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sabato 30 marzo 2024

SULLA PREGHIERA

 


Preghiera di conclusione 

 

Quale preghiera di conclusione, presentiamo una breve sintesi del commentario sul Salmo 62.1-3 con cui il R.P. Dom Jean de Monléon OSB conclude il suo trattato sull’orazione, su cui ci siamo particolarmente appoggiati in questo libro. 

Questa preghiera può esprimere lo slancio dell’anima verso Dio nella pratica della presenza di Dio, o in qualsiasi tipo di preghiera; per esempio, quando si entra in chiesa, soprattutto per adorarLo; più generalmente, essa rappresenta il movimento verso Dio dell’anima, che è stata creata per Lui e per Lui solo: il movimento di tutta la nostra vita verso Iddio, movimento che sarà consumato nella nostra unione definitiva a Lui in cielo.   

 

 ‘Deus, Deus meus, ad Te de luce vigilo’: Dio, Dio mio, Voi che siete Dio per essenza, ma che siete anche il mio Dio, poiché il mio cuore Vi ha scelto come l’unico oggetto del suo amore: verso di Voi il mio spirito veglia dallo spuntare del giorno. Il mio primo pensiero non è per il mio lavoro, né per il mio piacere, né per le mie faccende: ma per Voi. 

‘Sitivit in Te anima mea’: tutta la mia anima ha sete di Voi e vuol bere alla fonte della Vostra Sapienza, del Vostro Amore, e della Vostra Santità. Inoltre la mia carne anela a Voi in mille modi: ‘quam multipliciter Tibi caro mea!’. Tutte le pene, tutte le scomodità che essa sopporta quaggiù, la fanno gridare verso di Voi, perché sente che non può trovare il suo riposo su questa terra, per quanto si sforzi di condurre una vita perfetta quaggiù. 

‘In terra deserta, invia, et inaquosa’: l’anima non sa cosa divenire in questa terra deserta, in questa terra senza cammino, perché non c’è altra uscita da essa se non Colui che è la Via, la Verità, e la Vita; in questa terra senza acqua, perché non c’è niente qua che possa soddisfare la sete del cuore umano. Non sapendo dunque cosa divenire in questo deserto, ‘sic in Sancto apparui Tibi’: mi sono ritirato in questo santuario intimo, in questa cella di orazione che è il mio cuore, e là sono comparso davanti a Voi. 

‘Ut viderem virtutem tuam et gloriam tuam’. E Voi Vi siete degnato di abbassare su di me la luce del Vostro Volto, affinché io potessi contemplare la Vostra potenza e la Vostra gloria: quella potenza che Vi ha permesso di far uscire tutte le cose dal nulla e tra queste cose anche me, misero peccatore; e quella gloria per mezzo della quale Voi oltrepassate infinitamente tutte le creature, e tutto ciò che lo spirito dell’uomo può concepire di bello, di buono, e di ogni genere di perfezione. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

martedì 8 agosto 2023

SULLA PREGHIERA

 


La Pratica della Presenza di Dio 

 

La pratica della presenza di Dio è una forma di preghiera che si compie nel corso di tutte le attività della vita. In quanto ha come oggetto la presenza di Dio, in quanto è semplice come preghiera, e richiede sforzo da parte del soggetto, è, secondo la definizione che abbiamo offerto sopra, una forma di contemplazione attiva. 

 

          a)  Modi della Presenza Divina 

Questa pratica si giustifica teologicamente col fatto della presenza di Dio in ogni luogo e nell’anima in particolare. Dio è presente in ogni luogo in tre modi: mediante la Sua Potenza, mediante la Sua Conoscenza, e mediante la Sua Essenza. Lui è Onnipresente mediante la Sua Potenza perché ogni cosa è sottomessa al Suo dominio; Lui è Onnipresente mediante la Sua Conoscenza perché ogni cosa è aperta ai Suoi occhi; e Lui è Onnipresente mediante la Sua Essenza in quanto è la causa dell’esistenza di ogni cosa ed è presente in ciò che c’è di più intimo in ogni cosa: cioè nel suo essere.  

Quanto a questo ultimo modo di onnipresenza, si può dire che Dio esiste in ogni cosa o, più giustamente, che ogni cosa esiste in Dio, perché Dio possiede la realtà più grande o piuttosto è l’unica realtà. ‘In ipso enim vivimus, movemur, et sumus’ (Atti degli Apostoli 17).  

Ma oltre ad essere presente in questo modo naturale, Dio è pr esente nell’anima anche in modo sovrannaturale quando essa è nello stato di Grazia. Questa presenza è nientemeno che la dimora della Santissima Trinità nell’anima, come dice il Signore nel Vangelo di san Giovanni (14.23): ‘Se uno Mi ama osserverà la Mia parola e il Padre Mio lo amerà e Noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’. 


b)  La natura di questa pratica  

La presenza di Dio in ogni luogo, e soprattutto nell’anima in istato di Grazia, costituisce la base della pratica della presenza di Dio. Questa pratica consiste in un rapporto con Dio di conoscenza e amore. Così Dio diviene presente all’anima anche in quanto conosciuto ed amato: come ‘Conosciuto nel conoscente ed Amato nell’amante’. 

La pratica consiste in un’‘attenzione’ verso Dio, un’‘attenzione affettuosa’ verso Dio o ‘una vista semplice ed affettuosa’ di Lui. Per mantenere questa attenzione in modo costante possono servire strumenti di mortificazione come il cilizio, ma solo su consiglio del padre spirituale. 

Nel caso dell’attenzione semplice, si tratta unicamente di un’atto costante di volontà, che nel caso dell’attenzione affettuosa è informato da affetto o desiderio. Sant’Agostino, commentando la parola del Salmo: ‘Signore, tutto il mio desiderio è davanti a Voi’, scrive: ‘Il vostro desiderio è la vostra preghiera; ed un continuo desiderio rende la preghiera continua. In effetti, non è invano che l’Apostolo ci dice di pregare incessantemente. Pieghiamo le ginocchia, o leviamo le mani senza posa? La preghiera fatta in questo modo, senza interruzione, è cosa impossibile. Ma c’è un’altra preghiera interiore, che è il desiderio. Se non volete cessare di pregare, non cessate di desiderare: il desiderio è un linguaggio continuo. Voi non direte nulla, se cessate di amare. La fiamma dell’amore è il grido del cuore. Se l’amore arde sempre, voi gridate sempre, sempre desiderate’. 

San Giovanni della Croce (Cantico Spirituale, strofa 11) parla di quella presenza sovrannaturale di Dio che suscita nell’anima l’affetto spirituale, e spiega come in numerose anime devote Dio fa sentire la Sua presenza in molte maniere, ricreandole e recando loro diletto e gioia. 

Vediamo dunque come la pratica della presenza di Dio si possa compiere sempre, in conformità all’invito del Signore di pregare sempre. Questo viene espresso in una riga di poesia della Beata Elisabetta della Santa Trinità: ‘Car mon coeur est toujours avec Lui’ (‘poiché il mio cuore è sempre con Lui’); e viene espresso altrettanto bene nella vita del frate Lorenzo della Resurrezione, carmelitano, che poteva godere sempre della presenza del Signore come se fosse davanti al tabernacolo anche durante i suoi lavori rumorosi nella cucina del convento. Questo frate, infatti, ha reso famosa la pratica nel suo libro sulla presenza di Dio. 

 

c)  Tratti particolari 

La pratica della presenza di Dio si caratterizza per la semplicità, l’interiorità, il silenzio interiore, e il raccoglimento. 


i)  La Semplicità 

Essendo un tipo di preghiera contemplativa, questa pratica è semplice per sua natura. Dice Bossuet: ‘La perfezione di questa vita consiste nell’unione al nostro Bene sovrano; e più grande è la semplicità, più perfetta è anche l’unione. È per questo che la Grazia sollecita interiormente coloro che vogliono essere perfetti a semplificarsi, per rendersi capaci infine di godere dell’Uno necessario, cioè l’Unità Eterna; diciamo dunque spesso dal fondo del cuore: O unum necessarium! Unum volo, unum quaero, unum desidero, unum mihi est necessarium, DEUS meus et omnia!... Bisogna dire che questa vera semplicità ci fa ‘vivere in una morte continua ed in un perfetto distacco, in quanto ci fa andare a Dio in modo perfettamente diretto e senza fermarci su alcuna creatura… tramite una grande purezza di cuore ed una vera mortificazione e disprezzo di noi stessi’ (Bossuet). 

 

ii)  L’Interiorità 

La pratica coinvolge un movimento verso l’interiore. Il principio che governa questo movimento è: ‘quanto possibile verso l’interiore e quanto necessario verso l’esteriore’. A questo riguardo, si osservi che più lontano si è dal centro, più forti sono le forze centrifughe; e più vicino si è al centro, più forti le forze centripete. 

Sant’Alberto Magno scrive: ‘Salire ver so Dio significa rientrare in sé stessi… Dobbiamo dunque liberare e proteggere il nostro cuore dalle distrazioni del mondo, ricondurlo alle gioie intime, per fissarlo infine nella luce della contemplazione divina. Vita e riposo del nostro cuore è dimorare in Dio, sostenuti dall’amore e dolcemente vivificati dalla divina consolazione… Il salire fino alla visione misteriosa della Santissima Trinità nell’Unità, dell’Unità nella Trinità per mezzo di Nostro Signore Gesù Cristo, è più ardente nell’anima a misura che la forza d’ascensione le è più intima; e più vantaggioso a misura che la Carità la rende più concreta. Nel mondo dell’esperienza spirituale non c’è nulla di più elevato di ciò che è più intimo’. 

