giovedì 5 marzo 2020

SE STARAI CON ME TI PARLERO’ DI ME



(Gesù racconta dalla Croce)

Il tradimento


Ma proprio a questo ricordo il mio pensiero va a Giuda.

Poveretto, la mia sfuriata gli aveva dimostrato che non possedevo alcun senso politico e si sentì deluso, lui che da me si aspettava la testimonianza di un maestro sapiente di questo mondo. Crollarono le sue ultime illusioni, così prese la decisione di aiutare i Farisei a mettermi a tacere. Ormai non gli interessavo più. Per lui ero solo un pazzo, un esaltato, e nient'altro. Così quella stessa sera mentre mi avviavo con gli altri apostoli verso l'Orto degli Ulivi, Giuda rimase in città per prendere i primi contatti con i capi dei Sacerdoti, stabilendo l'incontro per l'indomani sera. Quanta tristezza nel mio cuore! Giunti che fummo nell'Orto mi sedetti per terra e poggiando la schiena in un albero di ulivo invitai gli apostoli ad ascoltarmi. "Mancano due giorni alla mia crocifissione", spiegai, "e sarà proprio a Pasqua".
Ma loro rimuginavano tutto ciò che era accaduto in quegli ultimi giorni ed erano confusi, quasi non mi ascoltavano. Dopo l'ingresso trionfale a Gerusalemme, pensavano che quel popolo mi amava, mi aveva accettato come Messia e lì, fors'anche per un rifiuto dettato dal grande affetto che avevano per me, fermavano il loro pensiero. Preferii non insistere e li lasciai con le loro convinzioni, non me la sentivo di continuare a spiegare cose che non avrebbero mai compreso, tanto li avrebbero vissuti da lì a poco questi giorni, insieme a me e non era il caso di scoraggiarli più di quanto non lo fossero già. Ci appisolammo.
L' indomani mercoledì cinque aprile si tenne un ulteriore consiglio in casa di Caifa e si ribadì che bisognava catturarmi con inganno per evitare una sommossa nel popolo.
Cercarono subito di rintracciare Giuda il quale fu ammesso a partècipare al loro conciliabolo.
Giuda che nella sua vita era stato abituato a dare un prezzo a tutto, volle darlo anche a me. E subito, prima ancora di impegnarsi definitivamente a consegnarmi nelle loro mani, chiese: "Quanto mi date?". Gli risposero: "Trenta sicli d'argento".
Questo infatti era il prezzo che la legge ebraica stabiliva quale riscatto in caso che uno schiavo fosse ucciso. Giuda accettò: pensava di investire l'intera somma per acquistare un podere. Questa mercede mi fece molto più male del tradimento in sé. Se mi avesse consegnato senza alcuna ricompensa, avrebbe guadagnato probabilmente la stima degli stessi Farisei i quali avrebbero pensato che, deluso dall'opinione ideale che lui si era fatta su di me e non valendo che niente ai suoi occhi, poco contava per lui che fossi ucciso o rimanessi vivo e in ciò, alla richiesta insistente di consegnarmi nelle loro mani, avrebbe potuto aderire come chi, avendo la proposta di disfarsi di ciò che non bisogna, se ne disfà volentieri. Ma la degradazione più grande Giuda l'ebbe quando vendette non me, ma il suo ideale deluso per trenta sicli d'argento. Riflettei molto su questo e pensai che il cuore dell'uomo chiuso alla grazia del suo Dio, non saprà far altro che vendere, comprare, perire. Lo vidi tornare a sedere in mezzo agli altri apostoli. Rimase molto male quando sentì che avevo dato a Pietro e Giovanni il compito di organizzare la cena per la Pasqua, perché a lui urgeva sapere dove saremmo andati.
Così mi rivolsi ai due apostoli e parlai in modo molto enigmatico per far comprendere a Giuda che ero al corrente di suoi piani, per invitarlo a riflettere, ma non volle, pensando forse che ormai era troppo tardi per tornare indietro, dimostrando così di non avere fiducia nel mio amore, nel mio perdono.

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