L'ARALDO DEL DIVINO AMORE
Il Signore per stabilire la sua dimora nell'anima di Geltrude, l'aveva adornata di virtù fulgide come stelle. Fra tutte primeggiava l'umiltà, sorgente vera di ogni grazia
e custode di tutte le virtù. Geltrude infatti si stimava così indegna dei doni di Dio, da non poter rassegnarsi a usufruirne ella sola; le pareva anzi di essere un canale destinato, nei misteriosi disegni della
Provvidenza, a trasmettere agli eletti i divini favori. Non soltanto si dichiarava indegna di tali grazie, ma affermava che non avrebbero affatto fruttificato, se non partecipandole al prossimo con parole e con scritti.
La cara Santa ardeva di tale amore di Dio, e di un si grande disprezzo di se stessa che soleva ripetere: « Quand'anche dopo la mia morte dovessi subire i tormenti dell'inferno,
come merito, mi resterà una consolazione, cioè il pensiero che altri, leggendo i miei scritti, loderanno il mio Dio; « che le sue grazie sterili in me, produrranno frutti di benedizione in altri ».
La sua umiltà era così convinta da sembrare che le divine grazie, affidate alla più miserabile delle umane creature, dessero maggior rendimento che nella povera anima sua; perciò accoglieva, di
momento in momento, tali favori per parteciparli al caro prossimo, come se li ricevesse proprio solo per quell'unico motivo. Giudicandosi con la severità dei Santi ella si considerava come l'ultima di coloro
di cui il Profeta ha detto: « Omnes gentes quasi non sint, sic sunt coram eo: Tutte le nazioni sono davanti a lui come se non esistessero » (Isaia XL, 17). E più avanti: « Quasi pulvis esxiguus: Come
un granello di polvere ». Come un po' di polvere nascosta sotto una piuma o qualsiasi altro oggetto, è preservata da quella leggera ombra dai raggi solari, così Geltrude si celava per sfuggire l'onore
che poteva esserle prodigato, per le grazie sublimi di cui era favorita. Persuasa della sua indegnità ed ingratitudine ella, accogliendo i divini favori, ne rinviava tutta la gloria a Colui la cui ispirazione previene
coloro che chiama, ed il cui soccorso accompagna coloro che giustìfica. Pure, come già dicemmo, l'ardente brama dell'onore di Dio, la spingeva a rivelare le bontà del Signore a suo riguardo, e
bene spesso precisava la sua intenzione con queste parole: « E' giusto che Dia raccolga nel prossimo il frutto dei benefici che ha accordato a me, che ne sono tanto indegna ».
Un giorno, durante una passeggiata, ella si confidò col suo Dio, sentendo un profondo disprezzo per se stessa: « Ah, mio Dio, il più grande de' tuoi miracoli
è che la terra sostenga una peccatrice come sono io ! ». Ma Gesù, ch'esalta coloro che si umiliano, rispose tosto con bontà: « E' ben giusto che la terra ti sorregga, poichè
perfino il cielo, nella sua magnificenza, aspetta con ansia gioiosa l'ora felice in cui avrà l'onore di possederti! ». Oh, ammirabile dolcezza della divina bontà, che si compiace di glorificare
un'anima in proporzione della sua umiltà!
Una delle sue particolari industrie era quella di non lottare direttamente contro le tentazioni di orgoglio. Quando, durante la preghiera, o mentre compiva qualche opera buona,
era assalita da pensieri d'amor proprio, continuava l'atto iniziato, dicendo fra sè: « Purtroppo a tutte le mie miserie s'aggiunge anche la superbia: mi rimane però una consolazione: forse,
vedendomi operare il bene, qualche anima si sentirà spinta ad imitarmi e il buon Dio ne sarà glorificato ».
Nel suo ingenuo modo di pensare ella si considerava nella Chiesa di Dio, come uno di quegli spauracchi che si mettono sugli alberi al tempo del raccolto, per allontanare gli uccelli
e salvaguardare i frutti.
Ne' suoi scritti Ella ci ha lasciato valide prove della sua dolce, fervente divozione: Dio stesso, che scruta le « reni e cuori » (Ps. VII, 10) si degnò di
confermarne la realtà. Un uomo piissimo, animato un giorno da grande fervore, intese queste parole dal Signore: « La consolazione che t'allieta in quest'istante, riempie spesso l'anima di Geltrude
nella quale ho posto la mia dimora ».
Il sommo disgusto ch'ella provava dei piaceri effimeri del mondo attesta meravigliosamente la dolcezza e la gioia che ella godeva nel suo Dio, perchè, come afferma S.