San Pier Giuliano Eymard osserva nel suo libro L’Eucarestia e la Vita Cristiana, nel capitolo sulla vita d’unione con Dio: ‘Vivete intieramente con largo respiro in Dio. Questa sola intimità divina è vera vita. La vita esteriore è un vero indebolimento per la nostra virtù già debole. È chiaro che la radice della vite è la forza dell’albero, ma osservate com’è nascosta e come lavora nel silenzio e nella pace. Ora procurate seriamente di divenire interiori, cioè di vivere in Dio, lavorando in unione con Lui, sentirvi in Lui felici’. 

 

iii)  Il Silenzio interiore  

Un tratto essenziale dell’interiorità è il silenzio. Si distinguono due tipi di silenzio: un silenzio interiore ed un silenzio esteriore, anche se tutti e due si condizionano vicendevolmente. Il silenzio interiore è il silenzio delle facoltà dell’anima: delle facoltà intellettuali della ragione, della volontà, e della memoria; e poi delle facoltà sensitive come l’immaginazione e l’appetito sensibile. Tutte queste facoltà devono tacere, cioè devono essere private dei loro oggetti naturali. La ragione cessa di ragionare sulle cose create, la volontà cessa di desiderarle, la memoria cessa di ricordarle, l’immaginazione cessa di operare, e i sensi cessano di ricercare le loro proprie soddisfazioni.  

Questo silenzio non è un silenzio vuoto però, con queste facoltà aventi il nulla come oggetto (come pretendono i Buddhisti), poiché il nulla non esiste; ma, piuttosto, staccandosi dal creato intiero, si attaccano, fino al grado possibile, a Dio Stesso. L’intelletto si attacca alla Fede, la volontà alla Carità, e la memoria cede alla Speranza, mentre le tre facoltà sensitive dell’anima dormono. ‘O quante cose s’imparano in questo dolce sonno di silenzio interiore in cui l’anima si riposa in Gesù’ dice san Pier Giuliano Eymard nel capitolo sovracitato.  

Il brano seguente, scritto da padre Cornelio a Lapide, si può applicare al silenzio sia interiore sia esteriore: ‘L’acqua trattenuta s’innalza, dice san Gregorio; così l’anima silenziosa si leva in alto verso il cielo. L’acqua, lasciata libera, se ne va e si perde, così l’anima nemica del silenzio scorre qua e là dissipata, s’infiacchisce, svanisce, cade, si perde, e scompare. Chi non è difeso dal muro del silenzio, presenta la città dell’anima sua aperta alle incursioni del nemico; il quale tanto più facilmente la soggioga, quanto più ella con la sua loquacità lo aiuta a vincerla e prostrarla’. 

Scrive un autore spirituale che il silenzio interiore è indistinguibile dalla Presenza di Dio; e di fatti questo silenzio interiore ha un oggetto, e questo oggetto è Dio. San Giovanni della Croce scrive (Spunti di Amore 21): ‘Il Padre pronunciò una parola che fu Suo Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio: perciò in silenzio essa deve essere ascoltata dall’anima’. 

 

iv)  Il Raccoglimento  

Raccoglimento significa raccoglimento delle facoltà dell’anima in Dio e corrisponde al processo di far tacere le facoltà e farle riposare in Dio fino al grado possibile. San Pier Giuliano Eymard, nel capitolo citato, parla del raccoglimento abituale che consiste nel considerarsi ininterrottamente alla presenza di Dio e dice: ‘Evitate con cura la dissipazione dello spirito che è assai dannosa al cuore, perché l’anima che vuole essere dappertutto, divertirsi di tutto, preoccuparsi di mille inezie, lascia arido il cuore, privandolo dei buoni pensieri e allontanandolo dalla presenza di Dio: la fantasia è sempre all’opera per procurare distrazioni allo spirito’. 


d)  I Benefici della pratica 

Secondo Bossuet la pratica può rappresentare l ’intenzione (cfr. supra) di ogni nostra azione: ‘per ringraziare Dio per le grazie ricevute durante la notte e tutta la vita, per offrire sé stessi e tutte le azioni a Dio…’  

‘Poiché l’operazione di Dio è riposo’ , scrive lo stesso prelato, ‘l’anima Gli diviene in un certo qual modo simile in questa preghiera, e riceve pure effetti meravigliosi. Come i raggi del sole fanno crescere, fiorire, e fruttificare le piante, così l’anima che è attenta ed esposta in tranquillità ai raggi del Divin Sole di Giustizia, ne accoglie meglio le influenze, che la arricchiscono di ogni genere di virtù’.                                                                     

Per illustrare la dottrina della presenza di Dio, citiamo in conclusione un passo del Diario di santa Faustina (§ 887) che accenna, tra l’altro, all’importanza della Grazia di Dio e del silenzio: 

‘La vita nel momento attuale mi scorre in una silenziosa consapevolezza della presenza di Dio. Di Lui vive silenziosamente la mia anima e questa consapevole vita di Dio nella mia anima è per me sorgente di felicità e di vigore. Non cerco la felicità se non nel profondo della mia anima, in cui dimora Iddio; sono consapevole di ciò… Ho scoperto nell’anima la sorgente di felicità, cioè Dio. O mio Dio, vedo che tutto ciò che mi circonda è pieno di Voi, e soprattutto la mia anima, adornata della Vostra grazia. Comincio già a vivere di quello di cui vivrò nell’eternità. Il silenzio è un linguaggio così potente che raggiunge il trono del Dio vivente. Il silenzio è il Suo linguaggio, benché misterioso, ma potente e vivo’.  

Vediamo, in una parola, che la pratica della presenza di Dio è nient’altro che la parte interiore di quella ricerca della perfezione che è la vita spirituale: il distacco da tutto il creato e l’attaccamento a Dio solo. 

Padre Konrad zu Loewenstein 


venerdì 18 novembre 2022

SULLA PREGHIERA

 


Le Preghiere Giaculatorie 

La vita è come un corteo che passa. Dietro a questa grandiosa scena c’è Dio. Colle preghiere giaculatorie penetro questa scena magnifica che è il creato e raggiungo Dio. Là mi sta sempre aspettando: colle preghiere giaculatorie posso amarLo e unirmi a Lui. Un giorno, quando il lungo corteo, quando l’ultima parte del lungo corteo sarà passata, Lo vedrò come Egli è, e mi unirò a Lui in un’unione perfetta e stabile per sempre.  

Tramite la ripetizione costante di preghiere giaculatorie, l’anima si stacca dai pensieri frivoli ed inutili e si abitua progressivamente a mantenersi in contatto con le cose divine.  

I Padri del deserto avevano una predilezione speciale per il versetto: ‘ Deus in adiutorium meum intende’, particolarmente in momenti di prova, e ci sono molte altre giaculatorie come ‘Dio abbia misericordia di me peccatore’, o semplicemente la sola parola ‘Dio’ o ‘Gesù’ pronunciata interiormente con tutta la forza di cui è capace l’anima, in un atto d’unione della volontà a Dio, come abbiamo descritto sopra. Così in mezzo alle sue occupazioni, l’anima si sforza di tornare verso Dio mediante uno slancio cieco di amore; non considera in Dio nessuna distinta perfezione, ma solamente Lo considera come il suo Fine ed il suo Tutto, e si porta verso di Lui con l’intera potenza del suo affetto e con la generosità di un amore interamente disinteressato. 

Tali aspirazioni, tali desideri infuocati, sono il mezzo il più rapido per arrivare alla perfezione della Carità ed a questa unione continua con Dio, che è lo scopo della vita interiore. Là si stabilisce l’anima in Dio, nella pace profonda, e diviene invulnerabile agli inganni del demonio. Proverbi 1.17 dice: ‘È invano che si getta una rete davanti a coloro che hanno delle ali’. 

Comunque bisogna sapere che questa pratica è la più grande mortificazione che ci sia, almeno nella sua fase iniziale, perché l’anima non può darsi mai riposo. San Bonaventura dice che quando si è stanchi, si deve correre ancora più veloce e più forte, così si diviene più freschi e più aridi delle cime, si sceglie per il riposo di non riposarsi. In una parola, occorre un lavoro continuo per scartare tutte le frivolezze a cui lo spirito si è abituato a compiacere.  

Le preghiere giaculatorie fatte con assiduità hanno come effetto di portare il soggetto a quella preghiera più semplice e passiva, a quello stato continuo di preghiera che è la pratica della presenza di Dio. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

mercoledì 14 settembre 2022

SULLA PREGHIERA

 


PREGATE SEMPRE 

Lo scopo della via interiore è di fare di tutta la nostra esistenza una continua preghiera. Tale è l’insegnamento formale delle ‘Conferenze’ di san Giovanni Cassiano, maestro incontestato della dottrina ascetica. L’uomo non trova il suo equilibrio, non ristabilisce la gerarchia distrutta in lui dal Peccato originale se non quando pensa a Dio: questa è la sua vera felicità, come indica il salmista (Salmo 72): ‘Mihi autem adhaerere Deo bonum est’: ‘per me il bene è aderire a Dio’. Nostro Signore chiede lo stesso per noi al Padre Suo quando dice: ‘Affinché tutti siano uno, come noi siamo uno. Io in loro e loro in me, affinché loro siano consumati nell’uno’. Lo spirito umano, però, come abbiamo già notato sopra, è mobile, dunque deve ricorrere a mezzi particolari per fissarsi in Dio. Questi mezzi, come ci insegnano gli autori spirituali dal tempo dei Padri del deserto, sono gli atti interiori sotto la forma d’intenzione, di preghiere giaculatorie, di desiderio, e della pratica della presenza di Dio. 


1.  L’Intenzione 

Già molto tempo deve essere consacrato al nostro lavoro, ma il Signore ci dice esplicitamente in due passi già citati del Vangelo di san Luca che: ‘Bisogna pregare sempre, senza mai stancarsi’ (18.1), e ancora: ‘Vegliate e pregate in ogni momento’ (21.36). Possiamo concludere che anche il nostro lavoro deve essere trasformato in preghiera; per questo non c’è che un mezzo: vivificare ed animare ogni opera nostra con questa intenzione del cuore. Ora ci sono lavori insignificanti quanto al loro oggetto, ma che divengono di gran valore tramite questa anima vivificante che è la preghiera. Questo è il soldino della vedova, tanto ammirato da Nostro Signore, precisamente perché in questo piccolo corpuscolo metallico, un niente, c’era un’anima vivente. 

