutto ricompenserà. Lo stolto fa le cose per gli uomini e praticamente perde interamente energie e sacrifici di tutta una vita.

Se, pregando e facendo un'opera buona, ti sopraggiunge un pensiero di vanità e di superbia scacciale subito e rettifica l'intenzione, senza però tralasciare l'azione. « O Signore, è solo per te che faccio questo ».

d) Nascondimento. - Le anime, come le boccette delle essenze, mantengono il loro profumo solo se stanno chiuse. Il silenzio, il raccoglimento, il nascondimento sono le doti principali di un'anima perfetta.

Qualche volta qualcuna di esse ci passa vicina o forse anche ci vive vicina per lunghi anni senza accorgercene; ci accorgiamo di essa solo dopo che è morta. Tanti santi non vengono conosciuti neppur dopo la morte.

La maggior parte degli uomini, invece, strombazzano o almeno cantano in sordina il bene che fanno, come le galline dopo aver fatto l'uovo; qualcuno allora porta via il merito.

Gesù ci avverte: « Guardatevi di fare la vostra elemosina al cospetto degli uomini per essere da loro ammirati; altrimenti non avrete premio dal Padre mio che è nei cieli. Quando tu dunque fai l'elemosina non far suonare la tromba dinanzi a te, come fanno gl'ipocriti nelle sinagoghe e nelle piazze per essere onorati dagli uomini: in verità vi dico che essi hanno ricevuto la loro ricompensa. Ma quando tu fai l'elemosina la tua sinistra non sappia quello che fa la tua destra; affinché la tua elemosina si faccia in segreto ed il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando pregate non fate come gl'ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini; in verità vi dico: hanno ricevuto la loro ricompensa.

Tu invece, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, prega il tuo Padre in segreto; e il Padre tuo che vede nel segreto, ti ricompenserà.

E quando digiunate non fatevi tristi, come gl'ipocriti: essi si sformano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano; in verità vi dico che essi hanno ricevuto la loro ricompensa.

Tu invece quando digiuni ungiti il capo e lavati la faccia affinché non apparisca agli uomini che digiuni, ma solo al Padre tuo che vede nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà » (Mt. 6).

ILDEBRANDO A. SAN-ANGELO