Gregorio: « Ciò che è carnale non ha nessuna attrattiva per coloro che gustano le cose dello spirito ». E S. Bernardo aggiunge: « Chi ama Dio prova noia in tutto, tranne che nel godimento dell'unico
oggetto delle sue brame ».
Un giorno, in cui Geltrude si sentiva come oppressa da tale disgusto riguardo alle gioie umane, esclamò: « Non c'è nulla sulla terra che ormai mi piaccia,
se non Tu, o mio dolcissimo Signore! ». E Gesù di rimando: « Anch'io non trovo nè in cielo, nè sulla terra delizia alcuna senza di te, perché, nell'immenso mio amore, ti ho associata
a tutte le mie gioie, in tal modo che non goda alcuna dolcezza se non con te: quanto maggiore poi è la mia gioia, tanto più grande è il frutto che tu ne ricavi ». E' lo stesso pensiero di San
Bernardo: « L'amore del Re esige la giustizia, ma l'amore dello Sposo vuole la tenerezza e la fedeltà » (Predica LXXXIII, 5 sul Cantico dei cantici).
Geltrude era molto assidua alle veglie e alle ore regolari di preghiera, a meno che ne fosse impedita dalla malattia, o da opere d'apostolato, a vantaggio del prossimo.
Siccome poi il Signore l'inebbriava di sua dolce presenza, Ella bene spesso prolungava i suoi trattenimenti spirituali per ore ed ore, con un ardore che superava le sue forze
naturali. Osservava diligentemente le costumanze dell'Ordine che riguardavano la salmodia in coro, i digiuni, il lavoro in comune, e si dispensava con grande dolore da tali osservanze, che formavano la sua delizia. Ben
a ragione S. Bernardo dice: « Chi una sola volta ha gustato le dolcezze della carità, si assume con gioia qualsiasi peso e fatica».
Il distacco del suo spirito da tutto il creato era così grande che non poteva sopportare, neppure per un attimo, cosa alcuna che fosse contraria alla rettitudine della sua
coscienza. Un amico della nostra Santa chiese un giorno a Gesù, durante la preghiera quale disposizione Gli piacesse di più nell'anima della sua eletta Sposa. E Gesù rispose: « La libertà
del cuore ». Ne fu deluso l'interlocutore, sembrandogli quella qualità di valore assai ridotto. « Credevo - aggiunse - che Geltrude fosse giunta ad un'altissima intelligenza dei vostri misteri e
che possedesse un amore immenso ». « Ed è proprio così - affermò il Salvatore - perchè tali doni sono il risultata della libertà del cuore. Questa disposizione conduce alla più
alta santità. Geltrude ad ogni istante è disposta a ricevere i miei doni, perchè non sopporta nell'anima sua nessuna cosa che possa frapporre ostacolo alla mia azione».
Conseguenza di questa libertà di spirito era la scioltezza e il distacco da ogni bene creato; la fedele sposa di Gesù non voleva cosa nella sua cella che non le fosse
indispensabile. Quando riceveva qualche dono, subito chiedeva il permesso di distribuirlo al prossimo, avendo gran cura di favorire i poveri e di preferire i nemici agli amici.
Se doveva fare, o dire qualche cosa, si disimpegnava tosto per tema che la minima preoccupazione potesse turbarla nel divino servizio e menomare la sua assiduità alla contemplazione.
Il Signore stesso degnò rivelare il suo divino compiacimento per tale condotta, a S. Matilde. Le apparve seduta su d'un trono magnifico. Ai piedi di questo trono Geltrude
andava in varie direzioni, ma il suo sguardo non si toglieva mai dal Volto di Gesù, attentissima com'era a raccogliere le minime indicazioni del suo sacratissimo Cuore. E. a S. Matilde, ammirata da questo spettacolo,
il Salvatore disse: « Ecco qual'è la vita di Geltrude. Ella cammina dinanzi a me, senza perdermi di vista un solo Istante, nell'unica preoccupazione di compiere la volontà del mio Cuore. Appena
le è dato conoscerla su di un punto, l'eseguisce all'istante con meravigliosa premura, e spinge lo sguardo più oltre per intuire gli altri miei desideri, e soddisfarli immediatamente. Così l'intera
sua vita è consacrata alla mia lode e gloria ». « Ma se è così - obbiettò Matilde - donde viene ch'ella giudica con tanta severità i difetti e le negligenze delle consorelle?
». Il Signore rispose con bontà: « Siccome Geltrude non può sopportare la minima macchia sull'anima propria, così non può tollerare, con indifferenza, i difetti del prossimo ».