Sant’Alfonso scrive nella Pratica di amar Gesù Cristo: ‘La retta intenzione è quella celeste alchimia per cui il ferro diventa oro, le azioni cioè anche più banali – come lavorare, mangiare, riposare, concedersi un sollievo – fatte per Dio, diventano oro di santo amore. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi dava quindi per certo che quelli che operano sempre con retta intenzione vanno dritto in Paradiso, senza Purgatorio’. La stessa santa, in una visione dell’anima di san Luigi Gonzaga rivestita in cielo di una gloria uguale ai più grandi santi, esclamava: ‘Chi potrebbe esprimere il valore e la forza degli atti interiori di virtù!’

Nell’ufficio della Maternità della Santissima Vergine celebrato l’11 ottobre, la Chiesa applica alla Santissima Madre di Dio questo testo dei Proverbi (31.29): ‘Molte figlie hanno raccolto ricchezze, Voi le avete oltrepassate tutte’. Qui si tratta evidentemente delle ricchezze spirituali delle buone opere. Ma perché si dice che la Santissima Vergine ha oltrepassato tutte le altre anime in questo campo? Si può dire, infatti, che c’erano santi che hanno fatto delle opere più notevoli o più numerose di lei. Bisogna osservare, tuttavia, che ciò in cui la Santissima Vergine ha oltrepassato tutte le altre anime era l’intenzione sovranamente pura con cui ella svolgeva le sue più piccole azioni, mediante l’applicazione costante ed intensiva del suo cuore a Dio in tutto ciò che faceva. 

Abbiamo mostrato sopra che l’adorazione, il ringraziamento, e l’espiazione possono informare le nostre azioni come intenzioni. Lo stesso vale per le virtù sovrannaturali del timore, della speranza, e della Carità e di molte altre come l’ubbidienza e l’umiltà. Si osserva inoltre che si può compiere la stessa azione per più di un motivo: un religioso, ad esempio, può ubbedire al suo superiore per motivi di umiltà, di ubbidienza, di Carità verso Dio nella persona del superiore, per espiare i propri peccati etc. Ma l’intenzione la più alta e la più meritoria è senza dubbio quella della Carità. 

Ogni atto lecito di un agente in stato di Grazia viene ordinato a Dio dalla Carità, essendo la Carità la forma di tutte le virtù. Se, essendo in stato di Grazia, ordino la mia tavola per poter meglio utilizzarla a scrivere lettere per scopi buoni, se compro pane per poter sopravvivere un altro giorno, questi piccoli atti e tutti i miei atti, per quanto insignificanti essi possano sembrare, sono indirizzati verso il mio fine ultimo: la mia santificazione alla gloria di Dio. Sono meritori ed, in quanto virtuosi, sono anche caritatevoli.   

Ma la Carità in questione, per la maggior parte delle persone, sarà probabilmente solo virtuale. Per meritare di più, per pregare sempre, per perfezionarmi e santificarmi mentre agisco, occorre fare tutto per amore in modo consapevole. E più consapevole, più pura, più intensa, più fervorosa, più perfetta è questa intenzione, più meritoria sarà l’azione, e più amorevole, più santa, più perfetta la persona.  

Tra tutte le intenzioni con cui si può operare, la Carità è la più grande in quanto la Carità è la regina di tutte le virtù. Quando essa raggiunge la perfezione, che è la stessa santità, cerca unicamente la gloria di Dio ed il compimento della Sua Santissima Volontà, senza alcuna ricompensa. Non contiene più niente di umano, ma solo il desiderio della Volontà di Dio, per cui merita di essere chiamata ‘l’intenzione divina’. ‘Sono del mio amato’ dice la sposa del Cantico dei Cantici, come per dire: ‘I miei pensieri, le mie parole, le mie azioni non hanno altro scopo che di soddisfare Lui. Non mi curo di me, mi occupo soltanto dei Suoi interessi’. 

Questa dottrina dell’intenzione trova una bella illustrazione nella parabola delle vergini prudenti e sciocche secondo il commentario del beato Ludolfo certosino: ‘Loro (le vergini prudenti) hanno nel vaso del loro cuore questo olio che nutre lo splendore della luce e che è la purezza dell’intenzione e l’orientamento della volontà verso Dio. Possiedono due cose dunque: la lampada che brilla fuori illuminando il prossimo – sono le buone opere che la edificano –; e nell’intimo dell’anima l’umiltà, la sottomissione, la rettitudine della volontà: tutte virtù ignorate dal mondo, ma che sole possono fornire alla lampada delle opere un alimento duraturo. Le vergini sciocche non hanno olio: le loro lampade sono vuote…’ 

Padre Konrad zu Loewenstein 

sabato 18 giugno 2022

SULLA PREGHIERA

 


‘L’anima umile e raccolta prova in sé un delizioso sussulto prodotto dalla Presenza di Gesù Cristo.

Si sente dilatare sotto l’azione di questo Sole d’amore, gode di un benessere, di una agilità, soavità, forza d’unione, di adesione con Dio, che certo non vengono da lei stessa. Sente Gesù in tutto il suo essere, si considera come un paradiso abitato da Dio, che ella corteggerà, ripetendo tutte le lodi, i ringraziamenti, e le benedizioni che gli Angeli e i santi cantano a Dio nella gloria. Beato momento della Comunione, che ci fa dimenticare l’esilio e i suoi dolori! O dolce riposo dell’anima sul Cuore stesso di Gesù!’ 

‘Talvolta non avete alcun sentimento di gioia spirituale dopo fatta la Comunione. Aspettate: il Sole si nasconde, ma è dentro di voi e state sicuri che Lo sentirete quando sarà necessario. Che dico? Voi Lo sentite già. E non avete la pace, un desiderio di dar gloria a Dio sempre più? Ora non è questo il battito del Cuore di Gesù in voi?’ 

In una parola, la Santa Comunione è Gesù Cristo Stesso. Secondo la giustizia, devo consacrarGli del tempo per conoscerLo, amarLo e adorarLo quando viene nel mio cuore; inoltre, Egli è la gioia e la pace stessa, per godere delle quali adeguatamente devo trattenermi con Lui in silenzio. L’unica cosa che devo fare io è un piccolo sforzo, un piccolo atto di generosità per superare la mia pigrizia, la mia impazienza, la mia routine. Quando l’avrò fatto, ne sentirò i benefici, sia durante il ringraziamento che dopo, nella mia vita intiera, dove il Signore mi porterà sempre di più alla Carità, verso di Lui e verso i Suoi figli, e dove potrò sentire sempre più e più costantemente la dolce Presenza del buon Gesù nell’intimo del mio cuore. Amen. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

martedì 9 novembre 2021

SULLA PREGHIERA

 


L’Adorazione 

‘Accolto Gesù nel vostro petto, sul trono del vostro cuore, restate alquanto tutto raccolto senza far preghiere vocali: adorate in silenzio, prostratevi in spirito ai piedi di Gesù con Zaccheo, con la Maddalena, con la Santissima Vergine. ContemplateLo nell’ammirazione di tanto Suo amore. ProclamateLo Re del vostro cuore, Sposo della vostra anima ed ascoltateLo. DiteGli: “Parla o Signore che il tuo servo ascolta”. Mettete il vostro cuore ai piedi del Divin Re; offrite la vostra volontà ad eseguire i Suoi ordini; consacrate tutti i vostri sensi al Suo divino servizio’. 

‘Fissate il vostro spirito al Suo trono, affinché non si svii più, anzi, mettetelo sotto i Suoi piedi, affinché, premendolo, ne faccia uscire la vanità e l’orgoglio’; ‘Finché sentirete la vostra anima raccolta o calma nella Presenza di Nostro Signore, non disturbatela. È il dolce sonno dell’anima sul petto di Gesù: di questa grazia che la nutre e l’unisce sì dolcemente al Suo Diletto, essa profitta assai più che di qualunque altra pratica’.  

‘Lungo il giorno siate come un vaso in cui fu versato un profumo prezioso, come un santo che avesse passato un’ora in Cielo. Non dimenticate la “regale visita” che vi ha fatto Gesù’. 

‘L’adorazione fatta dopo la Comunione e sotto l’influenza della Sua grazia, non si contenta di sollevare la scorza, ma vede, ragiona, contempla i divini disegni. Scrutatur profunda Dei. Si va di chiarezza in chiarezza come in Cielo. Il Divin Salvatore ci si presenta sotto una luce sempre nuova e, sebbene il soggetto della nostra meditazione sia sempre Gesù vivente in noi, la meditazione non è mai la stessa. In Gesù ci sono abissi d’amore che bisogna scandagliare a fondo con una fede amante ed attiva. Ah, se osassimo scandagliare a fondo Gesù, come L’ameremmo! Ma l’apatia, la pigrizia si contentano delle nozioni ricevute, di punti di vista esterni. La pigrizia ha paura di amare, e questo lo si comprende, perché più si conosce con questa cognizione del cuore, e tanto più ci si sente spinti ad amare’. 

‘ Prendete per Maestro Gesù Cristo Stesso! RiceveteLo dentro di voi, affinché diriga tutte le vostre azioni... È là, vivente, Gesù che contiene in Sé tutti i misteri: questi rivivono tutti in Lui con le loro grazie speciali. Datevi dunque a Gesù Cristo. Dimori Egli in voi. Allora porterete frutto abbondante secondo la Sua promessa: ‘Qui manet in Me et Ego in eo, hic fert fructum multum ’: ‘chi si tiene in Me e colui nel quale Io mi tengo, questi porta gran frutto’ (Gv. 15.5). 

Padre Konrad zu Loewenstein 

martedì 12 ottobre 2021

SULLA PREGHIERA

 


Preghiere contemplative 


b) Il Ringraziamento Eucaristico 

Osserviamo innanzitutto che il termine ‘Ringraziamento’ viene utilizzato in modo generico per le preghiere personali dei fedeli dopo la Santa Comunione: queste preghiere vengono tradizionalmente considerate come ringraziamento per la Santa Comunione ricevuta, anche se non lo sono formalmente o esplicitamente, perché possono essere preghiere di qualsiasi tipo: preghiere vocali come i salmi particolari previsti dalla Chiesa per questo scopo, o la contemplazione. 

Dopo aver preparato la casa della nostra anima per il Signore nei modi ai quali abbiamo accennato all’inizio della seconda parte di questo libro, sulla preghiera mentale, come accoglieremo il Signore? Quando il Signore viene a me nella Santa Comunione ‘Lo accolgo modestamente e mi metto ai suoi piedi per adorarLo, se non altro per educazione’, dice Padre Manelli: quando si riceve un ospite, ci si intrattiene e ci si interessa a Lui. Se poi questo ospite è Gesù, devo consacrarGli tutta la mia attenzione e tutto il mio cuore. 


Santa Teresa d’Avila raccomanda alle sue figlie: ‘Tratteniamoci amorevolmente con Gesù e non perdiamo l’ora che segue la Comunione, è un tempo eccellente per trattare con Dio, poiché sappiamo che Gesù buono resta in noi fino a quando il calore naturale non ha consumato gli accidenti del pane. Dobbiamo aver grande cura di non perdere così bella occasione per trattare con Lui’. 


Presentiamo adesso tre modi di accogliere il Signore, esposti da san Pier Giuliano Eymard nel libro sopracitato. I modi sono: la conoscenza, l’amore, e l’adorazione eucaristica. Abbiamo già mostrato che la conoscenza e l’amore caratterizzano la preghiera mentale. Le citazioni seguenti mostreranno che la preghiera mentale in questione è quella contemplativa. Abbiamo appena visto come l’adorazione eucaristica assuma, anche essa, una forma contemplativa.  

i) La Conoscenza 

Il santo scrive: ‘Nella Comunione godiamo di Nostro Signore in Nostro Signore medesimo, perché abbiamo così le più intime relazioni con Gesù e ne riceviamo la vera e profonda conoscenza di quel che Egli è; là Gesù si manifesta a noi per quanto è possibile quaggiù’. Allora si può dire con un gran santo: ‘Conosco la verità di Gesù Cristo, la Sua esistenza, le Sue perfezioni, più per mezzo di una sola Comunione, che mediante tutti i ragionamenti possibili’. 

ii) L’Amore 

‘Quanto più vi comunicherete, tanto più s’infiammerà il vostro amore, si dilaterà il vostro cuore e il vostro affetto si farà più tenero e ardente, perché il Suo focolare sarà più acceso. Gesù depone in noi la Sua grazia d’amore; Egli Stesso viene ad accendere nei nostri cuori il focolare dell’incendio, lo attizza con le frequenti Sue visite e ne espande la fiamma divorante. Egli è veramente il carbone ardente che ci infuoca: ‘carbo qui nos inflammat’ (san Giovanni Crisostomo). 

‘Non cercate tanto di fare atti di questa o di quella virtù. Fate crescere Gesù in voi, dilatatevi, unitevi con Lui. Sia Egli il tesoro da far valere spiritualmente e raddoppierete i vostri guadagni, perché il vostro talento sarà raddoppiato’.  

‘Ricevete Nostro Signore e conservateLo il più che potete, facendoGli in voi un gran posto. Dilatare Gesù in noi: ecco il più perfetto esercizio dell’amore. L’amore penitente e sofferente è buono e meritorio, non c’è dubbio; stringe però il cuore e lo accascia col pensiero dei sacrifici da sopportare incessantemente. Qui, invece, il cuore si dilata nell’espansione più schietta ed intiera: si apre e fiorisce’. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

domenica 5 settembre 2021

SULLA PREGHIERA

 


Preghiere contemplative 

Si possono distinguere tre tipi particolari di preghiera contemplativa comune: l’adorazione, il ringraziamento, e la pratica della presenza di Dio. Sono tipi di contemplazione acquisita o attiva. Considereremo la pratica della presenza di Dio nell’ultima sezione del libro, quale modo di pregare sempre. Quanto agli altri due tipi, essi sono, come abbiamo già fatto notare nel prefazio, due tipi di preghiera tipicamente vocali ma, quando messi in rapporto alla Santa Eucarestia, possono prendere la forma di preghiera contemplativa. 

           a) L ’Adorazione Eucaristica 

‘Corrono molti fino a luoghi lontani’, scrive Tommaso da Kempis nell’Imitazione di Cristo, ‘per vedere le reliquie dei santi e stanno a bocca aperta a sentire le cose straordinarie compiute dai santi stessi; ammirano le grandi chiese, osservano e baciano le sacre ossa avvolte in sete intessute d’oro. Mentre qui accanto a me sull’altare ci sei tu, Mio Dio, il Santo dei Santi, il Creatore degli uomini ed il Signore degli angeli’. 

Non dimentichiamo che Nostro Signore Gesù Cristo vive con noi nella Presenza Reale: ‘Ed il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’. Non passiamo davanti ad una chiesa senza visitarLo, almeno nello spirito. Quando soffriamo o siamo confusi, cerchiamo l’aiuto del Signore piuttosto o prima della sapienza e della consolazione degli uomini. Approfondiamo la nostra Fede e viviamo secondo la nostra Fede! 

Nostro Signore Gesù Cristo è veramente Presente nelle nostre chiese ed è là che bisogna andare ad adorarLo. ‘Ecco il Tabernacolo di Dio con gli uomini’ (Apoc. 21.3): ‘Dio abiterà con essi, ed essi saranno il Suo popolo e lo Stesso Dio sarà con essi, Dio loro’. ‘Non è dunque in Cielo che l’anima amante deve andare a cercare Gesù’ scrive san Pier Giuliano Eymard, fondatore dei Sacramentini, ‘non è né l’ora né il luogo, bensì nel Santissimo Sacramento’.  

‘ Quanto amabili sono i Vostri tabernacoli, O Signore degli eserciti! L’anima mia langue di desiderio per la casa del Signore. Il cuor mio e la carne mia esultano in Dio vivo. Poiché il passero si trova una casa e la tortorella un nido dove riporre i suoi pulcini. I Vostri altari, Signore degli eserciti, mio Re e mio Dio! Beati coloro che abitano nella Vostra casa, o Signore, Vi loderanno in perpetuo… vale più un giorno nella Vostra casa che mille altrove. Ho preferito essere abietto nella casa del mio Dio, piuttosto che abitare nei padiglioni dei peccatori’ (Sal. 83). 

Quale genere di adorazione dobbiamo al Signore presente nel Santissimo Sacramento? Scrive lo stesso san Pier Giuliano Eymard: ‘Adorate esteriormente con la più rispettosa attitudine del corpo ed una grande modestia dei sensi, interiormente con una profonda umiltà, coll’omaggio di tutte le facoltà della vostra anima, dicendo nello slancio della vostra fede coll’Apostolo san Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!»’. 

Il sacerdote deve adorare il Signore in modo tutto particolare, spiega lo stesso santo, perché: ‘Questo è il mio servizio e la mia vocazione; se non lo faccio, sono un servo infedele e pigro. Come sacerdote Gli debbo onori perpetui, perché sono io che L’ho fatto scendere sull’altare’. 

In cosa consiste concretamente l’adorazione dovuta a Nostro Signore Gesù Cristo Sacramentato? Quando si entra in chiesa si prende l’acqua santa (che dev’essere anche esorcizzata), si fa un segno di croce su sé stessi lentamente e con raccoglimento, e si fa una genuflessione. Si fa una genuflessione anche quando si passa davanti al Santissimo e quando si arriva al proprio posto. In chiesa non si parla. Se si deve comunicare qualcosa ad altri in maniera urgente, si parla a voce bassa. Il genere di genuflessione dipende da dove si trova il Sacramento: se nel tabernacolo si fa una genuflessione semplice; se esposto nell’ostensorio una genuflessione doppia, cioè colle due ginocchia allo stesso tempo, con profondo inchino. Durante la Santa Messa ci si mette in ginocchio per il canone (dal Sanctus fino al Pater), per l’Ecce Agnus Dei, e per ricevere la Santa Comunione. Si riceve il Corpo Sacrosanto del Signore sulla lingua, come conviene allo spirito di adorazione dovuto: ossia nei confronti della Maestà infinita di Dio da parte del nulla delle Sue creature.  

Cosa si può dire sulla Comunione in mano? L’unico atteggiamento possibile verso Dio da parte dell’uomo è quello dell’adorazione, ma com’è possibile vedere in questa pratica un atto di adorazione? Il Corpo Sacrosanto di Nostro Signore Gesù Cristo viene preso da mani non-consacrate e non-lavate, che dopo la Comunione non vengono purificate. Frammenti, in ognuno dei quali il Signore Stesso è realmente Presente – Corpo, Sangue, Anima e Divinità – vengono spolverati dalle mani, così che il Signore cade di nuovo in terra un numero infinito di volte ogni giorno, come nella Sua via dolorosa verso il Calvario.  

Tale pratica è un abuso introdotto nei tempi moderni dagli eretici del cinquecento per negare la Presenza Reale, ed imposto sulla Chiesa cattolica dal clero olandese e centroeuropeo in tempi recenti, come atto di ribellione contro l’autorità romana. Pur permesso ormai dal Vaticano, è irriverente verso il Signore, favorisce il sacrilegio, ed è pericoloso per la Fede. I fedeli ed il clero non lo devono accettare, e Roma lo dovrebbe proibire. 