L'unica preoccupazione di Geltrude era di piacere a Gesù; riguardo agli abiti ed agli oggetti adibiti a suo uso, ella si accontentava dello stretto necessario, senza
mai permettersi alcuna ricerca, o delicatezza. Se preferiva i libri della sua cella, la tavoletta sulla quale scriveva, o i libri che facevano maggior bene alle consorelle era perchè le servivano più di altri
a far conoscere e amare Gesù.
Dimenticando affatto se stessa per non vedere che il suo amato Signore riferiva a Lui l'uso delle cose create, rallegrandosi perchè le sembrava, con quell'atto, di
presentare un'offerta sull'altare di Dio, di distribuirla in carità. Quindi ella usava con gioia del nutrimento, del riposo, o di qualsiasi altro ristoro, perchè pensava di dare quel sollievo a Gesù,
che scorgeva presente nel suo cuore, come pure mirava se stessa presente in Lui, secondo il detto evangelico: « Quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis: Quello che avrete fatto al minimo de' miei, l'avrete
fatto a me stesso » (Matt. XXV, 40). Con logica stringente ella, considerandosi l'ultima e la più vile delle creature, intendeva accordare a Gesù quello che prendeva ella stessa. Il divin Salvatore
si degnò manifestarle quanto quest'intenzione gli fosse cara. Un giorno, afflitta da un forte male di capo, aveva cercato sollievo mettendo in bocca alcune erbe odorose. Il Signore parve inchinarsi con bontà
verso la sua Sposa e prendere lui stesso ristoro in quei profumi; dopo d'averne aspirato soavemente la fragranza, si rizzò e, raggiante di soddisfazione per la gloria ricevuta in quell'atto, proclamò
davanti all'assemblea de' Santi: « Oggi ho ricevuto dalla mia Sposa un dono stupendo ». Geltrude tuttavia era ancora più felice, quando poteva tributare al prossimo le sue carità; allora brillava
in volto la gioia dell'avaro che, invece di una moneta sola, riceve cento marchi.
Con semplicità deliziosa Ella voleva che tutto le venisse come in dono da Gesù; quando doveva scegliere questa, o quella cosa, sia vesti, sia cibo, chiudeva gli occhi
e tendeva la mano, ricevendo il primo oggetto che le capitava, persuasa che le fosse presentato dal suo Dio; l'accettava poi con tale gratitudine, come se proprio il Signore glielo avesse offerto personalmente, punto badando
se quella cosa fosse più o meno di suo gusto.
Il suo nobile cuore provava tanta gioia in questo caro esercizio, che bene spesso esprimeva il suo rammarico, pensando che i pagani e gli ebrei non avevano la consolazione di entrare
in continuo, dolce commercio con Dio.
Geltrude aveva pure in sommo grado la virtù della discrezione: quantunque assai colta nella S. Scrittura, tanto che moltissimi le chiedevano consigli, ritornandosene poi
rapiti per la sua rara prudenza, pure, quando si trattava della sua personale direzione, cercava consigli perfino a' suoi inferiori, li ascoltava con umile deferenza e, quasi sempre, abbandonava le proprie idee per seguire
quelle degli altri.
Ci sembra ormai superfluo dimostrare come ciascuna virtù particolare brillasse in Geltrude di vivo splendore: l'obbedienza, la mortificazione, la povertà, la prudenza,
la fortezza, la temperanza, la misericordia, la carità, fraterna, la costanza, la gratitudine, la gioia del bene altrui, il disprezzo del mondo e molte altre ancora, giacchè abbiamo visto che essa possedeva in
alto grado la discrezione, chiamata la madre di tutte le virtù (Regola di S. Benedetto, cap. LXIV).
Aveva pure quell'ammirabile confidenza, base della vita cristiana, a cui Dio nulla rifiuta, tanto più quando si tratta di beni spirituali; anche la nobile umiltà
aveva gettato nell'anima sua, come abbiamo visto, profonde radici. Parlando della sua carità verso Dio e verso il prossimo, abbiamo provato che tale virtù, regina delle regine, aveva stabilito in essa il
suo trono, irradiando, anche esteriormente, riflessi di misericordiosa bontà. Ometteremo quindi di descrivere dettagliatamente com'ella praticasse tale virtù, quantunque avremmo modo di citare un numero grande
di fatti che sorpassano quelli già esposti, e che sono di tale natura da deliziare il devoto lettore. Il fin qui detto però basta per provare che Geltrude fu uno dei cieli nei quali il Re dei re si degnò
abitare, come su d'un trono tempestato di stelle.
RIVELAZIONI DI S. GELTRUDE