San Pier Giuliano Eymard descrive nel modo seguente la genuflessione davanti al Santissimo: ‘Quando l’adoratore varca l’atrio del sacro tempio, quando vede quella misteriosa lampada che, come la stella dei Magi, gli rivela la presenza di Gesù… allora con quale Fede, con quale gaudio, con quali slanci di amore si prostra egli appiè di quell’amabile tabernacolo! Come il suo cuore passa tutte le barriere, attraversa tutti i cancelli di quella prigione eucaristica, squarcia quel velo sacramentale, e si getta con adorazione ai piedi del suo Diletto, del suo buon Maestro, del suo Gesù, Ostia d’amore’. 

In un altro luogo scr ive: ‘Giunto dinanzi al Santissimo Esposto, l’adoratore deve prostrarsi a terra, sull’esempio dei Re Magi, mosso dal sentimento di una viva Fede nella Presenza personale del suo Signore e del suo Dio, adorandoLo così con tutto il suo essere, mediante quest’atto profondo di rispetto e come di annientamento davanti alla sua divina Maestà’. Fissiamo oggi nella mente e nel cuore la verità della Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nel tabernacolo e durante la Santa Messa e risolviamo di offrirGli da oggi in poi, se non lo avevamo sempre fatto, gli atti dovuti di adorazione. 

Adesso che abbiamo considerato gli atti brevi di adorazione come le genuflessioni, guardiamo gli atti più lunghi davanti al Santissimo esposto che costituiscono ‘l’Adorazione’ in senso stretto. 

L’adorazione eucaristica è stata sempre ritenuta l’immagine più adatta dell’adorazione eterna che costituirà tutto il nostro Paradiso. ‘La differenza sta solo nel velo che nasconde la vista di quella realtà divina, di cui la Fede ci dona certezza incrollabile’ dice Padre Manelli nel suo libro eccellente Gesù Eucaristico Amore. La presenza reale di Gesù Cristo, infatti, ha come conseguenza, secondo le parole di santa Teresa d’Avila, che: ‘Noi dobbiamo stare alla presenza di Gesù Sacramento come i santi nel Cielo davanti all’Essenza Divina’. 

‘Davvero l’Adorazione eucaristica è “l’ottima parte” di cui parla Gesù nel rimprovero a santa Marta che si affaccenda dietro “molte cose” secondarie, trascurando l’unica necessaria scelta da Maria: l’adorazione umile ed amorosa’ dice lo stesso Padre Manelli. Egli aggiunge che questa adorazione è stata la grande passione dei santi. Racconta come i santi trascorressero lunghe ore davanti al Santissimo Sacramento senza pure accorgersene. Santa Francesca Saverio Cabrini, per esempio, in una festa del Sacro Cuore, stette in adorazione per 12 ore continue assorta… da Gesù Eucaristico, tanto che, alla domanda di una suora se le era piaciuto l’addobbo speciale di fiori e drappi che ornavano l’altare, ella rispose: ‘Non ci ho fatto caso: ho visto un solo Fiore: Gesù; null’altro’. 

Anche se non siamo in grado di stare molto tempo in Adorazione, dobbiamo comunque ammettere che il Santissimo Sacramento dell’Altare è Gesù Cristo Stesso e, con santa Teresina, che: ‘Solo Gesù è tutto: il resto è nulla’. ‘E allora rinunciare al nulla per il Tutto, consumare sé stessi per il Tutto anziché per il nulla, non dovrebbe essere la nostra vera ricchezza e suprema sapienza?’ chiede Padre Manelli. 

Ascoltiamo la testimonianza dei santi sul valore dell’Adorazione. San Pier Giuliano Eymard (accennando al passo sopracitato di Tommaso da Kempis) dice: ‘Una buona ora di adorazione dinanzi al Santissimo Sacramento fa maggior bene di tutte le chiese di marmo da visitare, di tutte le tombe da venerare’; san Pio da Pietrelcina (accennando al salmo sopracitato): ‘Mille anni trascorsi in mezzo alla gloria degli uomini non compensano neppure un’ora sola trascorsa in dolce colloquio con Gesù Sacramentato’; sant’Alfonso de’ Liguori scrive: ‘Siate certi che di tutti gli istanti della vostra vita, il tempo che passerete davanti al Divin Sacramento sarà quello che vi darà più forza durante la vita, più consolazione nell’ora della morte e durante l’eternità’. 

Abbiamo già detto che l’atto principale dell’adorazione è il sacrificio. L’uomo che partecipa solamente dell’essere brama di rendere tutto ciò che ha dell’essere a Dio che è l’Essere Stesso; vuole rendersi completamente a Dio, in una libazione totale fino all’ultima goccia del suo essere, in un olocausto d’amore fino a spegnersi. Per questo, quando si parla del ‘consumarsi per il Tutto’, san Pier Giuliano insegna: ‘La grazia propria di un adoratore si trova… nel sacrificio di sé stesso ai piedi del Santissimo Sacramento’ ed in un ritiro dice ai Sacramentini: ‘Non siamo ancora molti i martiri del Santissimo Sacramento quali furono il giovane Tarcisio nei primi secoli ed i martiri di Gorkum; ve ne saranno, io lo spero! Ad ogni modo vi saranno martiri di amore. Io penso che noi dobbiamo morire sull’inginocchiatoio appiè di Nostro Signore; quegli che ivi cadrà sarà ben ricevuto in Cielo’. Osserviamo che una parte almeno di questo sacrificio è lo sforzo mentale di concentrarci e lo sforzo fisico di stare in ginocchio (quanto possiamo). 

Sant’ Alfonso ci fornisce tre immagini di questo nostro sacrificio di noi stessi che costituisce l’atto principale dell’adorazione: i fiori, l’incenso, le candele che accompagnano l’Esposizione del Santissimo. Tutti e tre onorano il Santissimo e si consumano nel suo onore. Tra queste immagini, quella della candela è però la più eloquente, in quanto una candela si consuma completamente, non lasciando niente indietro. 

San Pier Giuliano si serve anche lui di questa immagine della candela quando dice: ‘Così deve risplendere, bruciare, e consumarsi la vita dell’adoratore alla maggior gloria del suo Maestro; egli è come un altro Giovanni Battista che Gesù diceva essere una lucerna ardente e luminosa; e l’umile Precursore, a sua volta, non aveva che un desiderio: Gesù cresca e regni, ed io diminuisca e mi eclissi dinanzi a questo Sole divino. Serviamo Dio, se occorre, nella privazione di ogni cosa, nel disprezzo, persecuzione, sacrificio di ogni libertà, di ogni godimento naturale… nell’esaurimento quotidiano… delle nostre forze… come il dono naturale del nostro amore, volendo vivere e morire come quella lampada, come quella candela che arde davanti all’Ostia divina, si spegne, e non lascia traccia alcuna. Tutto è stato consumato per la gloria del Divin Maestro’. 

Ec co la grandezza e bellezza dell’Adorazione eucaristica, dove Nostro Signore aspetta il nostro umile servizio di amore. Ricordiamoci della Sua rivelazione a santa Margherita Maria, quando le presentò il Suo Cuore trafitto, incoronato di spine, e sormontato da una croce, dicendo le seguenti parole: ‘Ho una sete ardente di essere amato dagli uomini nel Santissimo Sacramento e non trovo quasi nessuno che si sforzi, secondo il mio desiderio, di dissetarmi porgendoMi un qualche ricambio’. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

venerdì 30 luglio 2021

SULLA PREGHIERA

 


4.  Tratti generali della Contemplazione 


a) Il processo di contemplazione       

Ora, nella contemplazione, Dio agisce soprattutto in ciò che i mistici chiamano il punto fine dell’anima, la cima dell’anima, la cima della volontà, o il fondo intimo dell’anima. Ciò che si deve intendere per questi termini è tutto ciò che è di più elevato nell’intelligenza e nella volontà: l’intelligenza, non in quanto ragiona, ma in quanto percepisce la verità per mezzo di uno sguardo semplice, illuminata dai doni superiori dell’intelligenza e della saggezza; e la volontà nel suo atto più semplice che è di amare e di gustare le cose divine. 

Il venerabile Louis de Blois insegna che questo centro dell’anima dove opera la contemplazione è molto più intimo ed elevato delle tre facoltà principali dell’anima (ossia la conoscenza, la volontà, e la memoria), essendone la fonte. In esso, lui aggiunge, le facoltà superiori stesse sono un’unica cosa; là regna una tranquillità sovrana ed un perfetto silenzio, perché nessuna immagine lo può mai raggiungere; in questo luogo, dove si nasconde l’immagine divina, ci vestiamo della forma divina. 

In questo centro dell’anima, dunque, Dio produce allo stesso tempo la conoscenza e l’amore. L’oggetto della conoscenza colpisce vivamente l’anima perché è sperimentale, o quasi-sperimentale. L’amore che Dio produce è ineffabile: mediante una specie di intuizione esso fa comprendere all’anima che Lui solo è il Bene sovrano. Lui l’attira così in maniera forte, irresistibile, come il magnete attira il ferro, senza però violentare la sua libertà.  

Così, secondo lo stesso Louis de Blois , l’anima esce da sé stessa per versarsi intieramente in Dio e perdersi nell’abisso dell’amore eterno e là, morta a sé stessa, vive in Dio senza conoscere né sentire niente fuori dell’amore di cui è inebriata: si perde nell’immensità della solitudine e delle tenebre divine; ma perdendosi si ritrova, poiché l’anima, spogliandosi di tutto l’umano, si riveste di Dio. L’anima è tutta cambiata e trasformata in Dio, come il ferro sotto l’azione del fuoco riceve l’aspetto del fuoco e si cambia in esso. Se fino allora in quest’anima non c’era che la freddezza, ormai essa è tutta accesa; dalle tenebre è passata allo splendore più vivo; fino allora insensibile, ormai non è che tenerezza. 

La contemplazione, in una parola, è come una forma intensa di Fede e di Carità con una tendenza verso la visione beatifica. 

La contemplazione, in fin dei conti, è ineffabile ed inesprimibile, e questo per due motivi: il primo è che, essendo inondato dalla luce divina, lo spirito ne viene accecato; il secondo è che egli sperimenta un amore così intenso per Dio che non lo può descrivere. 

b) Gioia e sofferenza 

Nella contemplaz ione c’è un miscuglio di gioia da un lato, gioia ineffabile di gustare la Presenza dell’Ospite Divino, e sofferenza dall’altro. Questa sofferenza si manifesta soprattutto in fasi particolarmente dolorose che si chiamano ‘notti’, mentre la gioia si manifesta in fasi dolci e soavi. San Giovanni della Croce e santa Giovanna de Chantal si concentrano principalmente sulle prime fasi; santa Teresa d’Avila e san Francesco di Sales piuttosto sulle seconde. 

Perché la contemplazione implica la sofferenza? Prima di tutto in quanto l’anima sente profondamente la sua separazione dal suo Dio Benamato, e poi in quanto la contemplazione appartiene alla via unitiva e mistica, che è quella dei perfetti, o almeno di coloro che si stanno perfezionando: questo processo di perfezionamento comprende la purificazione dell’anima dai peccati passati e dalle tendenze peccaminose che ci hanno lasciato. Altrimenti come ci si potrebbe mai unire a Dio Che è completamente perfetto ed infinitamente puro? La purificazione è dolorosa poiché costituisce un processo di purgazione dell’anima da tutte queste impurità.   

Lo stesso processo avviene in Purgatorio: la stessa gioia, la stessa duplice sofferenza. Meglio sopportare quest’ultima quaggiù – osserviamo a questo punto – in una lotta gloriosa e meritoria per amare Dio e superare il Mondo, la Carne ed il Demonio, che in Purgatorio senza gloria, senza meriti, ed in mezzo a dolori indicibili. 

c) Sospensione      

Già nella contemplazione attiva si manifesta una certa sospensione dei sensi: il soggetto che contempla non riesce chiaramente ad afferrare l’oggetto della sua conoscenza, e può anche perdere il senso del tempo: può passare, infatti, parecchio tempo senza che egli se ne accorga. Questo però si deve considerare come un fenomeno tipicamente psicofisico e naturale.  

Nella contemplazione passiva, invece, come abbiamo accennato sopra, avviene una sospensione dei sensi o interni o esterni, o entrambi. Tale sospensione è di ordine puramente sovrannaturale. I sensi vengono immersi ed assorbiti in Dio e l’anima si unisce a Dio in un atto di contemplazione talmente perfetto e pieno che sembra durare solo un istante. Di fatti si tratta qui di due ordini di tempo: quello continuo, solare, secondo cui l’atto dura, diciamo, un’ora, e quello discontinuo che deriva dalla pienezza dell’atto, secondo cui l’atto dura solo un istante. L’istantaneità del tempo discontinuo è per l’anima una conseguenza della sua unione a Dio Atto Puro, Che esiste fuori dal tempo nell’Eterno presente. 

Tornando all’immagine della barca: ‘Come una barca che scinde il mare e non ci lascia alcuna traccia, l’anima afferrata dall’oceano delle divine contemplazioni, non può vedere, neanche tornando, né da dove è passata, né dove è arrivata’ 7 . In mari via tua et semitae tuae in aquis multis, et vestigia tua non cognoscuntur (Sal. 77.19).  

d)  Vantaggi della contemplazione 

Ci sono due vantaggi della contemplazione.  

Il primo vantaggio è che essa glorifica Dio in quanto ci fa sperimentare in un certo qual modo la Sua trascendenza infinita. La contemplazione prosterna il nostro essere tutto intiero davanti alla Sua Maestà e ci conduce a lodare e benedire Lui, non solo nel momento stesso in cui Lo contempliamo, ma lungo tutta la giornata. Quando guardiamo la grandezza divina, rimaniamo rapiti d’ammirazione e dalla virtù della devozione di fronte ad essa.  

Il secondo vantaggio della contemplazione è che essa santifica l’anima. La contemplazione difatti largisce tanta luce, tanto amore, e tante virtù all’anima da essere chiamata con ragione ‘un cammino di raccorciamento per arrivare alla perfezione’. 

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 31 maggio 2021

SULLA PREGHIERA

 


La Contemplazione attiva e passiva 

La contemplazione attiva (o acquisita) è come uno stadio intermedio tra la meditazione e la contemplazione passiva (o infusa). La seconda è mistica di carattere, e viene considerata come contemplazione sensu stricto.  

Citiamo un brano di san Massimo il Confessore che mette a confronto questi due tipi di preghiera considerandoli come i due ‘stati supremi della preghiera’: il primo è ‘uno [stato] proprio degli uomini impegnati nella vita ascetica, l’altro appartiene ai contemplativi. Il primo nasce nell’anima dal timore di Dio e dalla santa speranza; l’altro dall’amore di Dio e dalla perfetta mondezza del cuore. I segni del primo stato sono: l’unificazione della mente mediante la liberazione da tutti i pensieri mondani, la preghiera libera da distrazioni e da turbamenti mediante la sensazione della presenza effettiva, com’è in realtà, di Dio. I segni del secondo stato sono: il rapimento in ispirito nell’infinita luce divina durante l’elevazione della preghiera, e la perdita di ogni sensazione sia di sé stessi come di ogni altra creatura nell’immersione cosciente in Dio che, mediante l’amore, opera questa illuminazione. In questo stato l’orante, sollecitato a comprendere le parole che concernono Dio, riceve una conoscenza pura e luminosa di Lui’. 

San Bonaventura segue Ugo e Riccardo di San Vittore considerando la contemplazione acquisita come un tipo di speculazione. Padre Tommaso di Gesù OCD espone il suo pensiero nel modo seguente: ‘La contemplazione infusa trae quasi direttamente dalla loro fonte i raggi della Divina Luce, e di conseguenza gode di una maggiore chiarezza e dolcezza che la contemplazione acquisita. La contemplazione acquisita si dovrebbe piuttosto chiamare ‘speculazione’, in quanto non riceve la luce da Dio Stesso in modo diretto, bensì come per mezzo di uno specchio (speculum), cioè attraverso scritti o dottrine. Per questo la verità non sembra così pura, così limpida, e pare essere vista come attraverso le nuvole… La contemplazione infusa porta con sé una grande pienezza di luce e dolcezza, e ci fa dare uno sguardo più potente e penetrante in Dio’. 

Guardiamo più da vicino prima la contemplazione attiva, poi quella passiva. 


           a)  La contemplazione attiva  

      

La contemplazione attiva richiede una certa attività da parte del soggetto, come preparazione all’opera della Grazia. Ha diversi nomi. Santa Teresa d’Avila la chiama ‘orazione di raccoglimento’, Bossuet ‘orazione di semplicità’; altri la chiamano ‘orazione di semplice sguardo’, ‘di semplice abbandono in Dio’, ‘semplice vista di Fede’ o ‘orazione di semplice presenza di Dio’. Ne parleremo nell’ultima sezione del libro come metodo per pregare sempre. 

Questo tipo di preghiera può essere il premio per la fedeltà nella meditazione, spiega santa Teresa d’Avila. ‘Per trovare Dio’, scrive nel Cammino di Perfezione (28, 3-4), ‘l’anima non ha bisogno di impennare le ali, basta che si ritiri nella solitudine e Lo contempli in sé stessa. Alla vista della bontà di tale Ospite, non si spaventerà, ma Gli parlerà umilmente e Gli chiederà aiuto come a un padre, Gli narrerà le sue pene, e Gliene chiederà il rimedio riconoscendosi indegna d’essere considerata sua figlia… 

Questo modo di pregare, sia pure vocalmente, raccoglie lo spirito in brevissimo tempo e porta con sé molti beni. Si chiama “orazione di raccoglimento”, perché l’anima raccoglie tutte le sue potenze e si ritira in sé stessa col suo Dio… Coloro che in questo modo possono rinchiudersi nel piccolo cielo della loro anima, ove abita Colui che li creò, come creò pure tutto il mondo, e si abituano a distogliere lo sguardo e fuggire tutto ciò che può distrarre i sensi esterni, si persuadono che camminano per la retta strada ed in breve giungeranno a bere alla fonte dell’acqua viva’. 

 

b)  La contemplazione passiva 

 

La contemplazione passiva comprende in sé vari gradini 4 :  

i)   l’orazione di quiete: quella arida, e, preceduta dal raccoglimento passivo, quella soave;  

ii)  l’orazione di unione piena;  

iii) l’unione estatica: soave ed arida;                                  

iv) l’unione trasformativa. 

 

Diciamo una parola su ciascun tipo di contemplazione 5 . 

 

i ) L’Orazione di quiete   

 

    L ’Orazione di quiete arida  

          Questa orazione costituisce l’inizio della contemplazione infusa. Viene descritta come la ‘Notte dei sensi’ e consiste in malattie, calunnie, violente tentazioni, e contraddizioni, accompagnate da sofferenze interne come aridità e oscurità. Dice san Giovanni della Croce: ‘Dio pone l’anima in questa notte sensitiva, al fine di purificare il senso della parte inferiore e, assoggettandolo, adattarlo e unirlo allo spirito, scurandolo e facendolo cessare dai discorsi’.  

 

Il Raccoglimento passivo 

‘L’ anima purificata da queste prove si stacca dalle creature, dai piaceri e da sé stessa, sente il bisogno di fissarsi in Dio, di starsene sola con Lui, di contemplarLo con amorosa attenzione senza più occuparsi della cose che la circondano, segni tutti che indicano chiaramente che l’anima è stata introdotta nei primi gradi della contemplazione’. Santa Teresa dice 6 : ‘L’anima pare voglia, ritirandosi in sé stessa, appartarsi dai tumulti esteriori; e sentendoseli venir dietro qualche volta, sente il bisogno di chiudere gli occhi e non vedere, né udire, né intendere se non quello di cui allora si occupa, ossia di poter trattare con Dio da sola a solo’. 

 

L’Orazione di quiete soave              

Una pace profonda e la gioia più deliziosa immergono l’anima in un soave riposo sovrannaturale, per cui l’amore si dilata ed ingigantisce. La volontà è quella che più vi partecipa, anzi si trova come prigioniera, ben felice però di essere schiava di Colui che ama e di godere della presenza del suo Maestro come santa Maria Maddalena. In una forma più completa di questa orazione (chiamata ‘sonno delle potenze’) anche l’intelletto viene afferrato da Dio, lasciando la memoria e l’immaginazione libere di agire. Esse divagano come ‘farfalle notturne’ (Vita di santa Teresa 17) importunando e turbando l’anima. 

 

ii) L’Orazione di unione piena 

 

In questa fase di contemplazione, tutte le facoltà (comprese l’immaginazione e la memoria) rimangono sospese ed immerse in Dio. Commenta santa Teresa (Castello, Mansione quinta): ‘Tanto ferma sede pone Dio nell’interno di quell’anima che, quando essa torna in sé, le è impossibile dubitare di esser stata in Dio e Dio in lei’, e si sente inondata da un’estrema tenerezza amorosa e piena di coraggio. È il tempo per risoluzioni eroiche e per ardenti desideri accompagnati dall’orrore più vivo per il mondo e le vanità terrene. Questa orazione può essere pure accompagnata da estasi.  

 

iii ) L’Unione estatica (il Fidanzamento spirituale) 

 

Soave 

In questa fase, tutte le facoltà dell’anima vengono sospese, non solo quelle interne ma anche quelle esterne. Due elementi costituiscono quest’unione: l’assorbimento dell’anima in Dio, che nasce dall’ammirazione e dall’amore, e la sospensione dei sensi, che ne è la conseguenza. L’effetto dell’unione estatica è una grande santità di vita, un perfetto distacco dalle creature, un immenso dolore dei peccati, una vista frequente della sacratissima Umanità del Signore e della Madonna, assieme ad un ammirabile pazienza nel sopportare le nuove prove che manderà il Signore. 

 

Arida (la Notte dello spirito) 

Per purificare e riformare l’anima, Dio lascia l’intelletto nelle tenebre, la volontà nell’aridità, la memoria senza ricordi, e gli affetti immersi nel dolore e nell’angoscia. Questa purificazione più profonda e più radicale prepara l’anima per le gioie del matrimonio spirituale. Ha come oggetto le imperfezioni abituali ed attuali della persona. Le prime consistono negli affetti ed abiti imperfetti, come le amicizie troppo vive e la fiacchezza spirituale; le seconde nell’orgoglio e nell’eccessiva arditezza nei confronti di Dio. I santi effetti di questa notte sono: un ardente amore di Dio, un vivissimo lume, un gran sentimento di sicurezza, una mirabile forza per salire i dieci gradi di amore di Dio descritti da san Giovanni della Croce. 

 

iv) L’Unione trasformativa (lo Sposalizio spirituale)  

 

L’unione trasformativa è l’ul timo termine dell’unione mistica e la preparazione immediata alla visione beatifica. Abbiamo già fatto notare che il progresso nella preghiera va pari passo col progresso morale in collaborazione colla Grazia. Nelle parole di monsignor Brunero Gherardini: ‘La vita mistica è un’efflorescenza della Grazia; quando l’efflorescenza perviene all’ultimo grado del suo possibile sviluppo, è segno che Dio, saturato ogni possibile grado di ricettività del mistico, gli è tanto presente da fargli ‘sentire dentro’ questa Sua presenza, all’interno di quel singolare e così ‘dolce amplesso’ che porta Dio a ‘riposare nel suo seno’ e realizza l’ʻunione divinizzante’. 

Appoggiandosi sulla dottrina di san Giovanni della Croce, monsignor Gherardini descrive quest’unione come ‘una condizione non tanto di coesistenza, quanto di reciproca partecipazione, con la conseguenza che una sola è la voce dello Sposo e della Sposa, uno solo l’amore grazie al quale la Sposa ama con l’amore stesso dello Spirito Santo, uno e reciproco è il possesso’. 

L ’unione viene descritta da santa Teresa a sua volta nei termini seguenti: ‘È come l’acqua del cielo che cade nell’acqua di un fiume… e che con lei talmente si confonde da non poter più dividerle né distinguere quale sia l’acqua piovana e quella del fiume’ (Castello, Mansione settima). 

I caratteri principali di questa unione trasformativa sono: l’intimità, l’indissolubilità, e la serenità. L’intimità e l’indissolubilità sono proprie del genere matrimoniale, mentre la serenità si manifesta nel fatto che non ci sono quasi più estasi o ratti, bensì l’anima gode di una calma dolce, in cui vivono gli sposi sicuri del loro mutuo amore. 

Santa Teresa descrive questa unione con due apparizioni: la prima di Nostro Signore Gesù Cristo; la seconda della Santissima Trinità. 

La prima apparizione è duplice: sia immaginaria che intellettuale. La visione immaginaria avvenne dopo la Santa Comunione quando Egli apparve alla santa ‘con forma di grande bellezza e maestà, come dopo risuscitato’. ‘E le disse ch’era ormai tempo che ella prendesse le cose di Lui per sue, e che Egli si sarebbe dato pensiero di quelle di lei’… ‘D’ora in poi tu ti darai pensiero del Mio onore, non solo perché tu sei Mia vera sposa. L’onor Mio è onor tuo e l’onor tuo è onor Mio’ (Relaz. 25). 

 

Venne quindi la visione intellettuale: ‘Quello che allora Dio comunica all’anima in un istante è un così grande arcano e una grazia tanto sublime ed è sì forte e soave il diletto che ella sente, che io non so a che paragonarlo. Dirò soltanto che in quell’istante il Signore si degna manifestarle la beatitudine del cielo in maniera più sublime di qualsivoglia visione o godimento spirituale. Non si può esprimere quanto intimamente l’anima, o piuttosto lo spirito dell’anima, diventi, per quello che si può conoscere, una cosa sola con Dio’ (Castello, Mansione settima). 

 

La visione della Santissima Trinità è una visione intellettuale dove le tre Divine Persone si mostrano a lei con una rappresentazione della Verità ed in mezzo ad una fiamma che, a guisa di fulgidissima nube, viene diritta al suo spirito. L’anima intende con assoluta certezza che tutte e tre non sono che una sola sostanza, una sola potenza, una sola scienza, un solo Dio. ‘Così, quello che noi teniamo per fede, l’anima ivi l’intende, si può dire, per vista, benché non sia vista di occhi corporali, non essendo questa una visione immaginativa. Qui si comunicano tutte e tre le Divine Persone e le parlano e le svelano il senso di quel passo del Vangelo in cui Nostro Signore disse che verrà col Padre e con lo Spirito Santo ad abitare coll’anima che l’ama e che ne osserva i comandamenti’. La santa aggiunge poi che l’anima ‘vede chiaramente’ in modo spirituale la presenza delle tre Persone Divine nel profondo intimo dell’anima (Castello, Mansione settima). 

Gli effetti di questa ultim a unione sono l’assenza di desideri, di pene interiori e di ratti; uno zelo ardente per la santificazione delle anime e per patire; un santo abbandono nelle mani di Dio. 

La dottrina di santa Teresa e di san Giovanni della Croce sulla contemplazione e tutte le tappe di preghiera che la costituiscono non è solo mistica ma anche ascetica, in quanto, come abbiamo già accennato, il progresso nella preghiera corrisponde al progresso morale. Per questo i due dottori della Chiesa insistono sempre sulla pratica delle virtù: sull’abnegazione, sul distacco, sulla Carità, ed in modo speciale sull’umiltà.  

Padre Konrad zu Loewenstein 

lunedì 19 aprile 2021

SULLA PREGHIERA

 


LA CONTEMPLAZIONE 


La Contemplazione in genere 

 

          Prima guardiamo la natura generale della contemplazione, poi diamone una definizione, e infine diciamo qualche parola sulla sua perfezione. 

          a) Natura generale della contemplazione 

          Come preghiera la contemplazione richiede il raccoglimento; come preghiera mentale costituisce un tipo di conoscenza e amore e dunque anche un tipo di unione a Dio: tutti questi elementi si trovano nella contemplazione in modo particolare ed intenso. Ascoltiamo le parole del Dottore della Chiesa sant’Alberto al riguardo: egli si riferisce qui al passo sulla camera chiusa che abbiamo menzionato sopra in rapporto alla preghiera in genere. 

         ‘Dio è Spirito, e coloro che Lo adorano devono adorarLo “in ispirito e verità” (Gv. 4.23), devono cioè adorarLo con una conoscenza ed un amore, una intelligenza ed una volontà spogli di ogni illusione terrena. Infatti il Vangelo dice: “Quando adorate, entrate nella vostra casa” (Mt. 6.6), ossia nell’intimo del vostro cuore, e “dopo aver chiusa la porta” dei vostri sensi, con cuore puro, con coscienza senza rimproveri, con Fede senza finzione: Pregate il Padre in ispirito e verità, nel segreto della vostra anima’.  

          ‘L’uomo saprà realizzare questo ideale quando sarà disinteressato e spogliato di tutto, quando sarà intieramente raccolto in sé stesso, quando avrà messo da parte e dimenticato l’universo intiero per mantenersi nel silenzio in presenza di Gesù Cristo, mentre la sua anima purificata eleverà con sicurezza e confidenza i suoi desideri a Dio, e con tutto lo slancio del suo cuore e del suo amore si dilaterà, si inabisserà, si infiammerà, si immedesimerà in Lui, sin nel più intimo del suo essere, con una sincerità ed una pienezza senza limiti.’ 

          Padre Augustin Guillerand dice: ‘«Chiudi la porta ed entri». Per spiegare [la contemplazione] occorrono solo queste due frasi, che in realtà sono la stessa cosa. Rappresentano un movimento, poiché tutto ciò che ci unisce a Dio è movimento. Le parole si relazionano a due termini o fini. Se parliamo del terminus a quo (cioè ‘da’), dicono (e fanno ciò che dicono): Chiudi. Se pensiamo al terminus ad quem (cioè ‘a’), dicono: Entri. Bisogna chiudere la porta su tutto ciò che non è, ed entrare in Colui Che è. Ecco il segreto della preghiera’. 

          b)  Definizione della contemplazione 

La definizione classica della contemplazione è ‘la vista semplice ed affettuosa di Dio (o delle cose divine)’. San Tommaso la definisce invece come ‘la semplice intuizione della Verità’: simplex intuitus Veritatis. La Verità in questione è Iddio Stesso come oggetto della Fede: Iddio come Verità sovrannaturale, Che il soggetto conosce tramite la contemplazione.  

Con la seconda definizione san Tommaso recide la conoscenza dall’amore, e intende la contemplazione solo come conoscenza, come un’attività puramente intellettuale? Ciò sarebbe contrario alla concezione della preghiera mentale che, come abbiamo proposto sopra, è un insieme di conoscenza e di amore. Bisogna rispondere che san Tommaso non recide i due elementi, bensì li collega spiegando che la conoscenza, che è la contemplazione vera e propria, è collegata all’amore in quanto ne è sia la causa che l’effetto (Summa II II q.180, a.1).  

Come abbiamo detto, per sua stessa natura la contemplazione si realizza per opera della Grazia. Per questo si chiama anche ‘gratuita’ o ‘sovrannaturale’. E difatti è Dio Stesso che sceglie il momento, il modo, e la durata della contemplazione; è Lui anche che mette l’anima nello stato passivo, o mistico, possedendo le sue facoltà per agire in esse e mediante esse, come il vento nella vela, con l’accondiscendenza libera del soggetto. 

c)  Perfezione della contemplazione 

C’è una scala di perfezione nella preghiera, il cui primo gradino è la preghiera vocale, il secondo la meditazione discorsiva, il terzo la meditazione affettiva, il quarto la contemplazione attiva, il quinto la contemplazione passiva.  

Ciò che rende più perfetto un tipo di preghiera rispetto a un altro è il modo in cui vi partecipa Dio. La contemplazione è il tipo di preghiera più perfetto che ci sia in quanto raggiunge un’unione più stretta ed intima a Dio che tutti gli altri tipi di preghiera, ed in quanto coinvolge direttamente l’azione di Dio nell’anima. 

Ora, la perfezione della preghiera corrisponde alla perfezione morale di colui che prega in collaborazione colla Grazia. Ciò è chiaro in quanto più perfetta e pura è l’anima, più si può unire a Dio.  

Abbiamo già visto che la preghiera vocale e la meditazione discorsiva appartengono alla via purgativa: la via dei principianti; che la meditazione affettiva appartiene alla via illuminativa: la via dei progredenti; e che la contemplazione appartiene alla via unitiva: la via dei perfetti. E siccome tutti possono raggiungere la perfezione morale, così tutti possono anche raggiungere la perfezione della preghiera. Se la contemplazione appartiene alla vita mistica, non solo ‘i mistici’ possono raggiungerla dunque, ma, come dichiara san Giovanni della Croce e santa Teresa d’Avila, tutti i fedeli. Anzi, non solo possono, ma anche devono raggiungerla. Per questo scopo comunque occorre santificarci. 

San Giovanni Cassiano, nei suoi Colloqui coll’abbate Isaac sulla preghiera, scrive sul rapporto tra la santificazione e la contemplazione (I.4): ‘L’anima può con assai apparenza essere paragonata ad una piumina fina, o una piuma leggera. Se nessuna umidità le sporca né le penetra, la mobilità della loro sostanza fa sì che al minimo soffio si elevino come naturalmente verso le alture dell’aria… Se i vizi e gli affanni del mondo non vengono ad appesantirla (l’anima), o la passione colpevole a sporcarla, sollevata in qualche maniera dal privilegio innato della sua purezza, al soffio più leggero della meditazione spirituale si eleverà verso le alture, e, abbandonando le cose di quaggiù, passerà alle celesti ed invisibili’. 

Vediamo che la mortificazione, di cui abbiamo già parlato come preparazione alla preghiera mentale in genere, è ancor più importante per la contemplazione, anzi, come abbiamo già fatto notare, è addirittura essenziale. 

San Giovanni della Croce dà alcuni esempi degli ostacoli alla purezza del cuore e del distacco completo da tutto, che è necessario alla contemplazione (Salita I 1. XI, n. 3): ‘…il chiacchierare molto, qualche leggero attacco che non si ha il coraggio di rompere a persona, vestito, libro, cella, cibo preferito, a piccole familiarità, a leggiere inclinazioni ai propri gusti, a volere sapere tutto e sentire tutto, ad altre simili soddisfazioni. Fa lo stesso che un uccello sia legato ad un filo sottile o ad uno grosso; perché, sebbene sottile, vi starà legato come al grosso, finché non lo spezzerà per volare… E così è dell’anima che è attaccata a qualche cosa: per quanto sia virtuosa, non giungerà alla libertà della divina unione’.  

La lotta per raggiungere la purezza e la perfezione è soprattutto una lotta contro il proprio ‘io’. Padre Tommaso di Gesù OCD parla di ‘una continua abnegazione ed una perfetta conformità alla Volontà Divina’.  

Scrive Riccardo di San Vittore (in un brano che ricorda quello di s ant’Agostino citato all’inizio di questo trattato) che ‘c’è più bisogno di compunzione che d’investigazione, di sospiri che di argomenti, di gemiti che di ragionamenti. Sappiamo, in effetti, che non c’è nulla che lavi le impurità del cuore, ristori la purezza dell’anima, dissipi le nubi dello spirito e vi porti serenità, se non una profonda ed intima compunzione. «Beati», dice la Sacra Scrittura, «coloro che hanno il cuore puro, perché vedranno Dio»’. Lo stesso teologo commenta: ‘Non è una cosa facile né poco importante, per l’anima dell’uomo, prendere la forma dell’angelo, uscire dalle abitudini umane, acquistare le ali spirituali ed elevarsi alle cose sovrannaturali’. 

‘ Applichiamoci quindi alla purezza del cuore, se desideriamo vedere Dio, se abbiamo premura di elevarci alla contemplazione delle cose divine’. 

La compunzione implicata nella conoscenza della propria nullità e miseria è il preludio alla ‘saetta infuocata del divino amore che brucia e consuma ogni difetto’, nella parola di santa Camilla Battista da Varano. ‘Quale filosofia è quella di conoscere sé stesso e di conoscere Dio per quanto è capace la natura umana! …Chi sei tu e chi sono io? Nel fissare lo sguardo su questo punto, l’anima stupisce d’ammirazione ed estasi. Inoltre riceve una luce smisurata di un gusto indicibile, con la quale, anche se tutti la esaltassero, non potrebbe smuoversi dalla chiara conoscenza della propria nullità’.  

Comunque, come abbiamo già fatto notare sopra, i nostri sforzi morali non bastano da soli per raggiungere la purezza e la perfezione di cui si tratta qui, ma devono essere accompagnati dalla Grazia. Questa Grazia dobbiamo supplicarla, e supplicarla con fervore. 

La lotta contro il proprio ‘io’ è una morte a sé stessi, da intraprendere, come insegna san Bonaventura, in unione alla Passione ed alla Morte del Signore. Abbiamo già visto in vari modi la centralità del Suo divin sacrificio per la preghiera: questa ha valore per ed in unione con esso; la preghiera vocale trova in esso la Sua espressione definitiva e più sublime; la meditazione vi trova il suo oggetto più adatto e fecondo. Abbiamo già visto quanto è necessaria per pregare e per progredire nella preghiera la mortificazione di noi stessi. Vedremo in seguito quanto essa sia necessaria anche per salire tutti i mistici gradini della contemplazione verso la visione beatifica di Dio.  

Questa mortificazione, questo sacrificio di noi stessi, come anche la preghiera stessa, ha valore solo per ed in unione al sacrificio del Signore. L’unione consapevole del nostro sacrificio al Suo ci fa vivere più pienamente, più profondamente, e con maggior devozione e frutto spirituale questo nostro sacrificio. 

Come conclusione memorabile della sua opera Itinerario dello spirito verso Dio scrive il Doctor seraphicus: ‘Se chiedessi come si possano fare queste cose 3 chiederei alla Grazia, non alla scienza; al desiderio e non all’intelligenza; ai gemiti della preghiera e non allo studio dei libri; allo Sposo e non al maestro, a Dio e non all’uomo; all’oscurità e non alla chiarezza; non alla luce che brilla ma al fuoco che infiamma completamente e trasporta in Dio per le unzioni eccessive e le più ardenti affezioni: quale fuoco è Dio, “il Cui camino è in Gerusalemme”, che Cristo accende nel fervore della Sua ardentissima Passione! Questo lo può percepire solo colui che dice: “La mia anima ha eletto il volo e le mie ossa la morte”. Chi ama tale morte può vedere Dio, poiché indubitatamente è vero che: “L’uomo non Mi vedrà e vivrà”. Moriamo dunque ed entriamo nelle tenebre; imponiamo silenzio alle nostre preoccupazioni, concupiscenze, ed immaginazioni; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo al Padre, affinché, avendo visto il Padre, possiamo dire con Paolo: «La mia Grazia basta»; esultiamo con Davide dicendo: «La mia carne ed il mio cuore vengono meno, Dio del mio cuore e mia parte in Eterno. Benedetto sia il Signore in Eterno, e tutto il popolo dirà: Fiat, fiat, Amen»’. 

Padre Konrad zu Loewenstein